IN MORTE DI SALVATORE

Intorno al sole c’è sempre un’aura

che brilla nel cielo spazioso,

che ottunde prima della scarica nervosa,

che risuona dopo la liberazione emotiva,

che vibra nello sposalizio della nuova energia.

Oggi intorno al sole c’è anche un’aureola che piange.

Intorno al sole ci sono le persone

vissute solitarie in mezzo alla gente

e morte in un letto d’ospedale,

abbandonate a “nostra sora morte corporale”

dalla pubblica indifferenza e demenza.

Oggi tra tanta Luce c’è mio cugino,

Salvatore il grande e il piccolo,

il forte e il debole,

l’uomo che non ha conosciuto l’equilibrio della normalità,

l’eterno sopravvissuto e mai cresciuto,

il marinaio della regia Marina militare italica

con la sua pizza in testa nel porto di Barcellona,

l’uomo di mare andato oltre la vita con la sua pilotina a nafta,

il giovinotto in Fiat spider prima del Sorpasso,

prima di Vittorio Gassman e di Dino Risi,

il ragazzino che ha cercato la sua verità,

l’uomo dagli affetti travagliati e dagli amori infelici.

Ti guidino tra le braccia del primo Nulla Giovanni ed Enzo,

i fratelli capitani di lungo corso,

e non ti manchi mai quella pietas

che merita un fedele marinaio dell’Albatros celeste.



Salvatore Vallone



Karancino, 01, 09, 2023



 





IL MONDO MIGLIORE DI SALVATORE

Non è facile,

caro Vasil Bufardey Ulianov,

pensare di andare via,

magari in ospedale o in camposanto,

e rinascere cervo a primavera

portandosi dietro la malinconia

con le nuove corna incorporate

e all’uopo inforcate per forchetta in un bordello,

par piron,

per quello che addiverrà nel tempo ingiusto di un’eiaculazione,

di una sborrata infinita all’ultimo seme,

zoon spermaticon in un olon zoon,

un seme vivente in un Tutto vivente,

una omeomeria,

un qualis,

un atomo,

un quantum,

una carica di bellezza,

un qualisquantum,

un bosone,

ottanta protoni messi in fila e senza il resto di due.

Non è facile morire

dove tutto è vivo come un uovo prima del mestruo

e rinascere in un mondo migliore,

magari partire per tornare coniglio d’inverno.

Non è facile cambiare una stagione,

magari la stagione della vita,

di una vita che è passata come un lampo

e che fila dritta verso la stazione di Conegliano

in attesa di quel treno che sferra e sfrigola sui binari consunti.

Un mondo migliore di un mondo migliore non esiste,

non ha mai visto la luce

perché il mondo è buono di per se stesso

e non abbisogna di dottori ma soltanto di cantori,

abbisogna di poeti e non di vati,

abbisogna di criatori e non di monaci e preti,

abbisogna di cessi pubblici per le donne in pollacchiuria

e per gli uomini in odore di prostatite

e non di gran sacerdoti all’ashish

che uccidono la meglio gioventù

in nome di dio e delle sue umane parole.

La libertà del poeta e del cantore,

la libertà del menestrello e del giullare,

la libertà del donatore e del genitore

non sono rimpianti da ripiangere

perché non esiste un mondo migliore

dove tutto è possibile e doveroso,

nauseabondo come il torrone al pistacchio

e allettante come il deretano del tiranno.

Ora che siamo sulla giusta strada di Samarcanda,

soltanto ora passa il tram dei desideri

che porta in un mondo migliore.

Prendi il bagaglio a mano e più non dimandare,

più non rimandare.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 30, 12, 2022


CORAGGIOSETTI

Il gattino è arrabbiato

e non vuole il suo gelato,

vuole una gatta da pelare

ma qui siamo in riva al mare

e non ci son gatte da pelare,

(tanto meno che si fanno pelare).

Ci son chiappe da pescare

sempre qui in riva al mare,

(tanto meno che si fanno pescare).

Coraggioso è più arrabbiato

e mi mostra il suo palato,

vuole un topo per giocare,

ma qui siamo in campagna

e il topino ha il cervello fino,

(come il contadino e le sue scarpe grosse),

e non vuole giocare con Coraggiosetti,

tanto meno con i suoi simili e gli affini.

Coraggioso è oltremodo arrabbiato

perché Salvatore non l’ha cagato

e di coccole e coccolezze

non ha avuto le dolcezze

e allora con un balzo gli si appioppa sulla gamba

per la pasta quotidiana

e il ronfare manifesto.

O poeta,

o contadino,

prima fammi un buon grattino,

poi dammi un formaggino

che lo mangio senza panino,

io ti faccio poi la pasta

e tu la inforni per la pizza

nel tuo forno Clementoni.”

Se questa poesia è futurista,

io sono un qualunquista,

un desgrassià de Buenavista,

un veneto fugace

che in Sicilia fugge e non trova pace.

Salvatore Vallone

Karancino di Belvedere, 06, 07, 2023

SOLSTIZIO

Solstizio,

sol stat,

sto stas, steti, statum, stare.

Fermati, o frate sole,

ho gridato,

anch’io sto,

anch’io risto,

io mi fermo qui,

qui con te,

qui dove vivi tu,

dove c’è sempre il sole,

il sole,

il sole nel cielo,

in mezzo al mare,

il mare nel cielo,

il cielo azzurro nel sole arancione,

il mare verde nel sole giallo,

dove ci sei tu,

tu che cucini le lasagne al ragù

in ricordo della pasta con la salsa della mia adorata mamma,

una pasta fritta e rifritta la sera del dì di festa

e non solo per me e Silvia,

la pasta al forno con le melanzane e le polpette,

la mortadella e la provoletta a forma di caciocavallo.

Eh, cosa succede?

Ahi, ahi, ahi,

an’ammazzatu cumpari Turiddru!

Aveva fatto becco Alfio con donna Lola,

ma Alfio lo ha mandato in paradiso.

Erano amanti.

Ora Turiddru, il masculu, non vuole entrare senza la sua Lolita,

Lola,

pardon,

quella Lola

che sa ancora di latte nelle poppe

e porta la camicia bianca e rossa

come una ciliegia turgida dell’Etna focosa,

il Mongibello,

u Muncibbeddru,

quella Lola che si affaccia al balcone bombato di ferro barocco

e atteggia la bocca al sorriso malizioso della piana di Catania

e non al riso sguaiato della pianura padana.

O Lola,

sia beato

chi ti da il primo bacio

in sul mattino e sul far della sera,

anche nel dì di festa,

o Lola,

sulla tua soglia è sparso il sangue amaro di Salvatore,

il compare infido di Alfio il selvaggio,

u sarbaggiu.

Che me ne importa a me,

ah, ah,

ah, ah,

se muoio ucciso da un carrettiere cafone,

io speriamo sempre che me la cavo,

e se muoio

e vado in paradiso

e non La trovo quella madonna angelicata,

io manco ci entro

e torno giù,

giù da Lola,

donna Lola.

Salvatore Vallone

Hàrah Làgin, ( il Giardino degli aranci ), 21, 05, 2023

INVOCAZIONE SEMISERIA DI CRISANTEMO

In questo universo andante,

andante lento verso il Nulla cosmico,

girovago,

andante frettoloso verso il sempiterno buco dei buchi,

neri e non,

zingaro,

andante al passo dei bersaglieri verso l’armonia esotica,

gitano,

in questo universo andante, girovago, zingaro, gitano,

mihi necesse est una badante,

russa o cinese,

svedese come un fiammifero o signorina Rottenmeier di Heidi,

meglio una Porfiria Rubirosa con braccia pendule e affilate,

una diplomatica con pensieri arguti e attillati,

una donna esperta e pronta alla bisogna sociale e politica,

una femmina politica nascosta tra le pieghe di un viso irsuto,

una capa ricandidata da un uomo capoccia del mondo infame.

In questo universo bastardo

e mischiato in un cocktail assassino

ci vorrebbe un badante all’ashish,

un Ciccio Busacca che ti canta le gesta di Orlando e Rinaldo,

un Porfirio Rubirosa dalle braccia conserte

e intrecciate sul volante di una Ferrari testa rossa

che ti racconta la storia di Pacchiotta Malandrino,

l’uomo, caduto nel suo cesso,

che annegò nella sua merda colorata e impura,

ci vorrebbe un politico bisex e monosex,

un uomo donna che competa con Liu Shoh Sukuni,

la mia adorata e dorata commessa del sol levante

che accorre in aiuto di un uomo cadente

in quel grande magazzino ripieno di essenzialità eccentriche

e di stelle ad alto costo e a basso rischio.

O, forse, ci vorrebbe una coreana dagli occhi veri e vivaci

con l’anoressia in corpo e una quinta di tette senza culo,

sempre parlando con rispetto e pro feminis

in questo tempo promiscuo e maldicente,

crudelissimo quanto basta e oltre,

che conosce indubbiamente il sale della Terra,

la sessuofilia, la sessuofobia, la sessuocrazia,

l’omofobia, l’omofilia, l’omocrazia.

Che tempi, tose e tosat!

Che tempi, tosatiol e tosatan!

Che tempi, regà!

Che tempi!

Bona tempora currunt cum coeli procellis.

Di certo, mi servirebbe il mio amico Gabriel Garcìa

o il mio sosia Heinrich Karl

per scrivere le cose giuste e primaverili

in questo letto di morte di questo bordello

pieno di puttani tristi e allegri

che te la cantano e te la suonano,

mentre i dindi e i controdindi risuonano nella cassettina

e la mia anima trista e negletta vola a Dio.

Tetzel,

o Johann,

mio adorato predicatore,

spiegami il busillis delle questioni

che riguardano il culo liscio di un monaco profano,

le tette poderose della monaca laica di Como.

Oh dio del cielo,

se mi vuoi amare,

scendi dalle stelle

e vienimi a cercare.

Questo verso era di Fabrizio.

Oh dio del cielo,

dammi le chiavi di questo ostello della gioventù

dove è arrivata la mia Michelle insieme alla mia Romy,

la donna di Ugo,

il boss cornuto di via Arsenale,

la fedifraga che amava suonare la viola in andamento jazz,

la donna più buona e bella del nostro quartiere di Marseille,

vicino al porto,

lontano dalle pasticcerie buone ed educate del centro Pompidou,

il punto più vicino al tuo perdono e alla tua estasi,

il tuo punto G come Gigino o Gigetto,

dove volentieri vola Gigino e Gigetto.

Questo verso è di Salvatore.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 16, 08, 2022

ELOGIO DELL’ARDIMENTO

Ci siam sbattuti un dì della galera,

ci siam sbattuti delle teste di cazzo,

per preparare questa gente forte

che adesso se ne sbatte de crepar,

il mondo sa che la camicia bianca

si indossa per combattere e morir.

Per il duce e per la morte

per chi ancora ha chiappe rotte,

una è la parola d’ordine,

una è la precisa volontà:

vincere,

bisogna vincere

e vinceremo in terra, in cielo e in mare,

o faccetta nera di via Cavour in Abissinia,

aspetta e spera che già l’ora si avvicina,

quando saremo vicino a te,

avrai in dono una bella casa con bidè.

Ci siam sbattuti un dì di Salvatore,

ci siam sbattuti de sta testa di mazzo,

per preparare un mondo gran pagliazzu

che adesso vuole anche trionfar,

il mondo sa che la camicia rossa

s’indossa per combattere e morir.

Per il kaiser e per la morte

per chi ancora ha chiappe rotte,

una è la parola d’ordine,

una è la precisa volontà:

vincere,

bisogna vincere

e vinceremo in tutta questa spazzatura

senza curare i modi,

ma guarda e passa dall’altra banda,

tra i neri pensieri che i capetti schiudon novelli,

tra le calendule e le violette romanesche

che insultano il milite ignoto

e sputano sull’arcobaleno omo et etero.

Ci siam sbattuti un dì del gran buffone,

ci siam sbattuti delle sue fregnacce,

abbiamo messo in cielo tutte le stelle

e adesso non parliamo più di qualità,

neanche a teatro,

per preparare questa gente ignara

che oggi se ne sbatte de travagliar,

il mondo sa che la camicia a pois

s’indossa per combattere i coion.

Per il buffo e per la morte,

per chi ancora ha chiappe rotte,

una è la parola d’ordine,

una è la precisa volontà:

vincere,

bisogna vincere

e vinceremo in tutti i teatri del centro e della periferia,

come faremo senza giangiaques,

senza skey e senza posperi,

ma con tanti coioni ancora tra le palle.

Al grande Puffo l’ardua sentenza.

Facce ridere,

facci il ponte sullo Stretto e sul Largo,

ah facce tanto ridere,

grande Buffo,

che di Teresine e di Matteucci son vispe le fossa.

Famme ride,

ti prego,

che so triste da morire.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 15, 08, 2022

TANTI AUGURI

Oggi nel cielo c’è qualcosa di nuovo,

anzi d’antico,

piena è la luce in questo austero rimasuglio siracusano di Aretusa,

dentro la sua fonte invasa dai morbidi ratti di Persefone,

in questo soggiorno coatto e di color amaranto

come la topolino di Paolo nel quarantasei.

Stanotte nel cielo spicca qualcosa di latteo,

splende il biancore tra le onde spumose di una Afrodite smaniosa,

brilla la costellazione di Orione con la sua clessidra di traverso,

illumina i desideri di Alfeo infranti come specchi ustori,

mostra le sue tre stelle lungo la linea retta

che da casa mia porta a casa tua,

di notte,

come la befana con le scarpe tutte rotte,

per ricordarti che il tempo è sabbia

che scivola e poi torna,

che tempus fugit

e non si arresta mai,

neanche per fare la pipì

come le donne di Ginettaggio,

il Bartali,

come le donne ancora di Paolo,

il Conte delle canzoni ardite e apparentemente jazz,

quelle che vanno liberamente a farsi fottere

tra grammatiche evanescenti e vocabolari inesistenti,

in mezzo al mar,

dove ci sono camin che fumano

o in Sud America

dove il divorzio si compra fuori dal motel

tra l’azzurro di un cielo sopra i piedi di un seminarista

in attesa di diventare papa,

non papà,

senza cadere nelle tentazioni della carne,

pascolo delle carni sublimate di maschi e femmine

nei corpi spirituali e androgini di gente votata all’inumano,

a varcare il confine che dall’Ucraina porta in Russia

in questo rimando guerresco di barbariche invasioni.

Ah, questi preti non sposati!

Vade retro Satana,

non tentare e non tentarmi!

Ah Martin Lutero,

monaco fratacchione di Agostino,

tu prete e lei preta,

insieme una splendida costellazione dentro la clessidra del solito Orione.

Volevo dirti

che confido nella suggestione delle stelle,

lontane come la casa avita lasciata in giovinezza

dietro la valigia in pelle della premiata ditta “bridge”

e a cui si torna per sentirsi quieti dopo la tempesta della Lega,

dopo aver portato il vocabolario e la grammatica

ai servi della gleba del conte di Collalto e di Brandolini.

Sei quieto?

Sei felice?

Lo spero ed è il mio augurio.

Non sono quieto,

non sono felice.

Da un mese ormai il vecchio Pietro non sculetta i suoi cingotti

agli occhi attenti delle signore e delle signorine.

Aveva un milione di globuli rossi,

gli altri cinque li aveva regalati alla sfiga

con la sua esistenza felice consumata nel vallone ameno

dove Anapo si intrattiene con Aretusa

lasciando i fazzolettini bagnati di sperma

nella stradina del signor Vallone

che tanto s’incazza di fronte a tanta vanagloria,

a tanta cornucopia del Genio della Specie.

C’est la vie,

mi dice al cellulare Juliette

con il suo canzonare nel solfeggio di un cazzeggio.

E poi la terra è fertile,

il pane è quotidiano,

qualche buon libro prima di dormire non serve,

gli amici non sono fidati,

le allegre compagnie si svendono con una bottiglia di Nero d’Avola,

la famiglia riscalda il cuore di chi non c’è.

La mia esistenza mi è cara e,

sebbene non conosco dei miei giorni futuri,

so che dove vivo il vento profuma,

sconvolge i capelli acuminati di idee della mia donna.

Occupo pienamente lo spazio dell’eterno presente,

mi chiamo Salvatore,

faccio sentire la mia voce in mezzo alla grassa folla,

scarna di progetti in questi anni nuovi

piegati dall’arbitrarietà della Natura.

Io sono un grillo parlante,

non importa se qualcuno lancerà il suo martello,

racconto sempre per il mio conforto,

scrivo per virtù,

riscrivo per metodo.

In questo mondo rurale niente sembra vero,

tranne me.

Alzo il calice,

bevo con me,

ai miei 75 anni.

Sava

Carancino di Belvedere, 19, 01, 2022

TREPUNTITRELINEETREPUNTI

Goccia

Pioggia

Fiume

Mare

Bracciate d’acqua piene di mare

Moltitudini di parole

E sopra un azzurro cielo frugale

Guarda che bello

Cosa sai fare

Cosa sai dire

Non puoi pensare che devi morire

Tu non morire

Non morire mai

Salvuccio è morto

Salvatore è partito

Salvo non c’è più

E’ stato visto tra Scilla e Cariddi dentro un uragano

Sopra il mare nero con le sirene

Tra le ciaule luttuose che volavano sulla schiuma di Afrodite

Cantando il peana funebre a Ulisse

Le coq est mort

Le coq est mort

Il ne dira plus co co di co co da

Il ne dira plus co co di co co da

Maramao perché sei morto

Pane e vin non ti mancava

L’insalata era nell’orto

Una casa avevi tu

Pietro sta bene

Coraggiosetti altrettanto

Mangiano senza glutine

Vanno a gattine innamorate

Onorano il Genio della Specie

Il poeta è morto

Non farà più bla bla bla

Bla bla bla

Non ruberà le parole agli altri

Non contaminerà le acque dell’Anapo

Non si vedrà in giro per i vicoli decadenti

Non disprezzerà la punteggiatura

Non farà l’avanguardista dalle brave giornaliste delle tv

Non sperimenterà territori di confine

Il poeta non farà più bla bla bla

Bla bla bla

Goccia

Pioggia

Fiume

Mare

Bracciate d’acqua piene di mare

Moltitudini di parole

E sopra un azzurro cielo frugale

Guarda che bello

Cosa sai fare

Cosa sai dire

Non puoi pensare che devi morire

Tu non morire

Non morire mai

Sava

Carancino di Belvedere, 27, 10, 2021

 

BUON COMPLEANNO!

Sono l’invincibile estate nel bel mezzo dell’inverno.
In questo tempo di grande crudeltà sarà poi vero
che dalla Morte nasce la Vita più forte
e che Lei verrà e avrà i tuoi occhi?
E dimmi, tu che sai, dell’immunità di gregge.
Ma chissà chi lo sa
se questi amletici dubbi sono veri anche per noi
che abbiamo il buon gusto dell’autenticità di noi stessi
oppure sono castronerie inventate da sedicenti scienziati
nel gran ballo quotidiano dell’abbuffata pandemica.
Avere una coscienza è d’impedimento
a tanto giovamento progressivo del ciclo naturale darwiniano?
Potessimo, almeno, essere piante magre e grasse,
nutrite e accolte dalla fertile dea Madre
con radici robuste e chiome che ondeggiano al vento di Scirocco,
per poi mutare inconsapevoli nel gran pasto dei bisognosi!
Rinnovarsi nella quiete dell’indifferenza
è la meraviglia dell’abbastanza,
è la panacea dell’abbondanza.
Io,
poeta contadino,
io che rivolto col vomere anime umane e terra marrone,
io so
che tra le zolle si intravede l’alcova della morte.
È lì che va la Belle de jour.
Lì gli amanti accedono all’eterno primo motore immobile
perché ascoltano soltanto il richiamo dell’ignoto.
Ce ne ricorderemo mai del prima,
del durante,
del viaggio veloce della mente
che ci portava a spasso in infiniti campi magnetici?
Ricorderemo i nostri corpi noncuranti dell’orbita del tempo,
dell’effluvio sinistro
che si insinuava come un dubbio opaco nella trama dei cuscini?
Io,
poeta contastorie,
io che racconto i sogni ai sognatori,
ti dirò perché la mia essenza è insieme lieve e greve,
quasi fossi il mare
che se n’è andato nel mare.
Oggi vengo da me,
è il mio compleanno.
Mi lascio una cornucopia davanti alla porta,
piena di frutti e spighe di grano.
Godo dell’abbondanza della vita
che non è mai finita finché non è finita,
coltivo i campi,
aro le pagine bianche,
non faccio morire l’infanzia che ho dentro.
E penso a me ogni tanto.
Lo faccio con indulgenza.
Buon compleanno,
purezza di un ragazzo caro,
molto caro,
ai cuori impuri.

Sava

Carancino di Belvedere, 19, 01, 2021

LA MAGIA DELLA POESIA

Il poeta è così.
Già, così!
Il poeta è prodigo di senso.
Il poeta non possiede i significati dei suoi sensi.
Il poeta è libertario perché è libero,
è libero dentro e fuori,
è libero di fare e di brigare,
di combinare,
di evocare,
di tirare fuori,
di contaminare,
di rubare,
di associare il visibile e l’invisibile come Freud,
di realizzare il possibile e l’impossibile come Teresa,
di dare in pasto i suoi fantasmi ai gladiatori nel Colosseo come Nerone,
di piangere come un bambino
che non ha imparato Pianto antico a memoria
perché il piccolo Dante lo faceva piangere,
come Salvatore.
Il poeta s’en fous dell’editore
e della sua preziosa carta straccia
che puzza di inciucio e di fottisterio.
Il poeta è come Jacob nel lager,
compone con Ilse e con Andrea,
inquacchia con i pennelli i colori delle sue parole,
verba quae volant,
verba quae sapiunt,
verba quae nesciunt,
parole che non cercano alcunché
e nulla valgono al cospetto dell’Ente
che in principio le pronunciò creando:
sia il poeta et poeta factus est.
Il poeta è un piccolo dio e un grande fornaio,
vedi Pablo,
un infante che non sa parlare come Jacob o Slomo,
come Tommaso e Mariapia,
come tutti i dislessici e gli autistici dell’universo,
il poeta parla per loro,
diventa un verso
e porta con sé un vocabolario,
il suo,
come dono per i più fortunati,
i muti nelle corde vocali ma non nel cuore.
Questo suono vuol dire poesia,
vuol dire voce e grido e cadenza,
uno stato di quiete che si accovaccia ai piedi della tragedia,
l’eco di un canto di speranza
che accompagna il tormento,
che si tatua sulla pelle sottile dell’infanzia.
Il poeta entra anche nell’orrore
e ne esce pulito.
Oggi anche tu sei Jacob,
anche tu sei Alan a viso in giù sulla sabbia gentile di Lampedusa,
anche tu sei my baby nelle grida della madre disperata,
anche tu sei Rosetta Nascimbeni,
anche tu sei Dante Carducci,
anche tu sei Pirro Viviani,
l’amico di Giovanni Pascoli
su cui disse le orazioni dovute
per un buon esito della gita nella campagna romagnola dell’aldilà.
Il poeta è ricco di fantasmi
e li sparge per i campi fertili in lungo e in largo.
In questo il poeta è un bambino:
usa il fantasma
e va per libere associazioni,
lavora per se stesso e non tende all’universale,
non aspira al premio di Venegazzù nella civile Svezia.
Se ti ritrovi e ti evochi,
il poeta è per te,
altrimenti va bene lo stesso,
tutto va bene,
tutto va ben madama la marchesa
e in bocca al buon lupo,
tutto va ben,
tout va tres bien.
Sarà per la prossima volta,
magari quando anche tu proietterai i tuoi fantasmi
alla ricerca di una eco nella gente,
nel prossimo che ti circonda
e che ha tante storie uguali alle tue da raccontare,
ma non ha il coraggio di dirle.

Questo furto è stato operato da Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 01, 05, 2021