LA FILOSOFIA AL MERCATO

LA FILOSOFIA ANDO’ AL MERCATO

La Filosofia andò al mercato

e un cavolo comprò,

in Atene,

nell’agorà di Atene,

nella polis ateniese,

tra Logos e Crazia,

Filos Sophia,

Filossophia,

Logoscratia,

la ragione al potere,

Filosofia,

amore del sapere,

sapore del sapere,

pathos e logos.

Filosofia povera e nuda,

senza padroni,

curiosa come Talete,

profonda come Anassimandro,

dinamica come Anassimene,

oscura come Eraclito,

quadrata come Pitagora della Magna Grecia,

teologica come Senofane,

profonda come Parmenide della Magna Grecia,

paradossale come Zenone,

astrofisica come Melisso,

omeomerica come Anassagora,

atomica come Democrito,

umana come Protagora,

sofista come Gorgia,

libera come Diogene,

insinuante come Socrate,

nobile come Platone,

scientifica come Aristotele,

sacrale come Zenone,

critica come Pirrone,

popolana come Epicuro.

La Filosofia andò al mercato

e un cavolo comprò in Grecia,

in Magna Grecia.

L’angoscia di morte fu ben servita allora.

LA FILOSOFIA VA AL MERCATO

La Filosofia va al mercato

e un cavolo compra,

in Occidente,

là dove tramonta il sole,

nell’Occidente sedicente italico,

a Turin, a Milan, a Venessia,

nel Belpaese dell’arcinota e benemerita Galbani,

nel topos in odore di ricotta di mucca e di pecora,

di tricotta perché bruciacchiata in forno,

nelle terre dove anche Ercole pose li suoi riguardi

per distinguersi da Ercolino sempre in piedi,

per allontanare dalle sue nobili radici i pupazzi di plastica

e le mummie incartapecorite di sedicenti benefattori,

di infausti editori e filosofi,

di sempiterni giornalisti e opinionisti,

di critici poco critici con se stessi,

dal mattino a notte fonda in esposizione,

narcisisti,

vanagloriosi,

insistenti,

impertinenti,

insolenti,

sussurratori furtivi,

tacchenti,

insultanti,

nervosi,

non edibili,

dal mattino a notte fonda in esibizione.

Filosofia,

filia del sapere,

fobia dell’ignorare,

Crazia della Verità,

non il giornale dei puffi mangioni e sanchipanza,

ma l’Aletheia,

il senza nascondimento,

colei e colui che non si nascondono,

colei e colui che non giocano a nascondino,

colei e colui disoccultati,

amore del buon gusto,

filosofi e filosofe,

buongustai,

maitres e maitresses a penser,

cuochi e cucinieri nell’agorà,

non quella di Serenella la bella,

quella dei buffi a cinque stelle,

quella degli ex secessionisti,

dei leghisti acqua e sapone,

fancazzisti vocati e vacui,

sistemisti del nulla,

sistemici apud nihil,

speculatori di lega bassa apud prope nihil,

di bassa lega,

di un quasi niente che è sempre un qualcosa di poco,

di molto poco,

non certo les philosophes sur le pont de Bercy avec Juliette,

non certo i filosofi trotterellanti sul lago di Barcis con Sabine.

Socrate insoddisfatto è meglio di un maiale ripieno alla cannella.

La Filosofia va al mercato

e un cavolo compra

presso la bancarella di Tanina,

di Ciuzza e di Mariuzza,

tutte in tivvù,

macchiette in tivvù,

fumetti in tivvù,

filosofi de Venessia e de Milan,

baffi dentro la barba e sotto i capelli,

Filosofia sedicente a pagamento giornaliero,

ad andamento continuo e persistente,

filosofi da fetida laguna e da novelle tremila,

le mille e tutte in una notte,

filosofi da decamerone,

dieci camere in dieci giorni,

dieci giorni in dieci camere,

virus,

virologi,

virus onniscienti e virologi sapienti,

prediche,

sermoni che sanno di grasso di maiale,

di sego di candele da osteria e da chiesa,

salotti italiani e nostrani come i polli e le loro uova,

si balla sotto le stelle e nelle stalle,

si sballa sempre sotto le stelle e nelle stalle,

giornali,

ospedali,

spettacoli dei soliti e controsoliti ben noti,

notissimi alla plebe e alla plebaglia rissosa,

malfamati nei migliori salotti di Caracas,

reti per pescatori,

reti per allocchi,

reti visive dove si litiga,

si grida,

si boicotta,

si saltimbanca,

si prevarica,

si minaccia,

alla prima che mi fai ti licenzio e te ne vai,

sor Pampurio e il marchese,

tutto a pagamento,

tutto saldato dagli amici dei miei nemici,

ex amici.

Ecco,

la misura dell’ignominia è colma,

il solito obsoleto capocchione onnisciente si alza e s’adira,

il direttore del puffo con voce squillante grida adelante,

alla prossima e memento soldi,

fratelli trappisti,

che ripetono replicanti,

memento skei,

ricordati di pagarmi,

i soddi ma ddari,

dicono che non dicono,

non dicono dicendo,

virus mentale impazza,

impezza,

impizza,

impozza,

inpuzza,

irrompe anche nel bar da Pippo dove si pappa,

cade nel pozzo che puzza

dove Pippo mangia una pizza,

dove Peppa fa una pippa a Pippo e viceversa,

la tivvù ammazza,

contagia,

memento mori dei trappisti,

fratelli e sorelle ricordatevi che dovete tener duro,

dicitici a sinnicu vuosto

ca nui cacammu tuosto,

fratelli,

sorelle,

misti e misticamza,

affini e collegati,

le chiese sono chiuse ormai,

come le case della senatrice Merlin,

i preti dove sono,

non ci sono,

mancano i monaci,

chiusi i conventi,

aiuto,

aita aita,

siamo soli,

dio è morto,

anche le sardine sono morte in questo mare di guai,

gli addivenienti dei dove sono,

non ci sono,

i politici e i miscredenti hanno ucciso anche dio,

siamo rimasti soli,

quali dei si profilano in cotanta goduria da grande fratello,

tutto a pagamento,

tutto si compra,

tutto ha un prezzo,

anche il deretano di Gaetano,

tutto al silicone,

tutto al botulino,

arriva il puffo a cavallo dei suoi testicoli consunti,

il puffo,

il famigerato,

il beneamato e purcaro o porcaio,

che porcheria,

che guaio,

che peste,

che morte,

che fine da eccesso e da difetto,

est modus in rebus,

sunt certi denique fines quos ultra citraque

nequit consistere rectum,

aprite le chiese

chiudete la tele,

forgiate le tele,

Penelope,

donne è arrivata Penelope,

insegna nell’agorà

a fare la tela e becco finalmente il marito.

La Filosofia va al mercato

e un cavolo compra.

La morte senza angoscia è ben servita.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 20, 01, 2021

 

TUTTI O QUASI NESSUNO

Tutti abbiamo bisogno di un dio,

io nodio,

tutti abbiamo bisogno di un santo,

io nosanto,

tutti abbiamo bisogno di un padre,

io nopadre,

tutti abbiamo bisogno di un grande fratello,

io nograndefratello,

tutti abbiamo bisogno di un drago,

io nodrago,

tutti abbiamo bisogno di una reliquia da baciare,

io noreliquia e tanto meno da baciare,

tutti abbiamo bisogno di un vaccino,

io novaccino,

tutti abbiamo bisogno di un green pass,

io nogreenpass,

tutti abbiamo bisogno di un super green pass,

io nosupergreenpass,

tutti siamo questuanti e replicanti,

tutti siamo claudicanti e impertinenti,

tutti siamo insolenti e sbeffeggianti,

tutti siamo sciancati e svarionati.

Anche tu, mona!

Per il momento dimmi, per favore e per forza, chi sei,

altrimenti chiamo i carabinieri,

la polizia,

la finanza,

la forestale,

i vigili urbani e municipali,

chiamo Bepy mona,

chiamo sempre qualcuno,

chiamo il capo dei capi,

colui che si chiama Gino,

non Gino ginettaccio,

il maledetto cagnaccio in bicicletta,

Cerutti Gino,

l’amico di Giorgio,

quello del bar del Giambellino,

il figlio del ciambellano della riforma fascista del vocabolario,

per l’appunto ridetto ciambelculo,

Cerutti Gino,

quello che chiamavan drago,

gli amici,

sempre al bar del Giambellino,

dicevan ch’era un mago,

era un mago,

era un mago,

il napoletano delle tre carte nella fiera di Godega di sant’Urbano,

quello che incanta il bilancio all’incanto,

quello delle tre banche e delle sette sorelle,

quello dei quelli della signora Orietta,

tu sei quello

che s’incontra una volta e mai più,

meno male,

meno male che tutto va bene,

meno male,

meno male,

meno male che niente va male,

meno male,

meno ma.

Basta,

basta una sola volta,

la seconda non riesco,

la seconda non la reggo,

ho la mia età,

ho i miei traumi

e non posso esternarli in tivvù

dalla signora dei traumi antichi e anali,

quella dell’università goliardica e arruffona

che fonde e confonde le tette con le gote,

basta una sola volta,

mi creda,

egregio perito di laboratorio e tecnico dell’assicurazione,

egregia infermiera che sgobbi,

egregio dottore della tele,

egregio professore del santo Camillo e del santo Raffaele,

profeti messi insieme a ciucciar coca cola e ciupaciupa,

i nostri leccalecca dell’infanzia inquinata dal d.d,t.

ai bordi del lettino dell’orfanotrofio Fatebenefratelli,

basta una sola volta,

perché altrimenti son veramente cazzi vostri.

Intanto balliamo con le stelle sotto le stelle,

non nelle stalle del potere,

le stanze della lirica e le strofe della poesia

che odorano di palle di merda e di celluloide.

Intanto balliamo con le palle e le sventole.

Domani ci penseremo,

domani penseremo chi vuoi for president.

Noi vogliam dio che è nostro padre,

noi vogliam dio che è nostro re,

noi vogliamo il puffo con i capelli incollati,

noi vogliamo il buffo in costume da bagno sulla spiaggia di Scilla & Cariddi,

noi vogliamo il pacioccone con il maglione di turno,

noi vogliamo la vispa Heidy con le lentiggini sul desco patrio fiorito,

noi vogliamo essere padroni,

ma nessuno è padrone di se stesso,

noi non siamo seguaci di Karl, del baffone e del capellone,

noi seguiamo il vento come tira a Monza

e come non tira nella bonaccia della vecchiezza.

Intanto ho bisogno di una rete o di un prete,

una buona rete di nylon e un buon prete di lana caprina,

dammi una rete e un prete

per pescare gli uomini di buona volontà

e le donne ingenue e giuste

che vanno dalla sgionfa e dalla brisolada

a far menate oscene in pubblico pagante,

voglio una rete tivvù per dire stronzate stratosferiche,

per fare potacci con i tortelli e potaccetti con il ragù,

per sbarcare il lunario cotidie e con la giacca double face,

per fare spettacolo da filosofo sempre incazzato

e da mattaccin del beneamato circolo Picnic,

per vendere il panettone delle quattro sorelle vergini e gravide,

per giocare con il mercante in fiera,

in casa in ospedale,

dappertutto,

un mercante dappertutto.

Tu aiutami,

tu che sai e che non sei,

dammi il salario per il sale,

dimmi che tutti siamo liberi e schiavi,

tosatei imberbi e putee in menarca,

gente mai cresciuta in questo diuturno ballo di san Vito,

mentre il fuoco di sant’Antonio impazza nelle piazze e nei circhi,

tose nobili e timidette,

tosatan dalla vita bassa nei pantaloni e nelle palle,

tutti imbroglioni della migliore risma di carta marcata Fabriano,

tutte imbrogliate dalle multinazionali del petrolio e del crimine,

dagli editori a largo profilo,

dalle influencer di riferimento,

mentre in Siria nasce un bambino dagli occhi cerulei

e in Afganistan nasce un bambino dagli occhi neri.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 24, 12, 2021

CONTAMINAZIONE N° 77

PRIMO TEMPO

Vorrei coprir la tua bocca di baci,

di baci,

di baci,”

(ma non si può

perché sarei irriguardoso,

così invasore,

così invasivo,

mi condanneresti all’oblio,

il tuo oblio

e io ne morirei),

per dirti quanto mi piaci,”

(ahi ahi ahi,

non esageriamo con le parole,

qui si rasenta il peccato originario,

il maschilismo atavico e antico,

la libido acritica e testicolare,

non siamo mica epicurei,

tanto meno edonisti,

di quelli che non tengono le mani e gli attrezzi a posto

e non riconoscono i figli che hanno seminato

in lungo e in largo per boria narcisistica

più che per la pietas di Enea),

e poi tenerti sul cuor,”

(con il ricorso al cuore

e alla cardiologia letteraria di tutti i tempi

posso finalmente riparare

il tentativo di un eventuale maltolto

e dell’offesa al corpo mistico e diplomatico

della serenissima repubblica di Malta,

là dove il buoncostume alberga e indomito regna,

presso la donna di provincia in mezzo al mare

e non di bordello).

FINE PRIMO TEMPO

SECONDO TEMPO

Ma non si può,

in ogni caso e con ogni eventualità,

non si può semplicemente perché

io non so parlar d’amore”,

(parole, parole, parole,

parole, soltanto parole,

parole d’amore di quel Verbo che in principio fu,

di quel for, faris, fatus sum, fari,

notoriamente inteso come Fato dagli stenterelli,

da coloro che si svendono in tivvù per un ricco lesso,

il Fato,

notoriamente da intendere come ciò che è stato detto,

checché ne dicano il puffo,

il buffo,

il pacioccone

e la vispa Teresa),

l’emozione non ha voce”

(semplicemente perché l’emozione grida,

ciò che si muove dentro sbraita,

sbareghea,

ietta vuci,

crie,

scassa le balle

e sconquassa il cardiocircolatorio apparato,

ha tutto un corpo a sua disposizione per la grancassa,

per fare bene le sue cose e a puntino il suo dovere),

e mi manca anche il respiro”,

(no covid,

no vicks vaporub,

no paracetamolo,

si tratta di una semplice somatizzazione d’angoscia

da sindrome abbandonica,

quanta solitudine sin da piccolo,

tanta solitudine,

tanta solitudine da sempre,

quasi cent’anni di solitudine,

italica e non sudamericana,

sicula per la precisione,

orfano di padre,

vedovo di madre,

certo che potevo parlare con me stesso,

ma il maestro non me l’aveva insegnato

e io speravo di cavarmela,

mi circuiva come un chierico

e io non sapevo che fare),

se ci sei, c’è troppa luce”,

( lux fiat et lux facta est

nella tua splendida persona,

una maschera oscena da opera dei pupi,

o Ganu di Maganza

tiriti la distanza,

l’ammazzasti a Guerrin

detto il meschino,

a metà tra un dio tra i tanti sul mercato

e una marionetta dipinta in acrilico,

abbagliami,

straziami,

non baciarmi al buio,

potrei morirne,

di cotanto oltraggio potrei morire

folgorato sulla strada di Floridia

mentre sono in cerca dell’Eldorado,

mentre creo il cielo e la terra

con il sudore della fronte,

come il Primo disse in quel tempo

quando creò il Tempo)

la mia anima si spande come musica nel vento”

( la musica nel vento seduce,

porta via le cambiali scadute e mai pagate,

attizza lo spread senza l’invasione del puffo

che paga la mia anima in via dell’Olgettina

e direttamente in Egitto,

presso le donne furbette del cortile

che mostrano il deretano al pellegrino

che ansante cerca ancora la strada

che porta alla Mecca,

a quella pietra nera che è caduta dal cielo

perché stanca di ballare con le stelle),

e la voglia sai mi prende”

( quella non manca mai nelle stalle popolari

e nei bassifondi della pianura padana

tra moscerini attizzati e mosche pudiche,

tra zanzare longobarde e zecche nostrane,

mamma Piero mi tocca,

toccami Piero

che la mamma non c’è,

come faccio a corteggiarti

se mi respingi in una con i baci di Perugia,

con i mon chery de Turin al dolce sapore di ciliegia,

con quel cesto di ricci di mare

che raccolsi spinandomi sulle coste di Brucoli ),

e si accende con i baci tuoi”

( la ragazza del mio cuore sei,

tu lo sai,

ma baciare non ti posso mai,

sempre con la mamma te ne stai

e sola non vuoi uscire mai con me,

allora che amore è il nostro,

un brodino di pescetti e di calamari,

un fritto di paranza che nuoce alla panza,

no,

io non ci sto

e non mi accendo come un accendino

a tuo piacimento e a tuo complemento,

io voglio l’armonia e la simmetria,

io ambisco a un’armonia simmetrica,

sarà troppo,

sarà impossibile,

ma io ti voglio baciare

dopo averti sposata,

così parlò Zaratustra

e più non dimandare

perché altrimenti rompi,

rompi quell’armonia costruita intorno a te

da qualche banca in vena di sollazzi.)

FINE

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 24, 02, 2022

MARZO 2021

Oh giornate del nostro riscatto

Oh dolente per sempre colui

Che da lunge, dal labbro d’altrui,

Come un uomo straniero, le udrà!”

Quanta retorica,

Alessandro il cattolico,

per una patria che non c’è!

Quale riscatto?

Quello dei mercanti in odore di politica

o quello degli ignoranti nemici di Platone?

Cosa vai blaterando insieme a Giacomo da Recanati

per quell’Italia che non c’era,

per questa Italia che non c’è.

Lo vanno dicendo in tivù i furbastri menagrami

per quest’Italia che non c’è.

Siamo stranieri e siamo dolenti,

siamo lontani l’uno dall’altro e senza labbra.

Chi ci ascolterà?

Chi ascolterà le nenie delle madri

e le prediche dei padri,

chi ascolterà un popolo muto

accovacciato come un cane ai piedi del nuovo padrone?

Dopo il puffo arriva il buffo,

dopo il puffo e il buffo emerge dalle fogne il pacioccone,

il pericolo dell’inconcludenza,

la voce del padroncino.

Che a’ suoi figli, narrandole un giorno,

Dovrà dir sospirando: “Io non c’era;

Che la santa vittrice bandiera

Salutata quel dì non avrà.”

Io ho fatto il militare a Lecce, a Palmanova e a Caserta.

Avevo la divisa color sabbia e il fal americano,

ero capo di un carro armato americano,

di quelli abbandonati dagli yankee

dopo le loro scorribande al whisky e al napalm,

dopo i figli, neri e bianchi, abbandonati in giro per il mondo.

E anche dietro la collina c’era la Morte cupa e assassina,

quella dei pazzi terroristi che uccidevano il fratello e i fratelli.

Quanta vergogna, quanta follia!

Un fantasma si aggirava per il Globo,

il fantasma del Comunismo,

il fantasma del Fascismo,

il fantasma del terrorismo.

Cosa vuoi che ti racconti,

o figlio,

di questi tragici momenti

in cui ci si ammazzava per diletto tra di noi,

tra fascisti e comunisti,

tra celerini e studenti,

tra caramba e operai.

Cosa vuoi che ti racconti,

o figlia,

di cosa nostra e cosa vostra,

dei giudici morti ammazzati e dei politici che li abbandonarono,

del pane di casa e delle panelle di stato.

Si è voluto così colà

dove ancora si puote ciò che si vuole.

Abbiamo chiesto,

ma non ci è stata data risposta alcuna.

A noi prescrisse il Fato ignota e illacrimata sepoltura.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 13, 05, 2021

ELOGIO DEL BATTAGLIONE

Attenzione,

battaglione,

c’è la mucca col pancione

e non sono stato io,

è stato un milite ignoto,

un maschio sconsiderato e mai morto,

un uomo assente e sempre vivo,

un similpelle umana di plastica,

un padre impietoso non pervenuto,

un paron dalle belle braghe bianche

e con tanto di palanche nelle tasche oscene.

Attenzione,

battaglione,

un marrano ha ingravidato la tosa,

un fanfarone ha messo il naso nella marmellata

e ha tanto ciucciato di gusto

da mordersi la lingua e le labbra,

ma non ha usato le dita

per ripulire il vaso,

ha pisciato fuori dall’orinale di porcellana

in vendita da Floresta in via Cristoforo Colombo

al numero civile 1942.

Attenzione,

battaglione,

c’è il fango sullo stradone,

la miseria che il cielo ha mandato,

dall’alto e dal basso per non sbagliare,

per una par condicio politicante allo sbaraglio,

il Puffo e le sue tivvù,

il Buffo e le sue fregnacce.

Oh che giorno beato il ciel ci ha dato

ricoprendo di fieno le mele della mia cascina,

offuscando di dolore le fragole della mia piccina.

Viva, viva Mariarosa,

non quella della marmellata o del lievito Bertoldino,

la pulzella che è chantosa,

che combina in un batter d’occhio

pane, amore e fantasia

sulle tavole del teatro della val di Fassa

con la gente che si sconquassa,

con la gente che si scompiscia,

con la gente che si attizza

al suo ridere elegante in un’avanguardia luccicante

che è solo la follia delle parole,

italiane,

francesi,

spagnole,

le creature più belle del mondo

che parlano in lingua corposa a Mariarosa,

la pulzella che fa la chantosa,

che mostra il deretano al mostro

che in varia misura ha colmato la sua indegnità.

Oh tosa chantosa!

Oh discrimine del Bene e del Male!

Oh madonna delle maldicenze,

mostraci le gambe scosciate

come i fusilli dei polli spellati ad arte

nel bancone del super conveniente mercato delle pulci!

Oh madonna dell’imbroglio,

indicaci la strada della verità,

la via del disonore,

l’impresa della spazzatura mafiosa

che accende roghi per la nostra Giovanna dell’Arco

durante il raro temporale d’agosto!

Donna e domina,

fammi morire di diossina,

inquinami le poche cellule

ancora detenute in questo corpo gramo

che aspira dal culo coca buona

e stronzate varie dai giornali della tele

di quel fesso che comanda anche la povera regina!

O amorevole signora nostra Morte,

dammi le chiavi della questura e del tribunale,

nonché della caramberia fedele e inurbana,

per protestare le mie lettere di cambio

acquistate dal monaco impostore

che con la questua si comprava il coniglio

dallo zio Gesualdo nel mercato di Ortigia!

Sia resa grazia alla signora Cannarella

in via Emanuele Giaracà al civico 23,

il numero che in cabala popolana traduce il culo,

che denunciò il misfatto al maresciallo Vittorio u babbu.

Attenzione,

battaglione, avanti march!

Un, due,

un, due,

op, tuì

passo,

passo,

segnare il passo,

un, tuì,

un, due,

un, due.

Battaglione, alt!

Sergente di cavalleria

Salvatore Vallone

da Siracusa

Carancino di Belvedere, 01, 09, 2022

ELOGIO DELL’ARDIMENTO

Ci siam sbattuti un dì della galera,

ci siam sbattuti delle teste di cazzo,

per preparare questa gente forte

che adesso se ne sbatte de crepar,

il mondo sa che la camicia bianca

si indossa per combattere e morir.

Per il duce e per la morte

per chi ancora ha chiappe rotte,

una è la parola d’ordine,

una è la precisa volontà:

vincere,

bisogna vincere

e vinceremo in terra, in cielo e in mare,

o faccetta nera di via Cavour in Abissinia,

aspetta e spera che già l’ora si avvicina,

quando saremo vicino a te,

avrai in dono una bella casa con bidè.

Ci siam sbattuti un dì di Salvatore,

ci siam sbattuti de sta testa di mazzo,

per preparare un mondo gran pagliazzu

che adesso vuole anche trionfar,

il mondo sa che la camicia rossa

s’indossa per combattere e morir.

Per il kaiser e per la morte

per chi ancora ha chiappe rotte,

una è la parola d’ordine,

una è la precisa volontà:

vincere,

bisogna vincere

e vinceremo in tutta questa spazzatura

senza curare i modi,

ma guarda e passa dall’altra banda,

tra i neri pensieri che i capetti schiudon novelli,

tra le calendule e le violette romanesche

che insultano il milite ignoto

e sputano sull’arcobaleno omo et etero.

Ci siam sbattuti un dì del gran buffone,

ci siam sbattuti delle sue fregnacce,

abbiamo messo in cielo tutte le stelle

e adesso non parliamo più di qualità,

neanche a teatro,

per preparare questa gente ignara

che oggi se ne sbatte de travagliar,

il mondo sa che la camicia a pois

s’indossa per combattere i coion.

Per il buffo e per la morte,

per chi ancora ha chiappe rotte,

una è la parola d’ordine,

una è la precisa volontà:

vincere,

bisogna vincere

e vinceremo in tutti i teatri del centro e della periferia,

come faremo senza giangiaques,

senza skey e senza posperi,

ma con tanti coioni ancora tra le palle.

Al grande Puffo l’ardua sentenza.

Facce ridere,

facci il ponte sullo Stretto e sul Largo,

ah facce tanto ridere,

grande Buffo,

che di Teresine e di Matteucci son vispe le fossa.

Famme ride,

ti prego,

che so triste da morire.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 15, 08, 2022

L’ELEFANTE

L’elefante è un fante elegante,

ripieno di sole malato,

farcito di ricotta montata con panna,

un angelo messaggero che sa ben parlare,

for faris, fatus sum, fari,

un Ermes teos ladruncolo e magnaccione,

un Gabriele arcangelo dell’impossibile e seduttore,

un fante di cuori per gli innamorati obesi,

un fante di picche per gli illusi di sempre,

un fante di quadri per gli artisti spretati,

un fante di fiori per i romantici illuministi,

l’elefante è un fine dicitore della Napoli di un tempo,

il solito signor Ciro Esposito da Forcella,

l’elefante a Catania domina la piazza del Duomo,

u liottru,

mezzo leone e mezzo troione

con i ciondoli ciondolanti di vera lava etnea,

firmata e garantita,

doc e dop e dog,

nei pressi dell’università sfascista,

nera come la lava del Mongibello

dopo lo sbrodolamento,

nero come l’occhio di Polifemo

dopo la visita di Ulisse.

Adesso continua,

o donna furbacchiona in vena di sballo,

continua tu.

Pe minchionallo a un poeta na regazza

gli agnè de domandà

si ch’ora era,

ma il vate furbo che capì la guazza

le diede na risposta a sta maniera,

se sta tunica de lana fosse bronzo,

che campana,

mia bella mora,

adesso sentiresti batter l’ora.

Ita locuti sunt Claudio e Gabriella,

le buonanime de la Roma de na vorta,

la Roma furastiera

che adesso è in mano al nano,

alla caciottara,

al buffo,

al puffo,

al bontempone dalla faccia a pagnotta milanese,

a panettone,

a pan de Tony.

Cosa vuoi farci?

E’ il prezzo della storia,

la storia di un popolo che purtroppo c’è.

E come se c’è!

Allora si cambia registro,

si cambiano anche le mutande,

dal tanga al tango,

dal perizoma al peripatetico.

E quinci il mar da lungi e quindi il monte.

L’apparenza non è realtà,

mio caro,

mia cara.

Vivo come se tu non ci fossi,

ma lo sguardo cade sempre sull’elefante nella stanza.

Nessuno lo vede,

credo.

Lo vedo io

e mi balocco in questo gioco di assenza virtuale,

pensando con gioia alla tua degna presenza parallela.

Anche luglio sta passando

e il caldo e la lunghezza delle ore.

Varchi di luce piena distraggono il mio pane quotidiano.

Di questo ti ringrazio

e di molto altro ancora.

Non ti rivedrò mai più,

ma non importa,

tu resti dentro la mia casa con pavimenti d’erba.

Buonanotte,

ti sognerò.

Dopo mi affiderò al dottore dei sogni.

Sava

Carancino di Belvedere, 20, 05, 2022

POESIA IN FA MAGGIORE

Adorata e fermentata Antonia,

mia Antonia indorata e fomentata,

pillola agognata e nutrimento ad hoc

per i crudi nel cuore e nelle carni,

è Fernando che ti scrive,

il tuo Fernando,

Fernando il Savio,

nostromo dell’Hispaniola e Re di tutte le Hispanie,

e ti parla come il Grande Giovanni

di quel Tempo che verrà,

l’annunciatore in tv e in press

dell’avvento dell’Apocalisse

e del ritorno del Verbo

per mietere il loglio

e fare finalmente un buon pane di casada

con il nostro grano quotidiano,

un Fernando Giovanni che non sa chi tu sei,

chi ti ingloba

e ti satolla tra le sue spire vitali,

chi gode dei tuoi ardenti baci

e compra le tue cartoline libiche,

di quella Libia che non c’è più

e dove ancora dorme mio fratello Giovanni,

non quello di Ugo,

quello di Salvatore,

un Fernando Giovanni che ben sa sulla sua pelle

quanto di giorno tu turbi i sonni miei

con i deliri quotidiani di tante vere e vane verità,

russe e non russe,

antirusse e filorusse,

condite con le mille vanità di journal et journalistes,

con le pose antiche di Senechi e di Seneche

in attesa della volontà perversa di Nerone

durante l’ultima sciocchezza quotidiana

inferta allo schermo lucido di rate senza interesse,

con le movenze truffaldine di una Mafalda in ghingheri,

di una donna che non so chi sia

quando si sposa con il turpe Narciso

e si accoppia con le sue mille bellissime immagini.

Io non so chi tu sei,

ma Tosca mi sembri dalla tua favella del tempo di mezzo,

in questo Mare di mezzo alle Terre emerse e scomparse,

in questo Atlantide crollato dopo l’ultima barzelletta sui caramba

recitata agli amici dal Puffo Paffo inpiduato,

la rovina d’Italia postcraxista e pulita nelle mani,

pur sempre ricca d’ignoranza e di ignoranti,

di netturbini imboscati e di spazzatura immobiliare,

Tosca tu sei

e vieni dalla regione aulica dove il Sì suona,

dove si posa e si deposita in quella favella disonesta

alla qual, forse, io fui troppo molesto e maldestro,

nonché inetto, indolente, accidioso, incurioso.

Ma se le mie parole esser dien seme

che frutti infamia alla tua persona,

mi vedrai urlare e lagrimare insieme

e insieme alla premiata ditta Pippo & Paolo

in quel paese in cui la nonna Pina,

famosa con i caroselli danteschi

e fumosa con le sue mannaie di terracotta,

ancora impasta le tagliatelle con la farina dell’Ucraina,

dove ancora ti danno del tu e del ti

insieme a un maschio e una femmina a volontè,

come democrazia rousseauiana vuole

e impone con tanto di gentilezza e di buona crianza.

Adorata e crogiolata Antonia,

non curare la mia punteggiatura,

non emendare la mia eccelsa Logica,

non censurare i miei sensi e controsensi,

io sono vittima insana di dissennatori acuti e persistenti,

piacciati di restare in esto loco,

piacciati di liberare le affannate anse

che divulgano quelle verità umide

che si nascondono tra le tue sapienti cosce,

sempre disposte a non far niente con un maschio,

come le donne fasciste di quella volta in cui

io provai a chiedere un contatto del mio tipo.

Ebbene,

mia cara Lucia,

tu mi hai respinto,

mi hai bocciato,

mi hai scartato,

quella volta tu mi hai respinto, bocciato, scartato.

Allora e soltanto allora mi hai detto

che tuo zio abitava da quelle parti

e che, se ti avesse visto con un giovane ragazzo lindo e savio,

ti avrebbe ucciso insieme a lui

per la quotidiana e normale pratica della violenza

in quel mondo di terroristi malvagi,

di uomini poveri in camicia di un tetro colore

e di donne in cammino chirurgico

verso la maternità di un maschio migliore.

So che sei rimasta incinta di un mio bel pargoletto

durante quel san Lorenzo che ti ha portato in cielo

tra le mille e mille fiammelle fatue di un cimitero extraterrestre.

Fanne tesoro

e custodiscilo in saecula saeculorum.

Amen.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 15, 05, 2022

A PROPOSITO

Domani ti comprerò un orsacchiotto di pelouche

per i tuoi giorni bianchi e neri,

per le tue notti brave,

per i tuoi dì tutti da venire a visitarti.

Ti meraviglierai

del fatto che mi sono ricordato di te in tanta tempesta virale,

perché dovrei pensare a non tirare le cuoia in tanto bordello,

ti ricorderai del gioioso nocchiero

che ti ha condotto per mari e per monti

in mezzo alle tempeste della vita

senza trovare porti utili per un approdo funesto.

Mai approdare, ricordati o Lucifera!

A proposito,

sai che la bestia umana,

il capolavoro della creazione secondo gli illusi della fede,

ha ucciso novantasette milioni di squali

per mutilarli delle pinne a favore di un membro umano

già morto nel cervello insano del portatore ignoto,

ha trainato ventisette miliardi di tonnellate di pesce azzurro

per la frittura mista di paranza

da consumare anche in un fetido antro di Ortigia,

ha ucciso Graziella e Lello per il bene della razza,

per poter procreare esseri superiori,

quasi come gli dei che ancora onoro e adoro

presso la cappella dello Spirito santo

nella chiesa di riviera Dionisio il grande.

A proposito,

domani ti porterò un piccolo dio

da mettere nel tuo altare di casa,

un Lare a perpetuo ricordo di quello che eravamo

e di quello che siamo,

a profonda ignominia di quello che saremo.

L’idolo avrà muscoli da palestra

nel petto rubicondo e nel costato tartassato,

avrà la tartaruga intatta e sopraelevata come il ponte Morandi,

sarà avvolto da un medioevale drappo rosso

negli organi dell’orgoglio,

almeno fino a quando l’iconoclasta Matteo & Matteo

non deciderà di far cadere il governo.

A proposito,

tieniti sempre forte

tra i deliri della televisione e le prediche dei giornali,

pecca fortiter, sed crede fortius,

strafottitene,

tieni spento l’elettrodomestico infausto in questi tempi duri

perché i dissennatori impazzano sulla scia del grande Puffo,

rincorrendo l’esca del grande Buffo,

mentre i bambini neri aspettano il pittore in mezzo al mare

per dipingere il loro altare.

Niente ipocrisie e idiosincrasie,

tanto meno mestrui inopportuni.

Amami alla luce del sole e senza scommesse,

perché nunc bibendum est,

dum loquimur, fugerit invida aetas,

amami così,

come faccio io in uno dei tanti carpe diem

mandandoti parole & parole in dono perpetuo e perenne,

come il fiore che non marcisce ancora nelle chiese dei preti,

quelli che, se muore la signora Morte corporale,

rischiano di chiudere per sempre bottega.

Assolvimi e assolvi le mie debolezze di uomo frustrato

che vive in mezzo ai prosperi campi

tra pecore odorose e maiali obesi.

Cura ut valeas

e così domani sarà un altro giorno da via col vento.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 28, 01, 2022