“Mikaela sogna di trovarsi a casa della madre. Nota molti piccoli serpenti neri sul pavimento che si muovono. Sono tanto piccoli che sembrano girini.
La madre spaventata si sposta e Mikaela ne prende uno in mano e gli dà da mangiare. Pensa che è piccolo, lo accarezza e lo nutre come un bimbo. Poi lo mette a terra.
D’un tratto Mikaela si trova nella camera della sua casa che continua a nutrire quel serpente che ora è grande e bellissimo. E’ un cobra e sta disteso tra le lenzuola arancioni. Entra suo figlio e lo tratta come se fosse parte della famiglia. Poi, il figlio esce e Mikaela l’accarezza con grande amore. Il cobra dormiva in mezzo a lei e suo figlio.
Poi, si trova di colpo fuori casa del padre di suo figlio e vede un altro serpente in un vaso. E’ in posizione avvolta con la testa e il collo fuori e dietro una pianta di fiori rossa. Suo figlio fa per toccarlo e lei, non conoscendo quel serpente, d’istinto sposta la mano del figlio per prendersi il morso. Il serpente, però, non l’attacca, anzi appoggia la testa nella sua mano in modo docile.
Mikaela accarezza anche quel serpente.
Poi sogna che lei e suo figlio sono in machina e decidono di tornare nel paese e in quella casa dove hanno abitato da soli per due anni. Però Mikaela non ha le chiavi della casa. Pensa che nella casa dove vive hanno staccato luce, gas e riscaldamento e pensa: “che cazzo faccio ora?” Pensa ancora: “ben, ce la farò!”
NOTA CULTURALE
Quello di Mikaela è un sogno dedicato alla maternità, un riconoscimento devoto all’archetipo “Madre” tanto caro a Jung e alla sua scuola. Il culto della Dea Madre risale a trentadue mila anni fa secondo i reperti archeologici e si attesta nel riconoscimento del “Principio femminile” come tutore della “Vita” e della “Conservazione della Vita”, la “Specie”: i futuri fondamenti oggettivi del “Diritto naturale”, il corpo vivente. Tutto nasce da un “principio femminile” in onore alle madri che sono feconde e partoriscono. Gli uomini dei primordi avevano culturalmente esteso a tutto l’universo il “principio femminile” per quanto riguarda l’origine e avevano elaborato delle “cosmogonie” dove si esaltava la “Grande Madre”. La scultura conserva le tracce primordiali del culto e rappresenta la “Madre” con gli attributi sessuali specifici e soprattutto con l’esaltazione del seno, l’organo della vita e della sopravvivenza. La “Dea Madre” rappresenta simbolicamente il corredo del “principio femminile”: la vita, la sopravvivenza, il sistema neurovegetativo, l’emozione, l’affettività. Esistevano anche divinità femminili che rappresentavano la degenerazione della vita e della vitalità: il tormento, la colpa, la punizione, la morte.
IL SOGNO
Mikaela esordisce con l’identificazione nella figura materna:” trovarsi a casa della madre”. La figlia ha acquisito l’identità femminile dopo il conflitto edipico e ha assimilato la possibilità della maternità. Mikaela è femmina in tutti i risvolti psicofisici e in maniera direttamente proporzionale alla sua forte intenzionalità verso la maternità, come appare in questo esordio del sogno.
“Nota molti piccoli serpenti neri sul pavimento che si muovono. Sono tanto piccoli che sembrano girini.”
La simbologia è manifesta: spermatozoi. Mikaela si candida alla maternità visitando la fecondazione. Mikaela ha bisogno del seme per diventare madre e lo rappresenta in due forme, i “piccoli serpenti neri” e i “girini”.
“La madre spaventata si sposta”: adesso tocca a lei, adesso tocca a Mikaela esaltare la sua natura femminile, aspirare alla maternità e diventare madre. La sterilità della madre induce la figlia a raccogliere il testimone di femmina e di madre. Mikaela ha uova da fecondare e “libido genitale” da investire nell’amore di un figlio.
” Mikaela ne prende uno in mano e gli dà da mangiare.”
La simbologia della gravidanza non poteva essere più evidente, così come l’amore materno: “Pensa che è piccolo, lo accarezza e lo nutre come un bimbo.”
Un rigo condensa l’identità psichica femminile, la fecondazione, il travaglio, il parto, lo svezzamento: “Poi lo mette a terra.”
Cambia apparentemente scena e il sogno propone in termini
simbolico- realistici una mamma che nutre e accudisce in tutto e per tutto il proprio figlio: un bellissimo “cobra”. Quest’ultimo non è il solito simbolo fallico o il simbolo dell’autonomia psichica legata al “sapere di sé”, ma è la traslazione del potere della madre, il figlio. Mikaela realizza la maternità maturando un figlio e completa la sua femminilità con la piena consapevolezza di essere madre e di aver evoluto al meglio la sua “libido genitale”. Degne di nota sono l’assenza della figura maschile, eccezion fatta per l’accessorio del serpentello o girino, e la piena autonomia psicofisica di Mikaela.
Ma il sogno ha le sue sorprese: Mikaela è già madre.
“Entra suo figlio e lo tratta come se fosse parte della famiglia.”
Nel rievocare la sua femminilità e la sua maternità, Mikaela ha proiettato nel “cobra” suo figlio oppure il desiderio di averne un altro. Un altro dato caratteristico è il fatto che il piccolo dorme tra lei e il figlio e che quest’ultimo ha preso il posto del padre. Mikaela è massimamente autonoma, ha bisogno di un maschio soltanto per il seme e per la fecondazione. Non s’intravedono segnali di natura erotica e sessuale, si vede chiaramente l’autonomia e la pulsione alla maternità. Questo è un dato evidente di tutto il sogno, Mikaela fa da sé e fa per tre: lei, il figlio e il cobra. Tutto il quadro del sogno è permeato di grande amore, a testimonianza del forte istinto materno e della profonda affettività di Mikaela.
La terza scena del sogno introduce la casa del padre del figlio di Mikaela e un altro figlio “serpente”, un figlio contrastato in una scena simbolica di gravidanza.
”Vede un altro serpente in un vaso.”
Il “vaso” è simbolo del grembo materno e dell’utero in particolare. La madre istintivamente si distribuisce tra la protezione del figlio reale e la paura del nuovo arrivato.
“E’ in posizione avvolta con la testa e il collo fuori e dietro una pianta di fiori rossa.”
Questa è una scena di parto. Mikaela rievoca esperienze allucinate o realmente vissute di maternità e la “pianta di fiori rossa” attesta nel colore la fuoruscita del sangue misto al liquido amniotico. E’ un’esperienza tutta sua, dove il figlio reale non è coinvolto. La mamma protegge il figlio e subisce eventualmente il trauma. Siamo in presenza di un vissuto o di un trauma ben razionalizzato in riguardo alla natura femminile, alla gravidanza e al parto.
Ma la maternità è il piatto forte della femminilità di Mikaela, per cui” Mikaela accarezza anche quel serpente che “appoggia la testa nella sua mano in modo docile”.
Mikaela concepisce il figlio con un “maschio- seme” e non con un
“uomo-padre”; si è visto, inoltre, che esterna tutta la sua autonomia o la sua poca stima nei confronti dell’uomo vivendolo come strumento procreativo che porta al trionfo della “dea madre” con la maternità.
Alla fine, pur tuttavia, prende coscienza che deve riconciliarsi con l’uomo con cui ha fatto un figlio. L’avversione al maschio può essere maturata per paura, per trauma, per il conflitto con il padre edipico, per autoesaltazione narcisistica e onnipotente.
“Poi sogna che lei e suo figlio sono in machina e decidono di tornare nel paese e in quella casa dove hanno abitato da soli per due anni.”
Il legame con il figlio è molto forte, quasi amoroso. Mikaela ha bisogno di relazioni forti e in cui può esercitare tutto il suo potere. L’essere “in macchina” con il figlio attesta della stretta intimità, come se il figlio fosse ancora una parte di sé, una gravidanza mista a “due cuori e una capanna”.
Ecco la parziale riconciliazione con il maschio!
“Però Mikaela non ha le chiavi della casa.”
Mikaela non ha attributi fisici maschili, il pene nel caso delle “chiavi”, non ha il potere di autofecondarsi, è femmina e madre: questa limitazione è la salutare consapevolezza che non è onnipotente e non può far tutto da sé e da sola. Per fare un figlio ci vuole un uomo anche in versione spermatozoo, un maschio non necessariamente da amare, ma ci vogliono quelle” chiavi” che Mikaela non ha perché è fortunatamente femmina. Adesso non le resta che prendere ulteriore coscienza di cosa le manca e di cosa potrebbe avere per sé e per suo figlio.
“Pensa che nella casa attuale dove vive hanno staccato luce, gas e riscaldamento”.
Ecco quel che manca a Mikaela. La “luce” condensa una maggiore razionalità e una minore emotività, una migliore funzione dell’”Io” e una specifica attenzione verso il “principio di realtà”, una crescita della progettualità e una giusta tolleranza della diversità del ruolo e della funzione. Il “gas” condensa la “libido”, l’energia vitale e la forza volitiva da investire nell’evoluzione esistenziale. Il “riscaldamento” condensa l’affettività e la protezione. Mikaela, quindi, non è un mostro di autonomia come gran parte del sogno ha evidenziato. Mikaela si ravvede e in sogno ripara il trauma della sua autonomia e lo reintegra in un’evoluta “coscienza di sé”. Mikaela ha bisogno di essere amata, di essere protetta, di essere sostenuta. Mikaela riduce la sua onnipotenza, si rende conto che da sola non può farcela in tutto e per tutto, che nella sua casa e nella sua vita c’è un figlio da amare ma che per lei non c’è un uomo d’amare. Ed ecco il ritorno all’onnipotenza, all’esaltazione della sua autonomia.
Pensa: “che cazzo faccio ora?” Pensa ancora: “ben, ce la farò!”
Ritorna la soluzione fallica di una donna che usa il potere femminile al massimo, ma che è non androgina, maschio-femmina, e onnipotente. E’ vero che la sua forza psichica l’ha portata avanti nella vita a superare difficoltà e a conseguire successi, ma il prezzo da pagare affettivamente nel tempo è molto alto.
Il sogno di Mikaela attesta dei tratti psichici caratteristici di un’organizzazione isterica: intensità emotiva della “posizione edipica”, identificazione contrastata e parziale nella figura materna, identità psichica mista tra padre e madre, culto del corpo e delle sue pulsioni. Mikaela non è donna di mezze misure, ma ha esaltato caratteristiche psichiche maturate e mutuate in famiglia durante l’infanzia. In tutto quello che pensa e che fa investe tanta “libido”, carica vitale, magari più di quella necessaria.
La prognosi impone a Mikaela di liberarsi della sua onnipotenza e di modulare equamente gli investimenti della “libido”. Mikaela deve anche fidarsi e affidarsi facendo perno sulla sua sensibilità e sulla sua ragione. Mikaela deve superare il senso del possesso nei confronti dei figli e riconoscerli come l’altro da sé, la loro autonomia di persone. Mikaela deve ridurre la mamma e ben valutare la donna riducendo le esigenze a carico dell’altro.
Il rischio psicopatologico si attesta in una psiconevrosi isterica con somatizzazioni d’ansia. L’onnipotenza è una bestia da domare, al fine di evitare evoluzioni psichiche pesanti.
Riflessioni metodologiche: il sogno di Mikaela merita un rilievo sulla nozione di femminilità, sull’avversione verso il maschio, sull’onnipotenza femminile, sulla relazione con i figli e sulla “libido genitale”. La consapevolezza femminile si acquisisce nel decorso della relazione con i genitori, “posizione edipica”, e s’incentra nell’identificazione nella figura materna e nello specifico nell’assimilazione dei tratti dominanti e graditi. La femminilità è un’astrazione ed esaltazione dell’essere biologicamente femmina e si attesta nel “fantasma” in riguardo al corpo e alle sue funzioni. La femminilità culturalmente è ritenuta un potere e si concentra nell’amor proprio, nell’attrazione e nella seduzione. La “misoandria”, avversione al maschio, si giustifica per trauma subito, per mancata razionalizzazione della figura paterna e nello specifico della “parte negativa del fantasma del padre”, per una difesa narcisistica dal coinvolgimento libidico, per la “formazione reattiva” dell’autoesaltazione onnipotente. A proposito di quest’ultima, bisogna rilevare il rischio d’isolamento a causa di difficoltà relazionali per eccesso di esigenze a carico degli altri, oltre alla degenerazione nel delirio narcisistico. L’onnipotenza femminile in riguardo al corpo e alle mirabili arti seduttive ha un potente nemico, il tempo. Per quanto riguarda la relazione con i figli è auspicabile una madre che sa modularsi tra autonomia e dipendenza, che abbia a cura l’emancipazione psicofisica dei figli, che non usi il senso di colpa per tenerli in pugno, che sia provvida e non improvvida nelle mille sfaccettature della quotidiana relazione: una madre che non sia fagocitatrice, ma nemmeno un “icesberg”. La “libido genitale” è la fase di maturazione della vitalità sessuale in funzione orgasmica e procreativa. Essa comporta l’altro e il suo riconoscimento: investimento d’amore. Nel sogno di Mikaela si evidenzia un ridimensionamento eccessivo della figura maschile e una sua riduzione a strumento procreativo: una “libido genitale” mutilata.