TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO
“La mia famiglia (madre, marito di mia madre, sorella) aveva affittato per pochi mesi un appartamento all’ultimo piano di un palazzo chic nel centro di una capitale.
Nei piani bassi c’erano dei locali che venivano frequentati da ragazzi, per lo più artisti, acrobati e fricchettoni vari; io avevo una relazione con uno di loro, un tipo alto e asciutto e con gli occhi truccati.
Nel palazzo vigevano delle norme che venivano fatte rispettare da un uomo spietato, vestito con un completo grigio scuro, occhi scuri e mobili; lui non voleva che noi stessimo là e molte volte ci ha fatto sgomberare anche usando la violenza, tanto che io una volta ho dovuto chiamare mia madre, che era autorizzata a vivere lì, per poter rientrare ed ero proprio stufa di questa mia condizione.
Uno di quei locali era una cava di una qualche pietra preziosa: erano formazioni cristalline bianche e brillantissime che si sgretolavano al solo toccarle.
Io stavo sdraiata prona e il mio ragazzo mi cospargeva la schiena di queste pietre. Era un momento di grande serenità.
Dopo un po’, mentre lui continuava a mettermi cristalli addosso, arriva un suo amico intimo e compie un rituale culminante con lui che si inginocchia alle spalle del mio ragazzo seduto per terra e comincia a mangiare i suoi capelli che sembravano fatti di caramello solidificato.
Io lo percepivo come una vaga intrusione.”
Questo è il sogno di Aretí.
DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
Il sogno di Aretì induce una riflessione sul simbolo della “pietra preziosa”, genericamente intesa come dotata di magia, di energia e di flusso. Ma la simbologia specifica varia in base al tipo di pietra e, pur mantenendo la generica valenza magica, essa possiede particolari caratteristiche atte a svolgere precise dinamiche. Nel sogno di Aretì la pietra è preziosa ed è identificata in “formazioni cristalline bianche e brillantissime che si sgretolavano al solo toccarle”, simbolicamente la magia dell’amuleto dotato di bellezza e privo di rigidità, psicologicamente attraente e duttile, uno strumento di piacere. Del resto, Aretì definisce “rituale” la psicodinamica che si svolge nella parte finale del sogno: il mangiare i capelli caramellati del suo ragazzo dopo che quest’ultimo l’ha cosparsa di “pietre” preziose sulla schiena.
Il sogno è formulato in maniera consistente dall’Io narrante, è raccontato con tante pezze logiche giustificative, ma non perde le caratteristiche precipue elaborate dall’Io onirico: un buon prodotto psichico di una realtà vissuta e in atto come l’adolescenza, il padre, la femminilità, la seduzione, la disposizione sessuale.
SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA
“La mia famiglia (madre, marito di mia madre, sorella) aveva affittato per pochi mesi un appartamento all’ultimo piano di un palazzo chic nel centro di una capitale.”
Aretì esordisce con una buona dose di narcisismo e di alto-locazione personale e sociale: ” palazzo chic nel centro di una capitale.” Non manca il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido” anche se in forma consentita dal buon senso: “appartamento all’ultimo piano”. L’unità familiare è salva, la famiglia è per bene anche se il “marito di mia madre” non è il padre di Aretì, ma si manifesta una certa freddezza affettiva e un cordiale distacco, oltre alla normale gelosia competitiva nei riguardi della madre.
“Nei piani bassi c’erano dei locali che venivano frequentati da ragazzi, per lo più artisti, acrobati e fricchettoni vari;”
Ma Aretì non è soltanto perbenismo formale e “sublimazione” educata, Aretì è anche “piani bassi”, materia vivente di giovane fattura, “ragazzi”, di buona creatività, “artisti”, di gradevoli fattezze, ”acrobati”, di ardita fantasia, “fricchettoni vari”. Queste caratteristiche di Aretì sono proiettate nell’ambito sociale. Il sogno usa il meccanismo psichico di difesa della “proiezione” per favorire il sonno e in attesa che si sviluppi la psicodinamica più consistente.
“io avevo una relazione con uno di loro, un tipo alto e asciutto e con gli occhi truccati.”
Ecco il coinvolgimento diretto ed ecco la protagonista in gioco!
Aretì conferma che ha a che fare con uno di questi giovani dall’estetica inappuntabile e dalle poche parole, “alto e asciutto”, ma molto sofisticato nel modo di vivere se stesso, di concepire la vita e d’interpretare la realtà: “gli occhi truccati”. E’ una questione di “weltanschauung”, di visione del mondo e Aretì è una donna notevolmente originale. La scelta del maschio non è esente da oscuro fascino, così come il modo psicofisico in cui vive e organizza se stessa.
“Nel palazzo vigevano delle norme che venivano fatte rispettare da un uomo spietato, vestito con un completo grigio scuro, occhi scuri e mobili;”
Il “Super-Io” non poteva mancare in tanta eccentrica coreografia sotto forma di “un uomo spietato”, colui che impone e tutela le “norme”, colui che le faceva “rispettare”. Mai fu più adeguata e puntuale la definizione dell’istanza psichica del “Super-Io”. L’attributo “spietato”, senza “pietas”, equivale simbolicamente all’assenza di riconoscimento della tradizione e del culto. Quest’uomo rappresenta la “parte negativa” del “fantasma del padre”, nonché un “Super-Io” particolarmente rigido e crudele che la stessa Aretì ha immaginato con compiacenza sadomasochistica. Il “completo grigio scuro”
echeggia un abbigliamento degno di un uomo di mafia antica, un’autorità autorevole e indiscussa nella sua laica sacralità. Gli “occhi scuri e mobili”
testimoniano di una visione del mondo attenta e di un’intelligenza aperta alle varie possibilità logiche e illogiche, visibili e invisibili. Quest’uomo è religiosamente un “padreterno”, laicamente un “mamma-santissima”, psico-analiticamente un “Super-Io” esagerato ed esasperato, culturalmente un insieme di rigidi divieti, politicamente un “capo-bastone” fascista. Il tutto rientra nel ricco quadro psichico di Aretì e nella sua capacità linguistica di cogliere i valori del “significante” e del “significato”.
“lui non voleva che noi stessimo là e molte volte ci ha fatto sgomberare anche usando la violenza, tanto che io una volta ho dovuto chiamare mia madre, che era autorizzata a vivere lì, per poter rientrare ed ero proprio stufa di questa mia condizione.”
Il “marito di mia madre” non è il padre di Aretì, ma è il nuovo uomo, un estraneo, oppure è un modo di dire per attestare una forma di distacco nei confronti del padre. In ogni caso il “lui non voleva” è la “proiezione” dell’istanza “Super-Io” di Aretì, la funzione inibitoria e il complesso psichico dei divieti, delle norme, dei limiti, istanza legata nella sua formazione alla figura paterna reale o immaginaria. Si rileva l’interferenza della figlia nella coppia genitoriale o nella vita di coppia della madre: “ho dovuto chiamare mia madre, che era autorizzata a vivere lì”. Il ricorso alla madre è in funzione di una permissività bonaria e di una mediazione tra il “principio del piacere e della realtà” con il “principio del dovere”. Aretì rievoca in sogno la conflittualità psicodinamica tra le sue istanze psichiche “Io”, “Es” e “Super-Io” e gli ambiti di appartenenza, tra il “piacere” e il “dovere” con la mediazione della “ragione”. Aretì nella sua adolescenza ha maturato questo conflitto e si è ribellata al padre e alla sua figura tirannica, per cui è naturale il suo “ero proprio stufa di questa mia condizione.” Aretì chiede emancipazione e autonomia psicofisiche.
“Uno di quei locali era una cava di una qualche pietra preziosa: erano formazioni cristalline bianche e brillantissime che si sgretolavano al solo toccarle.”
Il padre violento o il “Super-Io” rigido impedivano soprattutto la vitalità erotica e la vita sessuale. Aretì rievoca l’adolescenza, quando la sua “libido” maturava dalla “posizione fallico-narcisistica” a quella “genitale” con tutto il carico delle pulsioni e in pieno ossequio agli ormoni evoluti in istinti. Una stanza della sua casa era una “cava di qualche pietra preziosa”: definizione azzeccatissima nel suo simbolismo dell’intimità erotica e sessuale. Nei vissuti di Aretì esiste un uomo cattivo che inibisce e impedisce il libero gioco degli istinti e che oltretutto si accompagna alla mamma, l’unica figura che ha il potere d’intercedere presso il maschio violento. Aretì proietta sul padre tutte le su difficoltà adolescenziali di acquisire coscienza del suo corpo e dei suoi diritti: “formazioni cristalline bianche e brillantissime”. Ma non basta: l’erotismo dei sensi, in particolare della pelle, viene esaltato: “si sgretolavano al solo toccarle.” Aretì ha una particolare sensibilità alla pelle e al tatto, una facilità all’orgasmo previo contatto. “Sgretolarsi” simbolicamente rappresenta il lasciarsi andare e l’abbandono delle ultime “resistenze” e inibizioni psicofisiche.
“Io stavo sdraiata prona e il mio ragazzo mi cospargeva la schiena di queste pietre. Era un momento di grande serenità.“
Questa è la scena madre di tutte le eccentriche seduzioni e di tutte le schermaglie erotiche. La donna “sdraiata prona” disposta all’eccitazione della sensibilità epiteliale e nello specifico della schiena. Le pietre rievocano gli strumenti di una preziosa eccitazione: i cubetti di ghiaccio, le carezze, il solletico, non certo le frustate dal momento che “era un momento di grande serenità”, di abbandono psicofisico, di disposizione all’orgasmo. La schiena è una zona erogena del corpo e in particolare per la sensibilità della pelle.
Areti rievoca in sogno il desiderio erotico di abbandonarsi con il suo occasionale ragazzo: “artista, acrobata, fricchettone, alto, asciutto, con gli occhi truccati.”
“Dopo un po’, mentre lui continuava a mettermi cristalli addosso, arriva un suo amico intimo e compie un rituale culminante con lui che si inginocchia alle spalle del mio ragazzo seduto per terra e comincia a mangiare i suoi capelli che sembravano fatti di caramello solidificato.”
Questo occasionale ed eccentrico ragazzo è completo anche a livello sessuale. Non gli manca niente, è avanti rispetto alla banalità convenzionale, è maschio eterosessuale e omosessuale, sta con le donne e con i maschi. Alle donne mette “cristalli addosso”, mentre con i maschi esegue rituali erotici e si lascia sedurre dallo “amico intimo” per le sue idee, per le sue ideologie, per i “suoi capelli” da mangiare come il “caramello solidificato”. Aretì esibisce le sue preferenze sui maschi, vuole gente non bigotta e monotona ma aperta trecento sessanta gradi verso il nuovo, il moderno e l’eccentrico naturalmente artistico, quello che non guasta mai.
Altro che normalità obsoleta di un normale rapporto sessuale e di un normale rapporto uomo-donna, maschio-femmina!
L’erotismo si attesta anche nella dolcezza delle idee, tutte da mangiare e da gustare, nelle ideologie dell’avanguardia alle quali Aretì è aperta.
“Io lo percepivo come una vaga intrusione.”
Areti oscilla tra il possesso tradizionale del suo uomo e la modernità del rapporto libero: “vaga intrusione”. In ogni caso non è soltanto “libido genitale”, donazione disinteressata, ma “libido narcisistica” in linea con i tempi. Aretì non è ancora innamorata dell’altro.
PSICODINAMICA
Il sogno di Aretì sviluppa la vivace e colorata dialettica tra le pulsioni dell’Es e le censure repressive del Super-Io con l’attenta mediazione dell’Io. La “libido fallico-narcisistica” domina la psicodinamica erotica e relazionale.
ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE
Sono presenti le istanze psichiche “Io”, “Es” e “Super-Io” con le loro precipue caratteristiche e proprietà: pulsioni e inibizioni, istinti e repressioni arzigogolati dalla ragione. Le “posizioni psichiche” evocate sono la “fallico-narcisistica” e in trasparenza la “genitale”.
MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA
I meccanismi psichici di difesa sono la “proiezione” in “lui non voleva”, la “condensazione” in “completo scuro e grigio” e altro, lo “spostamento” in “occhi scuri e mobili”, la “drammatizzazione” in “acrobati, artisti e fricchettoni” e altro. E’ presente il processo della “sublimazione” in “palazzo chic” e “all’ultimo piano”.
ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA
Il sogno di Aretì contiene forti tratti “fallico-narcisistici” all’interno di una cornice “genitale”: il dare si coniuga con l’apprezzamento dell’avere. La “organizzazione psichica reattiva” è decisamente in evoluzione e alla ricerca di una dimensione relazionale più realistica.
FIGURE RETORICHE
Il sogno di Aretì è ricco di “metafore”, relazione di somiglianza, in “acrobati”, “artisti”, “fricchettoni” e altro. Le “metonimie”, relazione logica, sono presenti in “pietra preziosa”, “cristalli”, “capelli” e altro. Non manca la “enfasi”, forza espressiva, in “uomo spietato”, così come la “iperbole”, esagerazione, si distribuisce in buona parte del sogno, a conferma che il prodotto psichico è stato elaborato da una persona che ha un’originale e incisiva capacità espressiva.
DIAGNOSI
La diagnosi impone un evidente conflitto tra le istanze psichiche “Es” e “Super-Io”, pulsioni e doveri, istinti e limiti, aperture e inibizioni, trasgressioni e moralismi. L’istanza “Io” cerca, senza strafare, la giusta mediazione tra questo materiale psichico contrapposto. La diagnosi evidenzia, inoltre, il persistere di una “posizione fallico-narcisistica” in tanto conflitto psicofisico.
PROGNOSI
La prognosi impone di vivere in maniera più libera e libertaria le pulsioni e le norme, di relazionarsi in maniera naturale e normale senza abdicare alle proprie esigenze di creatività e di eccentricità.
RISCHIO PSICOPATOLOGICO
Il rischio psicopatologico si attesta in una dilatazione del “Super-Io e in una sindrome paranoica o in una dilatazione dell’istanza “Es” e in una psiconevrosi isterica. Aretì deve curare in maniera delicata le funzioni di equilibrio psicofisico dell’Io e deve astenersi dagli eccessi.
GRADO DI PUREZZA ONIRICA
In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “simboli” e dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Aretì è “3” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.
RESTO DIURNO
Il “resto diurno” del “resto notturno”, la causa scatenante del sogno di Aretì si attesta in un ricordo o in un desiderio, in una “reverie” o in una tensione ormonale.
QUALITA’ ONIRICA
La qualità onirica del sogno di Aretì è autoreferenziale, retorica ed emotivamente incalzante, ma con andamento lento gradevole.
RIFLESSIONI METODOLOGICHE
Il sogno di Aretì presenta una donna particolare e aperta, una figura femminile particolarmente disposta all’originalità e alla convivialità, salvi gli onori dovuti alla formazione psichica e alla figura paterna nel caso specifico. Il sogno di Aretì offre la possibilità di conoscere un altro tipo di donna, “Antonia”, l’innamorata eterna e l’amante sognante di un poeta portoghese.
IO SONO ANTONIA
Mio adorato Fernando,
poeta benedetto da Dio e dagli uomini,
uomo baciato dalla fortuna della follia,
come stai?
Io sono Antonia,
almeno così mi ha chiamato maman Lily,
la tua Antonia,
creatura maledetta da Dio e dagli uomini,
donna baciata, come te, dalla fortuna della follia.
Io sto bene
e lo stesso spero di te con tutto il mio cuore.
Tu sai quanto ti sono legata.
Mi sono innamorata delle tue poesie
al punto di essere la tua donna
o forse al punto di pensare di essere la tua donna.
Io sto bene,
fumo cicche e bevo caffè amaro,
prendo le medicine che mi da il dottore,
faccio sempre tante cose
e tutte in moto perpetuo.
Ad esempio,
mi lavo ogni mattina,
lavoro in serra,
penso positivo,
partecipo alle attività del Centro diurno
assieme ai picchiatelli del quartier del Piave,
faccio la spesa al supermercato Famila,
rubo le merendine ai miei figli,
cucino le patate,
vado ogni giorno a messa.
Insomma faccio le cose visibili.
E allora sì!
Così posso dire di stare abbastanza bene.
La Cordelia mi ha chiesto
se sono proprio sicura di stare abbastanza bene
e mi ha detto che a volte l’attività,
tanto meno l’iperattività,
non significa necessariamente star bene.
Tutt’altro!
La stolta ha voluto insinuare che sono pazza.
Ma perché non pensa ai fatti suoi?
Proprio lei parla,
lei che è innamorata di Soren Kierkegaard
che è morto da centocinquanta anni.
In fondo in fondo io mi sento abbastanza bene,
non ho detto che mi sento bene,
ma ho detto che mi sento abbastanza bene.
Invece mi sento proprio bene,
ma veramente tanto bene nei momenti come questo,
quando mi siedo a tavolino e scrivo,
quando lascio uscire la mia profonda insoddisfazione della vita,
quando scarico
e quando mi carico.
Credo che bisogna accontentarsi di quello che siamo
e non bisogna desiderare quello che avremmo voluto essere
e che non siamo mai stati.
Gli ideali sono quelli che mi fregano.
Le fantasie poi mi distruggono.
Avrei voluto essere una persona sicura
con un posto in mezzo alla gente,
una donna a volte protagonista,
a volte spettatore.
Avrei desiderato un palco tutto mio
e una bella commedia da recitare,
una commedia un po’ drammatica,
ma con un buon finale.
Uno psicodramma, ecco!
Uno psicodramma della schizofrenia
e chissà se riuscirò a scriverlo,
quanto meno per spiegare a me stessa
cosa mi succede
e chi sono io.
Intanto io sono una donna,
una creatura infelice che vorrebbe morire giovane
per non pesare su nessuno,
dal momento che ho già pesato abbastanza.
Perlomeno non vorrei pesare
più di quanto abbia già pesato.
Vorrei essere cremata,
cosi non ci sarebbero eccessive spese per chi resta
e poi perché non mi va di rimanere corpo oltre la vita.
Il corpo è già pesante in vita,
figuriamoci da morto.
Mi fa male lo stomaco, il fegato e il trigemino.
Basta con questa carcassa pesante!
Vorrei esser eterea,
tutta aria,
aria pura,
solo pensiero,
solo spiritualità.
Ma sono in contraddizione
perché la spiritualità viene dal cuore
e il cuore è corpo.
E anche il pensiero è corpo
perché viene dal cervello.
In fondo io sono ancora corpo
e come corpo, caro il mio Fernando Pessoa, ti dico
che ho rivinto al lotto 73.000 euro.
E’ la terza volta che vinco in due mesi,
le tre uniche volte che ho giocato.
Pensa che culo!
Belle soddisfazioni o miseri compensi?
Ma cosa vuoi,
bisogna accontentarsi,
anzi bisogna sapersi accontentare.
Bisogna anche liberarsi dalle scorie azotate
e dalle zavorre ideologiche dei progetti falliti.
Forse sono una suora mancata o un arancione mancato.
Almeno lì potevo espandermi come volevo
e non sarei mai arrivata al delirio mistico
perché in quel contesto è normalmente concesso.
E’ una questione di cultura, di spazi, di testi e di contesti.
Forse padre Pio era uno schizofrenico?
Ah chissà!
Sicuramente è stato fatto santo
perché era nel posto giusto.
Il mio contesto, invece, è qui,
tra queste cose pratiche
che a volte soddisfano
e a volte ti lasciano di merda.
Penso ai tre pasti principali, alle sigarette e al lavoro.
A proposito, devo rifinire l’ultimo filare di roselline in serra.
Domani andrò agli ambulatori di Soligo
per fissare un appuntamento a mia madre
e forse, chissà, magari uno di questi giorni
andrò a farmi le analisi del sangue
nella speranza di essermi liberata dalle scorie azotate
e dalle tossine atomiche.
Adesso ti lascio.
Ricevi un caro saluto e un forte abbraccio dalla tua Antonia
e, mi raccomando,
guardati sempre dai dissennatori.
Pieve di Soligo, mese di ottobre, anno 1987
Salvatore Vallone