“Brunilde sogna di trovarsi con il suo ragazzo in un bar dove spesso vanno a bere qualcosa. Lui è molto stanco, la sua giornata di lavoro è stata particolarmente dura.
Non ha neppure troppo appetito.
Brunilde vuole fare qualcosa di carino per lui, allora gli dice che lo avrebbe portato in un posto bello e non lontano da casa. Cammina con lui in braccio, ma non è assolutamente pesante. Lo porta in un belvedere vicino alla sua vecchia casa.
E’ una bella serata, ma c’è nebbia. Vicino al belvedere, scorgono un uomo che fuma in una macchina posteggiata. Pensano entrambi che sia sospetto. Dopo un po’ appaiono tre persone e uno di loro è molto infuriato con gli altri due.
Pensano allora di allontanarsi, ma quello li vede e dice che “non ci devono essere testimoni”. Prende allora in mano una pistola e la punta contro di loro. Di corsa scappano e riescono a mettersi in salvo.”
Il sogno verte su una psicodinamica amorosa tra senso e sentimento, tra “eros” e “pathos”. Brunilde esibisce la sua struttura psichica e i suoi fantasmi sul tema in questione, intreccia il sogno con i suoi vissuti in maniera leggera con un andamento lento ma efficace. Il sogno condensa la sfera affettiva in maniera consistente, ammicca sull’erotismo, esterna le paure sessuali e ipotizza la presenza di sensi di colpa. Nonostante l’evoluzione culturale la vita amorosa mantiene nel sogno una sua delicatezza e una sua cautela. La liberalizzazione dei costumi e la libertà d’azione non necessariamente sono foriere di eccessi e di trasgressioni. La vita sessuale resta sempre un tabù culturale e incorre facilmente nel senso di colpa e nel conflitto a causa della condanna sessuofobica del sistema educativo a strascico della morale religiosa. La vita sessuale, anche se non tabuizzata, mantiene un suo specifico culto e un suo specifico rito nel suo essere fondamentalmente la conoscenza progressiva del proprio corpo e l’evoluzione degli investimenti della “libido”. Se a tutto questo trambusto culturale ed educativo aggiungiamo i risultati del conflitto edipico, il gioco è fatto ed è diventato veramente complicato. Il sogno di Brunilde contiene tutti i pregi e tutti i difetti della situazione culturale in cui le moderne generazioni si trovano a combattere tra un’apparente spudoratezza e un’incredibile delicatezza.
Il sogno inizia discorsivamente e gradualmente con le scene di un bel film del neorealismo italiano. I due innamorati s’incontrano nei luoghi della socializzazione: il bere qualcosa richiama la “libido orale”, una giusta introduzione in onore del dio Eros. Brunilde proietta sul suo ragazzo le sue titubanze amorose e le sue ansie erotiche: “lui è molto stanco”. Il quadro si precisa meglio:”non ha neppure troppo appetito”, una questione di desiderio, una paura che l’attrazione e la pulsione non siano abbastanza e che tutto scemi in una volgare “ansia da prestazione”, un vissuto critico sul suo corpo e un’invadenza della sua mente. Il termine “troppo” è sintomatico e giustificativo: Brunilde desidera, ma ha paura di non raggiungere i livelli di sufficienza e tanto meno di eccellenza e tanto meno ancora di eccesso. Brunilde non sa che una resistenza iniziale all’approccio amoroso è assolutamente normale e che avviene in onore alla sacralità del corpo e al culto dell’atto sessuale contro tutte le volgari forzature sul tema; per le sue paure la distrazione dal coinvolgimento erotico è troppa, per cui si difende attribuendo al suo uomo la stanchezza e lo scemamento del desiderio, meglio del “troppo appetito”.
Per recuperare “Brunilde vuole fare qualcosa di carino per lui”, mostra che la disposizione amorosa c’è. E’ importante che tale disposizione psichica non si riduca a dipendenza sessuale e a servizio erotico. “Lo avrebbe portato in un posto bello e non lontano da casa”: Brunilde conduce il sogno e conduce il gioco d’amore in base all’intensità delle sue emozioni e in base al camuffamento del “contenuto latente” nel “contenuto manifesto”. Brunilde conduce il corteggiamento e si offre direttiva e accudente in base alla sua “casa”, nello specifico la sua formazione sessuale. Si evidenzia nel sogno la collocazione materna di Brunilde verso il maschio: “Cammina con lui in braccio, ma non è assolutamente pesante.” Trattasi del suo uomo o del suo bambino? I bisogni psichici di Brunilde vertono inequivocabilmente su un atteggiamento materno che le dà ruolo e sicurezza, un ruolo improprio e una sicurezza effimera. Brunilde si supera e si sublima in dolce mammina di un figlio leggero. I termini naturali della coppia sono stati evasi e si evidenzia un rapporto “madre-figlio”: una coppia asimmetrica che può durare una vita e festeggiare le nozze d’oro e di diamante a condizione che “fare il figlio” sia la vocazione elettiva del partner e “fare la mamma” sia la vocazione elettiva di Brunilde.
Ma Brunilde non ama fare la mamma del suo uomo, è soltanto in fase di approccio alla sua vita sessuale, si sta conoscendo in quel contesto non indifferente, dove possibilmente non ha avuto validi maestri e dove possibilmente è stata lasciata all’improvvisazione in piena ottemperanza alla sessuofobia culturale e religiosa. Alle difficoltà implicite nel viversi e conoscersi nei livelli neurovegetativi della sessualità, alle inibizioni psichiche di varia natura e qualità si sono aggiunti i tabù e i veti religiosi, nonché la latitanza educativa. Povera Brunilde!
Ma la nostra eroina non si perde d’animo e “lo porta in un belvedere vicino alla sua vecchia casa.” La vecchia casa lascia ben sperare nell’avvento della nuova casa ossia nel superamento del vecchio modo di concepire e vivere il suo corpo e la sua sessualità. La vecchia Brunilde è più contemplativa e platonica, più che pratica e concreta. Ama l’ideale per difendersi dal coinvolgimento erotico, dal suo corpo che desidera e dalla sua mente che vuole disimpegnarsi dalla fatica della vigilanza e della dimensione logica.
Cominciano i problemi e il “belvedere” traligna in un “bruttovedere”. “E’ una bella serata, ma c’è nebbia.” La “nebbia” condensa, oltre le goccioline d’acqua, l’obnubilamento della coscienza e la riduzione della funzione razionale, richiama l’abbandono alle emozioni, il richiamo dello stato crepuscolare della coscienza, un lasciarsi andare al dramma del conflitto psichico di Brunilde in riguardo al suo corpo e alla sua sessualità.
“Un uomo che fuma in una macchina posteggiata”. Subentra la paura: la macchina rappresenta il sistema neurovegetativo che gestisce la sessualità, l’atto di appartarsi in macchina è un classico rito degli innamorati e richiama intimità e l’occultamento. Il fumare evoca ancora l’oralità libidica già riscontrata all’inizio del sogno nel “bere qualcosa”. “Sospetto”, pensano entrambi: Brunilde proietta le sue paure e le sue insicurezze nel suo ragazzo e nell’uomo che fuma in macchina.
Ma i mali non vengono mai da soli ed ecco che “appaiono tre persone e uno di loro è infuriato con gli altri due”. Il conflitto psichico si manifesta e le cose si complicano strumentalmente a significare una difesa dall’intimità da parte di Brunilde, un impedimento alla riservatezza intima, un evitamento del conflitto sessuale. Il numero “tre” è un simbolo complesso e composito dal momento che condensa lo spazio chiuso nel triangolo, la famiglia, la trinità, la perfezione, l’onnipotenza. Inoltre per libera associazione e per convenzione richiama il complesso di Edipo, le istanze psichiche della seconda topica di Freud, l’intruso, il terzo incomodo, la gelosia e sentimenti struggenti. Ma il sogno di Brunilde non consente ardue interpretazioni, sia pur interessanti, e si riduce a non concludere il salmo in gloria ossia a evitare l’intimità sessuale. Brunilde inventa ostacoli istruendo la difesa psichica dell’“evitamento”. Quale ostacolo in particolare? Il conflitto tra il corpo che desidera, l’Io che acconsente e il Super-Io che censura e colpevolizza.
La soluzione si profila nel “pensano allora di allontanarsi, ma quello li vede”. Il Super-io di Brunilde si è manifestato nella versione più drastica: “non ci devono essere testimoni” come nei migliori film di mafia o come nella peggiore realtà. Bisogna affrontare il conflitto psichico senza mediazioni di alcun genere.
Ma qual’é il segreto dei testimoni, di coloro che sanno perché hanno visto?
“Prende allora in mano una pistola e la punta contro di loro.” La “pistola” con cui il tizio, uno dei tre, o il Super-Io vuole uccidere Brunilde e il suo ragazzo alla fine del sogno disocculta la paura di Brunilde del pene essendo la pistola un simbolo fallico per eccellenza. Brunilde ha paura della funzione penetrativa del pene, un fantasma della parte negativa dell’organo sessuale maschile, la deflorazione e la violenza del coito, un fantasma che risale alle fantasie dell’infanzia dopo la fase fallico-narcisistica e in piena situazione edipica. La soluzione consentita dall’angoscia e dal grado di risoluzione del conflitto è l’evitamento e lo scappar via. “Di corsa scappano e riescono a mettersi in salvo.” L’hanno fatta franca e in barba al Super-Io: meno male!
La prognosi impone la rassicurazione verso l’universo maschile, il superamento del fantasma della violenza e l’approccio verso il maschio non più materno ma alla pari. Il Super-io è presente, ma non procura espiazioni angoscianti del senso di colpa. Questo significa che si è ridimensionato al punto giusto.
Il rischio psicopatologico si attesta nelle problematiche sessuali e nelle paure legate al coito: la dispareunia. La somatizzazione del dolore è di ostacolo all’orgasmo.
Riflessione metodologica : l’importanza dell’educazione sessuale si ribadisce nel sogno di Brunilde. I primi educatori devono essere i genitori e, di poi, le strutture educative competenti; i termini devono essere sempre scientifici e oggettivi anche quando sono i genitori a essere chiamati in causa con le domande imbarazzanti dei figli. Bisogna capire che i bambini non sono curiosi, ma giustamente hanno solo bisogno di sapere per superare ansie e paure collegate alla loro evoluzione corporea biologica. Il linguaggio deve essere consono all’età e si deve rispondere in maniera veritiera alle richieste più strane. Ottimale attendere che l’esigenza di sapere del bambino si manifesti nella domanda e nel suo reiterato “ma perché mamma”, “ma perché papà”. Ma soprattutto è necessario che i genitori educhino i figli a sentire e ad amare il corpo attraverso il rapporto corporeo, l’abbraccio, il bacio,la carezza, superando inopportuni e insensati pudori, soprattutto i padri con le figlie, legati alla mancata educazione corporea dei genitori. Non bisogna persistere nell’educazione mancata o nell’educazione sbagliata. Bisogna ricordarsi che prima di altre entità metafisiche, noi siamo corpi viventi e campi d’amore da coltivare. La “libido epiteliale” è fondamentale nella formazione psichica e, come il cervello, la pelle ci segue dalla nascita alla morte. Mai raccontare storie e storielle ai bambini, soprattutto in riguardo al concepimento e alla nascita. Bisogna non correre mai il rischio che i bambini diffidino dei propri genitori o peggio che si sentano derisi nelle loro giuste richieste. Mi piace ricordare una significativa barzelletta. Alla mamma e al papà che rispondevano con il cavolo e la cicogna alla domanda classica di come nascono i bambini, il figlio, sorpreso più che deluso, decise di tutelarli pensando che era meglio farli morire nella loro ignoranza. I migliori educatori sessuali dei figli sono i genitori e non bisogna lasciare che i propri figli vengano traumatizzati per tutta la vita da estranei e da strani personaggi con gravi compromissioni della loro vita sessuale futura. La misoginia e la tragedia continua del cosiddetto “femminicidio” si possono ridurre nel tempo grazie alla modificazione del comportamento educativo sui temi riguardanti il corpo e la sessualità. La morale religiosa inficia la vita sessuale e la chiesa ne è la prima vittima con la diffusa pedofilia al suo interno. Quando il meccanismo della “sublimazione” non funziona, automaticamente la “libido” traligna e diventa dannosa per sé stessi e per gli altri. Bisogna evitare la colpevolizzazione delle manifestazioni della sessualità in ogni circostanza e in ogni situazione. La sessuofobia deve evolversi in sessuofilia.