IL CANE E IL CARABINIERE

 

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

Ho sognato che ero in compagnia e il cane di una parente mi aggrediva mordendomi al braccio sinistro e rimanendovi attaccato con i canini.

Non rispondendo ai richiami della padrona, mi arrabbiavo con lei e la rimproveravo perché non aveva tenuto al guinzaglio il suo cane.

Allora accompagnata da mia sorella sono andata alla ricerca di un posto di polizia per farle prendere una multa salata.

Arrivata in caserma, il cane si staccava dal mio braccio e il carabiniere minimizzava l’accaduto dicendomi di controllare per dieci giorni i quattro buchi dei canini ed eventualmente di provvedere con la vaccinazione.

Il comportamento del carabiniere aumentava la mia rabbia perché ero convinta di non aver ottenuto giustizia.”

Questo sogno porta la firma di Ombrina.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Il sogno di Ombrina coinvolge la simbologia del “cane” e degli atti connessi a questo amatissimo vivente, il cosiddetto “amico” dell’uomo. Il cane condensa la fedeltà e la devozione dignitosa al cosiddetto maldestramente “padrone”. Il cane lo portiamo spesso in sogno per dare movimento alla scenografia, lo usiamo come un alleato psichico e come un diversivo per alleviare le tensioni e continuare a dormire. Il cane può servire, come dimostra il sogno di Ombrina, per manifestare l’aggressività e la rabbia, la pulsione sadomasochistica e la sua “sublimazione”, la rabbia per l’appunto. In questo caso ci troviamo psicologicamente nella “posizione anale” e stiamo elaborando la “libido sadomasochistica”, aggressività rivolta contro noi stessi, “maso”, e contro gli altri, “sado”. Questi temi saranno approfonditi nella decodificazione della psicodinamica del sogno di Ombrina, ma mi piace omaggiare la figura del “cane” citandone tre mediaticamente famosi: il pastore tedesco “Rintintin” della serie televisiva dedicata ai ragazzi negli anni sessanta, il collie “Lassie” altrettanto famoso sempre in quei formidabili tempi e l’akita “Hachi” protagonista struggente del film Hachiko e tenero amico del protagonista, l’attore Richard Gere.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

Ho sognato che ero in compagnia e il cane di una parente mi aggrediva mordendomi al braccio sinistro e rimanendovi attaccato con i canini.”

Ombrina socializza nel bene e nel male accettando i rischi di forzate convivenze temporanee: “ero in compagnia”. Ma questa compagnia è la “proiezione” difensiva della parte psichica di sé che si sta manifestando in sogno: “il cane di una parente mi aggrediva”. Va da sé che Ombrina, a questo punto, si fa mordere dal cane per evocare le sue psicodinamiche in atto e in proposito. In particolare esprime il sentimento della rabbia contro se stessa perché il cane che la “aggrediva mordendomi al braccio sinistro” è una “parte di sé”, una pulsione della sua istanza “Es”, una carica autolesionistica e sadica. Ombrina consuma un atto sadomasochistico rientrante nella “posizione psichica anale”. Il “braccio sinistro” attesta che il vissuto riguarda il passato e le relazioni pregresse. Il grado di autolesionismo è aggravato dal compiacimento di lasciare il cane “attaccato con i canini” al suo braccio. Ombrina è proprio e veramente tanto arrabbiata con se stessa, se non riesce a liberarsi immediatamente dal dolore di un morso autopropinato dai canini di un cane.

Non rispondendo ai richiami della padrona, mi arrabbiavo e la rimproveravo perché non aveva tenuto al guinzaglio il suo cane.”

Ombrina conferma la rabbia contro se stessa,“la padrona” del cane, dal momento che la sua aggressività è tralignata nell’autolesionismo. Ombrina ha perso l’autocontrollo e non riesce a tenere “al guinzaglio il suo cane”. Traduzione: Ombrina è preda delle pulsioni sadomasochistiche della sua istanza “Es”. L’istanza “Io” è andata in crisi e le sue funzioni di vigilanza e di controllo sono state sopraffatte dalle forti cariche nervose evocate dal sogno: la rabbia del danno e dell’ingiustizia.

Cosa non perdona e non assolve del suo passato e del suo presente Ombrina?

Forse il sogno ce lo dirà. Intanto, è necessario prendere atto che la padrona e il cane sono andati in “tilt”, la prima nel subire e il secondo nel colpire. Tutta colpa di un “Io” andato in ferie senza sostituto. Il “guinzaglio” condensa un controllo repressivo che si collega all’azione dell’istanza psichica “Super-Io”, per cui soltanto la rabbia lecita può essere esternata. E’ da dire che quest’ultimo assolve la funzione di ridimensionamento delle pulsioni e di moderazione del danno psicofisico legato all’esplosione della rabbia.

Allora accompagnata da mia sorella sono andata alla ricerca di un posto di polizia per farle prendere una multa salata.”

Dopo la scarica devastante delle pulsioni dell’”Es”, ”il cane mi aggrediva mordendomi al braccio sinistro e rimanendovi attaccato con i canini”, ecco

che puntuali arrivano la colpevolizzazione di tanta aggressività e la punizione di tanta rabbia. Questa operazione psichica è possibile perché manca senza la mediazione dell’”Io”. Ombrina cerca il sodalizio della “sorella”, l’alleanza per rafforzarsi e continuare il sogno senza incorrere nell’incubo e svegliarsi. Vuole essere sostenuta di fronte alla “polizia”, chiaro simbolo del “Super-Io”, l’istanza psichica competente in repressione e punizione. Ombrina vuole censurarsi senza prendere coscienza della sua giusta e giustificata rabbia, senza aver preso coscienza della causa di così forte reazione emotiva. La “multa salata” condensa l’espiazione della colpa. Della serie: oltre il danno, mi procuro anche la beffa.

Arrivata in caserma, il cane si staccava dal mio braccio e il carabiniere minimizzava l’accaduto dicendomi di controllare per dieci giorni i quattro buchi dei canini ed eventualmente di provvedere alla vaccinazione.”

Il “Super-Io”, rappresentato in precedenza da una generica “polizia” e adesso da un preciso “carabiniere”, risolve la pulsione rabbiosa dell’”Es” e induce a una razionale moderazione e a una proficua consapevolezza: “il cane si staccava” e minimizzava l’accaduto”. Ma Ombrina non è contenta di questa soluzione psichica e, tanto meno, di questa assoluzione del senso di colpa legato alla “libido sadomasochistica”. Il “Super-Io” ha ridimensionato l’accaduto e ha profferito il suo giudizio: è lecita l’aggressività, ma senza esagerare e all’uopo è opportuno il controllo dell’”Io”. Ombrina esige da sé la consapevolezza delle sue cariche nervose per non scatenarle contro se stessa ed eventualmente investirle nell’oggetto giusto. La “vaccinazione” conferma la soluzione psicologica della questione e nello specifico dell’autocontrollo. Perché “dieci giorni” e “quattro buchi”?

Nessun simbolo, deliberazione fortuita della protagonista!

Pitagora resta deluso: “dieci” è il simbolo della perfezione perché è la somma dei primi quattro numeri che contengono il “Tutto” geometrico, il punto, la linea, il triangolo e il tetraedro. “Quattro” chiude la prima figura solida, il tetraedro.

Tutto questo “Sapere” pitagorico come si coniuga con il sogno di Ombrina?

Nescio”!

Il comportamento del carabiniere aumentava la mia rabbia perché ero convinta di non aver ottenuto giustizia.”

Ombrina sa le cose giuste e se le dice in sogno, ma una parte di sé ancora resiste e persiste nella “rabbia” e nell’errore di non aver chiamato in causa le funzioni deliberative dell’”Io” per rafforzare il controllo di sé. Un residuo del conflitto psichico tra “Es” e “Super-Io” viene mantenuto e diventa pericoloso per l’equilibrio psicofisico di Ombrina: il rischio della somatizzazione della “libido sadomasochistica” collegata all’evoluzione della “posizione psichica anale”. L’istanza “Es” non si rassegna e vuole ancora una parte della sua parte: “non aver ottenuto giustizia”.

PSICODINAMICA

Il sogno di Ombrina sviluppa la travagliata psicodinamica del senso e del sentimento della “rabbia” mostrando il tragitto psicosomatico della “libido sadomasochistica” della “posizione anale”. La parziale consapevolezza della frustrazione subita ha portato all’esplodere in sogno di tanta aggressività. Le pulsioni dell’istanza “Es” si scatenano senza la mediazione razionale dell’istanza “Io” con pregiudizio della vigilanza e dell’autocontrollo. Il “Super-Io” completa l’opera con le sue censure e le sue repressioni anche se addolcisce il quadro psicodinamico.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

Nel sogno di Ombrina sono presenti in maniera evidente le istanze “Es” e “Super-Io”. Latita l’istanza “Io”. Le pulsioni dell’Es si evidenziano in “il cane di una parente mi aggrediva mordendomi al braccio sinistro e rimanendovi attaccato con i canini.” Le censure del “Super-Io” sono presenti in “polizia” e “carabiniere”. La “posizione psichica anale” è dominante con la specifica “libido sadomasochistica”.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

Il sogno di Ombrina usa i meccanismi psichici della “proiezione” in “il cane di una parente”, della “condensazione” in “cane” e “guinzaglio”, dello “spostamento” in “mordere” e “sorella”, della “drammatizzazione” e della “figurabilità” in “mi aggrediva mordendomi al braccio sinistro e rimanendovi attaccato con i canini”, I processi psichici di difesa della “sublimazione” e della “regressione” non sono presenti.

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Si evidenzia un valido tratto “sadomasochistico” in una cornice “anale”: aggressività conflittuale nel dare e nel tenere con punte compulsive.

FIGURE RETORICHE

Il sogno di Ombrina elabora la “metafora” in “cane” e “mordere”, la “metonimia” in “polizia” e “carabiniere”, la “sineddoche” in “denti”, la “enfasi” in

mi aggrediva mordendomi”. La presenza di varie figure retoriche attesta della sensibilità estetica della protagonista del sogno.

DIAGNOSI

La diagnosi vuole che il sogno di Ombrina manifesta difficoltà a esternare in maniera corretta l’aggressività legata alle frustrazioni della sua formazione psichica e della vita corrente. Ombrina scarica su se stessa e somatizza una serie di disturbi funzionali a causa di una mancata consapevolezza delle sue pulsioni e di un deficit della vigilanza dell’Io.

PROGNOSI

La prognosi impone a Ombrina di indirizzare le cariche nervose nell’oggetto giusto, ma soprattutto di non abdicare all’opera di mediazione dell’Io nelle varie controversie psichiche dell’esistenza. E’ opportuna una buona e sana affermazione rispetto al subire imposizioni altrui che poi creano ristagno di rabbia per la mancata espressione di sé.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta nel rafforzamento della pulsione sadomasochistica e nella conversione somatica con disturbi delle funzioni neurovegetative. Le somatizzazioni della “rabbia” privilegiano il fegato, la bile e il cuore.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Ombrina è 3 secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

RESTO DIURNO

La causa scatenante, “resto diurno”, del sogno di Ombrina, “resto notturno”, si attesta in uno stimolo non adeguatamente scaricato e soprattutto non razionalizzato dalla funzione dell’Io, magari una provocazione, una frustrazione dell’aggressività, una forzatura della volitività. Ombrina deve tenere in gran conto la seguente regola: a frustrazione segue aggressività nella scimmia e nel preteso animale superiore chiamato uomo.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità del sogno di Ombrina è cenestetica e isterica.

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

Mi pregio di ricordare che il senso e sentimento della “rabbia” è la parziale “sublimazione” difensiva, operata dall’istanza “Io”, della pulsione sadomasochistica dell’istanza “Es”. Voglio significare la pericolosità della rabbia per sé e per gli altri, dal momento che la regolazione psico-emotiva dell’istanza “Io” è assente o parzialmente presente. La rabbia può tralignare nella violenza incontrollabile, più che inconsapevole, una forma del cosiddetto “impeto”.

Meglio dedicare attenzione al “cane” e a tal proposito vi presento

FREUD E I SUOI CANI

Il padre della Psicoanalisi nella sua maturità esistenziale godeva quotidianamente della presenza di due cani.

Jo-fi era uno di questi, una cagnetta a cui mancava la parola dal momento che la sensibilità non le mancava per niente. Era soprattutto reattiva di fronte all’arroganza dei pazienti e ai momenti d’imbarazzo durante le sedute.

Ebbene sì!

Jo-fi si accucciava accanto alla poltrona del suo augusto compagno, non padrone, e seguiva le sedute segnandone la fine.

Cinquanta minuti canonici misurati, di volta in volta, con una precisione canina: Jo-fi si drizzava sulle zampe, si stirava e rompeva il silenzio sbadigliando. Era il segnale giusto per il grande Capo.

Freud estraeva l’orologio dal taschino del panciotto e costatava che il messaggio era oculato e non certo inopportuno.

Al fortunato paziente non restava che sollevare la testa dalla salvietta di lino bianco del cuscino del divano e congedarsi fino alla prossima seduta.

Jo-fì era molto brava a cogliere il carattere delle persone che frequentavano lo studio. Il suo giudizio era importante e Freud sapeva che, se i pazienti non piacevano alla cagnetta, molto probabilmente avevano grossi problemi da risolvere e tanti nodi psichici da sciogliere.

Era un cane “chow chow”, come si diceva in precedenza, sensibile alle tensioni nervose in eccesso e aveva trovato il posto giusto nello studio e nel cuore del suo amico. Freud l’aveva chiamata Jo-fì in omaggio alla sua bellezza: per l’appunto, in ebraico Jo-fì si traduce bellezza. La cagnetta gli era stata regalata da Marie Bonaparte per consolarlo della perdita di Lun, il primo dei suoi “chow chow” che era morto tragicamente sotto un treno nella stazione di Salisburgo. Lun gli era stato regalato dalla ricchissima paziente americana Dorothy Burlingham che curava il trauma della separazione dal figlio del gioielliere Louis Comfort Tiffany, quello del film Colazione da Tiffany.

Dorothy era diventata grande amica di Anna, la figlia prediletta di Freud, e le due donne condividevano la fobia del maschio e l’amore per i cani. Anna non conosceva uomo in ogni senso ed era il cruccio del padre che si lamentava spesso con le amiche della frustrazione sessuale della figlia. Ma poi si consolava rilevando che Anna sublimava brillantemente la “libido” negli studi sulla psiche infantile, per cui non era necessario maritarsi e farlo diventare nonno. Anna si compensava anche e soprattutto con il pastore alsaziano Wolf che l’accompagnava nelle sue passeggiate solitarie. Wolf aveva conquistato anche la simpatia e l’affetto del professor Freud e faceva pienamente parte della famiglia. Ne parlava come un animale tenero, geloso, selvatico e civile, un essere vivente molto amato in casa.

Se Wolf non era vicino, Freud non si concentrava nella lettura. Accendeva la luce se Wolf era al buio ed entrava in apprensione se lo lasciva solo. Lo nutriva durante i pasti prelevando il cibo dal suo piatto e facendo imbestialire la moglie Marta. Per elogiare l’intelligenza pragmatica di Wolf, Freud soleva raccontare che un pomeriggio al Prater era sfuggito al controllo di Anna, ma non si era perso d’animo e si era recato da un taxi dondolando il collo per far notare la medaglietta dove si recitava “professor Freud,19 Berggasse”. In tal modo Wolf si era fatto portare a casa in taxi e l’autista era stato ampiamente gratificato con una lauta mancia per la gioia di tutti.

Wolf consolava il professore malato con la sua presenza e il suo affetto. Consapevole di questo e non senza una vena leggera di gelosia, Anna al compleanno del sessantanovesimo anno aveva donato al padre un ritratto di Wolf che portava al collo una poesia nella quale faceva gli auguri al suo amico. Freud diceva che sul cane trasferiva parte dell’affetto che aveva per la figlia e che trattava i suoi cani come le persone senza esitare di entrare nella loro testa.

Passeggiando con un collega per le piazze di Vienna, alla vista di un cane della Polizia addestrato alla sicurezza ma legato alla catena, consapevole che poteva essere aggressivo, lo slegò e il cane per riconoscenza cominciò a leccargli le mani. Poi rivolgendosi al collega rilevava che, se fosse stato incatenato tutta la vita, sarebbe diventato cattivo anche lui.

Tornando a Jo-fi, ricordiamo che gli sarà accanto nella vecchiaia. Nonostante i dolori causati dal tumore, Freud si occupava della sua cagnolina, la osservava teneramente, vegliava sul suo pasto e giocava con lei come prima era solito giocare con il suo anello.

E così si prospettò la necessità di lasciare il civico 19 di Berggasse perché Vienna non era più sicura. Il mondo civile stava crollando e Freud scrisse nel diario in latino “finis Austriae” proprio il giorno in cui i nazisti imbrattavano di svastiche i muri dell’antica capitale asburgica. In un primo momento cercò di resistere alle pressioni di quelli che lo volevano incolume e in salvo all’estero, ma poi si arrese alla sofferenza fisica e non alla paura.

Marie Bonaparte fu, come al solito, generosa e preparò la partenza logistica, diplomatica ed economica del grande “Vecchio”.

Nel primo pomeriggio del 4 giugno del 1938 Freud prese posto nell’ Orient-Express proveniente da Istambul e diretto a Parigi, tappa intermedia dell’esilio londinese. Con lui salirono sul treno la moglie Marta, la figlia Anna, la domestica Paula e altre tredici persone. Tra queste non figuravano le quattro sorelle che moriranno qualche anno dopo in un campo di concentramento.

Su quel treno c’era, invece, Jo-fi,il suo piccolo amato “chow chow”.

Nell’agosto del 1939 e in quel di Londra le condizioni di salute di Freud peggiorarono e i dolori si erano fatti insopportabili. Le ferite erano infette e anche Jo-fi ne avvertiva il fetore senza allontanarsi dal suo grande amico. In un momento di lucidità e dopo lunghi stati di sopore Freud ricordò al dottor Schur il patto stipulato e l’impegno contratto a suo tempo e ne chiese il rispetto e l’esecuzione. Il dottor Schur aumento progressivamente le dosi di morfina per attenuare i dolori e Freud si assopì senza più svegliarsi.

Fu onnipotenza e fu eutanasia.

Accucciata ai piedi del letto c’era Jo-fi, il suo piccolo amato “chow chow”.

Hanno raccontato che Jo-fi si sia lasciata morire di fame. Vittima della sua sensibilità, le mancavano i saporiti bocconi e le succose premure del suo amico.

Almeno così è, se vi pare.

A me piace pensarla così.

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