IN MORTE DI SALVATORE

Intorno al sole c’è sempre un’aura

che brilla nel cielo spazioso,

che ottunde prima della scarica nervosa,

che risuona dopo la liberazione emotiva,

che vibra nello sposalizio della nuova energia.

Oggi intorno al sole c’è anche un’aureola che piange.

Intorno al sole ci sono le persone

vissute solitarie in mezzo alla gente

e morte in un letto d’ospedale,

abbandonate a “nostra sora morte corporale”

dalla pubblica indifferenza e demenza.

Oggi tra tanta Luce c’è mio cugino,

Salvatore il grande e il piccolo,

il forte e il debole,

l’uomo che non ha conosciuto l’equilibrio della normalità,

l’eterno sopravvissuto e mai cresciuto,

il marinaio della regia Marina militare italica

con la sua pizza in testa nel porto di Barcellona,

l’uomo di mare andato oltre la vita con la sua pilotina a nafta,

il giovinotto in Fiat spider prima del Sorpasso,

prima di Vittorio Gassman e di Dino Risi,

il ragazzino che ha cercato la sua verità,

l’uomo dagli affetti travagliati e dagli amori infelici.

Ti guidino tra le braccia del primo Nulla Giovanni ed Enzo,

i fratelli capitani di lungo corso,

e non ti manchi mai quella pietas

che merita un fedele marinaio dell’Albatros celeste.



Salvatore Vallone



Karancino, 01, 09, 2023



 





GIOVANNI IL BATTEZZATORE

Venne un uomo mandato da Dio

e il suo nome era Giovanni.

Anche mio cugino si chiamava Giovanni.

Egli venne come testimone

per rendere testimonianza alla Luce,

perché tutti credessero per mezzo di Lui.

Anche mio nonno si chiamava Giovanni.

Giovanni è il profeta della Luce.

Egli non era la Luce,

ma doveva render testimonianza alla Luce.

Veniva nel mondo la Luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

Egli era nel mondo,

e il mondo fu fatto per mezzo di Lui,

perché l’amò,

eppure il mondo non lo riconobbe.

Venne fra la sua gente,

ma i suoi non l’hanno accolto.

A quanti però l’hanno accolto,

ha dato potere di diventare figli di Dio,

a quelli che credono nel suo nome,

i quali non da sangue,

né da volere di carne,

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi vedemmo la sua gloria,

gloria come di unigenito dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto

grazia su grazia.

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio nessuno l’ha mai visto:

proprio il Figlio unigenito,

che è nel seno del Padre,

Lui lo ha rivelato.

Salvatore Vallone propone in memoria dei Grandi uomini vissuti e viventi.

Karancino, il Giardino degli aranci, Hàrah Làgin 10, 07, 2023

Quanta Bellezza e Sapienza in questi versi antichissimi come gli ulivi di Carancino!

Quanto Gusto e Senso destano queste parole in chi sa riflettere, in chi sa vedere.

In Ortigia non ci sono marciapiedi, ci sono tante fritture di paranza che puzzano, che spuzzano, che impuzzano.

La Siracusa del dopoguerra è la città dei non vedenti, di coloro che dopo la Sincat, la Rasiom e la Montedison, hanno permesso ai Russi l’Isab proprio ai piedi della città, dell’ameno Belvedere, della famigerata Priolo, della venale Melilli, della bella Sortino dal gustoso pizzolo.

Quanto schifo mortale, quanti morti per un pugno di dollari!

In Ortigia non ci sono marciapiedi, ci sono tavolini sgangherati per i fritti di paranza, per i taglieri infetti, per i riti dionisiaci con aperitivi rinforzati al vetriolo.

In Ortigia non ci sono preti e poliziotti urbani e non, non ci sono carabinieri e fac simili.

In Ortigia ci sono tante chiese chiuse come le case di una volta, piene di topastri e di politici, di giornalisti e di saltafossi azzeccagarbugli colorati in arancione.

Io abito in collina, sopra il vallone Carancino dove sotterraneo scorre Anapo in cerca di una ninfa e in tresca con Ciane, fiume e fonte tra il papiro devastato dal bisogno d’acqua delle industrie.

Siracusa è una città di non vedenti.

Nella città più sporca del mondo si paga la tassa dei rifiuti più cara del mondo.

Alla prossima invettiva!

IL MONDO MIGLIORE DI SALVATORE

Non è facile,

caro Vasil Bufardey Ulianov,

pensare di andare via,

magari in ospedale o in camposanto,

e rinascere cervo a primavera

portandosi dietro la malinconia

con le nuove corna incorporate

e all’uopo inforcate per forchetta in un bordello,

par piron,

per quello che addiverrà nel tempo ingiusto di un’eiaculazione,

di una sborrata infinita all’ultimo seme,

zoon spermaticon in un olon zoon,

un seme vivente in un Tutto vivente,

una omeomeria,

un qualis,

un atomo,

un quantum,

una carica di bellezza,

un qualisquantum,

un bosone,

ottanta protoni messi in fila e senza il resto di due.

Non è facile morire

dove tutto è vivo come un uovo prima del mestruo

e rinascere in un mondo migliore,

magari partire per tornare coniglio d’inverno.

Non è facile cambiare una stagione,

magari la stagione della vita,

di una vita che è passata come un lampo

e che fila dritta verso la stazione di Conegliano

in attesa di quel treno che sferra e sfrigola sui binari consunti.

Un mondo migliore di un mondo migliore non esiste,

non ha mai visto la luce

perché il mondo è buono di per se stesso

e non abbisogna di dottori ma soltanto di cantori,

abbisogna di poeti e non di vati,

abbisogna di criatori e non di monaci e preti,

abbisogna di cessi pubblici per le donne in pollacchiuria

e per gli uomini in odore di prostatite

e non di gran sacerdoti all’ashish

che uccidono la meglio gioventù

in nome di dio e delle sue umane parole.

La libertà del poeta e del cantore,

la libertà del menestrello e del giullare,

la libertà del donatore e del genitore

non sono rimpianti da ripiangere

perché non esiste un mondo migliore

dove tutto è possibile e doveroso,

nauseabondo come il torrone al pistacchio

e allettante come il deretano del tiranno.

Ora che siamo sulla giusta strada di Samarcanda,

soltanto ora passa il tram dei desideri

che porta in un mondo migliore.

Prendi il bagaglio a mano e più non dimandare,

più non rimandare.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 30, 12, 2022


NOSTALGHEIA CANAILLE

E così te la intendi con il massimo dei minimi,

con i seguaci dell’improponibile e improbabile Jacques,

il francese alle Gauloises dal dolce sapore di prugna.

E così segui anche tu la luce delle stelle morte,

il fenomeno luminoso di un noumeno,

un visibile e massiccio pensabile,

la scia ardente delle moderne camere mortuarie,

le sale umane del congedo inumano.

E magari vai a comprare in libreria quel malloppo di detto e ridetto

per arricchire gli editori ingordi e gli autori innarcisiti,

quelli che hanno ucciso i libri di carta con i diritti in salotto,

la manega di esibizionisti sporcaccioni

che toccano i culi delle donne improvvide.

E magari mi dirai alla stazione del fiero Primolano

che le stelle sono morte per colpa dell’Alighieri

che infine uscì a rivederle dopo cotanto inutile fottio,

dopo tanto strafottente primeggiare tra impari.

Eppure Ulisse ti parlò a suo tempo e a suo modo

con tanto di baldracche nel suo pullman diretto a Monza,

con tanto di libri da svendere nelle catene erremoscia & cavalieri.

Tu sapevi di quel dolore del ritorno e del ritorno del dolore.

Io te l’avevo spiegato ad ampie falcate sulla strada di Damasco

insieme a Palinuro,

il nocchiero del capo,

colui che non deve chiedere mai

semplicemente perché non ha editori disposti al culo,

benemeriti della patata igp e dop.

Tu hai guardato indietro e non avanti,

hai amato il dolore e non il progetto,

tu non ci sei ieri alla fiera perché oggi c’eri in te stessa,

una persona giuridica senza futuro

e con tanto di pedigree nel collo senza collana e senza imbroglio.

O angelo del cielo restituisci alla mia bambina

quelle stelle morte che ancora sono vive

e parlano al suo cammino illuminandolo di lastricate zolle.

Meglio venirci con la testa bionda sul guanciale

per le ultime carezze degli ipocriti dissennatori.

E’ vero che non siamo mai soli nelle nostre brande

e odoriamo di morte per inedia e di violenza militare.

E’ vero che sei la creatura di un qualche dio mercenario,

ma non dovevi di certo innamorarti di quell’Ulisse

che annegò nelle fogne delle colonne

dove Ercole pose li suoi riguardi

a che il poeta più oltre non si metta.

Lascia gli idoli del foro e del mercato,

abbraccia gli idoli della tribù e della spelonca,

stai in mezzo alla gente ignara

che porta gioiosamente a spasso per la città

una donna argentata sul pulpito inanimato,

ama la Parola di Giovanni,

quel Verbo che non si compra perché non si vende,

quel verso libero che non è dolore del passato,

dolore del presente,

dolore del futuro,

ma semplicemente un emerito dono

che non si compra perché non si vende.

Solo così eviterai le chiese e le parrocchie,

i salotti osceni e le sirene ricostituite,

mia cara Gianna,

nostalgica addolorata madonna

che non ristai in un altare mercenario o in una bancarella premiata.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 18, 12, 2022

LA SECONDA CASA

TRAMA DEL SOGNO

“Sono arrivata a casa mia, una sorta di seconda casa.

Apro una porta interna e rimango choccata perché alla mia destra la porta è aperta e c’è la luce accesa.

Trovo un mio amico con la sua nuova compagna che ridevamo e facevano l’amore.

Lui si accorge che io sono entrata e allora io sono uscita.

Mi chiedo se anche lei si è accorta di me e se mi conosce.

Poco dopo fuori di questa casa e davanti a me vedo il mio uomo con lei.

Lui è inciampato ed è caduto goffamente.

Io sono dietro di lui di qualche passo.

Provo un grande sconforto e mi chiedo come ha potuto venire a casa mia portando lei.

Ai miei occhi appare sfacciato soprattutto dopo quello che c’è stato tra di noi.”

Questo sogno appartiene a Megan.

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Sono arrivata a casa mia, una sorta di seconda casa.”

Megan è una donna cresciuta ed evoluta che ha ancora qualche pendenza “edipica”, non ha ben calibrato e razionalizzato il suo “fantasma” e il suo vissuto nei confronti del padre e, di conseguenza si porta a spasso nel sogno la madre sotto forma di una donna intrigante e subdola che attenta al suo uomo e ai suoi amici in situazioni decisamente seduttive e intime. Ma, come dicevo, Megan è una donna cresciuta ed emancipata al punto di avere due case, una sicuramente è casa sua, “mia”, l’altra è la “seconda casa”, anzi “una sorta di seconda casa”, una decisa e coraggiosa asportazione della sua dimensione edipica dalla “organizzazione psichica reattiva”, dalla sua struttura psichica evolutiva. Megan può e sa trattare la relazione vissuta sin dall’infanzia con il padre e con la madre isolandola senza alcun rischio e pericolo di destabilizzarsi e opera in tal senso, rivive in sogno e descrive la sua “posizione edipica” anche perché è stimolata nella vita di tutti i giorni da qualche incidente o da qualcosa che non gira bene nella sua sfera affettiva e sessuale. Quindi, riepilogando, il “resto diurno” o la causa scatenante del sogno di Megan si attesta in uno stato affettivo e sessuale in cerca di migliore sistemazione, visto che parliamo di “case”.

Apro una porta interna e rimango choccata perché alla mia destra la porta è aperta e c’è la luce accesa.”

L’atmosfera è classica e di “suspence”, come nelle sceneggiature dei migliori film del filone mitologico di Edipo, come nelle più sofisticate rappresentazioni della cosiddetta “scena primaria”, il figlio o la figlia che coglie i genitori in flagrante e nell’inequivocabile atteggiamento intimo del coito. Dentro la sua “casa” psichica personale, quella emancipata dai genitori, Megan s’imbatte nella sua autonomia, sulla “destra in una “porta aperta” e in una “luce accesa”. Traduco i simboli e la psicodinamica. Megan è una donna libera, ma in una casuale e naturale introspezione, “apro una porta interna”, rimane colpita dalla consapevolezza che nel suo futuro prossimo c’è ancora in ballo la situazione relazionale con il padre e la madre, la sua “posizione edipica”. Megan pensava di aver liquidato le pendenze con il padre e la madre, ma si trova a prendere atto di quanto ben chiara sia la sua presa di coscienza e di quanto in ballo dentro di lei sia ancora questa mitica triangolazione. Questo è il senso teatrale del termine “choccata”, stupefatta e interdetta, sorpresa e alienata. Ripeto che Megan sta facendo questo sogno perché nella sua vita quotidiana qualcosa non gira bene in quanto ad affetti, erotismo e sesso.

Trovo un mio amico con la sua nuova compagna che ridevamo e facevano l’amore.”

Questa è la “scena primaria” nella classica versione psicoanalitica freudiana. La bambina s’imbatte realmente, o immagina altrettanto realmente, nel coito dei genitori, un’unione sessuale paventata e ricca di effetti speciali per l’intervento tremendo del sentimento della gelosia e del possesso, nonché del tradimento e dell’infingardaggine. Megan trasla il padre e la madre in atteggiamento oltremodo intimo “nell’amico” e nella “sua nuova compagna”. Il meccanismo onirico e primario dello “spostamento” consente a Megan di continuare a dormire e a sognare senza cadere nell’incubo e nel risveglio, portando così avanti la sua psicodinamica in atto, la travagliata ma abbastanza risolta relazione profonda con il padre e la madre. Ecco che li rappresenta nella loro intesa erotica e nella loro dinamica sessuale. “Ridevano” è più inquietante per Megan bambina del “facevano l’amore” semplicemente perché l’atto materiale si tollera e si digerisce, ma l’atto psichico si trasporta nel tempo e nelle sfere psichiche dell’empatia e della simpatia, della complicità e della solidarietà, Essere o sentirsi esclusa da questa modalità di vissuto relazionale è struggente e produce in Megan cento anni di solitudine.

Lui si accorge che io sono entrata e allora io sono uscita.”

Megan approfitta del sonno per sognare la sua reazione psicologica alla complicità a trecentosessanta gradi tra il padre e la madre, vissuti incamerati e organizzati nel corso della sua formazione evolutiva e denominati “posizione edipica”. Megan ha ben razionalizzato questo conflitto dell’infanzia e dell’adolescenza al punto che può entrare e uscire dalla sua stanza edipica, perché è di questa che sta parlando, è questa che sta riesumando e rievocando. Nota anche che tra lei e suo padre c’era e c’è una buona empatia e simpatia, complicità insomma, per cui si può permettere questa dispettosa scaramuccia con l’augusto genitore, ma in effetti la psicodinamica è tutta sua e solamente personale. Megan “sa di sé” e può visitare, entrando e uscendo, la sua relazione pregressa e attuale con la figura paterna.

Mi chiedo se anche lei si è accorta di me e se mi conosce.”

Questo è un capoverso ricco dei sentimenti della rivalità e della competizione nei riguardi della madre, la “lei” in senso di distacco e di superiorità. Megan attribuisce alla madre una certa qual consapevolezza del suo trasporto globale verso il padre e si dice “penso che anche mia madre sapeva che amavo mio padre o suo marito”. In ogni caso la donna rivale, che possiede il maschio in questione, è degna di un vissuto superficiale e andante. La competizione con la madre è improntata a metà tra orgoglio e risentimento, della serie “io non sono indifferente e non passo inosservata, mia madre si sarà accorta di quello che vivevo e provavo”. In effetti e concludo, si tratta di un dialogo di Megan con se stessa in riedizione della sua “posizione edipica” al completo, visto che non trascura di elaborare i suoi sentimenti e le sue sensazioni verso la madre e il padre senza assolutizzare la prima o il secondo.

Poco dopo fuori di questa casa e davanti a me vedo il mio uomo con lei.”

Ma guarda caso, non l’avrei mai pensato e tanto meno detto. Megan si relaziona con la gente e si porta dietro la modalità affettiva, erotica e sessuale che aveva elaborato e sperimentato quando era innamorata del padre e in competizione con la madre. Del resto, questo siamo e quello che abbiamo immaginato, vissuto e imparato lo trasportiamo pari pari nella realtà sociale di tutti i giorni. “Lei”, la madre, la segue e la perseguita, è un’ape regina che si prende tutti i maschi e adesso si intriga anche con l’uomo di Megan che questa volta non è apparentemente il padre, ma è sempre la figura paterna nella sostanza psicologica e profonda. Megan si è innamorata e ha scelto il suo uomo secondo il codice “edipico”, come si diceva, e sempre secondo queste coordinate si relaziona con il suo maschio. Resta sempre la diffidenza verso l’universo maschile, reo di non essere affidabile e di essere traditore.

Lui è inciampato ed è caduto goffamente.”

La rivincita di Megan a tanto alto tradimento è la derisione del “lui” amante e padre, secondo la dinamica più comica del teatro antico e moderno, l’inciampo e la caduta. Oltretutto la caduta è stata goffa, come la reazione di chi viene preso con le mani nella marmellata o con la lingua spiaccicata sulla “nutella”.

“Ben ti sta, brutto traditore, così impari!

Ma sai cosa ti dico?

Noi donne vi ridicolizziamo come e quando vogliamo.”

Megan spende una lancia interessata a favore dell’universo femminile, dando proprio potere alla donna che sceglie e prende il maschio imbecille che cede e si lascia avvincere senza consapevolezza, così, tanto per andare a scaricare in qualche anfratto il patrimonio dei coglioni.

Io sono dietro di lui di qualche passo.”

Megan in tanta psicodinamica è stata al suo posto e ha saputo controllare le evenienze fisiche e psicologiche della psicodinamica “edipica”. Lei ha ben capito tutto e ha ben controllato il tutto. A Megan non la si fa sotto i baffi, almeno su questi binari che portano alla formazione della coppia e alla vita in due, nonché alla necessaria limitazione della libertà d’azione, ma non di pensiero e d’immaginazione. Megan è sorniona nel collocarsi in sogno appena “dietro di qualche passo” agli uomini significativi della sua vita, il padre e il compagno in atto.

Provo un grande sconforto e mi chiedo come ha potuto venire a casa mia portando lei.”

E’ inequivocabile, Megan chiede a se stessa come ha potuto introiettare la psicodinamica edipica nel corso degli anni della sua formazione psichica e come si è potuta portata dentro la figura paterna con gli annessi e i connessi manifesti del tradimento e dell’intesa con la madre, dopo quello che c’era stato e per lungo tempo tra loro due. L’equivoco è sano e funge da motore di crescita per Megan bambina e adolescente. Lo “sconforto” è proprio un “non essere insieme a lui” e un “non ti porto dentro”, un senso di solitudine che si deve evolvere al meglio nell’emancipazione dalle dipendenze e nell’autonomia. E questo è avvenuto nella realtà e si sta riepilogando in sogno. Il perché di questo sogno deve trovarsi in una situazione relazionale e sessuale in atto o in una problematizzazione delle modalità di relazione con i maschi e con le donne da parte di Megan.

Ai miei occhi appare sfacciato soprattutto dopo quello che c’è stato tra di noi.”

Ancora una volta appare Pitagora con il suo “c.v.d.”, come volevasi dimostrare”. Megan si è sentita sfacciata con il suo comportamento nei riguardi dei suoi genitori e soprattutto non ha digerito di essere stata tradita e abbandonata, nonostante il suo atteggiamento provocatorio di cui conserva un residuo di vergogna. Proietta sul suo uomo in atto, il padre pregresso, quello che lei vive, il senso di essere stata eccessiva con la faccia deformata, “sfacciata” per l’appunto e per la precisione. Quello che c’è stato tra di noi non è proporzionale in alcun caso al deludente esito finale, per cui Megan mette un punto e avanti con il liscio e con la processione senza soffermarsi in inutili conflitti psichici e blocchi esistenziali.

Megan ha ben calibrato e risolto la sua “posizione edipica” e in sogno rafforza la sua autonomia psicofisica proprio riepilogando quello che ha vissuto intensamente e con il giusto equilibrio consentito a una bambina, a una adolescente e a una donna.

Questo è significato profondo e il monito reale del sogno di Megan.

Resta da chiedersi quale immagine ha Megan di se stessa, dal momento che è particolarmente remissiva e oltremodo civile con quella “donnaccia” che con non chalance gli ruba prima il padre e poi l’uomo. La risposta è la seguente: Megan ha dovuto a suo tempo mollare l’osso alla madre e ne è uscita da questa disputa rafforzata sulla liceità delle sue pretese verso un altro uomo, ma non credo che si lasci fregare l’uomo con quella remissività esibita nel sogno. E’ un residuo psichico del passato, della “posizione edipica” dove e quando è stata costretta a lasciare identificandosi nella madre e alla ricerca di un maschio che somigli al padre in qualche tratto. Megan ha sognato in toto la sua triangolazione dialettica “padre-madre-figlia” anche se si è spostata in avanti con il tempo per attestare quanto sia stata beneficamente segnata nella sua formazione psichica da questa primaria esperienza a sfondo erotico e sessuale.

Del sogno di Megan è stato abbondantemente detto, per cui il discorrere si può fermare qui.

LA NUOVA NOVELLA

In principio era il Tutto,

l’armonia del Tutto,

la fusione dell’Olon zoon,

l’ordinato Kaos.

E venne Archimede.

 

Di poi fu il Segno,

l’Armonia del Segno,

la fusione dei Sema,

l’ordinato Cosmo.

E venne Pitagora.

 

Dopo fu il Verbo,

l’Armonia della Parola,

la fusione dei Logoi,

l’ordinata Terra.

E venne Esiodo.

 

Armonia è nel Tutto, nel Segno, nel Verbo.

La mitica figlia di Afrodite e di Ares,

dell’amore sensuale e della guerra,

segnava di dolcezza i suoi confini.

 

E vennero gli scienziati,

i pittori,

gli scultori,

i poeti

a battezzare i Cieli e le Terre.

E venne la Parola

a battezzare il Cielo e la Terra.

E vennero i sacerdoti a parlare di Dio.

E venne Egli.

Egli era in principio presso Dio:

tutto è stato fatto per mezzo di Lui,

e senza di Lui niente è stato fatto

di tutto ciò che esiste.

Giovanni gli rende testimonianza

e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi:

Colui che viene dopo di me mi è passato avanti,

perché era prima di me».

In Lui era la Vita

e la Vita era la Luce degli uomini;

la Luce splendette nelle Tenebre,

ma le tenebre non l’hanno accolta.

Giovanni battezza con l’acqua,

sciacqua le sue parole come lava i suoi panni.

Che grande che sei, o ultimo dei profeti!

Che bello che sei nella tua folle saggezza!

Viva i Giovanni!

 

Salvatore Vallone

 

Carancino di Belvedere 08, 06, 2022

 

CHIARA

In principio era il Segno,

di poi fu il Verbo.

Signa significant,

i Segni sono portatori di insegne.

Verba volant super Signa,

le parole seducono i Segni.

Et Lux fiat

et Lux facta est.

E venne una donna vocata dal Cielo

il cui nome era Chiara.

Ella venne per mezzo della Luce,

per rendere testimonianza alla Luce,

per dare il Segno alla Luce,

per donare il Colore.

E la Serva si fece carne

e abita ancora tra noi a Cessalto,

noi fortunati che contempliamo le sue glorie

piene di grazia e di verità,

ricche di Luce,

pregne di Colore:

la Bellezza.

Salvatore Vallone

 

Carancino di Belvedere, 20, 02, 2022

DEDICATO A LUCIA

Avrei potuto incontrarti in un luogo qualsiasi,

con te sarebbe sempre stata la Giudecca o Ortigia

isole sospese in un miraggio,

mentre vanno lentamente alla deriva.

Eri un’isola anche tu,

avvolta nella luce del tuo sguardo

che decifrava i segni e le parole

per poterli fissare sulla tela,

tu che eri sempre sola in mezzo alle altre.

Hai sempre avuto il dono della visione.

Camminavi lungo la promenade,

lasciandoti alle spalle il Redentore,

le grandi chiese,

le orde di curiosi a bocca aperta

e lo sciacquio delle acque ferme,

mentre dentro di te capivi il mondo.

Non eri mai dove ti pensavo,

eri altrove,

nel tuo antro pieno di tele e di sogni.

Mi spogliavo degli abiti

e posavo davanti a te.

Il corpo perdeva la sua forma

e si trasformava in un disegno.

Rinascevo con nuove vesti

a coprire parole sciupate in rime semplici

come cuore-amore.

Non mi hai mai svilito,

mi hai dipinto

perché mi guardassero al di fuori della grande vetrina dei like.

Lo sanno?

No,

non lo sanno.

Lo so io

e vorrei tanto essere l’uomo della mia Lucia di Siracusa

anche qua,

in questa immobile Giudecca settembrina.

 

Sava

 

Carancino di Belvedere, 10, settembre, 2021

 

 

LA STANZA CHIUSA E BUIA

TRAMA DEL SOGNO

“Ho sognato di essere in una casa, non molto luminosa, come se fosse la mia, ma non somigliava a nessuna delle mie case.

C’erano con me mia figlia e i miei nipoti che erano venuti dall’America.

Io ero molto contenta, il piccolo Jake doveva andare nella stanza accanto, la porta era chiusa.

Io gli dicevo di accendere la luce ed entrare, ma lui, non so perché, aveva paura. Io l’ho accompagnato, ho acceso la luce e gli ho detto di stare tranquillo.

Appena entrati gli ho fatto guardare la stanza e ha potuto constatare che effettivamente non c’era nessuno.

Quindi si è tranquillizzato.”

Poi mi sono svegliata.

Bea

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Ho sognato di essere in una casa, non molto luminosa, come se fosse la mia, ma non somigliava a nessuna delle mie case.”

Potevo intitolare il sogno di Bea “Ava et magistra” o “Mater et magistra”, mettendo in rilievo la premura della nonna e l’amore della madre. Ho scelto “La stanza chiusa e buia” semplicemente perché la stanza di questa casa è di Bea e in sogno la “sposta” nel caro nipotino Jake “proiettando” anche il suo conflitto psicofisico.

Procedo con calma e devozione in onore alla donna, alla madre e alla nonna e senza far torto a nessuna rappresentazione reale e simbolica di Bea.

La “casa”, mi ripeto di sogno in sogno ormai da sei anni, rappresenta simbolicamente la “organizzazione psichica reattiva ed evolutiva”, come è corretto definire la vecchia “struttura psichica”, la obsoleta “personalità”, l’antiquato “carattere”, sulla scia delle dottrine di Sigmund Freud e di Melanie Klein. Bea sta visitando se stessa, è in introspezione, si sta guardando dentro perché ha ricevuto uno stimolo a visitarsi interiormente. Ma la sua coscienza è obnubilata, non è limpida semplicemente perché è turbata da un pensiero, da una preoccupazione, da un affanno: “in una casa non molto luminosa”. In effetti, Bea ha un deficit di lucidità mentale, è sovrappensiero, è in libera associazione, è in sub-vigilanza, è in uno stato crepuscolare. Si riconosce ma non si capisce e tanto meno si giustifica, visto che il suo pensiero affannoso non si è ancora ben evidenziato o, meglio, illuminato. Le “sue case” fanno parte del suo complesso psichico organizzato, meglio le sue “stanze”. E’ questa una pulsione d’amor proprio e un moto d’orgoglio che stanno benissimo in una persona che ha vissuto ed è pervenuta al traguardo venerabile di nonna. Eppure, qualcosa di nuovo si profila ancora nell’orizzonte psichico e nella panoramica mentale di questa signora navigata e articolata. Un pensiero si muove con lo strascico emotivo annesso formando una latina “cura”, una preoccupazione e un affanno.

Vediamo di cosa si tratta e cosa ci riserva il Fato.

C’erano con me mia figlia e i miei nipoti che erano venuti dall’America.”

La dimensione psichica di madre e di nonna si mostra in tutta la sua bellezza e superbia: “questi sono i miei gioielli”. Bea è come Cornelia, la madre dei Gracchi. Bea ha accanto a sé la figlia e i nipoti, le sue propaggini, il suo futuro in progressione reale e affettiva. Il “con me”, latino “mecum”, denota il senso del possesso sentimentalmente mediato e giustificato dalla stazza psichica del personaggio che Bea incarna con nerbo e interpreta con gentilezza. Si noti l’uso dei possessivi “mia” e “miei”, quasi una forma di capitalismo psichico da matriarca, a testimonianza, qualora ce ne fosse bisogno, del legame nerboruto che avvince le tre generazioni: nonna, figlia, nipote. La “America” non è un simbolo, è un dato di fatto che si inquadra nella psicodinamica come rafforzamento degli affetti e dei turbamenti. La lontananza non fa dimenticare coloro che si amano, tutt’altro, cementa con il desiderio e allucina con il sentimento della nostalgia, dolore del ritorno, mettendo in crisi la coscienza di sé”. Ricapitolando: in una “stanza” di una “casa” di Bea si ritrovano in sogno madre, figlia e nipoti. L’emotività e l’appagamento affettivo turbano la Psiche di Bea, al punto che si ritrova in uno stato crepuscolare della coscienza e in una leggera caduta della vigilanza.

E’ lecita la domanda: ma perché?

Io ero molto contenta, il piccolo Jake doveva andare nella stanza accanto, la porta era chiusa.”

L’attenzione di nonna Bea è focalizzata sul “piccolo Jake”, il nipote elettivo per affinità psichiche e maggiormente indifeso, nel vissuto della nonna, a causa della sua giovane età. La psicodinamica si svolge attorno al tema di un nipotino tutto da scoprire e tutto da conoscere, a cui in sogno la nonna Bea chiude una “porta” d’accesso a una “stanza”: la stessa Bea si chiude una “porta” per entrare in un suo ambito psichico. E’ come se questo ragazzino fosse stato per Bea lo schermo su cui proiettare il suo film: un nipotino in fase evolutiva rappresenta la nonna in crisi di auto-consapevolezza. Jake è piccolo e per questo è indifeso e va protetto, ma è anche in crescita e tutto da vivere perché non ha niente di scontato. Nonna Bea si preoccupa proprio di Jake e gli attribuisce il suo conflitto psichico. Vuole proteggerlo perché vuole proteggersi.

Quale vissuto proietta in Jake?

Il prosieguo del sogno lo dirà.

Io gli dicevo di accendere la luce ed entrare, ma lui, non so perché, aveva paura. Io l’ho accompagnato, ho acceso la luce e gli ho detto di stare tranquillo.”

Bea “proietta” sul nipote la sua psicodinamica depressiva, dice a se stessa di far chiarezza sui suoi “fantasmi” usando la testa e migliorando la presa di coscienza per uscire dal tunnel dell’obnubilamento con la “razionalizzazione”. Ma Bea ha paura, istruisce le “resistenze” atte a impedire la riesumazione della sua verità psichica in atto e che in tempo di morte, coronavirus, è a due passi dal vedere la luce. Bea non conosce la causa della sua paura. E’ in buona compagnia di se stessa, ma non riesce a illuminare l’angoscia di morte, la “stanza buia” della sua “organizzazione psichica” che ospita il nucleo depressivo, quel nucleo che nel corso della vita ha rimosso agendo e frastornandosi alla grande. In sogno sta traslando il conflitto e acquietando le tensioni nervose emerse. Cerca di dare nome e cognome alla sua angoscia di morte.

Ma perché si è fiondata proprio nel nipotino più piccolo?

Lo stato d’animo ansioso e doloroso è stato assimilato alla persona indifesa e bisognosa di aiuto. Bea vive Jake in una condizione psichica simile alla sua. Bea è “regredita” all’infanzia quando ha elaborato l’angoscia depressiva della perdita e si è assimilata al nipote bambino. Lo stimolo a questa operazione difensiva dall’angoscia, processo della “regressione”, è l’azione psichica nefasta del coronavirus.

Appena entrati gli ho fatto guardare la stanza e ha potuto constatare che effettivamente non c’era nessuno.”

Bea prende per mano la sua bambina impaurita e la rassicura e la consola con la ragione. La classica paura dei bambini è quella del l’uomo nero o del ladro o dello zingaro, di quella figura angosciante che ti porta via dall’affetto dei tuoi cari genitori: una “traslazione” della morte per abbandono e per inedia. Bea non si rende conto che il suo “deficit” psichico contingente è legato a questo “fantasma” e lo vive in sogno “spostandolo” nel nipote e si pone in certosina attesa di capirlo. Intanto ha sognato l’intruso, quel “nessuno” che si teme sempre che s’intrufoli dentro di noi per violare la nostra intimità e la nostra sensibilità affettiva.

Come nasce dentro di noi bambini questo “nessuno” così forte e così presente?

Lo formuliamo da soli e non soltanto nella penuria degli affetti e delle coccole, ma soprattutto nel massimo dell’abbondanza al semplice pensiero “e se non fosse più così?”, commutando lo stato di benessere attuale nell’opposto. Lo formuliamo quando viviamo il sentimento di ostilità nei riguardi dei nostri genitori e quando si ridestano i sensi di colpa per aver tanto osato nei loro confronti per i nostri bisogni di possesso. Lo formuliamo per i nostri bisogni inappagati e per i nostri desideri infranti. Secondo questi parametri universali formuliamo la nostra “morte” psichica da abbandono e da inedia. Tutti abbiamo una “stanza” della morte nella nostra “casa” psichica. Tutti abbiamo una stanza atta all’accumulo disordinato delle nostre perdite immaginarie e reali, la stanza depressiva dove abbiamo messo dentro le nostre morti. Basta una causa scatenante adeguata per tirarle fuori alla rinfusa. Dobbiamo tenere in ordine questa strana e naturale “stanza” della nostra “casa”. Dobbiamo tenerla illuminata dalla razionalità che ci permette non solo la “razionalizzazione del lutto”, ma soprattutto la consapevolezza della fine naturale della nostra vita, quella morte che addolora e fa paura, ma che non è angosciante se sappiamo della nostra umana debolezza e della nostra sovrumana onnipotenza. Vivendo, bisogna imparare ad andare via alzandosi satolli dalla tavola, come l’ospite di Orazio dopo il banchetto nel comodo triclinio. Per far morire la Morte, impareremo a usare il pensiero simbolico, i “processi primari” che governano la funzione onirica, e a ridurre tutto a simbolo, noi stessi in primo luogo.

Quindi si è tranquillizzato.”

Bea si è tranquillizzata tramite il suo nipotino. Ricordati Bea che devi fargli un bel regalo, perché lui lo ha fatto a te e di gran valore: la moneta affettiva e simbolica. In effetti, Bea si è regalata la possibilità di capire e di capirsi sognando. E allora dovrà fare un bel regalo al suo sognare. Ma il sogno non l’aveva capito del tutto, l’aveva intuito e forse neanche, perché l’aveva confezionato con tutti i crismi del simbolismo mitico dei Greci. E allora dovrà fare un bel regalo al sottoscritto che glielo ha spiegato. Di sicuro Bea si tranquillizzerà adesso che sa razionalmente cosa ha sognato approfittando del nipote piccolo e indifeso come lei quand’era bambina. Il tempo del coronavirus, questo tempo di morte imperante dentro e fuori, ha disoccultato il Profondo psichico e ha aperto “la stanza chiusa e buia” che tutti abbiamo e custodiamo con accuratezza. Bisogna ringraziare anche il “coronavirus” se Bea ha trovato la sua verità depressiva e se si è disposta verso la “atarassia”, il “morire della morte” perché nulla in lei chiede di continuare a vivere pur vivendo.

Purtroppo questo virus ha portato più danni che benefici, specialmente per i tanti che non riescono a vedere il bicchiere mezzo pieno e tendono al “maximum” catastrofico.

Poi mi sono svegliata.”

Bea si è svegliata. Era ora. La sveglia l’ha riportata alla ragione e alla realtà, alla tutela di se stessa e all’amor proprio, al volersi bene senza onnipotenza e senza follia, senza le suggestioni sociali e culturali e in special modo quelle della politica e delle tv di stato, dei giornali maldicenti e dei plenipotenziari privati e dei loro servi. Abbiamo da svegliarci, più che mai in questo tempo del “coronavirus”, anche dal “sonno dogmatico” di cui scriveva Immanuel Kant in riguardo all’umano ottimismo logico sulle verità conoscitive. Asteniamoci dal coinvolgimento acritico e dai messaggi degli illusionisti con il viso rifatto e con il ghigno innato. Piuttosto affidiamoci e fidiamoci del nostro sognare e del sogno che, a suo modo, non ci può mentire e dice necessariamente la nostra verità, quella che ha il sapore dell’angoscia forgiata da noi e soltanto da noi risolvibile.

INVOCAZIONE

O Sogno,

o Essere che illudi con la tua Realtà,

svelami il tuo inganno,

dimmi la tua verità!

O Sogno,

fa’ che io sappia di sognare sognando,

per desiderarti con la lucidità del mio delirio,

per capire finalmente che non sei vanità,

vanitas vanitatum inter vanitates,

per sapere che non sei la Realtà che mi contiene nella veglia,

per sentire che tu sei la Vita che si specchia nella Morte,

per avvertire con animo perturbato e commosso

che tu sei la Morte che si specchia nella Vita.

O sogno lucido,

tu che dissipi l’illusione della Realtà,

fammi consapevole,

illuminami,

liberami dalla gioia e dal dolore,

sciogli il mio piacere e la mia sofferenza,

nobilita la mia paura del distacco.

Liberami, o Liberatore!

Illuminami, o Illuminato!

Risvegliami, o Risvegliato!

Mentre sono vivo nell’inganno,

destami in questa Realtà

che Maya ha avvolto nel suo velo multicolore

a che l’uom più oltre non si metta

e infin che il mar fu sovra lui richiuso.

Che sia veramente risveglio il mio bodhi!

Che sia veramente illuminazione il mio bodhi!

Che io possa dire semplicemente

che sono sveglio come Colui che a suo tempo si è risvegliato,

come Colui che è ancora sveglio,

il Risvegliato.

Fa’ che io dica a me stesso che non sono un uomo,

non sono un dio,

sono semplicemente sveglio.

Il sogno lucido mi attizza,

mi lascia meditare,

mi apre una coscienza superiore,

l’alta verità che si nasconde dentro il fenomeno,

dentro ciò che appare e che non è l’essenza,

dentro l’assenza dell’aletheia,

in tutto ciò che è visibile e che non è il noumeno.

Quando il mio corpo dorme,

il mio karma è sveglio.

Fa’ che io riconosca i miei sogni

e trasformi l’illusione in compassionevole lumi-nosità:

cum patior,

lux,

lumen,

nous.

Non voglio giacere nell’ignoranza di un cadavere.

Non voglio dormire come un essere animato.

Voglio vivere nel sonno la Realtà del sogno.

Quando albeggerà la mia sostanza onirica,

quando lieviteranno il mio spirito e il mio corpo,

vedrò le profondità della mia mente,

affronterò la mia vivente sofferenza.

Sarò lucido in una vita lucida

e anche nella veglia sarò libero dai limiti:

la gioia e la paura,

l’esaltazione e l’angoscia,

la salute e il dolore,

l’ingenuità e la delusione.

Finalmente sarò libero dal Bene e dal Male.

Finalmente sarò pronto alla Compassione.

Finalmente sarò il mio Bodhi.

Amin

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere, 8, 12, 2020