Sono l’invincibile estate nel bel mezzo dell’inverno. In questo tempo di grande crudeltà sarà poi vero che dalla Morte nasce la Vita più forte e che Lei verrà e avrà i tuoi occhi? E dimmi, tu che sai, dell’immunità di gregge. Ma chissà chi lo sa se questi amletici dubbi sono veri anche per noi che abbiamo il buon gusto dell’autenticità di noi stessi oppure sono castronerie inventate da sedicenti scienziati nel gran ballo quotidiano dell’abbuffata pandemica. Avere una coscienza è d’impedimento a tanto giovamento progressivo del ciclo naturale darwiniano? Potessimo, almeno, essere piante magre e grasse, nutrite e accolte dalla fertile dea Madre con radici robuste e chiome che ondeggiano al vento di Scirocco, per poi mutare inconsapevoli nel gran pasto dei bisognosi! Rinnovarsi nella quiete dell’indifferenza è la meraviglia dell’abbastanza, è la panacea dell’abbondanza. Io, poeta contadino, io che rivolto col vomere anime umane e terra marrone, io so che tra le zolle si intravede l’alcova della morte. È lì che va la Belle de jour. Lì gli amanti accedono all’eterno primo motore immobile perché ascoltano soltanto il richiamo dell’ignoto. Ce ne ricorderemo mai del prima, del durante, del viaggio veloce della mente che ci portava a spasso in infiniti campi magnetici? Ricorderemo i nostri corpi noncuranti dell’orbita del tempo, dell’effluvio sinistro che si insinuava come un dubbio opaco nella trama dei cuscini? Io, poeta contastorie, io che racconto i sogni ai sognatori, ti dirò perché la mia essenza è insieme lieve e greve, quasi fossi il mare che se n’è andato nel mare. Oggi vengo da me, è il mio compleanno. Mi lascio una cornucopia davanti alla porta, piena di frutti e spighe di grano. Godo dell’abbondanza della vita che non è mai finita finché non è finita, coltivo i campi, aro le pagine bianche, non faccio morire l’infanzia che ho dentro. E penso a me ogni tanto. Lo faccio con indulgenza. Buon compleanno, purezza di un ragazzo caro, molto caro, ai cuori impuri.
Il poeta è così. Già, così! Il poeta è prodigo di senso. Il poeta non possiede i significati dei suoi sensi. Il poeta è libertario perché è libero, è libero dentro e fuori, è libero di fare e di brigare, di combinare, di evocare, di tirare fuori, di contaminare, di rubare, di associare il visibile e l’invisibile come Freud, di realizzare il possibile e l’impossibile come Teresa, di dare in pasto i suoi fantasmi ai gladiatori nel Colosseo come Nerone, di piangere come un bambino che non ha imparato Pianto antico a memoria perché il piccolo Dante lo faceva piangere, come Salvatore. Il poeta s’en fous dell’editore e della sua preziosa carta straccia che puzza di inciucio e di fottisterio. Il poeta è come Jacob nel lager, compone con Ilse e con Andrea, inquacchia con i pennelli i colori delle sue parole, verba quae volant, verba quae sapiunt, verba quae nesciunt, parole che non cercano alcunché e nulla valgono al cospetto dell’Ente che in principio le pronunciò creando: sia il poeta et poeta factus est. Il poeta è un piccolo dio e un grande fornaio, vedi Pablo, un infante che non sa parlare come Jacob o Slomo, come Tommaso e Mariapia, come tutti i dislessici e gli autistici dell’universo, il poeta parla per loro, diventa un verso e porta con sé un vocabolario, il suo, come dono per i più fortunati, i muti nelle corde vocali ma non nel cuore. Questo suono vuol dire poesia, vuol dire voce e grido e cadenza, uno stato di quiete che si accovaccia ai piedi della tragedia, l’eco di un canto di speranza che accompagna il tormento, che si tatua sulla pelle sottile dell’infanzia. Il poeta entra anche nell’orrore e ne esce pulito. Oggi anche tu sei Jacob, anche tu sei Alan a viso in giù sulla sabbia gentile di Lampedusa, anche tu sei my baby nelle grida della madre disperata, anche tu sei Rosetta Nascimbeni, anche tu sei Dante Carducci, anche tu sei Pirro Viviani, l’amico di Giovanni Pascoli su cui disse le orazioni dovute per un buon esito della gita nella campagna romagnola dell’aldilà. Il poeta è ricco di fantasmi e li sparge per i campi fertili in lungo e in largo. In questo il poeta è un bambino: usa il fantasma e va per libere associazioni, lavora per se stesso e non tende all’universale, non aspira al premio di Venegazzù nella civile Svezia. Se ti ritrovi e ti evochi, il poeta è per te, altrimenti va bene lo stesso, tutto va bene, tutto va ben madama la marchesa e in bocca al buon lupo, tutto va ben, tout va tres bien. Sarà per la prossima volta, magari quando anche tu proietterai i tuoi fantasmi alla ricerca di una eco nella gente, nel prossimo che ti circonda e che ha tante storie uguali alle tue da raccontare, ma non ha il coraggio di dirle.