UNA  MADRE CAPSULA E UN PADRE CLOWN

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“La capsula folle.

Sono nell’androne di un palazzo abbastanza ombroso, devo prendere l’ascensore per salire al quinto piano. La gabbia in cui è contenuto l’ascensore è simile a quella del palazzo in cui abitava L.B., una gigante griglia metallica tutta arrugginita.

Entro nel cubicolo ed appare sulla soglia del portone un altro inquilino. Si avvicina. E’ un padre con un bambino. E’ sulla cinquantina. Li aspetto. Anche loro vanno al quinto piano. Partiamo.

L’ascensore è strettissimo, le porte si chiudono e sembra di stare in una capsula spaziale, che al posto di salire verso il quinto piano, utilizzando il normale percorso dentro la gabbia metallica, ne esce fuori e balzella buffamente per il cortile, facendo un percorso alternativo, come se fosse diventato un grosso essere animato che compie il percorso a piedi.

Al che, un po’ preoccupata e un po’ divertita, assisto alla scena: la vedo sia da fuori, seguendo la goffa andatura della capsula,che da dentro, con il corpo completamente aderito alla parete curva della capsula.

A questo punto il tizio, il padre del bambino, inizia a molestarmi. Prova a baciarmi, mi infila le mani nelle mutande, mentre il bambino resta immobile e ignaro. Io mi chiedo come possa fare una cosa del genere di fronte a suo figlio e perché insista se vede che io non sono consenziente. Per di più in cortile davanti a tutti.

Riesco a fuggire dalla capsula, senza andare al quinto piano. Inizio a gridare a tutti che quell’uomo ha cercato di molestarmi; ma credo di scoprire poco dopo che quell’uomo è un clown e che la comunità di clown che viveva lì lo avrebbe difeso e non mi avrebbe creduta. Invece mi credono, scendono dai loro piani e mi ascoltano, mi dicono che ho ragione.

Tra questi, arriva anche G. in pigiama, mi ascolta e mi dà un bacio per calmarmi. Gli sono molto grata per questo.”

Questo è il sogno di Marta; così come l’ha scritto, io l’ho trascritto per una prima riflessione: la retorica, la discorsività, il racconto. Il sogno di Marta ha tutti i requisiti di una sceneggiatura futurista o qualche attributo del teatro dell’assurdo. Marta ha dato il titolo alla sua produzione onirica , “la capsula folle”, e si è compiaciuta nello scriverla con la migliore affidabilità possibile. Ma questo è il vero sogno o ha subito dei rammendi logici durante la trascrizione? Il “processo secondario”, il pensiero logico, si è inserito sul “processo primario”, i meccanismi adibiti all’elaborazione del sogno? La risposta è nettamente positiva: il sogno è stato rielaborato e rammendato con toppe logiche e consequenziali. Si vede in special modo sul sogno di Marta,la quale ha trascritto il “contenuto manifesto” aggiungendo i nessi logici per compilare in maniera credibile la trama della “capsula folle”. Eppure il sogno ha mantenuto il senso dell’assurdo, del paradosso e dell’imprevedibile. Il  sogno nella sua integrità e nella sua integralità al momento ci è escluso.

Procediamo con l’analisi del sogno di Marta e in questo caso estrapolerò i punti salienti, quelli che hanno una consistente essenza simbolica, i “fantasmi” di un certo spessore, per poi inserirli nella giusta psicodinamica.

“Sono nell’androne di un palazzo abbastanza ombroso, devo prendere l’ascensore per salire al quinto piano. La gabbia in cui è contenuto l’ascensore … una gigante griglia metallica tutta arrugginita.”

Il sogno esordisce con simboli della socialità quotidiana e con un umore grigio, un’atmosfera crepuscolare dov’è inserito un simbolo materno, “l’ascensore”, un grande grembo, di poi la “gabbia” che contiene l’ascensore. Sono tutti simboli di madre, condensazioni che riguardano l’universo femminile. Si aggiunge un rafforzamento peggiorativo ”gigante griglia metallica tutta arrugginita”: una madre affettivamente fredda, arida e tanto ingombrante. Marta esordisce offrendo il “fantasma” della madre, il suo vissuto profondo sulla figura materna nel suo versante negativo. Il simbolo del “salire al quinto piano” si traduce nel “processo psichico di difesa dall’angoscia della sublimazione”. Marta ha tutte le buone intenzioni di difendersi dalla possente e fredda figura materna proprio sublimandola, destituendola delle parti negative e rendendole positive. Per libera associazione anche L.B. ha una madre pesante ed enigmatica.

“Entro nel cubicolo e appare sulla soglia del portone un altro inquilino … E’ un padre con un bambino … Anche loro vanno al quinto piano. Partiamo. L’ascensore è strettissimo: le porte si chiudono e sembra di stare in una capsula spaziale,…”

Si presenta la figura paterna, un alleato di Marta che usa la “sublimazione” per sopravvivere e che condivide la stessa oppressione dell’ascensore, della griglia, della gabbia, del cubicolo, della moglie in termini chiari, della madre di Marta in termini ancora più chiari.

“… sembra di stare in una capsula spaziale che al posto di salire … ne esce fuori e balzella buffamente per il cortile, facendo un percorso alternativo … un grosso essere animato che compie il percorso a piedi.”

Il senso di oppressione si coglie tutto e specialmente nella “capsula”, un simbolo di grembo materno in gravidanza con tutto il potere della madre, un potere di vita e di morte. Non funziona più la “sublimazione” della figura materna o meglio della “parte negativa della madre” e allora la psiche nel sogno provvede a ridicolizzare il nemico: “balzella buffamente”,”un grosso essere animato”. La metafora della mamma con annessa satira è servita. Marta si sta difendendo in tutti i modi dalla “parte negativa della figura materna” secondo la teoria di Melanie Klein e secondo un processo di “splitting”, di scissione. Adesso si scinde anche Marta in una che assiste da dentro la capsula e soffre, in una che è fuori dalla capsula e ride. Da mettere in rilievo la capacità di Marta di tradurre in immagine i contenuti che formano la trama del sogno: la “figurabilità” si scatena nell’elaborare la capsula o il cubicolo per rappresentare il senso di costrizione attribuito alla madre.

“… un po’preoccupata e un po’ divertita … seguendo la goffa andatura con il corpo completamente aderito alla parete della capsula.”

Le strategie di Marta  sono due: con la prima riesce a staccarsi dalla figura materna e a razionalizzarla con ironia affermando la sua autonomia, con la seconda si costringe a subirla e a dipendere irrimediabilmente. Pur tuttavia è opportuno precisare che stiamo parlando non della mamma reale di Marta, ma del “fantasma” della mamma di Marta, di come Marta ha introiettato ed elaborato la figura materna nella sua parte negativa.

“A questo punto il tizio, il padre del bambino, inizia a molestarmi.”

Si presenta di botto il complesso di Edipo nella sua valenza erotica e si rompe l’alleanza del padre con la figlia o meglio della figlia con il padre. Il bacio, le mani, il bambino immobile e ignaro, l’incredulità, l’immoralità e altro di turpe e di incestuoso … questi  sono gli elementi atti a rappresentare la seduzione paterna e la “scena primaria”, il coito dei genitori immaginato dalla figlia o a cui ha assistito suo malgrado. Ma il punto più ilare del dramma edipico di Marta è questo:”Per di più in cortile davanti a tutti”. In termini pacati e in sequenze calibrate si consuma la pulsione erotica della  bambina Marta verso il padre, le sue fantasie edipiche, i suoi desideri erotici. Tutto è normale e nulla di nuovo si manifesta sotto il sole, per cui non mi dilungo.

“Riesco a sfuggire dalla capsula, senza andare al quinto piano. Inizio a gridare a tutti che quell’uomo ha cercato di molestarmi … ma quell’uomo è un clown … la comunità dei clown non mi avrebbe creduta e invece mi credono … scendono dai loro piani … e mi danno ragione.”

La liberazione dalle angherie materne è evitata per il momento anche senza il processo di difesa della “sublimazione”: “senza andare al quinto piano”. Marta, allora, aggredisce il padre incestuoso, ma il padre nei suoi vissuti non è soltanto oggetto di desiderio, ma è soprattutto un uomo triste e solo, il re dei pagliacci, quell’uomo che la gente crede che sia di buonumore, ma che nel suo cuore ha un dolore, il dolore dell’anaffettività, di chi non si è sentito mai amato. Il “clown” condensa la mancanza d’affetto e si compensa in maniera traslata facendo divertire gli altri per farsi accettare e per avere un ruolo, ma resta nel suo fondo più profondo un uomo solo. E’ presente nel ”clown” un complesso d’inferiorità che viene riscattato mettendosi al servizio del piacere degli altri. … Sogna Marta:“ma quell’uomo è un clown”, è un uomo che ha sofferto, un uomo frustrato negli affetti e nella dignità. Marta pensa di essere creduta o non creduta. Anche quelli come lui mi danno ragione. Marta oscilla come in precedenza tra l’essere approvata e l’essere disapprovata, tra il fuori la capsula e il dentro la capsula.

“Tra questi arriva anche G. in pigiama, mi ascolta e mi dà anche un bacio per calmarmi. Gli sono molto grata per questo.”

E’ Marta che fa il sogno ed è corretto scientificamente addebitare a lei la maternità del significato di tutto quello che produce, il sogno è tutto materiale di sua proprietà. Marta condanna il padre per le sue pulsioni erotiche, ma in effetti è Marta che condanna e assolve se stessa per le sue pulsioni edipiche verso il padre e per le sue frustrazioni affettive verso la madre. Ecco che nel finale arriva l’uomo giusto, un pagliaccio molto intimo, “in pigiama”, che non è il padre ma che è come il padre. Questo clown giusto e morigerato riesce a calmarla con un bacio e lei gli è grata come a un genitore.

Marta ha risolto il suo complesso di Edipo dopo avere rischiato di essere fagocitata dalla madre, ingombrante come una capsula, inimitabile e astiosa. Si rivolge al padre, di poco carattere perché non si è ribellato alla moglie, ma oggetto del suo ambiguo interesse. Comunque un uomo come il padre l’ha trovato e ha risolto il versante paterno, ma ha paura di identificarsi nella madre ed è alla ricerca della sua identità femminile, almeno di un completamento.

La prognosi impone a Marta di accrescere la consapevolezza sulla sua identità femminile e portare avanti il processo di autonomia psichica dalle figure genitoriali.

Il rischio psicopatologico si attesta nelle difficoltà a gestire il ruolo femminile e a oscillare tra i cambiamenti d’umore e qualche somatizzazione nevrotica dell’ansia.

Riflessione metodologica: ognuno è responsabile dei suoi sogni, anche se non può impedirli, gestirli e condizionarli. Il sogno è una “coazione a ripetere” e ha tratti nevrotici e psicotici. Il sogno è la manifestazione profonda di un mondo interiore e di una dimensione poco conosciuta, ma per questo motivo non bisogna ricorrere alla superstizione per spiegare quello che attualmente è inspiegabile. Si resta in attesa che la scienza incrementi la conoscenza. Passiamo oltre. La “scena primaria” si concretizza nell’immaginazione del coito dei genitori da parte dei figli; questo episodio può essere immaginato o vissuto e condiziona in maniera traumatica l’evoluzione della “libido” nella formazione del carattere. Nel sogno di Marta la descrizione è evidente anche se indiretta: “bimbo che resta immobile e ignaro” “come possa fare una cosa del genere di fronte a suo figlio”. Passiamo oltre. Una definizione della figurabilità: meccanismo deputato a tradurre in rappresentazione o immagine i contenuti che formano la trama dei sogni, effettuando una selezione tra le diverse rappresentazioni che traducono il vissuto psichico, il fantasma, il bisogno, il desiderio, il trauma. La “figurabilità” sceglie la migliore immagine concreta per un concetto astratto.

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