Le narro un sogno che mi ha parecchio inquietato e che ha un oggetto ricorrente, ovvero gli zombie.
Ero tranquilla a casa con la mia famiglia e hanno suonato le autorità, invitandoci ad abbandonare velocemente le nostre abitazioni, preparare un bagaglio raffazzonato per noi e i bambini, e correre a ripararci in rifugi predisposti perché era imminente un’invasione di zombie.
In tutta furia sono andata in città a recuperare in un magazzino le valigie da preparare: la città era già semideserta, vedevo persone fuggire, ma abbandonati da soli trovavo tanti bambini, alcuni in fasce, altri che gattonavano o stentavano a camminare, tutti abbandonati dai genitori che presi dal panico li avevano lasciati indietro.
Ne prendevo uno d’istinto per proteggerlo, ma ero angosciata perché non potevo prenderli tutti ed avevo fretta di tornare dai miei, di bimbi, che mi aspettavano per andare al rifugio.
All’interno del magazzino, dove avevo la mia valigia rossa, ho sentito dietro la porta semichiusa di una stanza un ringhio che ero quasi certa fosse quello di uno zombie: ho comunque raggiunto la valigia, aspettandomi che da un momento all’altro il mostro uscisse da quella stanza, ma non è successo nulla e sono uscita di corsa senza problemi ma col cuore in gola.
Mi sono così diretta verso casa finalmente con una certa serenità perché ormai ero quasi arrivata…e il sogno è finito.
China
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Le narro un sogno che mi ha parecchio inquietato e che ha un oggetto ricorrente, ovvero gli zombie.”
Il sogno ricorre semplicemente perché contiene materiale psichico profondo che non ha ancora visto un’adeguata luce della coscienza e non ha trovato la giusta consapevolezza. Il sogno spurga i fantasmi e li seduce allettandoli in maniera truffaldina. Gli “zombie” rappresentano la parte psichica inanimata, quella dimensione psichica che non ha trovato nell’esistenza un adeguato riscontro oggettivo, i desideri importanti e tralignati in angosce, i bisogni inappagati e vaganti nel teatro profondo.
“Ero tranquilla a casa con la mia famiglia e hanno suonato le autorità, invitandoci ad abbandonare velocemente le nostre abitazioni, preparare un bagaglio raffazzonato per noi e i bambini, e correre a ripararci in rifugi predisposti perché era imminente un’invasione di zombie.”
China sta bene nella sua dimensione psichica, ha maturato una organizzazione stabile che le consente di vivere in maniera degna con l’equilibrio conquistato. Ma il “Super-Io” è riottoso e ogni tanto fa le bizze. “Le autorità” che suonano alla porta rappresentano il sistema delle censure e dei limiti e sono foriere di dolore in quanto trascinano sensi di colpa. La “invasione di zombie” è chiaramente l’avvento tirannico del “Super-Io” che presenta il conto delle colpe nella forma angosciante dell’animato minaccioso perché rappresenta ciò che non ho fatto o non ho potuto fare.
“In tutta furia sono andata in città a recuperare in un magazzino le valigie da preparare: la città era già semideserta, vedevo persone fuggire, ma abbandonati da soli trovavo tanti bambini, alcuni in fasce, altri che gattonavano o stentavano a camminare, tutti abbandonati dai genitori che presi dal panico li avevano lasciati indietro.”
“Le valigie da preparare” rappresentano il grembo materno, “i grembi materni”, le gravidanze attese e vissute, la pulsione alla maternità, la “libido genitale” di una donna dispostissima alla figliolanza e all’accudimento. Il “magazzino” rappresenta la dimensione preconscia di China dove risiedono i vissuti conflittuali e i tormenti dell’animo femminile. La solitudine della donna e delle donne si manifesta nella “città semideserta”, nelle “persone” che fuggono di fronte a un evento delicato e a una scelta etica: l’abbandono psicofisico dei bambini, la solitudine angosciante dell’infanzia. China ha sperimentato sulla sua pelle l’abbandono e la scelta di portare avanti una gravidanza da sola e contro i giudizi altrui. I suoi genitori non saranno stati accudenti e premurosi nei suoi vissuti infantili e la famiglia ha risentito di una pulsione egoistica dei suoi componenti. La sensibilità di China verso l’infanzia è altamente delicata e quanto traumatica nella sua sostanza psicofisica. Il “panico” dei genitori rappresenta l’immaturità alla cura e all’amore verso i figli.
“Ne prendevo uno d’istinto per proteggerlo, ma ero angosciata perché non potevo prenderli tutti ed avevo fretta di tornare dai miei, di bimbi, che mi aspettavano per andare al rifugio.”
Persiste l‘ipersensibilità di China nei riguardi dell’infanzia, dei bambini e dei figli. Persiste la manifestazione nevrotica o conflittuale dell’istinto materno in questo teatro femminile onnipotente che mostra i bimbi e i figli. Quanta angoscia e senso depressivo di perdita in questa donna che ha contato le sue uova da fecondare, le sue mestruazioni! Il “rifugio” rappresenta il grembo materno protettivo, quello che esula dai conflitti inutili di stampo sociale e politico: i figli sono figli e vanno amati tutti indistintamente. Ritorna la lezione di Edoardo De Filippo nella splendida Filumena Marturano. I figli sono delle madri e saranno le donne a proteggerli dalle mille violenze dell’universo maschile. Istinto, “ne prendevo uno d’istinto” ed “ero angosciata” fanno il paio e vanno di pari passo in questa fiera dell’orgasmo materno.
“All’interno del magazzino, dove avevo la mia valigia rossa, ho sentito dietro la porta semichiusa di una stanza un ringhio che ero quasi certa fosse quello di uno zombie: ho comunque raggiunto la valigia, aspettandomi che da un momento all’altro il mostro uscisse da quella stanza, ma non è successo nulla e sono uscita di corsa senza problemi ma col cuore in gola.”
Da bambina China ha immaginato il rapporto sessuale con il maschio in maniera violenta e mortifera. “Magazzino” è simbolo dell’Inconscio, la dimensione psichica dove China ha riposto le sue fantasie sul tema del coito e della sessualità. La “valigia rossa” condensa il grembo femminile e l’apparato recettivo sessuale, magari nel periodo mestruale. La porta semichiusa e il ringhio ipotizzano la bambina che, suo malgrado, ascolta il coito dei genitori nella stanza accanto, la famosa “scena primaria” realmente vissuta o soltanto immaginata. Lo “zombie” in questo caso è il maschio che dà la morte nel momento in cui feconda, l’angoscia della fecondazione più che della penetrazione. C’è di tutto in questo capoverso a conferma del tema ampio e poliedrico che China sta elaborando dormendo. Ci mette dentro di tutto a conferma di quanto sia stata turbata e disturbata durante la sua infanzia da queste dinamiche psicofisiche. Ci mette anche la soluzione di tanto trambusto esistenziale e sessuale: sono cresciuta e diventata donna pienamente consapevole e autonoma. Del maschio non ha più angoscia e tanto meno del coito, resta soltanto la giusta ansia tra il senso e il sentimento, la libido e l’amore.
“Mi sono così diretta verso casa finalmente con una certa serenità perché ormai ero quasi arrivata…e il sogno è finito.”
China si è ricompattata, ha razionalizzato, crescendo, il suo universo psicofisico femminile nel versante sessuale e materno. La “casa” rappresenta la sua psiche e il patrimonio acquisito nella sua esistenza: “finalmente”. Ad maiora, semper!
Avrei
bisogno di un aiuto per una interpretazione di sogni che ultimamente
sto facendo.
Sogno
molto spesso una mia vicina di casa che ho conosciuto per pochi mesi
e il 2 febbraio 2019 e’ morta
per malattia: aveva 74 anni.
Diciamo
che da subito ho incominciato a sognarla. La
prima volta che era arrabbiata con me però era nel corpo di un’altra
persona, poi un’altra volta, che ora non ricordo, in fine martedì 20
agosto 2019 e giovedì 22 agosto 2019.
Il
martedì l’ho sognata di pomeriggio. Eravamo
in un hotel che gestiva lei, era in piedi e
poi
si è
messa a
sedere. Parlavamo
con altre persone, me
compresa.
Eravamo
tutti seduti e io dicevo a questo ragazzo: “mettiti la maglietta di
Marcello burlon, visto che l’hai pagata 200 euro”. E
la signora morta (la mia vicina) rispose: “vedi, tanti genitori
fanno spendere dei gran soldi per cose di marca che potrebbero fare a
meno”.
Questo
è di martedì 20 agosto.
Poi
l’ho sognata ieri giovedì 22 agosto. Era tornata a casa e io dissi
vicino ad un’amica: “andiamo a trovare Carla, (la mia vicina
morta), so che è tornata”. Entrammo a casa sua e la trovai in
piedi vicino ad una persona seduta al tavolo. La mia amica le disse:
“ma Carla ti vedo molto bene, sei stata una grande, hai sconfitto
una malattia che è difficile guarire”.
Lei
sorrise e a quel punto si è rivolta a noi dicendoci: “vi presento
un amico, si chiama Simone Jori”. Io rimasi meravigliata e guardai
la mia amica dicendole: “eppure questo cognome non mi è nuovo. Mia
madre di cognome fa Jori”. Dopo ci disse la Carla:”volete
qualcosa da bere?” Camminò fino ad arrivare alla vetrina per
prendere dei bicchieri.
Poi
mi sono svegliata.
Se
può aiutarmi ad interpretare questo sogno, le sarei grato, grazie.
Premetto
che aveva altri vicini di casa e che conosceva da anni. Io da solo
pochi mesi, ma viene solo da me. Loro non l’hanno mai sognata e le
dirò di più. Io il mercoledì 21 andai a farle visita al cimitero e
nel sogno ero consapevole che lei era morta perché volevo chiederle
come mai stava lì e le volevo dire che io ero andata a trovarla al
cimitero e le avevo portato dei fiori.”
Il
sogno non è firmato. Chiamerò la protagonista Anonima.
INTERPRETAZIONE
CONSIDERAZIONI
La
signora Carla è il risultato dell’operazione di difesa
dall’angoscia del meccanismo psichico dello “spostamento”, a
metà tra la “traslazione” e la “proiezione”. Anonima vive
tramite la signora Carla i suoi vissuti e i suoi “fantasmi” nei
riguardi della madre. “Mia madre di cognome fa Jori” è il chiaro
indizio dello “spostamento” della
figura materna operato dalla
figlia nella
signora Carla. Il sogno espone una serie di esperienze vissute
e contrassegnate da un blando, quanto normale, senso di colpa.
“Sogno
molto spesso una mia vicina di casa che ho conosciuto per pochi mesi
e il 2 febbraio 2019 e’ morta per malattia: aveva 74
anni.”
Si
rileva la precisione delle date e degli eventi, ma soprattutto la
“traslazione” della figura materna nella vicina di casa. Anonima
sta sognando la madre e i suoi vissuti profondi nei confronti di
questa figura significativa della sua formazione psichica: “sogno
molto spesso”.
“Diciamo
che da subito ho incominciato a sognarla. La prima
volta che era arrabbiata con me però era nel corpo di un’altra
persona, poi un’altra volta, che ora non ricordo, in fine martedì 20
agosto 2019 e giovedì 22 agosto 2019.”
Degno
di nota ancora la precisione maniacale dei tempi e delle date, a
conferma di una difesa psicologica dall’emersione di contenuti
traumatici nel sogno e nella veglia, classico meccanismo di difesa
delle persone angosciate che nell’esercizio della memoria trovano
la scorciatoia per non soffrire ricordando eventi ed emozioni più
consistenti e ad alto tasso emotivo e sentimentale. “Che ora non mi
ricordo” attesta di una “rimozione” difensiva, come si diceva
in precedenza. “Arrabbiata” traduce sensi di colpa di Anonima nei
riguardi della madre, vissuti che inevitabilmente ci stanno tutti.
“Nel corpo di un’altra persona” attesta dell’uso dei
meccanismi psichici di difesa dello “spostamento” e della
“traslazione”: sogna la madre nel corpo di un’altra persona a
lei similare e compatibile.
“Il
martedì l’ho sognata di pomeriggio. Eravamo in un hotel che gestiva
lei, era in piedi e poi si è messa a sedere. Parlavamo con altre
persone, me compresa. Eravamo tutti seduti e io dicevo a questo
ragazzo: “mettiti la maglietta di Marcello burlon, visto che l’hai
pagata 200 euro”. E la signora morta (la mia vicina) rispose:
“vedi, tanti genitori fanno spendere dei gran soldi per cose di
marca che potrebbero fare a meno”.
La
madre di Anonima era una donna che dava il giusto valore ai soldi e
sapeva come spenderli, era modica e modesta. La madre che gestisce un
hotel attesta della socievolezza e delle abilità relazionali, della
sua disposizione a esserci ma non a coinvolgersi. Si ribadisce la
“traslazione” della madre in questa signora benefica Carla. Il
sogno snoda dei ricordi e associa qualche caratteristica e qualche
episodio riguardante la madre.
“Poi
l’ho sognata ieri giovedì 22 agosto. Era tornata a casa e io dissi
vicino ad un’amica: “andiamo a trovare Carla, (la mia vicina
morta), so che è tornata”. Entrammo a casa sua e la trovai in
piedi vicino ad una persona seduta al tavolo. La mia amica le disse:
“ma Carla ti vedo molto bene, sei stata una grande, hai sconfitto
una malattia che è difficile guarire”.
Anonima
offre in sogno un altro bozzetto e nello specifico la rievocazione di
una brutta malattia superata dalla madre nel corso della sua vita. La
figlia apprezza il coraggio e la capacità della madre di non
lasciarsi andare agli eventi traumatici e tragici che possono
accadere durante la vita. Trasla nell’amica quel complimento che
avrebbe voluto possibilmente dire lei stessa a sua madre. Anonima ha
una buona capacità di usare i meccanismi onirici dello “spostamento”
e della “traslazione” in maniera di non coinvolgersi in prima
persona per non agitarsi e svegliarsi.
“Lei
sorrise e a quel punto si è rivolta a noi dicendoci: “vi presento
un amico, si chiama Simone Jori”. Io rimasi meravigliata e guardai
la mia amica dicendole: “eppure questo cognome non mi è nuovo. Mia
madre di cognome fa Jori”.
Ecco
il disoccultamento di cui si diceva prima. Appare la figura materna,
“mia madre di cognome fa Jori”. La signora Carla è pari pari la
signora Jori, la madre di Anonima. La figlia ha rielaborato in sogno
la figura materna e in maniera reiterata per razionalizzare la morte
e per espiare i sensi di colpa che non ha potuto elaborare
e saputo lenire
quando la madre era in vita.
“Dopo
ci disse la Carla:”volete qualcosa da bere?” Camminò fino ad
arrivare alla vetrina per prendere dei bicchieri.”
Non
è ancora finita la psicodinamica perché la giusta conclusione è
una cameratesca bevuta. Anonima sogna in maniera discorsiva e
narrativa ed elabora pochi simboli in questo suo quotidiano sognare.
Sogna come mangia, nel senso positivo della genuinità della persona
che non è acculturata e che quindi descrive nel dormiveglia la trama
che progressivamente costruisce.
Infatti
questo sogno è stato fatto durante il risveglio e Anonima ha messo
insieme le pezze di quella relazione importante che ha vissuto con
sua madre.
“Premetto
che aveva altri vicini di casa e che conosceva da anni. Io da solo
pochi mesi, ma viene solo da me. Loro non l’hanno mai sognata e le
dirò di più. Io il mercoledì 21 andai a farle visita al cimitero e
nel sogno ero consapevole che lei era morta perché volevo chiederle
come mai stava lì e le volevo dire che io ero andata a trovarla al
cimitero e le avevo portato dei fiori.”
Anonima
ha aspirato a essere la figlia prediletta dalla mamma e
segue un ragionamento ben preciso e lineare che tende a dimostrare
che la
“razionalizzazione del lutto” è anche avvenuta, “consapevole
che lei era morta”, ma spesso associa altre figure materne con la
precisa intenzione di esprimere il suo desiderio di avere la madre
ancora viva. Il sogno si conclude con l’esaltazione del sentimento
della pietas”: “ero
andata a trovarla al cimitero e le avevo portato dei fiori.”
Di
fronte al mistero della morte e al “fantasma” psichico la
semplicità dei vissuti è veramente sorprendente nella sua bellezza.
Sarai un potente altolocato o un misero senzatetto, la democrazia
psichica esige il medesimo sentimento di rispetto e devozione.
Il sogno di Anonima è scritto in maniera chiara e scorrevole. La ripetitività di alcuni temi non toglie merito al dire e al narrare della protagonista. Anonima ha fornito elementi psico-culturali universali nello scorrere delle righe che la individuano con il nome ben preciso di figlia.
“Estraevamo con qualche difficoltà degli strani frutti rossi retati delle dimensioni di una mela dal nostro ombelico.
Mio padre ci aveva spiegato il modo di farlo. Per lo più bisognava insistere e soprattutto crederci.
A un certo punto sono seduto sul divano. Mio fratello nudo sale sul ventre di mia madre nuda a cavalcioni come a compiere una specie di copula che non era una propriamente una copula.
Trovo il corpo di mia madre assai giovane.
Giro gli occhi altrove. Poi mi sposto nell’altra stanza dove sulla mia scrivania vedo un cesto di quei frutti. Hanno al centro, nel punto in cui dovrebbe trovarsi il picciolo, una piccola chiazza bianca perlacea, simile ad una stomatite.
Mi avvicino goloso col pensiero di mangiarli, ma pensando all’improvviso al luogo da cui provengono provo un sottile disgusto.”
Gregorio
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Estraevamo con qualche difficoltà degli strani frutti rossi retati delle dimensioni di una mela dal nostro ombelico.”
Ecco il portentoso meccanismo onirico della “figurabilità” in azione!
Gregorio elabora una scena di parto, la trasla nell’ombelico al posto della vagina, rappresenta il feto con “strano frutto rosso retato delle dimensioni di una mela”. Il meccanismo funziona ed è creativo, poetico per la precisione, un’immagine che contiene un bel “fantasma” che risponde alla domanda universale: “come nascono i bambini?” Gregorio si fa assistere nel sogno, particolarmente scabroso nella sua semplicità, da altre persone, per mantenere un certo equilibrio nervoso e per non svegliarsi cadendo nell’incubo: la coincidenza del “significato latente” e del “significato manifesto”. Notare, ancora, come la figurabilità onirica rappresenta il feto: “frutto rosso retato” e la vagina nello “ombelico”, l’organo simbolico del potere della madre.
“Mio padre ci aveva spiegato il modo di farlo. Per lo più bisognava insistere e soprattutto crederci.”
Ecco il padre, colui che insegna l’educazione sessuale ai figli, “ci aveva spiegato” come nascono i bambini e anche come si fanno i bambini, “il modo di farlo”. Insomma, il padre di Gregorio ha operato nel migliore dei modi una forma di educazione sessuale, ottemperando beneficamente al suo ruolo. L’elaborazione poetica appartiene al figlio, Gregorio per l’appunto. “Per lo più bisognava insistere e soprattutto crederci” apre lo scenario al coito e alla reiterazione dello stesso, al fine di avere un buon esito per tanta prestazione sessuale. “Crederci” lo decodifico dal latino come “affidarsi” a se stessi e alla donna con cui si è in relazione. Insomma: se vuoi un figlio, procedi con sicurezza e fiducia, sicut pater docet e come figura di riferimento privilegiata specialmente per un figlio maschio. Tutto bene fino a questo punto.
Che il sogno ce la mandi buona!
“A un certo punto sono seduto sul divano. Mio fratello nudo sale sul ventre di mia madre nuda a cavalcioni come a compiere una specie di copula che non era una propriamente una copula.”
Dopo l’insegnamento paterno e l’autorizzazione a procedere arrivano i nostri a cavallo di un caval: la madre dal ventre nudo, il fratello nudo a cavalcioni.
Si copula o non si copula?
Gregorio guarda se stesso “seduto sul divano” perché si proietta nel fratello e realizza con la dovuta censura il desiderio libidico di avere dalla madre l’insegnamento sessuale opportuno e concreto. Il tutto dopo avere avuto la licenza didattica dal padre. E’ assolutamente normale e giusto che ogni figlio e ogni figlia si chieda il perché della censura concreta dei genitori in riguardo alla sessualità e all’erotismo, in riguardo alla vita del corpo neurovegetativo. Gregorio procede con cautela morale e si “sposta” sul fratello. Non poteva essere una “copula” vera e propria perché sarebbe stato un incesto e il “Super-Io”, individuale e culturale, non sarebbe stato davvero contento.
Vediamo dove va a parare il nostro eroe puritano.
“Trovo il corpo di mia madre assai giovane.”
Che bella immagine!
Che bel vissuto!
La mamma bella e il desiderio bello del corpo vivente sono recuperati dall’età in cui il figlio aveva l’età giusta per desiderare sfacciatamente con pudore. Da bambino Gregorio ha desiderato il corpo della mamma. Freud lo chiamò “complesso di Edipo” e costruì un mare di teorie sopra tragedie antiche e moderne. Immarcescibile questa “posizione psichica” dell’infanzia in universale, al di là delle razze e del censo, al di là delle ipocrisie e delle verità filosofiche, al di là del gusto e del sapore.
Guai al bimbo e alla bimba che non hanno desiderato fisicamente il padre e la madre!
Quasi in un nuovo vetusto e attuale comandamento si coniuga questo “desidera e riconosci il padre e la madre” per avere anche una fausta vitalità sessuale all’interno di una armonica “organizzazione psichica”.
“Giro gli occhi altrove. Poi mi sposto nell’altra stanza dove sulla mia scrivania vedo un cesto di quei frutti. Hanno al centro, nel punto in cui dovrebbe trovarsi il picciolo, una piccola chiazza bianca perlacea, simile ad una stomatite.”
“Rimozione” e “spostamento” sono due ben precisi “meccanismi di difesa” dall’angoscia di aver tanto peccato nel pensiero e non nell’opera: giro gli occhi altrove” o non ci rifletto e dimentico e “poi mi sposto”, dopo il fratello, “sulla mia scrivania”, mi riapproprio dell’alienato in maniera delicata e compatibile al mio vissuto psichico e ai mie “fantasmi” edipici. Ricordo che il “fantasma” è una rappresentazione primaria della realtà psichica, il nostro modo infante e bambino di pensare che non si abbandona mai, neanche dopo il benefico avvento della razionalità, un pensiero fantasioso e caldo oltremodo ricco di allucinazioni e di emozioni, una modalità onirica di inquadrare i propri vissuti, un essere poeti e “criatori”, come diceva Giambattista Vico. Insomma il “fantasma” è una rappresentazione della realtà psichica sempre e in ogni caso. “L’altra stanza” in cui Gregorio si sposta, quella dove è posizionata la “scrivania”, rappresenta l’attività razionale adulta, quella con cui ha proprio razionalizzato i suoi “fantasmi edipici”, le rappresentazioni fortemente emotive e simboliche delle sue varie relazioni con i genitori e nello specifico la madre. “Quei frutti” sono le rappresentazioni simboliche del feto con tanto di cordone ombelicale: “Hanno al centro, nel punto in cui dovrebbe trovarsi il picciolo, una piccola chiazza bianca perlacea, simile ad una stomatite.” Sono in un “cesto” che rappresenta simbolicamente il grembo materno, l’apparato genitale femminile, il sistema ovarico riproduttivo. Ricordo che il cordone ombelicale è il tramite che lega il figlio alla madre e che dopo il parto si taglia ma non si scinde il rapporto simbiotico psichico con l’augusta genitrice. Io sono ancora affetto da un meraviglioso “complesso di Edipo” e ho un altrettanto meraviglioso rapporto con mia madre, ho un cordone ombelicale ancora ben funzionante e attivo. Di mia madre, fuori di me, conservo la reliquia nel cimitero di Siracusa. Ma questo è tutto un altro discorso e un altro discorrere.
Via con il sogno di Gregorio!
“Mi avvicino goloso col pensiero di mangiarli, ma pensando all’improvviso al luogo da cui provengono provo un sottile disgusto.”
Ecco la gola e i suoi peccati, ecco la vitalità sessuale, ecco l’erotismo, ecco il corpo campo d’amore, ecco la “libido” e l’energia vitale di Dioniso e di Sigmund, di Darwin e di Nietzsche e di Bergson. “Goloso col pensiero” ossia il sistema neurovegetativo e il sistema nervoso centrale, la vitalità e la razionalità, l’emozione e la ragione, Dioniso e Aristotele, Giordano Bruno ed Hegel, la poesia e la filosofia, l’essere umano, il vivente per quello che restrittivamente di esso conosciamo e possiamo dire. Dell’altro e di altro non so fin adesso, ma sto cercando con la lanterna di Diogene, sto ricercando con il metodo di Aristotele e di Renè Descartes.
Convergo sul sogno di Gregorio e analizzo “ma pensando al luogo da cui provengono”, l’ombelico secondo “Gregorio padre” e l’apparato genitale secondo la scienza, “provo un sottile disgusto”. Ancora un “pensando”, anzi un “ripensando” leopardiano, la ragione fredda in atto che stacca dalle emozioni e le abbandona pensando di tenerle sotto controllo e senza sapere che ciò che butti dalla porta ti rientra dalla finestra, come la tanta spazzatura che inonda la mia città greca. Ancora ritorna l’emozione del “sottile disgusto”, un gusto emotivo contrastato e contrapposto, una guerra di gusti, quello emotivo e sensoriale e quello razionale e morale, l’eterna diatriba occidentale e psicoanalitica tra Es e Io alleato del Super-Io in questo caso. E’ questo lo psicodramma onirico di Gregorio, l’essere in conflitto con se stesso e nello specifico tra le sue istanze psichiche della vita istintiva ed emotiva, “Es”, della vita censoria e morale,”Super-Io”, della vita razionale e discernitiva, “Io”.
Mi fermo e consegno quanto emerso dal prodotto psico-poetico di Gregorio.
“Ho sognato di essere in riva al mare insieme a dei conoscenti che, ad un certo punto, decidono di tuffarsi in acqua senza alcun timore, per raggiungere la sponda opposta di quello che mi sembra la foce di un fiume.
Il mare è molto mosso e il vento è forte.
Io non mi fido a tuffarmi anche perché ci sono molte balene che saltano nell’acqua impetuosa e che mi fanno paura temendo di essere mangiata.
Ritengo possibile raggiungere l’altra sponda camminando lungo la spiaggia, ma arrivata ad una curva rocciosa, il vento mi spinge indietro con alti spruzzi d’acqua.
Desisto e dopo non molto, il tempo migliora, il cielo è blu, il sole splende e il mare calmissimo. A quel punto non sento più l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda.”
Moby Dick
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Ho sognato di essere in riva al mare insieme a dei conoscenti che, ad un certo punto, decidono di tuffarsi in acqua senza alcun timore, per raggiungere la sponda opposta di quello che mi sembra la foce di un fiume.”
Siamo in famiglia e ci troviamo di fronte all’avvenire: “in riva al mare”. I “conoscenti” sono i familiari, per l’appunto. Si vive e si va avanti nella vita con la ricerca coraggiosa di mete agognate, con la forza della giovinezza e il sostegno della famiglia.
“Tuffarsi in acqua” si traduce in un coinvolgimento esistenziale fatto di consapevolezza e non di pulsioni inconsce: esserci ed essere sul pezzo anche se questo “tuffarsi in acqua” evoca la figura materna.
“La foce di un fiume” significa la parte finale di un percorso e di un cammino operativo, il traguardo di tanti sforzi, ma include anche l’ultima fase del parto e la nascita, l’emancipazione della figlia Moby dalla augusta genitrice.
TRADUZIONE ESTETICA
Mi tufferò in acqua senza alcun timore
insieme a voi,
fratelli e sorelle,
insieme a tutti i nati da madre.
Non avrò paura di annegare,
non sarò fagocitata da colei che mi ha liberata
e da cui mi sono staccata,
non sarò divorata dal nulla inconsapevole ed eterno,
questo mare che tutto bolle e ribolle
o che sta fermo sulla linea dell’orizzonte.
Torno indietro e rivivo mia madre.
Sono cresciuta e sono grande.
Conosco bene mia madre
e saprò anche liberarmi del suo abbraccio fatale,
dalle sue ansie e dalle sue angosce.
Mia madre è importante,
come tutte le madri per tutti i figli.
“Il mare è molto mosso e il vento è forte.”
La vita e il vivere si traducono in forti emozioni e impetuosi sentimenti che rasentano lo stordimento e richiedono tanta forza per essere affrontati.
TRADUZIONE ESTETICA
Sul mare non luccica l’astro d’argento,
né placida è l’onda,
né prospero è il vento.
La donna sente dentro,
la donna sente fuori,
la donna si perde nel turbinio dei sensi
insieme alla vita che le scorre vitale
e non è mai appagata in questa ricerca
di una se stessa che è mare,
di una se stessa che è vento.
Portami via con te, o mare, o vento!
Datemi l’ebbrezza di una giornata felice
a bordo dei miei sensi e dei miei sentimenti.
“Io non mi fido a tuffarmi anche perché ci sono molte balene che saltano nell’acqua impetuosa e che mi fanno paura temendo di essere mangiata.”
Moby non si lascia andare alle sue emozioni e non si affida alle sue tempeste emotive, perché Moby non si affida alle madri che nuotano nel mare della vita e delle gravidanze. Moby ha paura di essere fagocitata dalla madre, ha bisogno di essere protetta dalla madre, desidera essere nel grembo materno. Moby svela il possessivismo materno che l’ha connotata nella sua esistenza e il suo travaglio a liberarsi dalla madre e dal suo mondo incantato fatto di favole e di regressioni. Moby ha paura della madre e di essere madre. Troppo tormento, troppa tempesta, troppe competizioni e Moby ha timore, è timida, è gentile, è umile, è piccola, è all’erta con le novità repentine.
TRADUZIONE ESTETICA
Madre della terra,
o madre mia carnale,
che vai nuda e sicura con le altre madri
incontro alle tempeste della vita di donna,
vergine di umiltà,
ricca di possesso e potere,
o mamma mia di sempre,
prenditi cura di me
che non so ancora nuotare,
che non so ancora salire le cime tempestose
che portano nel fondo del mare,
di quel mare,
di questo mare,
gli oceani interiori che ribollono dentro fragili e forti membra,
fragili di affanni,
forti di tenacia.
Di sale brilli nell’altare,
di sale il tuo pane sapeva
quando eri stanca di essere madre.
Tienimi con te,
mettimi dentro di te,
nel tuo ventre ampio e calorosamente caldo
che un giorno mi ha visto con te.
Proteggimi dal bene infido
e dammi la forza
di non cedere alle lusinghe del destino infame.
Fa’ che io sia padrona
del mio incedere elegante
in questa sfilata della vita che scorre
anche sui marciapiedi della graziosa cittadina
che mi vide timorosa
e oggi mi scopre civetta.
“Ritengo possibile raggiungere l’altra sponda camminando lungo la spiaggia, ma arrivata ad una curva rocciosa, il vento mi spinge indietro con alti spruzzi d’acqua.”
La dialettica psichica della diade “madre-figlia” è aspra e la libertà è lontana vista dalla spiaggia, non è lineare, il conflitto è acceso e il vento spinge a regredire con forti prepotenze materne. La figlia è entrata in conflitto con la madre: “posizione psichica edipica”. Tutto è normale e come da copione, ma la “curva rocciosa” attesta di forti ostacoli intercorsi e interposti nella liquidazione della conflittualità con la madre. Moby ha tanto sofferto per le irruenze emotive e sentimentali vissute durante la sua psicodinamica con la madre e di riferimento con il padre, per cui “l‘altra sponda” non è stata di facile approdo, in special modo per via agevole: “camminando lungo la spiaggia”.
TRADUZIONE ESTETICA
Vento,
ancora il vento mi porta l’odore acre della competizione,
ancora una spiaggia si allontana dai miei occhi ingenui
e ancora il mare mugugna e muggisce
in tanta tempesta dei sensi e degli umori.
Quanta necessità sofferta per far crescere la libertà dentro!
Mamma,
mormora la bambina,
mentre pieni di pianto gli occhi,
per la tua piccolina non compri mai balocchi,
mamma tu compri soltanto le ciprie per te.
Colonie aromatiche della compagnia delle Indie
per una donna d’alta classe,
una boccetta di chopard casmir
per la signorina che verrà,
una bambolina di pezza ruvida con diadema di perle marine
per il regno fantasioso
di una principessa minore e del suo re maggiore.
“Desisto e dopo non molto, il tempo migliora, il cielo è blu, il sole splende e il mare calmissimo. A quel punto non sento più l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda.”
“L’altra sponda” è la libertà dopo la guerra, dopo il conflitto, dopo la sofferenza acuta di rinunciare a un pezzo di radice. La vera e veritiera “altra sponda” è l’autonomia psicofisica, il fare legge a se stessa nel corpo e nella mente, la soluzione delle pendenze edipiche, lo scioglimento dei nodi marinari che tenevano attraccata la barca al molo. Moby mostra a se stessa con il suo sogno la psico-dialettica che ha vissuto e le psicodinamiche che ha istruito per la risoluzione del suo “complesso di Edipo”, tappa che l’ha particolarmente attratta per la figura femminile della madre, fascinosa e misterica nel suo essere l’origine della sua esistenza.
“Desisto”, posizione psicologica buddista, non mi coinvolgo, mi lascio andare, cesso di combattere, apatia stoica di chi conosce il vero, latino “de-sisto”, mi colloco da una parte in un’altra parte. Questo verbo così chiaro è altrettanto profondo e ricco di implicazioni mistiche, culturali, religiose, filosofiche, semiologiche e tanto altro. In un semplice “desisto” sono condensati l’approdo e la ricerca ulteriore della verità personale, figlia di quella Verità collettiva e assoluta che non si nasconde più all’occhio smagato e all’intelletto libero di chi ha tanto cercato e finalmente trovato dopo tanto cammino, come Moby.
“Il tempo migliora” si traduce sto crescendo e sto risolvendo le mie dipendenze e pendenze, edipiche nel nostro caso, sto maturando e anche l’umore si assesta in una dimensione psichica matura.
“Il cielo è blu”, tutto è più tranquillo in me e fuori di me, “sublimo” l’angoscia con la migliore consapevolezza, ho collocato i miei valori in un luogo superiore e le mie verità al di là di ogni discussione logora e logorante, insomma mi sono liberata del “fantasma” materno e adesso mi sento compatta.
“Il sole splende”, la luce della ragione illumina il camino della vita e dell’azione, la consapevolezza si è estesa al “senso di sé” ed è diventata autocoscienza, “sapere di sé. “Cogito ergo sum” e sono cartesianamente una persona pensante e fattiva, associo il pensiero all’azione come la Storia di Benedetto Croce, insomma, procedo nell’esistenza con lo strumento della Ragione e del Sapere.
“Il mare calmissimo” contiene una forma di atarassia, di assenza di angoscia, di apatia stoica che, non è caduta della vitalità emotiva e sentimentale, bensì padronanza di sé tramite la “coscienza di sé”, ampliamento del “sensus sui”, maturazione della persona e della personalità, compattezza psichica. Il “mare” è simbolo dell’inconscio vitalistico e neurovegetativo, oltre che dell’esistenza.
E’ giusto e sacrosanto che, a questo punto, Moby non senta il bisogno e “l’interesse di dover raggiungere l’altra sponda”, la madre o un altro traguardo, il padre o un altro obiettivo.
Sembra rinuncia e rassegnazione e invece è la rappresentazione in sogno della SAGGEZZA, della “sapientia sui”. Moby non è approdata nell’altra sponda, ma è approdata nel suo porto. Adesso l’angoscia della perdita è appagata e automaticamente scomparsa. Nulla chiede in Moby di sopravvivere, tutto chiede di vivere.
TRADUZIONE ESTETICA
Desisto,
mi colloco altrove,
atarassia,
il senza angoscia,
la cura di Franco,
un disco,
un quarantacinque giri di allora,
di quando ero una ragazzina tutta madre e tutta chiesa,
niente casa del popolo,
così come voleva la mamma,
la mia balena,
la saggezza è sapore di sale,
non quello altrui,
è il mio sale,
il mio sale in zucca,
il mio mare salato,
mare immenso e salato,
mare e marosi,
io so di me,
io finalmente so di me,
tu, o mare, non mi agiti
perché non sei agitato,
sei ammarato nella marina,
mentre il tempo soffia sulle vetuste scene
dei teatri antichi e greci,
quando si recita il soggetto di Edipo,
l’uomo dai piedi ritorti,
figlio del mare e della luna,
figlio di Laio e Giocasta,
figlio delle stelle di Tebe,
solo in un quadrivio all’europea
con precedenza a destra e a sinistra,
comme vous voulez,
sotto questo cielo intirizzito dall’incesto,
stupito e stupefatto dalle donne dionisiache
che in corteo sbranano il capretto
secondo la sanguinolenta processione del fine settimana,