“Clotilde sogna una donna dai capelli neri che di notte la guarda dal balcone del condominio di fronte al suo.
Poi si trova a prenderla per le caviglie e a rotearla con forza in modo di farle sbattere la testa contro il muro fino a svuotarla.
Poi appiattisce il suo corpo.
E’ morta, ma in una sorta di rito espiatorio ne conserva i resti tra due fogli di carta.”
Il sogno di Clotilde è al primo impatto decisamente macabro e induce a pensare quanta crudeltà omicida e quanta ferinità possano albergare in quella che si definisce la “psiche” di un essere umano. Alla luce del “contenuto manifesto” di questo sogno non si può essere in disaccordo con la concezione pessimistica dell’uomo: “homo homini lupus”. Fortunatamente siamo a livello di “psiche”, ma purtroppo spesso questi fantasmi travalicano dalla dimensione interiore nella realtà e vengono agiti. E allora tutti ci meravigliamo del come è potuto succedere e del perché è successo, proprio perché ingenuamente ci piace seguire la concezione ottimistica dell’uomo: ”homo homini agnus”. Freud aveva del bambino una concezione pessimistica e arrivò a definirlo “perverso polimorfo” proprio per la sua valenza psichica prevalentemente pulsionale e per la poca presenza della funzione dell’Io. Concepiva l’uomo adulto un sacrificato nella sua “libido” a causa della necessità di vivere in società, ma nel suo secondo sistema psichico diede grande importanza alla funzione equilibratrice dell’”Io” nei riguardi delle pulsioni dell’”Es” e delle repressioni del “Super-Io”. Come non condividere quest’ultima tesi, apportate le giuste correzioni legate al tempo e alla cultura?
L’”Io” è salvifico, l’autocoscienza è salutare per sé e per gli altri, la superstizione e la suggestione sono deleterie, così come l’ignoranza di sé porta a grandi disastri individuali e collettivi. John Lennon in “Imagine” illustra il mondo migliore possibile a cui aspirerei.
Dopo quest’ampia digressione occorre convergere sul sogno di Clotilde.
Il “contenuto latente” ci dice la seguente semplice verità: la distruzione della “parte negativa di sé” proiettata nella signora del condominio di fronte al suo in una coreografia decisamente sadica. Clotilde ha scisso il “fantasma di sé” in la “parte buona” e la “parte cattiva” e non riuscendo a gestire la “parte cattiva” ha fatto ricorso a tutto il suo “sadomasochismo”, legato alla “fase anale” degli investimenti della “libido”, per liberarsene in una “catarsi” secondo un “rito espiatorio” della colpa. La scissione,”splitting”, del “fantasma di sé” è logicamente antecedente e supposta, perché nel sogno non c’è traccia, mentre è perfettamente rappresentato il meccanismo psichico di difesa della “negazione” attraverso l’atto sadico distruttivo.
Riepiloghiamo: il sogno di Clotilde è paradigmatico per spiegare agli studenti di “Psicologia dinamica” i meccanismi di difesa della “proiezione”, della “scissione dell’imago”, della “negazione”, facendo un significativo collegamento alla “fase anale” degli investimenti della “libido”: un sogno universitario a conferma che il sogno non è un semplice “resto notturno”, ma è un prodotto psichico polivalente e complicato nella sua elaborazione più di quanto si possa pensare. Altro che quattro numeri al lotto per una volgare ma ricca quaterna!
Questo è il “significato latente” del sogno di Clotilde e io lo spiego ai miei affezionati lettori del “blog” in maniera più semplice possibile, chiedendo anticipatamente scusa per qualche necessario tecnicismo e per qualche caduta nella semplificazione.
Il primo dato importante da considerare è il mancato risveglio per incubo di Clotilde di fronte a tanta sua atroce ferocia. Questo vuol dire che il sogno era gestibile a livello di tensione perché il suo “contenuto latente”, il significato, non era il suo “contenuto manifesto”, la trama. Il meccanismo onirico della “censura” ha ben funzionato, così come i meccanismi dello “spostamento” e della “condensazione”: “spostamento” nella dirimpettaia anziché in se stessa e “condensazione” in una donna dai capelli neri da uccidere.
Il secondo dato è il meccanismo psichico di difesa della “proiezione”. Trattasi di un meccanismo primitivo di attribuzione ad altri di idee, sentimenti e fatti disdicevoli e censurati di propria appartenenza. Un pericolo interno viene trasformato in pericolo esterno, questa è la “proiezione primaria” e serve a stabilire la distinzione tra “Io” e l’altro da me, tra “lo” e il “non Io” senza ricorrere alla “rimozione” ed attribuendo al mondo esterno la causa delle proprie sgradevolezze e delle proprie inaccettabili mancanze. Questo processo serve a fortificare “l’Io”. La “proiezione secondaria” inibisce e rimuove la parte inaccettabile e ingestibile e la rende persecutoria in quanto l’oggetto esterno è investito dell’odio proiettato. Questo processo è progressivo nella sua intensità e può arrivare fino al delirio ossia fino a perdere il controllo di se stesso e all’abdicazione del principio di realtà. Non è bastata la “rimozione” in entrambi i casi, non era sufficiente relegare a livello inconscio o meglio nel dimenticatoio il materiale psichico non accettato e rifiutato di sé.
Altro meccanismo di difesa chiamato in causa è lo “sdoppiamento
dell’imago” che si attesta nella lotta contro l’angoscia di perdita dell’oggetto gratificante e contro il rischio di arrivare al modo psicotico di difesa attraverso lo “sdoppiamento dell’Io”. Lo “sdoppiamento dell’imago” è stato scoperto da Melanie Klein, psichiatra infantile, con la teoria dell’oggetto parziale nella “posizione schizo-paranoide”, la madre scissa in “seno buono” e “seno cattivo”, lo “splitting”, e con la teoria dell’oggetto totale nella “posizione depressiva”, la madre; il tutto avviene durante il primo anno di vita. L’”Io” distinguerà nello stesso oggetto una immagine positiva e rassicurante e una negativa e terrificante senza possibilità di conciliare le immagini contraddittorie e opposte. Una parte dell’”Io” rimane organizzata, mentre un’altra parte, rivolta verso l’esterno, considera buoni alcuni aspetti e li investe di “libido” rigettando gli aspetti frustranti e minacciosi. Fin qui lo “sdoppiamento dell’imago”.
Il meccanismo di difesa della “negazione” è arcaico e consiste nel rifiuto di riconoscere aspetti sgradevoli o angoscianti della propria realtà psichica in atto, i quali non sono stati rimossi e che, quindi, si presentano alla coscienza senza poter essere ammessi e razionalizzati come vissuti o fantasmi propri. Ma può succedere che queste parti psichiche rifiutate di sé si immettono in circolo nell’esercizio della vita perché stimolate da qualche esperienza traumatica.
Questa è la parte teorica che ci consentirà di spiegare non solo il sogno di Clotilde, ma anche di conoscere meglio la nostra essenza e la nostra dialettica psichica ossia come siamo fatti dentro.
Analizziamo il sogno di Clotilde per avere la conferma oggettiva della teoria: dalla grammatica passiamo alla pratica.
Clotilde si trova di fronte all’altra se sessa nel crepuscolo della coscienza,”di notte”: “Clotilde sogna una donna dai capelli neri che di notte la guarda dal balcone del condominio di fronte al suo.”
Poi procede a liberarsi di questa immagine negativa di sé devitalizzandola in maniera sadica. Un’orribile centrifuga liberatoria per Clotilde che vuole liberare la sua testa da tutte le inaccettabili “parti negative di sé”. Anche l’espressione linguistica “fino a svuotarla “ dà chiaramente il senso di risolvere l’angoscia in maniera repentina e totale: “fuori il dente e fuori il dolore” si dice nel nobile gergo della saggezza popolare.
“Poi si trova a prenderla per le caviglie e a rotearla con forza in modo di farle sbattere la testa contro il muro fino a svuotarla.”
Ma ancora non basta. Le macabre sequenze liberatorie hanno bisogno di una ulteriore manovra di appiattimento dopo lo svuotamento organico. Ma quanta angoscia ha Clotilde, visto che non è ancora appagata nella sua interiorità da queste macabre manovre?
“Poi appiattisce il suo corpo.”
La simbologia dell’appiattimento porta a buon fine il meccanismo della “negazione”. In effetti, nel mio dizionario dei simboli onirici leggo: appiattire rappresenta “l’uniformità emotiva difensiva”, rendere indistinte le emozioni perché ingestibili dall’”Io” e irriducibili alla consapevolezza.
“E’ morta, ma in una sorta di rito espiatorio ne conserva i resti tra due fogli di carta.”
Clotilde si vuole tanto bene da completare l’opera difensiva dall’angoscia con il rito espiatorio della colpa di conservare la memoria del misfatto, come si faceva da adolescenti con il quadrifoglio portafortuna tra le pagine del quaderno di botanica o con la rosa regalata dalla persona di cui si era infatuati, “senza parole”.
I meccanismi di difesa dall’angoscia hanno perfettamente funzionato e Clotilde in sogno li presuppone, lo “splitting” e lo”sdoppiamento dell’imago” o del “fantasma di sé”, o li rievoca uno per uno, la “proiezione” e la “negazione” in una cornice sadica. Per quest’ultima vi rimando allo studio della “fase anale” dell’evoluzione della “libido” secondo le teorie di Sigmund Freud.
Resta il problema del perché questo sogno?
Qual è il “resto diurno” di questo “resto notturno”?
La vita di Clotilde deve essere incorsa in qualche esperienza importante ma traumatica, dal momento che esulava dalla sua quotidianità e anche dal suo modo di pensare e di viversi. Si sono scatenate in lei fantasmi antichi ed emozioni represse che adesso chiedono di essere, non solo ascoltate, ma anche appagate, pena un disturbo psichico più pesante del semplice struggimento.
Quale prognosi? Bisogna vivere al tempo giusto e al momento opportuno le esperienze: “ogni cosa al suo tempo”, dice la saggezza popolare.
La prognosi clinica impone a Clotilde di rafforzare la consapevolezza delle difese instruite in questa emergenza psichica della sua vita, perché i meccanismi chiamati in causa sono particolarmente delicati e pericolosi. Clotilde deve ben capire le sue necessità psicofisiche per poi agire di conseguenza nella realizzazione dei suoi progetti esistenziali. Dal momento che il sogno ci dice la psicodinamica del conflitto ma non la causa, è opportuno riflettere ben bene sulla qualità della consapevolezza di tutto il quadro.
Il rischio psicopatologico si attesta nell’evoluzione dei meccanismi di difesa verso uno “stato limite” in cui si oscilla tra il desiderio e la realtà, tra la fantasia e lo stato delle cose, tra una neorealtà gratificante e la quotidianità severa.
Riflessioni metodologiche: bontà dei meccanismi di difesa e meno male che esistono. I meccanismi di difesa sono funzionali all’equilibrio psichico e alla formazione del carattere al punto che si può definire quest’ultimo come l’organizzazione delle difese. Dallo stato di quest’ultime si può supporre, più che definire, il concetto di normalità psichica. La difesa è un’attività dell’”Io” destinata a proteggere ogni uomo da un’esigenza pulsionale troppo forte. Il sistema delle difese non si deve intendere esclusivamente come una serie di comportamenti psicopatologici,( più o meno giustificata dalla presenza di un conflitto o tra le varie istanze psichiche dell’”Es”, dell’”Io” e del “Super-Io” o tra queste istanze e la realtà), perché il sistema delle difese forma anche i tratti originali del nostro cosiddetto “carattere” o meglio formazione reattiva, i quali non sono necessariamente patologici. I meccanismi di difesa dell’”Io” servono, quindi, sia alla formazione psichica di ogni soggetto e sia al suo adattamento nei confronti della realtà. La psicopatologia si attesterà soltanto nell’uso inefficace o rigido delle difese oppure nel loro dannoso adattamento alla realtà esterna o perché la Psiche non funziona in maniera armoniosa e flessibile o perché il sistema delle difese è stereotipato. Rivedendo i meccanismi di difesa in prospettiva economica, bisogna rilevare che esiste un costante e sincronico articolarsi di molte difese, oltre che un gerarchizzarsi delle stesse in vari gradi. La “normalità psichica” esige il possesso di buone difese diversificate ed elastiche, le quali permettano un sufficiente gioco pulsionale che non opprime l’”Es”, una giusta considerazione della realtà che non inquieta e disturba il “Super-Io”, un arricchimento costante dell’”Io” in un ambito di relazioni mature e scambi soddisfacenti. Le difese non devono essere energeticamente dispendiose, bensì efficaci a ripristinare lo stato di equilibrio psicofisico nel minor tempo possibile e legate alla migliore espressione del realismo utilitaristico. L’”Io” deve oscillare attorno a un asse medio che lo arricchisce e che previene i rischi del suo affascinante e avventuroso cammino.