“Rita sogna di avere il potere del dominio dell’acqua e di poterla anche far ghiacciare. Man mano che il sogno andava avanti, il suo potere diminuiva.”
“Rita sogna di essere sul treno con degli amici di notte. Dopo essere scesi, si sono accorti di aver dimenticato una valigia. Hanno continuato a cercarla salendo e scendendo dai treni. Poi sono arrivati alla stazione della loro città senza valigia.”
“Rita sogna che faceva fatica a svegliarsi la mattina. Non riusciva proprio a muoversi. Allora sua mamma spostava il letto, creando un passaggio verso la finestra.”
Primo sogno: “potere del dominio dell’acqua”. Epperò! Potere e dominio: una pericolosa combinazione! Non si tratta di una qualità incerta e approssimativa, qui è presente la convinzione rafforzata di un’abilità eccezionale o di un dono divino, forse un retaggio della visione di tanti cartoni animati improntati alla magia nell’età infantile, periodo in cui le fantasticherie sono giustamente curiose e assurde, ma sempre significative. Certamente si tratta di una compensazione di frustrazioni in atto e di una caduta dell’autostima, oltre che di un bisogno di disimpegnarsi dalla riflessione logica e dalla realtà avara e severa. Ma nel sogno tutto si spiega perché si decodifica e allora andiamo a cogliere la psicodinamica.
Rita sogna di avere un potere assoluto sulla madre e soprattutto sulla vita affettiva della madre nel versante calore e nel versante freddezza, nella modulazione della sua intensità affettiva, proiettata sulla madre. L’acqua, infatti, rappresenta la figura materna e l’universo femminile. Rita esorcizza l’angoscia di una madre fredda e anaffettiva proprio con la sua magia. Magari nella realtà la mamma è calorosa e ansiosa, ma lei la vuole all’opposto o teme che diventi in quel modo. Si tratta di una fantasia compensativa e di un desiderio sul modo di essere amata dalla madre con cui è evidente il conflitto. Il ravvedimento è nel prosieguo del sogno e si esprime con la consapevolezza che quel suo potere sulla madre è abnorme, innaturale e dannoso e a lei non conviene, per ché a lei non serve una madre affettivamente fredda. Del resto, il potere giusto che i figli chiedono ai genitori è di essere forti e rassicuranti, porto e rifugio, assolutamente non deboli e remissivi.
Secondo sogno: “Rita sogna di essere sul treno con degli amici di notte”. Il “treno” è un simbolo di morte, condensa un “fantasma depressivo” di perdita e di abbandono da parte della madre, particolarmente coinvolta nella vita affettiva dei figli e nella vita profonda con particolare riferimento ai sentimenti e ai legami. Gli “amici” rappresentano la capacità relazionale di Rita, ma, in effetti, fungono da alleati per continuare a dormire e a sognare senza incorrere nell’incubo e nel risveglio. La “notte” rappresenta simbolicamente il crepuscolo della coscienza, la pulsione e l’emozione, il sogno e la fantasia, la caduta della vigilanza dell’Io e il sistema neurovegetativo, la femminilità e la seduzione. Questo è il quadro onirico in cui si svolge il nucleo del secondo sogno di Rita. “Dopo essere scesi, si sono accorti di aver dimenticato una valigia.” La “valigia” rappresenta il grembo materno, la gravidanza, l’essere femminile e la “libido genitale”, il sistema procreativo. Rita e gli amici alleati, anche possibilmente il suo uomo, prendono coscienza di non aver considerato la possibilità della gravidanza possibilmente durante il trasporto dei sensi: un rapporto sessuale a rischio. Ma il sogno ci dice che “hanno continuato a cercarla (la valigia) salendo e scendendo dai treni”,ossia la morte si associa al grembo e alla gravidanza. Il sogno dice che Rita ha subito un trauma sessuale nel pensiero o nei fatti, una violenza sulla carne o una paura di gravidanza, un trauma o immaginato o temuto o effettivamente subito. Il sogno tratta inequivocabilmente il tema della perdita e della morte associato al grembo e all’apparato genitale femminile . Questo trauma non è stato riparato, ma è ancora in atto e in circolazione psichica, perché “poi sono arrivati alla stazione della loro città senza valigia.” Rita ha problematizzato la sua sfera sessuale, genitale nello specifico, in riferimento alla perdita. Il sogno si concentra su questa dimensione intima e interiore dell’universo femminile. Non è raro il caso che il sogno scatti dopo aver assunto la cosiddetta “pillola del giorno dopo” per riparare un rapporto sessuale a rischio e in questo caso il sogno è ispirato dal senso di colpa o dalla fantasia di infanticidio.
Terzo sogno: “Rita sogna che faceva fatica a svegliarsi la mattina.” Traduciamo: Rita vive un obnubilamento della coscienza e una caduta della vigilanza, è distratta e non è sul pezzo proprio quando dovrebbe essere sveglia e vigile: “la mattina”. “Non riusciva proprio a muoversi.” Si presenta un “fantasma d’inanimazione” totale, un blocco psicofisico del corpo, come una paralisi di natura isterica che si esprime nella veglia, come una conversione isterica di un trauma congelato dentro e che blocca il corpo nella sua interezza: una sensazione veramente pesante sia in sogno e sia nella veglia e a sua volta ulteriormente traumatica. Rita vorrebbe fare qualcosa, ma non riesce o per paura o per fobia o per convenienza: paura di peggiorare la situazione, fobia di far scattare l’angoscia, convenienza di perdere i vantaggi secondari dell’essere malata . Ma qual è la parte inanimata di Rita nello specifico? Procediamo con l’interpretazione del sogno. “Allora sua mamma spostava il letto, creando un passaggio verso la finestra.” Ecco la responsabile dell’inanimazione e del blocco psicofisico: il fantasma della madre. Rita ha un conflitto con la madre, le dà ancora il potere di animarla ossia di dare vita alle sue funzioni e alle sue caratteristiche psicofisiche. La mamma crea un passaggio verso la finestra, la possibilità di avere relazioni sociali. Anche questa volta la mamma ha risolto il problema. La “finestra” di Rita rappresenta l’esposizione verso gli altri e l’offerta di sé al mondo. Rita può invidiare alla madre il corpo o la capacità relazionale, ma in effetti persiste un conflitto edipico non risolto.
Il sogno di Rita attesta di un complesso di Edipo ancora in via di risoluzione e soprattutto di un rapporto conflittuale con la madre. Rita si deve ancora identificare in lei per la sua identità femminile e per l’esercizio della sua vita affettiva. Anche in questo modo si spiegano le difficoltà a vivere la sua sessualità e la sua vita affettiva. Dall’identificazione nella madre dipende la sua identità psichica femminile.
La prognosi impone a Rita di risolvere la relazione con la madre attraverso il riconoscimento per raggiungere l’autonomia psichica. Il distacco dalla madre non equivale a una perdita affettiva, ma si tratta di variare la qualità e la modulazione del legame.
Il rischio psicopatologico si attesta nelle psiconevrosi edipiche: l’isterica, la fobico-ossessiva, la depressiva. Oltre il danno personale, il mancato riconoscimento della madre comporta relazioni affettive contorte e problematiche sessuali di vario genere.
Riflessioni metodologiche: per un approfondimento della simbologia del “treno” rimando al sogno “ Signori in carrozza. I treni di Lucia.” Il sogno di Rita induce a riflettere sulla psicodinamica madre-figlia in riguardo alla “identificazione” e alla “identità”. E’ l’ultima fase del complesso di Edipo per le bambine, dopo aver stabilito con il proprio corpo e con il padre una relazione proficua e non conflittuale, dopo aver accettato la conformazione sessuale recettiva e dopo aver definito benevolmente il sentimento d’amore verso il padre. “Identificazione” non significa essere come la madre, una nuda e cruda imitazione, ma assimilare progressivamente i modi dell’essere femminile che la bambina ritiene degni e utili e che pensa di poter fare suoi. La bambina opera nel corso dell’esperienza con la mamma una vendemmia delle doti invidiate e delle qualità auspicabili e progressivamente costruisce la sua “identità” psichica consapevole; ma la sua “identità si costruisce soprattutto con i “fantasmi” introiettati in riguardo alla madre e all’universo femminile durante la “fase orale”, “anale” e “fallico-narcisistica”. Ogni “identificazione” è l’esito di una “introiezione”; quest’ultima è un meccanismo di difesa dall’angoscia, un meccanismo arcaico e primario basato sull’indistinzione tra soggetto e oggetto. Ricordiamo anche che la “identificazione” è frutto di suggestione psichica e di imitazione sociale. L’assunto di base freudiano è che “si nasce bambini, ma si diventa maschi”, “si nasce bambine, ma si diventa femmine”. E’ anche vero che abbandonato l’interesse verso la figura globale del padre e ponendo fine alla competizione con la madre, per la bambina la sistemazione dei vissuti e dei fantasmi nella profondità psichica non è impresa facile e spedita. Secondo Freud ogni donna vive la conformazione genitale come una ferita per il fatto che il clitoride non è cresciuto. Questo fantasma di castrazione con tutta l’angoscia intrinseca si evolve e si sublima nelle arti della seduzione. Freud aveva iniziato a scrivere di questi temi nel 1905 ed era figlio di quella cultura. Tanta acqua è passata fortunatamente sotto i ponti, ma la ricerca della verità non trova appagamento e fine: meno male!