IL GALLO E IL GATTO NERO DI STEFI

 

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Ho sognato di portarmi appresso un gallo e un gatto nero che tenevo rispettivamente con il braccio sinistro e con il braccio destro.
Nel frattempo ho reincontrato il mio primo amore con il quale nel sogno mi sono riconciliata, ma che mi dimostrava un sentimento tiepido e per me insufficiente.”

Stefi

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

La stranezza o l’assurdità dei sogni non è un’invenzione dei poeti o una bugia di Pinocchio. L’attività onirica si contraddistingue proprio per la sua elaborazione forsennata, da “fuori di senno” per l’appunto. Si pensi a Stefi che va in giro di notte abbracciando “un gallo con il braccio sinistro” e “un gatto nero” con il braccio destro.
Si tratta di una scena talmente creativa da far invidia alla fantasia di Federico Fellini.
Eppur è vero!
Il “processo primario” si esalta nel sogno manifestando una sorprendente vena poetica intrisa di dramma satiresco e di commedia popolare.
Curiosità e scienza impongono la decodificazione del capolavoro, apparentemente assurdo, di Stefi.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Ho sognato di portarmi appresso un gallo e un gatto nero che tenevo rispettivamente con il braccio sinistro e con il braccio destro.”

Andiamo subito ai simboli per tirarci fuori dai guai.
Il “gallo” condensa classicamente l’universo psichico maschile nelle valenze del primato e del prestigio, attesta una buona alto-locazione dell’Io o un quasi salutare narcisismo, contiene un potere erotico suggestivo e una prepotente aggressività sessuale.
Trattasi simbolicamente di un “principio psichico maschile” secondo la teoria dell’androginia psichica, teorizzata “in primis” da Platone nel “Simposio”.
Il “gatto nero” si attesta simbolicamente nella parte seduttiva femminile e nella fascinosa suggestione erotica.
Trattasi, sempre simbolicamente, di un “principio psichico femminile” e sempre secondo la suddetta teoria dell’androginia psichica che esige per tutti i viventi umani, al di là della distinzione fisio-biologica sessuale, una “parte maschile” e una “parte femminile”.
Cosa consegue per il sogno in questione?
Stefi sta visitando in sogno la sua “parte maschile”, il “gallo”, e la sua “parte femminile”, il “gatto nero”.
Procediamo con la decodificazione dei simboli alla ricerca di una chiarezza logica che il sogno deve contenere.
Il “braccio sinistro” simbolicamente si colloca nelle relazioni regressive e fortemente emotive, mentre il “braccio destro” contiene le relazioni in atto e fortemente consapevoli.
In generale si può dire che la “sinistra” rappresenta simbolicamente il passato, la regressione, l’emozione, il sentimento, la “parte psichica femminile”, mentre la “destra” traduce il presente, la vigilanza cosciente, la razionalità, la “parte psichica maschile”.
Problema!
Come interagiscono i simboli e cosa significano?
Come si concilia il “gallo” con il “braccio sinistro” e il “gatto nero” con il “braccio destro”?
Stefi si dice in sogno che il suo potere femminile di seduzione appartiene al passato sentimentale e che nell’attualità prevale la sua parte femminile fascinosa ed erotica.
Questo è quanto, ma non è ancora tutto.

“Nel frattempo ho reincontrato il mio primo amore con il quale nel sogno mi sono riconciliata, ma che mi dimostrava un sentimento tiepido e per me insufficiente.”

Il sogno di Stefi salta apparentemente di palo in frasca, dal “gallo” e dal “gatto” al “primo amore”.
Ecco immancabilmente la “regressione” onirica e temporale, “ho reincontrato il mio primo amore”. Stefi torna alla sua adolescenza e rievoca dal suo bagaglio psichico l’esperienza formativa del “mio primo amore”, un vissuto collegato al mito della “prima volta” di cui dirò nelle finali “riflessioni metodologiche”. Stefi ha un conto sospeso con la giovane età trascorsa e con il giovinetto di allora degno del suo interesse e del suo puro e ingenuo investimento di “libido genitale”. Stefi ha riconosciuto l’altro da sé e si è alienata nel suo “primo amore”. Adesso Stefi può “proiettare” sul povero primo amore le sue deficienze di allora. Stefi non si era innamorata abbastanza, ma adesso è in grado di capire e di accettare questa sua paura di abbandonarsi ai sensi e ai sentimenti perché in quel periodo prevaleva per difesa il “gallo” e non si profilava all’orizzonte il “gatto nero”, prevaleva l’isolamento “fallico-narcisistico” sulla “libido genitale”. Stefi ragazzina aveva paura di coinvolgersi con il corpo e con la mente: “mi dimostrava un sentimento tiepido e per me insufficiente.”
Oggi Stefi è una donna matura e sa come portare a spasso e giocare la sua femminilità.
Meglio: oggi Stefi sa come “conciliare” la sua “parte psichica maschile” e la sua “parte psichica femminile” nel mercato relazionale degli uomini.

PSICODINAMICA

Il sogno di Stefi sviluppa la psicodinamica conflittuale tra la “libido fallico-narcisistica” e la “libido genitale”, tra la difesa dall’altro dovuta al mancato riconoscimento e l’investimento “genitale” di una relazione a due.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

Il sogno di Stefi è dominato dall’istanza “Es”: vedi la prima frase con il “gallo” e il “gatto” in primo piano tra le sue “braccia”. L’istanza “Io” e “Super-Io” sono marginalmente sottintese. Il “gallo” può avere una valenza di prepotenza “super-egoica”, il padre impositivo e i limiti. Le “posizioni psichiche” richiamate sono la “fallico-narcisistica” e la “genitale”.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

I meccanismi psichici di difesa usati da Stefi nel suo sogno sono la “condensazione” in “gallo” e “gatto”, lo “spostamento” in “sinistra” e “destra”, la “figurabilità” in “gatto” e “gallo”, la “proiezione” in sentimento tiepido”. Il processo psichico di difesa richiamato è la “regressione” in “ho reincontrato”.

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Stefi contiene un conflitto “fallico-genitale” che richiama una “organizzazione psichica reattiva” tendente all’isteria o al parlare con il corpo.

FIGURE RETORICHE

Le figure retoriche coinvolte sono la “metafora”, relazione di somiglianza, in “gallo” e “gatto”, la “metonimia” in “destra” e “sinistra”, la “enfasi” in “Ho sognato di portarmi appresso un gallo e un gatto nero che tenevo rispettivamente con il braccio sinistro e con il braccio destro”. L’uso delle figure retoriche rafforza la creatività surreale del sogno.

DIAGNOSI

La diagnosi dice di un conflitto tra la “parte maschile” e la “parte femminile in via di risoluzione o adeguatamente composto. Manifesta, inoltre, la consapevolezza di una equa distribuzione tra il potere fine a se stesso e la forza contrattuale e relazionale.

PROGNOSI

La prognosi impone di rafforzare il connubio tra potere e seduzione e di cogliere al meglio le piacevolezze relazionali senza indulgere in rigurgiti narcisistici e isolamenti altolocati difensivi.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta in una recrudescenza del narcisismo e in una psiconevrosi istero-fobico.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “simboli” e dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Stefi è “5” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

RESTO DIURNO

Il “resto diurno” del “resto notturno”, la causa scatenate del sogno di Stefi è legata all’emergere di un ricordo o a uno stato d’animo.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità onirica del sogno di Stefi è surreale nell’uso di autoreferenza.

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

Riporto un breve brano del mio testo “Quando il ciliegio fioriva” a illuminazione della consistenza psichica e culturale del “primo amore”.
Correva l’anno 1996.

IL MITO DELLA “PRIMA VOLTA”

La “prima volta”!
Ah, la “prima volta”…!
Quella “prima volta”…!
C’è sempre una “prima volta”.
La nostalgia umana ha costruito un mito sul ricordo di un turbamento mai tramontato e inscritto in un nuovo desiderio di vitalità.
Ma questa fatidica “prima volta” è un’esplosione di creatività inconscia che si compone in un geniale capolavoro; è un pesante trascinarsi sulle orme del gregge che si risolve in una ripetizione coatta di infinite “prime volte”, già viste da altri, già vissute da altri e tutte allineate in fila indiana. Ma questa fatidica “prima volta” è un punto di rottura originale, elaborato da un uomo temerario, è la continuità di rassicuranti e monotoni processi da sempre istruiti all’interno del consorzio umano.
Una vita piena di verità è opportuno lasciarla agli inetti o ai grandi sacerdoti di qualsiasi religione. In effetti tante “prime volte” scorrono nella vita di un uomo, a testimonianza che al bellezza di un sentimento e l’intensità di un’emozione sono il solo inganno alla crudeltà della fine.
L’adolescenza, ad esempio, è ricca di “prime volte”, perché è l’età in cui si impara ad essere secondo la norma degli altri, in cui più forte è il desiderio di bruciare le tappe scandite dalle convinzioni sociali. Ma l’adolescenza è anche dominata fortunatamente dalla pulsione a trasgredire; in questa rincorsa verso l’abbattimento dei tabù tu puoi scolpire tante tacche nel calcio di legno della tua pistola, non una per ogni cadavere, ma una per ogni “prima volta”.
E così sia.
Se non ti riesce la trasgressione, non solo ignori cosa perdi, ma non rientri nella normalità fissata dai tuoi coetanei più intraprendenti: una norma alternativa e contingente rispetto a quella tradizionale e necessaria, falsamente disegnata da educatori invidiosi e sempre in vena di perpetuare una rassicurante continuità formale. La trasgressione è il carisma della “prima volta”, e allora…in bocca al lupo e buon appetito.
Quelle che la società ti offre non sono prime volte” ma ennesime volte”, perché ti vuole inserire, tuo malgrado o tuo bengrado, nella linea della sua continuità ed allora…niente di nuovo sotto il sole. Anche in questo caso si è costretti a recitare un rassegnato “amen”.
Il soffitto della cappella era dipinto con i volti di uomini di tutte le razze, una rassegna cromatica degli abitanti del mondo intero corredata secondo le varie e visibili sfumature genetiche che si snodano di parallelo in parallelo: la pelle.
Era la volta della cappella di una chiesa e non l’auditorium dell’ordine accademico di endocrinologia o di dermatologia.
Il variopinto affresco rimandava al registro simbolico dell’amore tra gli uomini e la superamento delle esaltazioni e delle restrizioni legate alle caratteristiche del colore della pelle e dei tratti somatici.
Era la volta della cappella di una chiesa e non il ginnasio di un simposio sul cosmopolitismo; non si perorava la causa della frustrata casta degli intellettuali senza patria a cui patria doveva essere il mondo intero secondo l’insegnamento dei migliori maestri del pensiero greco. Era una chiesa cattolica che di mercoledì in mercoledì ospitava tutte le persone di buona volontà sensibili al sentimento d’amore verso il prossimo e devoti al comandamento cristiano.
Ti sei presentato ai miei occhi stanchi con tutta la carica enigmatica di una tristezza infinita, difficile da catalogare. Potevo, infatti, inserirla nella boria di un ex eroe costretto a una vita banale, insoddisfatto ormai di mostrare ai visitatori le proprie ferite e le proprie medaglie o nella depressione di un uomo solo che sogna le tante carezze mancate sempre al primo appuntamento con una generosa donna per paura della felicità.
In effetti eri un maestro con la vocazione dell’azione rapida e con la necessità del gesto eclatante; un maestro che ha imparato dalla vita a non perdersi in tortuose teorie o in inutili sillogismi. Il tuo corpo stagliava il mio ideale estetico maschile: un uomo alto, magro, dagli occhi limpidi e dalla bocca dolce. La tua falsa flemma non era mediterranea, ma si radicava in luoghi dimenticati dal tempo dove anche i fiumi scorrono lentamente per riposare in ampi laghi.
La tua falsa flemma era quella di chi ha imparato a discernere le cose importanti da quelle futili, di chi ha conosciuto e rifiutato gli effimeri inganni di una breve felicità legata al temporaneo possesso di strumenti da consumare; di chi ha convissuto con la brutalità della morte e non è ormai atterrito da qualsiasi perfido male, di chi non si lascia coinvolgere neanche dal sorriso ammiccante di un bambino in cerca di coccole.
La tua falsa flemma era prossima all’onnipotenza, così come il tuo vivere confinava con l’andare oltre la vita, quel malefico sopravvivere di chi è condannato a morte e non conosce il giorno e l’ora della fine per cui qualsiasi giorno e qualsiasi ora nel loro trascorrere segnano una contingente vittoria sul Nulla che inesorabilmente verrà.
La vittoria anche su di me e su i miei sentimenti puliti non era necessaria; il mio amore era un Nulla inesorabile, ma non era un Nulla qualsiasi. Forse nella tua ottica di eroe, quella vittoria poteva sanare la sconfitta di esserti abbandonato al sentimento d’amore e alla gioia dei sensi, per cui era necessario convertire quanto prima in una nuova vittoria il benefico rifiuto e la manifesta inutilità di Sara.
Non ti ho mai visto e vissuto come un prete, né tanto meno come un montanaro della provincia di Belluno.
Potevo incontrarti in un bazar di Istambul mentre contrattavi una donna fatalmente bionda e prosperosa per l’harem di uno sceicco arabo; potevo incontrarti in una moschea rivolto verso La Mecca e prostrato sulla preghiera senza scarpe mente recitavi i versetti del Corano durante una delle cinque preghiere quotidiane; potevo incontrarti un venerdì qualsiasi mentre giravi con una squallida borsa di plastica ricolma di verdure nel chiassoso mercato di Conegliano; potevo incontrarti a Gerusalemme pallido e smunto di fronte al muro del pianto mentre con una rigida postura ossessionavi il tuo corpo nel chiedere perdono a Javhè dei tuoi peccati; potevo incontrarti nella fatidica Standa durante le svendite stagionali di ruvida jenseria americana; potevo incontrarti in un tempio indiano mentre custodivi le sacre mucche dal sadismo dei carnivori turisti occidentali o mentre nutrivi con chicchi di grano alcuni topi ritenendoli le degne incarnazioni delle anime dei tuoi cari defunti; potevo incontrarti in un bordello di Amsterdam mentre chiedevi alla grassa maìtresse una puttana bionda da cui apprendere i dogmi dell’erotismo; potevo incontrarti ad Atene presso il tempio di Afrodite mentre celebravi i sacri misteri della “Aurora”, quando lo sperma del membro castrato di Urano si impatta con la bianca schiuma del mare.
Potevo incontrarti dappertutto, ti avrei sempre portato via con me!
Parola di Sara!

 

 

 

 

 

 

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