TRA MADRE E PADRE

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“Michele sogna di essere in canoa nel Gran Canyon.

Dopo si trova in albergo a fare le valige per tornare a casa.

Cammina lungo la piscina e viene morso alla caviglia da un cobra.

Il padre lo porta in ospedale dove viene curato.”

 

Michele riattraversa in poche e precise battute oniriche la sua “posizione edipica”, la sua relazione con il padre e con la madre: potenza di sintesi chiarificatrice del sogno! Questo riepilogo, di solito, avviene nel periodo contrastato dell’adolescenza, quando la liquidazione psichica delle figure genitoriali è ancora in fase evolutiva e il traguardo dell’autonomia è ricco di contrasti.

Andiamo a cambiare il codice al sogno di Michele: dal “contenuto manifesto” al “contenuto latente”.

La “canoa” rappresenta l’universo femminile rafforzata anche dall’acqua del fiume Colorado nell’Arizona settentrionale in cui Michele si trova. Ecco come il sogno serve la figura materna tra una canoa e l’acqua di un fiume! L’acqua rievoca il liquido amniotico del grembo materno in cui si forma la vita. L’acqua è il principio del “Tutto” secondo il primo filosofo, Talete.

La scena onirica si sposta “in albergo a fare le valige”: la valigia è un grembo materno, un simbolo ontogenetico di recettività femminile, l’archetipo “Madre”, finalizzata alla “filogenesi”, amore della Specie.

Michele deve fare le valige per “tornare a casa”, riappropriarsi della propria struttura psichica e della propria autonomia. La “casa” è il simbolo dell’organizzazione caratteriale, della “formazione reattiva” altrimenti definita carattere. La tensione di Michele è intenzionata alla conquista della propria indipendenza psichica.

I simboli materni non si fermano qui perché subentra “la piscina” lungo la quale Michele cammina.Nel riattraversare la figura materna Michele incontra il padre e ne sperimenta il rigore: la “castrazione” edipica è servita nel morso del cobra alla caviglia. Michele si imbatte nella furia paterna per aver tanto osato nei confronti della madre e automaticamente espia la colpa del suo desiderio di possesso: questo è il vero significato della “castrazione”. Il “cobra” è chiaramente un simbolo fallico e riguarda la sfera sessuale del padre e del figlio, l’identificazione al maschile nel padre e l’identità maschile del figlio. Il serpente condensa anche la colpa e il sapere di sé, la colpa e l’autonomia psichica. Il serpente tentò l’ingenua Eva nel giardino di Eden promettendogli proprio la fine della dipendenza e la consapevolezza di sé.

Perché il cobra morde Michele alla “caviglia”? Perché la caviglia è il simbolo del progresso evolutivo e questo tratto psichico è rappresentato dall’organo debole di Michele in questo momento della sua vita. Si pensi a Omero e all’Iliade, si pensi ad Achille, l’eroe vulnerabile soltanto nel tallone, la parte del corpo rimasta fuori dall’immersione nelle acque della palude Stige, invulnerabilità voluta dalla madre Tetide. Correva il secolo ottavo “ante Cristum natum” e i Greci allucinavano la loro “fantasia collettiva” elaborando miti o “sogni a occhi aperti”. Ritornando alla caviglia di Michele, è opportuno precisare che tutti abbiamo almeno un organo debole, quello che abbiamo vissuto in maniera sofferta e contrastata o per malattia o per “scissione”, la “parte negativa” del corrispondente fantasma.

Convergiamo sul sogno di Michele. “Il padre lo porta in ospedale dove viene curato.” Ecco puntuale l’epilogo giusto: il padre, che prima era stato condensato parzialmente nel “cobra”, adesso esce allo scoperto e soccorre il figlio. Diciamo meglio: il figlio si fa soccorrere dal padre stringendo alleanza con il nemico di prima e procedendo, nonostante la caviglia avvelenata dal cobra, verso la liquidazione della posizione edipica identificandosi nelle parti migliori della figura paterna e acquisendo l’identità maschile. L’adolescenza di Michele è in attesa di riconoscere il padre e la madre, il giusto epilogo del travaglio edipico.

La prognosi impone a Michele di proseguire il suo cammino verso l’autonomia psichica e di ridurre le turbolenze psicofisiche evolutive, classiche dell’adolescenza, semplicemente accettandole con il fascino del nuovo che avanza.

Il rischio psicopatologico si attesta nel blocco clinico dell’emancipazione edipica e nelle conseguenti psiconevrosi con somatizzazioni e nell’insicurezza ingiustificata assunta come compagna del viaggio esistenziale.

Riflessioni metodologiche:il sogno di Michele e la presenza del “cobra” induce a parlare della liceità e della bontà dell’esposizione della nudità dei genitori ai figli. Freud raccontò, in latino per uno strano pudore, la visione traumatica della madre nuda: “vidi matrem nudam”. In nome di un forzato senso della modernità sin dagli anni settanta i nuovi genitori hanno esteso, sulla scia della contestazione giovanile del ’68 e delle opere sociologiche di Marcuse e della scuola di Francoforte, la liberalizzazione sessuale anche in ambito familiare e in giusta opposizione al bieco moralismo culturale e religioso del recente passato. Era anche il tempo del progresso economico e dell’emancipazione femminile. L’innovazione dell’istituto familiare è proceduta in maniera oscillante, tra eccessi e carenze, tra nuovi schemi e antiche  nostalgie. La famiglia borghese soppiantava la famiglia patriarcale, ma portava i suoi pregi e i suoi difetti, come avviene in tutte le umane cose. Tra i punti labili si colgono alcune forzature nell’ambito psicologico. Se l’emancipazione sessuale e la questione femminile sono da sposare in blocco insieme all’educazione sessuale, l’esibizione del corpo in maniera gratuita ha procurato più guasti che vantaggi, dal momento che non è stato ben individuato se la nudità dei genitori fosse un problema dei genitori o un’esigenza psichica evolutiva dei figli. Specialmente durante il tormentato periodo edipico, la nudità dei genitori accentua i tormenti del desiderio psichico e fisico di possesso e favorisce l’incidenza del “fantasma di castrazione”. La bambina vive la sua diversità rispetto al maschietto e quest’ultimo vive la sua inferiorità rispetto al padre. Le implicazioni psichiche profonde sono tante e notevoli e non si riducono a quelle più semplici che ho in precedenza elencato, ma la prognosi vuole che la nudità dei genitori sia esibita con giudizio e con le giuste cautele e senza compiacimenti, in attesa che il senso del pudore e l’amor proprio si insinuino nei figli adolescenti. Domanda: quanto è bisogno dei figli vedere i genitori nudi? Quanto è bisogno dei genitori mostrarsi nudi? Spesso i bambini chiedono alla mamma di mostrare la sua intimità agendo direttamente le loro pulsioni edipiche. L’adolescente si chiede perché la sessualità non è materia di educazione familiare. Al fine di evitare conflitti nevrotici e ritardi nella risoluzione edipica, è auspicabile per i genitori riacquistare il giusto pudore maturato nell’adolescenza; il tutto anche al fine di evitare la presenza velenosa del “cobra” nel corredo dei fantasmi dei loro figli. In conclusione, consiglio la lettura del testo di Herbert Marcuse “Eros e civiltà”, un insegnamento ancora attuale e tanto utile.

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