AH …SE CI FOSSE ANCORA IL PAPA’!

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Maggy sta camminando per strada con un uomo non più giovane.

Lui tiene il braccio sulla spalla di Maggy e la tiene vicina.

Maggy sta bene. Questo gesto le dà sicurezza e protezione e ascolta volentieri lui che parla dei suoi problemi, del suo mal di stomaco, della sua incipiente calvizie, dei limiti che vuole che lei conosca.

Porta gli occhiali da vista. A Maggy dispiace svegliarsi perché sta davvero molto bene con lui.”

Il sogno di Maggy potevo titolarlo semplicemente “tanta nostalgia del padre”, ma ho preferito il sospirato “ah,…se ci fosse ancora il papà!” perché questo titolo consente di sviluppare elementi utili per la tutela psichica di ogni figlio nei confronti di una figura formativa e dominante come quella del padre. Tutti abbiamo un padre nel “Profondo” anche se non lo abbiamo mai avuto o non lo abbiamo nella realtà, tutti abbiamo introiettato un’autorità autorevole e il senso del limite, tutti abbiamo messo nel cuore o nella bile un uomo maestoso o mingherlino, acuto o sempliciotto. Questo padre lo troviamo nel ricordo o nell’immaginazione, nella porta accanto o lontano mille miglia, ma soprattutto lo ritroviamo ogni giorno dentro di noi nelle mille traversie della vita. Il “Padre” è un “archetipo”, il simbolo universale dell’”origine”, vedi Karl Gustav Jung, una figura determinante a livello di formazione del nostro “psicosoma”, della nostra “formazione reattiva”, del nostro cosiddetto “carattere” e della nostra istanza psichica del “Super-Io”. Questo “Padre” lo abbiamo messo in cielo e lo abbiamo chiamato eterno, l’abbiamo santificato nel nome e lo attendiamo nel suo regno dopo il soggiorno terrestre, lo abbiamo ossequiato e onorato come il nostro papà. Questo nostro atteggiamento psicologico è contenuto nella prima parte del “Padre nostro”, la preghiera per eccellenza, riconosciuta e condivisa dalle tre religioni monoteiste, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islamismo. Questo è il “Padre” maiuscolo, quello sublimato, quello idealizzato, quello immaginato, quello perfetto, quello onnipotente, quello spirituale. Ed è tanto per noi, ma veramente tanto, per cui possiamo anche trascurarlo, perché il padre veramente “nostro”, quello in carne e ossa, quello che si vede e che si tocca, quello che rompe e che rompe tanto quando ci si mette, quello che ha un nome e un cognome, quello che abbiamo desiderato e abbiamo sedotto, quello che abbiamo odiato e abbiamo escluso, quello che abbiamo adorato e abbiamo deriso, quello che abbiamo temuto e riconosciuto, ebbene, questo nostro vero padre tutti abbiamo, bene o male e nel bene o nel male, sistemato nel “Profondo Psichico” e il sogno spesso ce lo ripresenta e ce lo fa ritrovare sotto multiformi aspetti. La cosa più triste è che noi non siamo consapevoli che stanotte quel cavallo o quel re, che si erano presentati in sogno, rappresentavano il nostro papà, l’adorato e augusto genitore. Il tutto capita a tutti, a tutti quelli che sono nati da maschio e da femmina sotto questa volta celeste. E’ capitato anche a Maggy. Il suo sogno m’induce a formulare una prognosi benefica e valida per tutti: adottiamo i nostri genitori e non abbandoniamoli in una lussuosa casa di cura o in un fatiscente ospizio per vecchi, non lasciamoli morire da soli e nell’anonimato tra le cure mercantili di sedicenti infermieri per anziani, peggio conosciuti come “badanti”. Ecco, io vi propongo di “badare” ai vostri genitori, di essere coloro che si prendono cura di queste figure sacre nel pensiero e nell’atto, nel cuore e nella mente, ma che sono in primo luogo figure in carne e ossa. Questa cura straordinaria dei figli è un’evoluzione matura della “posizione edipica”, che di per se stessa non si risolve mai in senso definitivo come tutte le umane cose, un’evoluzione che fa tanto bene all’economia psichica dei figli perché consente loro di assolvere i sensi di colpa residui e di risolvere le ultime pendenze relazionali nei confronti dei genitori. Del resto, non bisogna pensare la nostra struttura psichica in termini di perfezione. Questa idea è una pietosa utopia, ma bisogna pensarla in equilibrio tra spinte e controspinte nella sua unicità irripetibile. Questo deve essere l’obiettivo costante e possibile. Ecco, la relazione psichica con i genitori è il punto di appoggio per la leva che Archimede cercava per sollevare il mondo, una costante psichica fondamentale nel cammino della vita, sia in loro presenza e sia in loro assenza. Ripeto e mi ripeto volentieri e consapevolmente: “adottare i genitori” significa semplicemente prendersi cura di loro quando hanno particolarmente bisogno dei figli, significa goderli nel senso pieno del termine per vaccinarsi al massimo dai futuri sensi di colpa che inevitabilmente si profileranno nel nostro cuoricino bambino al momento della loro dipartita. Ricordate che Enea durante la distruzione di Troia si caricò sulle spalle il vecchio padre Anchise per portarlo in salvo: un atto concreto di riconoscimento psichico e simbolico, un atto di sacra “pietas”. E perché non richiamare Sem e Jafet che protessero la sacra nudità del padre Noè, che giaceva ubriaco nella tenda, procedendo all’indietro con il mantello per coprirlo? Sono atti di “pietas”! E perché non ricordare i nostri gesti d’amore e di solidarietà verso i genitori? E allora, ben vengano queste degne figure a popolare i nostri sogni. Sentivo di fare questa lunga tiritera “in primis” per assolvere i miei sensi di colpa e “in secundis” per condividere una buona legge psicoanalitica che recita “riconosci il padre e la madre per essere autonomo a livello psichico, non uccidere il padre e la madre perché resti solo, non onorare soltanto il padre e la madre per non restare suddito”. Adesso si può procedere in maniera spedita verso la decodificazione del sogno di Maggy.

Il “resto notturno” in questione contiene tutto quello che Maggy avrebbe voluto vivere da adulta con il padre o con una figura similare. Il sogno è scatenato da un’urgenza esistenziale, da un momento difficile della vita in cui Maggy richiede la presenza del padre perché si sente sola e bisognosa di consiglio e di protezione.

Maggy sta camminando per strada con un uomo non più giovane.”

Il desiderio o il bisogno di Maggy è di vivere e di condividere un tratto di vita con il padre, una figura matura esente ormai da investimenti edipici di “libido genitale”, una persona saggia, che sa di sé, ed è libera da pregiudizi: “un uomo”.

Lui tiene il braccio sulla spalla di Maggy e la tiene vicina.”

L’affettività e la protezione non mancano. La vicinanza non è soltanto d’intenti o di pensieri o di sentimenti. Il “braccio sulla spalla” condensa un contatto corporeo “padre-figlia” così difficile nell’adolescenza perché avvolto da pudore, ma così naturale e ambito nella giovinezza. Il tenerla vicina non è soltanto un fatto logistico, ma è proprio il senso di accoglienza e di cura. Come dire: “ci sono io, con te c’è il tuo papà”. Quante volte nostro padre ce l’ha detto o l’avremmo voluto sentire? Un buon padre è come un buon sangue: non mente.

Maggy sta bene e questo gesto le dà sicurezza e protezione”.

Maggy conferma quello che si è detto: è se stessa, è in armonia con le sue istanze psichiche, è appagata. Il sogno è riflessivo e discorsivo perché Maggy è abbastanza sveglia nel formularlo e nel viverlo. La trama è riferita a un bisogno oggettivo. Il “gesto” condensa un percorso psichico nella sua realtà, uno schema affettivo tradotto in un fatto affettivo. Del resto, il padre rappresenta per il figlio colui che agisce, chi fa le cose e le insegna, l’esempio da seguire, il maestro nel senso tecnico del termine: il previdente e il provvedente.

Lo ascolta volentieri mentre le parla dei suoi problemi, del suo mal di stomaco, della sua incipiente calvizie, dei limiti che vuole che lei conosca.“

Ecco il bisogno di adozione di Maggy, ecco la nostalgia di ciò che voleva fare e che non ha potuto fare con il padre: la confidenza nella parola e nel gesto, l’affidamento alla pari, il riconoscimento della persona e del problema dell’invecchiamento. La figlia è cresciuta e il padre a lei si affida comunicando i suoi limiti. Si è capovolto il quadro: la figlia ascolta l’apertura del padre verso di lei, questo padre che vuole che la figlia sappia che è un essere umano e non un padreterno. Il sogno ha pochi simboli ed è prevalentemente discorsivo.

Porta gli occhiali da vista e a Maggy dispiace svegliarsi perché stava davvero molto bene con lui.”

Maggy ha espresso nel sogno iI suo desiderio di padre, un’apertura del rapporto che si può sintetizzare in un nostalgico “ah, se ci fossi ancora”, “ah, se ti avessi conosciuto meglio.” Il padre “porta gli occhiali da vista”, è anziano e ha esperienza, conosce il mondo e chi lo popola, è oltremodo razionale nella sua visione e nel suo giudizio in riguardo alla realtà effettiva.

Il desiderio di “sapere del padre” e sempre un desiderio di “sapere di sé” in riferimento a lui, un bisogno di autoconsapevolezza. La posizione matura della figlia verso il padre si risolve con l’adozione psicofisica del padre, pur mantenendo la sacralità del “corpo mistico”.

Va da sé che tutto il quadro si trasferisce pari pari anche alla madre.

La prognosi impone a Maggy di gustare la bellezza dei suoi sentimenti senza lo struggimento della nostalgia e di vivere il padre, se è ancora vivo, in maniera intensa o, se è partito per qualche viaggio senza ritorno, di tenerlo caldo e in vita nei suoi pensieri d’amore.

Il rischio psicopatologico si attesta in un eccesso di nostalgia, in una fuga dalla realtà e nella mancata risoluzione del conflitto: una psiconevrosi d’angoscia con conversione di sintomi.

Riflessioni metodologiche: il “pater noster” è condivisibile anche dal “sapere psicoanalitico”. Infatti riconosce il padre come degno di mistico carisma e di concreta passione, ne esalta il nome, riconosce il potere e la volontà nelle cose materiali e nelle cose spirituali, nonché la richiesta di amore e di affetto, contempla l’assoluzione della colpa e l’evitamento delle tentazioni. Questo “iter” porta al riconoscimento del “Padre” e di “nostro “padre” in particolare. Un giusto e benefico “amen” può suggellare il continuo divenire di un archetipo e di un valore culturale, ma soprattutto di un fantasma psichico di notevole e determinante portata.

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