LA VALIGIA BIRICHINA

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Era appena arrivato l’autobus per l’aeroporto dove mi aspettava un aereo per la Germania, dove sarei andata a trovare il mio ragazzo. Faccio per caricare la valigia nel bagagliaio, quando qualcosa mi distrae.

Una volta arrivati all’aeroporto, vado a prendere la valigia ma, sorpresa, mi accorgo che non c’è. Allora, ricordo di non averla mai caricata, perché distratta da qualcosa.

Presa dal panico, decido di avvertire casa per vedere se qualcuno sarebbe potuto andare a prendere il mio bagaglio, ma, preso in mano il telefono, mi accorgo che si trattava di quello di mio padre, che è identico al mio. Tuttavia, non potevo utilizzarlo dato che, per farlo, c’era bisogno di un pin che non conoscevo.

Così, sempre più in ansia, mi rivolgo a un uomo dell’agenzia degli autobus, spiegandogli la situazione, ma senza ammettere il fatto che io stessa non avevo infilato la valigia nel bagagliaio, dicendo invece che qualcun altro l’aveva tirata fuori a mia insaputa.

Mi vergognavo abbastanza di questa mia grande distrazione.

Lui mi dice, rassicurante, che la mia valigia era stata trovata, che era in viaggio su un autobus e che avrei dovuto aspettarla lì.

Sarei arrivata a prendere il mio aereo?”

Questo è il sogno di Bruna.

INTERPRETAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Si tratta di un sogno carico di simbologie femminili che sviluppa il tema della consapevolezza di essere femmina e il potere di essere donna, l’assimilazione dell’identità psichica femminile in espresso riguardo alla sessualità e alle figure dei genitori. E’ una tematica universale e una tappa evolutiva che riguarda le ragazze che si affacciano alla vita amorosa relazionandosi a un uomo in questo caso, una figura che oltretutto ha la sua radice e il suo modello nel padre. Ricordo che per par condicio la madre funge per l’identificazione e l’identità psichiche della figlia.

Era appena arrivato l’autobus per l’aeroporto dove mi aspettava un aereo per la Germania, dove sarei andata a trovare il mio ragazzo. Faccio per caricare la valigia nel bagagliaio, quando qualcosa mi distrae.”

Bruna è in procinto di incontrare il suo ragazzo e, sognando, mette in discussione il suo essere femminile in previsione dell’intimità da convivere e timorosa della femminilità da offrire. “L’aereo” è un simbolo materno, così come la “valigia” rappresenta il grembo con gli annessi e connessi genitali e sessuali dell’universo femminile. Bruna ha qualche sospeso con la consapevolezza della sua femminilità e qualche timore in riguardo alla sua sessualità, per cui non carica la “valigia nel bagagliaio”. Bruna ha qualche conflitto latente con la madre. La “distrazione” è una difesa psichica che si chiama “rimozione”. Lei parte ma dimentica, non vuol pensare a quel qualcosa di intimo e privato che si prospetta in questo happening con il suo ragazzo.

Buon viaggio, allora, anche con questa vena di vago erotismo e di stupore diffuso: “qualcosa mi distrae”.

Una volta arrivati all’aeroporto, vado a prendere la valigia ma, sorpresa, mi accorgo che non c’è. Allora, ricordo di non averla mai caricata, perché distratta da qualcosa.”

Bruna ha dimenticato di caricare la valigia nell’autobus che la sta portando all’aeroporto per volare verso il suo amore. Ritorna la distrazione, “quando qualcosa mi distrae” e “perché distratta da qualcosa”, Bruna mantiene in vita il meccanismo di difesa della “rimozione”, Bruna si aliena leggermente e senza pericolo in quella che è la parte del suo corpo più coinvolta in quest’avventura, la sua natura femminile e la sua sessualità. Il “non averla mai caricata” si traduce in non averla mai adeguatamente vissuta e razionalizzata. Bruna è una giovane donna e in quanto tale non ha avuto ancora la possibilità di fare le giuste esperienze di vita e di vitalità erotica, per cui va da sé che si senta frastornata e inadeguata a tanto viaggio. La leggera brezza della “rimozione” aiuta e incoraggia a proseguire il cammino verso l’innamorato e nella vita. Ritorna “l’aeroporto” nel sogno a testimoniare del “tramite” che porta all’autonomia psicofisica, alla libera gestione del suo “psicosoma”. Bruna deve partire e, se non parte, non cresce.

La domanda legittima a questo punto è la seguente: quale causa innesca questa “rimozione”?

Presa dal panico, decido di avvertire casa per vedere se qualcuno sarebbe potuto andare a prendere il mio bagaglio, ma, preso in mano il telefono, mi accorgo che si trattava di quello di mio padre, che è identico al mio. Tuttavia, non potevo utilizzarlo dato che, per farlo, c’era bisogno di un pin che non conoscevo.”

Ecco in ballo la figura paterna e in forma esplicita!

Bruna riesuma il padre in un contesto erotico e leggermente conflittuale, uno status psicofisico dettato dalle radici della sua formazione e dalla sua evoluzione psichica, in particolare la “posizione edipica”, i vissuti affettivi ed erotici in riguardo alla dialettica “padre-figlia” in questo caso, ma in cui è coinvolta necessariamente la “madre” per rendere completo il quadro psicodinamico. Bruna, sognando, si mette in relazione con il padre tramite il “telefono” di lui e giustifica il lapsus con la condivisione dello stesso modello. Ma guarda un po’ come ragiona Bruna in sogno. Invece di rivolgersi all’ufficio dei bagagli smarriti, richiama il padre e la relazione pregressa con lui per dire che in questa “rimozione” della sua femminilità e in questo viaggio verso la passione ha una parte importante ma non determinante, perché c’entra anche la madre e la stessa Bruna in un’ampia gamma dell’atavica diatriba sul freudiano “complesso di Edipo”. La differenza tra la figlia e il padre si attesta nel “pin”, nel codice personale che giustamente Bruna non conosce e che si traduce nella formazione e nell’evoluzione psicofisiche. Del resto, i vissuti formativi sono estremamente personali e unici ed è questa unicità che ci rende fortunatamente originali e irripetibili. Il padre non può andare a prendere il bagaglio smarrito della figlia. La questione s’intriga e si evolve verso le giuste e naturali conseguenze, seguendo sempre la linearità evolutiva del fenomeno onirico e della psicodinamica innescata.

Nulla di nuovo sotto il sole!

Così, sempre più in ansia, mi rivolgo a un uomo dell’agenzia degli autobus, spiegandogli la situazione, ma senza ammettere il fatto che io stessa non avevo infilato la valigia nel bagagliaio, dicendo invece che qualcun altro l’aveva tirata fuori a mia insaputa.”

“Presa dal panico” in precedenza e “sempre più in ansia” adesso, Bruna viaggia verso la soluzione del problema: ritrovare e riappropriarsi della propria “valigia” dimenticata da qualche parte senza l’ausilio del padre e proprio adesso che sta per volare per raggiungere il suo ragazzo “in Germania” e consumare la sua carica erotica. Degna di nota è la componente isterica e leggermente fobica della nostra eroina, il panico e l’ansia, ma si tratta di somatizzazioni che si fondono e si confondono con la piacevole eccitazione che sta provando da un paio di giorni a questa parte in attesa di volare verso una forma di rendiconto della sua formazione erotica e sessuale. Dopo il padre ritorna una figura maschile, “un uomo dell’agenzia degli autobus”, uno “spostamento e una “traslazione” che rende meno traumatico il prosieguo del sonno e del sogno. L’ansia e il panico si risolvono “spiegando la situazione” e chiaramente a se stessa e con la truffa dell’omissione, “senza ammettere”, che è una mezza furbesca e quasi consapevole “rimozione”. Bruna si sta dicendo “ adesso vado dal mio moroso in Germania e chi vivrà vedrà con valigia e senza valigia, ma è meglio che recuperi una certa qual consapevolezza della mia sessualità.” Lei aveva infilato la valigia nel bagagliaio, ma qualcun altro l’aveva tirata fuori a mia insaputa: una consapevole bugia difensiva per non pagare il dazio, per non prendere del tutto coscienza di quanto il padre abbia contribuito con la sua figura nella formazione della sua struttura psichica reattiva ed evolutiva e nella sua vitalità erotica e disposizione sessuale. Degna di nota è la difesa protettiva della sua sessualità e si vede chiaramente in “io stessa avevo infilato la valigia nel bagagliaio”, due simboli femminili che attestano delle paure maturate da Bruna nel corso della sua formazione psichica evolutiva. Chi mi aveva fatto conoscere la mia sessualità è quel qualcun altro che risponde alla figura paterna. I conti tornano e tornano alla grande a confermare la bontà della griglia interpretativa della “posizione edipica”. Si nasce femmine, ma si diventa femmine. Così parlò Sigmund!

Mi vergognavo abbastanza di questa mia grande distrazione.”

Non è vero, si tratta di un naturale meccanismo psichico di difesa che ha nome “rimozione” associato a una consapevole tutela da incidenti sociali in corso d’opera. Meglio aver paura, piuttosto che prendere botte con grande danno. La “distrazione” si traduce in “metto una cosa da un’altra parte e la sottraggo alla sua naturale e giusta collocazione”. E’ una difesa psichica che si definisce “spostamento” e serve a distribuire eventuale angoscia in maniera di renderla vivibile senza alterare l’equilibrio omeostatico anche durante il sonno e nel sogno. Ricordo che il sentimento della “vergogna” verte simbolicamente su temi riguardanti l’intimità, la vita erotica e sessuale, i bisogni del corpo. Bruna sta recuperando in sogno la sua identità di giovane donna che si appresta a vivere esperienze degne di interesse per la loro carica erotica e per la crescita personale.

Lui mi dice, rassicurante, che la mia valigia era stata trovata, che era in viaggio su un autobus e che avrei dovuto aspettarla lì.”

Coordino per capire meglio. Bruna si fa rassicurare sulla sua femminilità e sulla sua sessualità dall’addetto ai bagagli smarriti, una figura maschile che è la “traslazione” del padre, quindi Bruna si fa rassicurare dal padre sulla sua femminilità e sulla sua sessualità perché la sua evoluzione psicofisica è passata attraverso la dialettica psichica “edipica” e abbisogna dell’autorizzazione del padre. A tutti gli effetti realistici Bruna si autorizza a procedere da sola con quelle titubanze eccitanti che condiscono la preziosa minestra delle esperienze sessuali. Le sue paure sono state risolte nel migliore dei modi attraverso il riconoscimento del padre e dei diritti del suo corpo, oltre che del suo essere femminile. Sembra che non si sia presentata in sogno la figura materna trattandosi di identificazione e di identità psichiche e questa assenza significherebbe che la madre è stata ben razionalizzata e archiviata almeno per il momento e in questa situazione. Del resto, Bruna va a trovare un uomo, il suo uomo, e il padre serve anche come nulla osta per evitare i sensi di colpa e come figura di riferimento maschile. In effetti la madre è simboleggiata nella “valigia” dentro “l’autobus”, per cui il quadro edipico si compone in tutti i suoi elementi costitutivi e la vitalità sessuale di Bruna, la figlia, sembra avviarsi nella prosperità, visto che tutti gli elementi della diatriba sono stati richiamati e andati nel loro giusto posto. In precedenza la stessa Bruna aveva affermato che lei in persona “non aveva infilato la valigia nel bagagliaio” denotando la relazione con la madre e connotandola come un contrasto che si risolve al meglio e senza danno per i contendenti. L’identificazione femminile nella figura materna c’è stata, l’autorizzazione paterna c’è stata, il “Super-Io di Bruna ha detto di sì a questa avventura, l’identità femminile è acquisita, per cui si può partire per vivere la grande storia di una donna innamorata del suo giovane uomo. Si vola in Germania con la Lufthansa.

Sarei arrivata a prendere il mio aereo?”

Bruna esprime nel finale del sogno, mentre si sta svegliando a causa del protrarsi emotivo del “lavoro onirico”, il suo dubbio esistenziale: “riuscirò a vivere bene la mia femminilità e la mia sessualità e a dispormi in maniera recettiva verso le sensazioni del mio corpo e verso il mio uomo?” La titubanza è la maniera migliore per concludere un sogno completo e composto nella sua ricca e prolifica sinteticità.

Ho fatto leggere l’interpretazione dl sogno di Bruna a un mio amico veneto che di mestiere fa il tappezziere e a tempo perso il carrozziere. Alla fine Denis ha commentato in questo modo: “ma ti te varda cossa vien fora quando si decide di andare a scopar. Par mi no l’è possibile.”

Gli ho risposto che non è importante che sia vera o falsa l’interpretazione e che, invece, è giusto porre il problema della auto-consapevolezza in quello che facciamo e viviamo per non essere presi per il culo da noi stessi anche nelle situazioni più eccitanti e birichine. Non c’è cascato e ha continuato a borbottare nel suo argentino dialetto che “no l’è possibile, no. Ti t’esagera come sempre.”

L’interpretazione del sogno di Bruna si può concludere degnamente qui, nonostante le convinzioni del mio amico Denis.

L’UOMO CHE GUARDA

TRAMA DEL SOGNO

“Ho sognato mia moglie con un cappello tipo cuffia che stava lavorando, stava dipingendo un negozio con una bomboletta spray.

In questo contesto io avevo perso il cellulare e lo stavo cercando mentre nostra figlia correva.

Che significato ha questo sogno?

Grazie mille.”

Chiamerò questo signore anonimo Pasquale.

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Ho sognato mia moglie con un cappello tipo cuffia che stava lavorando, stava dipingendo un negozio con una bomboletta spray.”

Pasquale apprezza e ammira in modo particolare le capacità intellettive e creative della moglie. Si accompagna a una donna particolarmente perspicace e intuitiva e invidia le sue doti mentali anche perché la signora non è abituata a condividere con il marito tutto quello che pensa e che concepisce. Pasquale è particolarmente affascinato anche dalle abilità relazionali della moglie e dal suo pragmatismo, dalla capacità di essere concreta e non astratta, di mettere in pratica quello che pensa e progetta. La moglie è vissuta da Pasquale come una donna che non disdegna le creazioni artistiche perché è attratta dalla bellezza e dal senso estetico. Questa donna è, oltretutto, dominante nelle attività sociali e occupa un posto di rilievo nella sua attività lavorativa. Non gradisce l’ozio e privilegia il “negotium”, non sa stare con le mani nelle mani e deve sempre essere attiva e vitale. Pasquale vive la moglie come una donna affermativa e oltremodo capace nelle sue varie sfaccettature umane e psichiche.

In questo contesto io avevo perso il cellulare e lo stavo cercando mentre nostra figlia correva.”

Il quadretto familiare si completa con l’inserimento in sogno della figlia che sta crescendo e che a suo modo si sta identificando in pieno nella figura materna. Del resto, non potrebbe essere diversamente, ma Pasquale non gradisce questa coalizione benefica e la vive come un complotto nei suoi confronti lamentando incapacità a relazionarsi e bisogno di accudimento. Pasquale accusa incertezza e titubanza nei rapportarsi con la gente e di conseguenza con le figure familiari. Si è detto in precedenza della moglie creativa che non comunica a lui le sue idee e i suoi progetti e che preferisce relazionarsi con gli altri, della figlia che somiglia tanto alla madre e che sta vivendo la sua adolescenza andando incontro al prossimo con giovanile disinibizione. Pasquale si sente solo in famiglia e propone in sogno questo suo problema entrando in conflitto con se stesso perché non riesce a ritrovare quel “cellulare” che aveva perso e che ancora sta cercando. Pasquale cerca di migliorare le sue modalità di socializzare e di comunicare, ma per il momento è fermo a osservare la bontà evolutiva della figlia e le abilità espresse e inespresse della moglie.

Il sintetico sogno di Pasquale trova la sua conclusione in questo invito a scrollarsi di dosso inferiorità e inadeguatezze senza entrare in competizione con i suoi familiari e lasciando che ognuno elabori le parti migliori di sé senza i sentimenti nefasti dell’invidia e della gelosia.

UN ALTRO MARE

TRAMA DEL SOGNO

“Ero in viaggio.

Prendo una camera. Nel posto ce ne sono tante con porte una dietro l’altra, porticine tipo cabine e, infatti, il posto dà sul mare.

Poso le mie cose. Nella stanza ci sono molte cose. Dà un’idea di vissuta, non quella di anonimato solita degli alberghi.

Faccio una passeggiata verso il mare in una striscia di terra. Ci sono onde molto lunghe anche se il tempo è bello.

Mi avvicino e mi faccio bagnare dagli spruzzi e penso, mentre lecco il sale: “bello farsi bagnare da un altro mare”.

Dopo essermi cosparso ben bene, penso: “ora faccio una foto e lo racconto”. Ma non ho il cell che ho lasciato in camera.

Penso: “vabbè, poi, quando torno, faccio la foto.”

Penso, però, che in realtà ho lasciato il cellulare, i documenti (strano perché ho la sindrome del “Fu Mattia Pascal” e non giro mai senza), i soldi.

Mi avvio verso la camera non preoccupato, ma faccio una bella corsetta: (sto in piedi, eh!).

Non trovo la camera. Allora dopo aver bussato a varie porticine, vado verso la reception per chiedere il numero di stanza.

Ci sono due signore e una mi dice: “Oui, oui, monsieur Margaritò (quindi sono in Francia), il numero è questo e mi avvio verso la stanza.”

Margarito

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Ero in viaggio.”

Margarito sta vivendo. E’ un uomo che cerca e che spera di trovare, ma dentro di lui è in movimento e non si vuole acquietare. La vita è un “viaggio”. La metafora della vita è il “viaggio”. Il “viaggio” è l’allegoria del vivere. Mettila come vuoi, ma Margarito ha tanto viaggiato e ha tanto vissuto al di là della sua età anagrafica. Adesso sogna di essere nuovamente in corsa e in giro per il mondo, sempre dentro di lui s’intende. Margarito ha una buona confidenza con se stesso e può permettersi di viaggiare nella sua interiorità, nei meandri della sua psiche, nei recessi del suo “psicosoma”, negli anfratti della sua “persona”, maschera s’intende. E il sogno ne manifesta alcuni, i più tosti e delicati. Procedere urge e giova.

Prendo una camera. Nel posto ce ne sono tante con porte una dietro l’altra, porticine tipo cabine e, infatti, il posto dà sul mare.”

E, infatti, Margarito va alla ricerca delle “parti psichiche di sé” che vuole disbrigare in questo sogno. Intanto prende “una camera”, intanto si addentra in un luogo tutto suo che ancora non si palesa nella sua identità e nella sua qualità. La “camera”, ormai, si sa che nel linguaggio dei simboli rappresenta ed è una “parte psichica di sé”, una “parte” a cui accostarsi in maniera delicata e senza forzature, senza grimaldelli da ladro di periferia. Non si sa mai quale porta si apre e dove ci si imbatte, specialmente quando si va in hotel, in un luogo di tutti e necessariamente anonimo nella popolare visione, in un luogo così vario e così variamente vissuto da tanta gente e da tante dialettiche psico-esistenziali. Margarito ha tante camere dentro di lui, nel suo sito psichico, nella sua “organizzazione psichica reattiva”, nella sua “struttura evolutiva”, insomma, Margarito non è un uomo da poco e poco considerato “in primis” ai suoi stessi occhi, è un uomo complesso e complicato e specialmente dentro: “Nel posto ce ne sono tante con porte una dietro l’altra, porticine tipo cabine”. Si è capito che il sogno non appartiene a un pincopallo qualsiasi o a un Giobatta da Cefalù. Questo prodotto psichico è di un uomo che inizialmente si sta giustamente difendendo dietro l’anonimato e la genericità. Si sa che il sogno tratta di lui, ma questo lui non si appalesa nella sua evidenza sostanziale come un ente toccato dallo spirito santo, questo lui è in pieno qualunquistico anonimato. Di solito questa è la manovra difensiva degli introversi, coloro che hanno tanto vissuto dentro prima che fuori. Tutti abbiamo elaborato un patrimonio notevole di vissuti, ma le persone che propendono all’uso del meccanismo di difesa della “introversione” hanno accumulato tanti tesori presso i castelli medioevali sulla Loira, in Francia guardacaso. Le “porte”, le “porticine”, le “tipo cabine” sono il patrimonio psichico che Margarito sta investendo in questo sogno e trattasi di materiale, “fantasmi” e “vissuti” sotto forma di esperienze o di “erlebnis” alla tedesca, molto coperto perché intensamente pensato ed elaborato. Viene fuori una ricchezza interiore assoggettata a una gamma di difese che la rendono fascinosa per il portatore e gestore, Margarito per l’appunto, e per gli altri, quelle persone che aspirano a intrufolarsi in queste “stanze” e in questi abbozzi di “stanze”, di “parti psichiche” di Margarito.

Perché queste “porte”, “porticine” e queste “tipo cabine” sono fascinose?

Semplice, lo dice lo stesso interessato: “il posto dà sul mare”. Margarito sogna di affacciarsi sul “mare” con i piedi ben saldi sulla terra, sulle sue “stanze” e sui segreti pensieri che vengono dalla profondità psichica ed esulano verso la stessa profondità psichica in cui risiedono. Il “mare” rappresenta simbolicamente il “principio femminile”, la dimensione psichica inconscia, l’esistere e il vivere. Margarito si prospetta alla grande Madre, alla “rimozione” per fomentare un consistente Inconscio, all’essere gettato nel mondo con la sua individualità e la sua libertà, a operare i suoi investimenti di “libido”, a fare le sue scelte, a deliberare e a decidere.

Questo è “il posto sul mare” che Margarito ha tanto bramato, un altro “mare”, il suo “mare”.

Poso le mie cose. Nella stanza ci sono molte cose. Dà un’idea di vissuta, non quella di anonimato solita degli alberghi.”

“Poso le mie cose”: pondero bene i miei vissuti e li razionalizzo al meglio in questa situazione quasi magica in cui mi trovo, uno “status” psichico che soltanto il sogno può dare naturalmente. Margarito sa prendere e sa soprattutto lasciare. Dentro ha una ricchezza consistente e un patrimonio psichico fatto di “molte cose”. Ancora non si capisce bene di quale “stanza” si tratta, ma si è detto in precedenza che Margarito è un uomo coperto e difeso, strutturato e coriaceo che sa dispensarsi al momento giusto come un buon vino d’annata. Del resto, è assolutamente naturale mantenere nell’età matura, quando si ha “l’idea di vissuta”, le “stanze” in ordine, è importante per l’equilibrio psicofisico mettere ogni cosa al posto giusto e dare il posto giusto a ogni cosa. Margarito lo sa e lo ha fatto regolarmente perché non ha potuto concedersi il disordine mentale e l’agitazione nervosa. Ha dovuto organizzare e organizzarsi nel corso del cammin di sua vita e in tal modo ha potuto assaporare nel bene e nel male i frutti delle sue esperienze e i vissuti delle sue modalità cognitive ed emotive, i suoi pensieri e le sue azioni, le sue emozioni e i suoi affetti, i suoi investimenti di “libido” per dirla in gergo psicoanalitico. Ha vissuto e si è contraddistinto secondo le note caratteristiche che ha maturato seguendo il ritmo del coinvolgimento psicofisico che di volta in volta ha dettato in prima persona e secondo le sue valenze. Non si può di certo dire che Margarito è un uomo anonimo e convenzionale, un uomo per tutte le stagioni: tutt’altro! Margarito non ha niente di anonimo e di obsoleto nelle sue “stanze”. Anche il suo albergo ha una tonalità individuale che va dal distacco alla condivisione, dal silenzio al rumore, dall’isolamento al coinvolgimento. Il sogno dice che Margarito si sta ben difendendo con l’uso dei “processi primari” e che si sta aprendo progressivamente alla verità psichica concreta che vuole emergere: “adelante cum iudicio”. Nonostante queste benefiche cautele, Margarito non si esime dal descriversi nei tratti caratteristici della sua formazione evolutiva e dei suoi modi di essere e di esistere.

Faccio una passeggiata verso il mare in una striscia di terra. Ci sono onde molto lunghe anche se il tempo è bello.”

L’attrazione verso l’imponderabile e l’evanescente è irresistibile. Margarito è intenzionato con la sua coscienza “verso il mare” curando di tenere i piedi ben saldi sulla terra. All’uopo è buona anche “una striscia di terra”, un aggancio alla coscienza dell’Io, in una incursione verso il crepuscolo e l’obnubilato, il materiale psichico “rimosso” che non vede la luce della consapevolezza e che fa da sostegno al sistema psichico, alla “organizzazione psichica reattiva” di Margarito. Le sue introspezioni sono incursioni ben ponderate verso il “non vissuto” e il “non detto”, verso tutto quello che poteva nascere e che non ha visto la luce. Il senso della potenza è ben visibile in questo “fallo” di terra, questa “striscia” che s’insinua e s’incunea nell’elemento femminile rappresentato simbolicamente dal “mare”. In linea e in sintonia con il quadro sornione e attendista sono le “onde molto lunghe”, quasi un mare di scirocco, che contrastano con “il tempo bello” a conferma che i simboli parlano un loro linguaggio e non si riducono alla Logica consequenziale di Aristotele. Il mare di scirocco, con il suo moto ondoso di culla, favorisce il rilassamento e la distensione, l’abbandono dei sensi, la “reverie”. Il quadro psicofisico è in sintonia e in sincronia con lo stato d’animo di Margarito, un uomo che cerca e ricerca se stesso nel crepuscolo della sua coscienza e di fronte a “un altro mare”, in una nuova e diversa circostanza esistenziale ovviamente congrua con il momento psicofisico che il Tempo segna scorrendo inesorabile verso il bisogno d’ignoto e la speranza di quiete. “Il tempo è bello” quando è riservato all’abbandono psicosensoriale e alla ricerca di quel “se stesso” diverso e nuovo che non è mai andato al di là del “mare” in cui è nato e cresciuto. La “passeggiata”, il “mare”, la “striscia di terra”, le “onde lunghe”, il “tempo bello” sono gemme che incastonano il gioiello allegorico di un uomo che cerca la sua “atarassia”, la tranquillità del suo animo alla greca. Vediamo dove va a parare la tanta bellezza degli elementi in ballo.

Mi avvicino e mi faccio bagnare dagli spruzzi e penso, mentre lecco il sale: “bello farsi bagnare da un altro mare”.

Leccare il sale di un altro mare, di cui mi lascio “bagnare dagli spruzzi” e intanto “penso”: variando l’ordine delle parole il senso e il significato non cambiano. Margarito è un uomo che cerca una sua nuova dimensione psicofisica, una migliore e rinnovata “coscienza di sé”, proprio in questa allegoria sessuale della ricerca di “un altro mare” salato da leccare e in cui immergersi.

E’ proprio vero che Eros e Thanatos sono fratelli gemelli e marrani!

Il gusto del sale ricorda una canzone d’amore “anni sessanta” dell’ombroso Gino Paoli, un testo e una musica di una semplicità estrema e di un coinvolgimento pop che scende dai sensi per arrivare al cervello soltanto se è necessario. Per il resto è tutta un’emozione gustosa di calore sulla pelle e di sale sul palato. Margarito si smarrisce consapevolmente in questo “altro mare” e si abbandona al gusto di una sapienza che aspira a sublimarsi in saggezza, come in una fase di passaggio da un’età a un’altra, come in una “età” storica di Giambattista Vico, come in un’evoluzione psicofisica del collaudato duo Darwin-Freud. Il “sale” è un simbolo sacro, possiede un carisma e un valore. Quest’ultimo è culturale e ampiamente mercenario. Il “sale” sala e accresce la durata delle sensazioni, delle emozioni e delle certezze consapevolmente razionali, oltre che conservare il pesce e la carne sin dai tempi dei Romani, oltre che fare la fortuna dei primi veneziani della laguna. Il “sale” è come il “mare” un simbolo complesso e atavico, talmente antico che affonda le sue braccia negli albori del “pitecantropo” per la sua naturale gratuità e innata generosità. Il “sale” lo trovi bello e servito sugli anfratti delle scogliere in riva al mare, esige le giuste dosi per essere prezioso al corpo e alla mente, alle ghiandole endocrine e all’eccitazione logica e consequenziale delle libere associazioni e del discorso dialettico. Il “sale” di un “altro mare” è simbolicamente sempre lo stesso, anche se in natura è più o meno saturo e più meno salato. Margarito è eroticamente preso dalla ricerca di una nuova dimensione della sua consapevolezza e non sa fare a meno della parte gustosa ed eccitante della sua unità psicosomatica, del suo bisogno del Femminile, della sua propensione al crepuscolo della coscienza e dei frutti creativi della Fantasia. Ribadisco la coalizione cospiratoria di Eros e Thanatos in questo capoverso fortemente allegorico nell’interazione delle sue dinamiche simboliche. Aggiungo che il richiamo alla modalità cenestetica di scrivere del grande Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, nel suo “Gattopardo”: sensualità e sensorialità nelle parole e nelle loro combinazioni tramite l’uso di figure retoriche altamente cariche di sensi e di significati. Leggete il libro per confermare, più che per credere, anche perché ancora l’effetto contaminazione dei sensi e delle parole non è finito.

Dopo essermi cosparso ben bene, penso: “ora faccio una foto e lo racconto”. Ma non ho il cell che ho lasciato in camera.”

Margarito si è “cosparso” di acqua salata, del “sale di un altro mare”, si è cosparso “ben bene” e in questa operazione auto-erotica di qualità sensoriale sente il bisogno di tradurre in parole e in immagini il film che sta vivendo già in sogno. Al normale processo onirico Margarito aggiunge il processo grafico e fotografico. Entrambe le modalità descrittive sono funzionali all’appagamento narcisistico ed esibizionistico, compiacciono la “posizione psichica narcisistica” del protagonista, quella tutta incentrata sull’auto-compiacimento e sull’auto-gratificazione, sulla propria persona e sul gusto della stessa con l’aggiunta del dovuto retrogusto, come nelle migliori degustazione di whisky scozzese in quel di Castelfranco veneto durante le notti nebbiose. Margarito è in debito di offerte di sé ed è in credito di mancate offerte di sé. Si profila un tumulto psicofisico in questa dialettica narcisistica di Margarito con se stesso e con gli altri nel dire e far vedere quel se stesso con il gusto del sale addosso, quel se stesso brillante e saporito come un salmone affumicato norvegese. E’ questo il problema di Margarito, l’offerta di sé al migliore offerente e nelle condizioni prospere di parola e immagine. La rappresentazione “di sé” si associa alla narrazione “di sé” ed entrambe si squadernano verso un prossimo che attende l’epifania del sacro oggetto e del carismatico evangelo. Margarito aspira a raccontarsi e a farsi vedere nelle condizioni migliori del suo essere e del suo esistere lontano dal suo “mare” e in un altro “mare”. E’ presente una vena di fuga e di ritrovamento, fuga dal suo ambiente e da se stesso, ritrovamento di nuovi modi e di nuove forme, sempre di sé, della sua persona che aspira a manifestazioni congrue e congeniali, quasi desiderate con devozione e auspicate a mani giunte. Ma tutto questo processo evangelico ed epifanico è vanificato dalla negligenza, “non ho il cellulare che ho lasciato in camera”. Margarito ha dimenticato dentro se stesso, per la precisione in una “camera” della sua casa psichica, il prezioso strumento di comunicazione che avrebbe permesso l’appagamento di un desiderio e di un bisogno, quello che consentiva il passaggio dal “narcisismo” alla “genitalità”, dall’autocompiacimento gratificante alla condivisione di “parti psichiche di sé” che non trovano la strada giusta per esprimersi in mezzo alla gente. Si precisa sempre meglio la psico-dialettica di Margarito: passare da se stesso agli altri con tutto il carico di “sale” e di sapori “di sé” che si porta addosso e dietro. Per questo progetto è opportuno “un altro mare”, una diversa dimensione della “coscienza di sé” e opportunamente legata a una diversa esibizione di sé: epifania psicofisica. Lo strumento fallico del “cellulare”, che consentiva tale manifestazione, è stato “rimosso”, è stato lasciato dentro di sé, si è inceppato in prigione, si è rotto nei suoi ingranaggi, per cui a Margarito non resta altro che l’appagamento narcisistico e viene a mancare la condivisione, la “genitalità” del dare e del comunicare semplicemente perché ciò che sente “dentro” non riesce a tradurre “fuori”. Questo è lo psicodramma di Margarito: la distonia tra l’interiorità e l’esteriorità, la mancata collusione tra quel che c’è “dentro” e quel che si tira “fuori”.

Penso: “vabbè, poi, quando torno, faccio la foto.”

La “compensazione” val bene una Messa!

Come re Enrico di Borbone in piena guerra di religione nella Francia del sedicesimo secolo.

Margarito usa questo processo di difesa dall’angoscia, la “compensazione” per la precisione, con disinvoltura e perizia. Oltretutto alla fine del sogno si scoprirà che si trova in Francia. Non si perde d’animo semplicemente perché nella sua vita ha imparato a “far di necessità virtù”, seguendo la sapienza antica e assecondando le emergenze moderne. Margarito sa molto bene che non serve opporsi alle forze del destino e tanto meno alla forza dei fatti, per cui la “compensazione” cade a fagiolo nel suo piatto quotidiano di lenticchie. “Nondum matura est”, disse la volpe a se stessa guardando l’appetito e l’inarrivabile grappolo d’uva ancora appeso al suo tralcio. Volgarmente si tratta del meccanismo principe di difesa della “razionalizzazione”, quello che non traligna nel delirio paranoico e che si ferma alla constatazione intelligente dei fatti e della realtà in atto. Così, in un batter d’occhio, l’angoscia che bussava alla porta si risolve in un accorato appello a non lasciarsi prendere dal panico e a ragionare su qualsiasi evento per ricondurlo alle sue coordinate logiche e concettuali. Questo è quanto si può tirare fuori da un semplice e sintetico “vabbè”, nonché fatalistico e di siculo-araba estrazione culturale. Margarito esterna un “amor fati” più nietzschiano di quello di Nietzsche, anzi e meglio, più greco di quello di Zenone. La teoria filosofica dello “eterno ritorno” degli Stoici si riverbera nel suo piccolo nel “quando torno” del semplice Margarito, un uomo che ripete, senza averne coscienza, tragitti psichici già effettuati e già vissuti, il “dejà vu” e il “dejà vecu”, percorsi universali che corrispondono alle modalità dell’Uomo di porsi di fronte alle proprie evenienze contingenti senza avere la consapevolezza che si tratta di posizioni universali di affrontare l’angoscia del vuoto e della perdita. “Quando torno” si traduce in “quando riattraverso”, così come “faccio la foto” si traduce papale papale in “prendo coscienza” in maniera diretta e traslata, razionalizzo secondo immagini, decodifico i simboli. Margarito si dispone alla presa di coscienza che ha posposto in precedenza dimenticando il cellulare in camera. La disposizione psichica di Margarito è buona e tende a disoccultare il materiale psichico rimosso nel mare profondo, a far emergere le sue angosce in riguardo ad eventi drammatici e traumatici. La “razionalizzazione” è da rimandare nel suo quotidiano esercizio. Meglio: Margarito ricorre quotidianamente alla “razionalizzazione”, a farsi una ragione del suo “mare” e del suo nuotare in un “altro mare”, ma il “sale” carismatico della verità non è mai abbastanza da spalmare sul suo corpo.

Penso, però, che in realtà ho lasciato il cellulare, i documenti (strano perché ho la sindrome del “Fu Mattia Pascal” e non giro mai senza), i soldi.”

Il “vabbè” non va più tanto bene al nostro eroe protagonista. Il processo psichico di difesa dall’angoscia della “compensazione” non funziona come nei tempi migliori, quelli che furono come fu il nostro, immancabilmente siculo, Mattia Pascal e nonostante il nome decisamente francese o francesizzante e la sua residenza ligure. Anche la “razionalizzazione” lascia sul terreno qualche morto da sindrome strana. Il povero meccanismo di difesa e di salute, detto tra noi povera gente del popolo, è stato consumato da un male incurabile: il dubbio francese, la “scepsi” greca. Ma non si tratta del dubbio metodico di Renato delle Carte o della drastica “scepsi” di Pirrone di Elide. Margarito mette in serio e complesso dubbio la sua identità psichica, maturata oltretutto in tanti anni di esercizio del vivere e in tante vicissitudini esistenziali, nonché diffida del suo potere di uomo, maschilità compresa. E’ uscito senza cellulare, senza soldi e senza documenti ed è grande amico e ammiratore di Mattia Pascal e di Adriano Meis. Margarito si trova in “un altro mare”, possibilmente in Francia, per rievocare e mettere in discussione la sua identità psicofisica, la sua parte antica e la sua parte moderna, il suo Mattia e il suo Adriano. L’identità auspicata lo vuole libero dal potere fallico della rete di relazioni, il “cellulare”, lo vuole libero dai suoi connotati psicofisici, “i documenti”, lo vuole libero dal potere maschile d’investimento della “libido”, “i soldi”. Questo è il nuovo Margarito, l’Adriano Meis della situazione, un uomo che ha seppellito i suoi vecchi modi di essere e di esistere e che ha scelto “un altro mare” di cui intingere le membra con il nuovo “sale” dell’autocoscienza, la conoscenza di sé e del suo mondo diametralmente opposta alla vecchia e obsoleta identità alla Mattia Pascal. Margarito in sogno sta istruendo un conflitto sulla sua identità psicofisica e sta cercando una nuova dimensione del suo essere e del suo esistere. Pirandello insegna non a caso. Freud suggerisce il conflitto tra l’ideale dell’Io e l’Io ideale, una dialettica tormentata e ispirata da una forte insoddisfazione e dalla ricerca di una fuga dalla realtà in atto, una contingenza troppo avara e severa nei vissuti di Margarito.

Mi avvio verso la camera non preoccupato, ma faccio una bella corsetta: (sto in piedi, eh!).”

L’affanno non è alleato di Margarito anche nelle questioni importanti. Abituato ai tormenti dell’anima e dell’animo in riguardo alla sua “organizzazione psichica reattiva”, alla sua struttura psichica evolutiva e alla sua identità reale e ideale, Margarito entra in se stesso con la stessa facilità con cui i Greci antichi facevano dire a Socrate “rientra in te stesso” o “conosci te stesso”. L’introspezione non ha fatto difetto nello svolgimento della sua vita, così come la riflessione ha messo a posto i dilemmi più acuti e le disavventure più intrigate, per cui Margarito può avviarsi “verso la camera” “sine cura”, quella camera che lo riguarda in prima persona e tanto da vicino, la camera della sua identità psichica, la camera degli “uno, nessuno e centomila”, la camera di Pirandello e di Kafka.

Chi sono Io?

Quanti Io albergano in me?

Quante immagini di me stesso mi trascino da un mare all’altro?

Quante carte d’identità mi porto in tasca ed esibisco al pubblico ufficioso e ufficiale?

Margarito è abituato alle tante immagini di sé e ha confidenza con le sfaccettature del suo poliedrico e intraprendente “Io”: “faccio una bella corsetta”. E’ questo il senso del muoversi con la Mente, più che con il Corpo, nel mare delle pulsioni, dei desideri, delle aspettative, delle riflessioni, dei ragionamenti. Margarito introduce due piani di realtà, quella onirica che si sta considerando e quella reale che viene commentata da sveglio: “sto in piedi, eh!” Margarito in sogno può correre, nella veglia non può farlo.

Perché e cosa significa questo apparente contrasto?

Nella vita Margarito è andato avanti con le sue abilità psicofisiche che non coincidono con le sue gambe fisiche e a esse non si riducono. “Camminare” in sogno si traduce nel procedere passo dopo passo nelle strade della vita e nella possibilità di riflettere: “mi avvio verso la camera”. La “bella corsetta” equivale al fascino dei processi psichici creativi e nello specifico alla fertilità delle fantasie e dei pensieri, nonché al saltar di palo in frasca o nel procedere per via associativa nella gestione dei tanti vissuti che si affacciano e affollano la sua psiche, di questa sua capacità di movimento nelle stanze dell’Io e nelle camere della Mente. Margarito si mostra compiaciuto e orgoglioso di questa sua abilità nel procedere e nel sostare, di questa sua capacità di movimento tra i meandri della sua vitalità psichica. Ha tanto camminato e corso dentro di lui rispetto allo spazio esterno. Il dilemma dell’identità psichica resta aperto e affidato al miglior offerente. Vediamo chi arriva primo e cosa profetizza.

Non trovo la camera. Allora dopo aver bussato a varie porticine, vado verso la reception per chiedere il numero di stanza.”

Margarito si difende con le sue “resistenze” a riesumare traumi rimossi in riguardo alla sua evoluzione psicofisica e al fine di migliorare la “coscienza di sé”: “non trovo la camera”. Eppure la “camera” c’è, eppure esiste il materiale psichico inquisito e con cautela ricercato, ma la sopravvivenza induce alla prudenza. Quest’ultima in Psicoanalisi si definisce “difesa” e serve a impedire all’angoscia di affiorare e di scaricare la sua connaturata carica nervosa. Quest’ultima è destabilizzante e pericolosa, per cui anche la funzione onirica fa in modo che il “contenuto latente” non coincida con il “contenuto manifesto” per non fare scattare l’incubo e il risveglio immediato. Margarito “non trova la camera”, la sua camera, da sé e abbisogna di progressione e di tutela con l’atto vario di bussare “a varie porticine” che aprono varie stanzette. Margarito non vuole “sapere di sé” nella sua autenticità e si crogiola cazzeggiando su false immagini di sé o su parziali rendiconti della consapevolezza del suo Io. Le “porticine” chiudono accessori psichici e non essenze e sostanze di buona qualità, le “porticine” appartengono a quelle stanzette in cui si occulta in maniera disordinata il materiale che apparentemente non serve nella vita corrente anche se ha una buona importanza formativa. Margarito ricorre alla “reception” per “sapere di sé”, ricorre al riconoscimento che riceve dall’esterno, dalle sue capacità relazionali e dall’offerta sociale di “parti psichiche di sé”. Margarito si commisura agli altri per avere il suo “numero di stanza”. Mi spiego meglio: se chiedete a Margarito “chi sei?”, vi risponderà “io sono quello che gli altri rimandano dal mio dare loro”, ribatterà che la sua identità prevalente è collocata nei dati e nei riscontri che la sua persona riceve dai suoi investimenti sociali. E’ come se il “narcisismo” si sposasse con la “genitalità”, l’Io si rinforzasse continuamente dal riconoscimento degli altri, l’uomo si nutrisse del bene che opera e del come opera bene nei riguardi della gente che lo circonda e che riconosce e apprezza il suo operato. Importante è per Margarito quello che viene a lui dall’ambiente sociale, dagli altri a cui non fa mancare i suoi investimenti. Narciso si sposa con il buon uomo e coltiva di sé questo bisogno di riconoscimento. Margarito è socialmente un buon padre, appartiene alla comunità e predilige i centri sociali. Da questa azione trova forza il suo Io. Questa è la “reception” dell’hotel di Margarito, nonché il suo numero di stanza che si andrà a precisare nel prosieguo. La dialettica tra Margarito e la gente è intensa e determina in gran parte l’identità psichica. Margarito è decisamente un “animale sociale”, uno “zoon polithicon”, secondo i dettami filosofici del buon Aristotele.

Ci sono due signore e una mi dice: “Oui, oui, monsieur Margaritò, (quindi sono in Francia), il numero è questo e mi avvio verso la stanza.”

Le donne, le “signore” sono maieutiche nel sogno di Margarito, sono “due” e sono francesi. Queste due figure femminili detengono il potere, sempre secondo il vangelo psichico e onirico, di avere in deposito l’identità psichica di Margarito, meglio di Margaritò. Dire che sono due donne della sua vita è troppo semplice e quasi banale, dire che sono due “parti psichiche” del nostro eroe protagonista è prossimo alla verità, dire che sono introiezioni di figure psichiche che hanno contribuito alla formazione psichica di Margarito è giusto e al di là del loro sesso fisiologico. Queste “due signore” detengono “il numero” di accesso alla “stanza”, sono figure che hanno consentito a Margarito l’ingravidamento e il parto progressivo di se stesso: socraticamente “maieutiche”. Nella realtà possono essere due donne, così come possono essere due figure maschili nelle quali Margarito ha investito gran parte della sua “libido” nel processo psicofisico evolutivo. In “un altro mare” Margarito alla fine ha fatto sempre i conti con la sua identità psichica, “il numero della stanza”, un dato e un vissuto che trovano riscontro in figure protettive e affidabili, carismatiche e “genitali” che hanno rinforzato e sostenuto l’evoluzione dell’Io con la giusta dose di narcisismo. Il “mare francese” è “l’altro mare” di Margarito e in questa scelta si coglie la predilezione verso culture mediterranee neolatine, nonché verso una tipologia di femminilità sofisticata e fascinosa, “charmant”. Non dimentichiamo che le due donne sono salvifiche, soteriologiche alla greca e non alla francese, perché l’identità psicofisica di Margarito passa attraverso queste due figure formative.

Altro non so aggiungere a questa lunga disamina del sogno di Margarito, per cui l’analisi si può chiudere qui.

Anzi, ricordo che la lingua francese è la più sensuale dell’universo.

Adesso il sogno di Margarito ha trovato il suo fine e la sua fine.

SOLO PER FAR SESSO

TRAMA DEL SOGNO

“Non ricordo dove sono, incontro il mio ex , è bruttissimo, capelli lunghi un po’ rossicci, barba lunga e bianca con un elastico nel mezzo che forma come un codino, gli occhi stanchi ed un po’ lucidi.

Ci mettiamo a parlare e dopo un po’ lui mi propone di venire a casa mia, capisco che questa offerta è una proposta di far sesso, ma mi dico “tanto che ho da perdere? Ci vado e poi ognuno per la sua strada”

Mentre andiamo verso casa, io davanti e lui di dietro, mi viene il dubbio che se facciamo sesso poi non riesco più a sganciarmi da lui, perché magari si farà insistente. Mi chiedo se sia stata una buona idea accettare la proposta e ci rimugino fino a casa.

Arrivati a casa non mi ricordo da che parte salire al mio piano. Ed invece di andare dietro alla casa, vado sul davanti. Mentre passo davanti alla porta di mia madre, sento che si apre ed io in quel momento non voglio che mi veda con il mio ex. Vedo sgattaiolare fuori qualcosa di nero, ma non capisco cosa e poi la porta si richiude.

Io continuo a camminare verso una scala e ci salgo, mentre faccio gli scalini continuo a pensare se sto facendo la cosa giusta.

Arrivata sopra non riesco a salire sul terrazzo se non arrampicandomi su una struttura in legno traballante e mi siedo in cima, ha un fondo in compensato che sembra stia cedendo e continua ad oscillare, procedo da seduta spingendomi con fatica.

Penso: guarda che lavoro fatto male che ho fatto senza di lui e da quando lui non c’è, mi dirà che non so fare niente.

Ma non importa, continuo ad avanzare con la paura di cadere, finché non salto sul terrazzo. Mi giro per avvisarlo di stare attento, ma lui è già sceso ed è al mio fianco.

A quel punto dobbiamo entrare in casa, ma io sono ancora assalita dal dubbio di fare la cosa giusta, anche perché lui è brutto, io ho paura … ma non mi viene di dirgli di no.

Una volta entrati, lui mi chiede se può andare in bagno. Io gli dico di si, e lui mi risponde “sai, io devo andare anche a far la cacca.”

Intanto io vado a preparare la camera. Ma mentre sono là penso a come fare per mandarlo via, allora prendo il cellulare per mandare un messaggio all’amico con cui mi vedo ora per avvisarlo di dove e con chi sono (una forma di sicurezza se dovessi aver bisogno).

Però quando apro il cellulare c’è un gioco che gira e non mi permette di accedere ai messaggi ed io provo e riprovo ma non riesco ad uscire da quella modalità gioco e non potendo fare il messaggio mi prende la paura.

Sento che la porta del bagno si apre e nascondo il telefonino sopra all’armadio in modo che il mio ex non vada a controllare se ho mandato messaggi a qualcuno.

A quel punto aspetto che arrivi in camera … e là finisce il sogno.”

Questo lungo sogno appartiene a Merigiò.

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Non ricordo dove sono, incontro il mio ex , è bruttissimo, capelli lunghi un po’ rossicci, barba lunga e bianca con un elastico nel mezzo che forma come un codino, gli occhi stanchi ed un po’ lucidi.”

Merigiò esordisce con la descrizione del suo “ex”, un uomo “ex” e fuori di lei, fisicamente, ma sicuramente “in” e dentro di lei, psichicamente, per quello che ha rappresentato e per tutto quello che ha vissuto con lui. I connotati fisici attestano di una precisa diffusione nello spazio psichico di questa figura di uomo, una presenza caratteristica che Merigiò si è portata dietro nel corso della sua vita non senza tentennamenti e rimpianti. Magari non riusciva a trovare di meglio o magari non aveva la giusta consapevolezza del suo valore e per questa carenza si è accontentata di un uomo che, all’emergere della sicurezza in se stessa, ha giustamente e figurativamente abbandonato per strada con tutti i suoi connotati fisici e psichici. Infatti, la descrizione dell’ex è proprio originale, ricca di elementi specifici e simbolici. Traduco: l’ex di Merigiò non è una bella persona, ha idee tutte sue di stampo persecutorio, è un attaccabrighe che pone tra sé e gli altri soltanto barriere, ha una visione della realtà coatta e una filosofia di vita ristretta a poche idee anche se chiare. Ma si sa che “ogni scarafone è bello a mamma soia” e, se questo soggetto critico è piaciuto a Merigiò, si prende atto che l’originalità estetica e caratteriale l’ha colpita a suo tempo. Di poi, quando si è riconciliata con se stessa, Merigiò ha preteso per sé una relazione migliore e più rassicurante, rispetto a una storia d’amore con un diavolo ambulante.

Ci mettiamo a parlare e dopo un po’ lui mi propone di venire a casa mia, capisco che questa offerta è una proposta di far sesso, ma mi dico “tanto che ho da perdere? Ci vado e poi ognuno per la sua strada”

Merigiò sognando si sta dicendo che l’attrazione vissuta nei riguardi del mostro descritto in precedenza si giustifica con la sessualità, con il “far sesso”, con l’istinto e la pulsione che non hanno bisogno della ragione e dei ragionamenti, con la forza dell’Es che non ha bisogno del divieto del Super-Io per essere messa in atto. Merigiò aveva una buona intesa sessuale con il suo ex e su questo trasporto dei sensi basava l’essenza del rapporto. E fin qui va bene, semplicemente perché una buona relazione di coppia deve avere come base un buon esercizio della “libido”; altrimenti che coppia è, di che coppia stiamo parlando? Di una coppia sublimata o di una coppia eterea che sta in cielo e non in terra. Merigiò in sogno riesuma il suo ex per l’attrazione sessuale e per la vita erotica che ha vissuto con un uomo che somiglia tanto al buon selvaggio allo stato di natura di rousseauiana memoria. La possibile contingente unione si sposa con la successiva separazione, l’incontro è possibile se basato sugli opposti del prendersi e del lasciarsi, sulla finalità esclusivamente godereccia e casereccia come il pane buono degli uomini primitivi. Una scopata alla grande “e poi ognuno per la sua strada” è un programma soddisfacente e un progetto di grande valore e di massima libertà anche se resta da chiedere il perché Merigiò sta sognando questa soluzione primitiva di sesso per la sua preziosa e bella persona. La risposta può attestarsi nella nostalgia di avere un maschio che sappia far bene l’amore come il suo “ex e sulla crisi di maschi di questo tipo nella panoramica esistenziale di Merigiò. Magari è in una situazione di crisi relazionale e di astinenza sessuale, per cui il corpo di notte chiede in sogno l’appagamento erotico e magari un orgasmo per culminare nel cielo delle stelle cadenti. Comunque, Merigiò è una donna libera e disinibita che dispone del suo corpo e della sua sessualità come le aggrada e le conviene. Questo è un dato notevole di autonomia psicofisica, ma non sempre tutte le ciambelle vengono con il buco. Vediamo come procede questo sogno descrittivo e con pochi connotati simbolici: una “fantasia a occhi chiusi” in forma narrativa come un fotoromanzo degli anni sessanta nel giornale del popolo che si titolava “Grand hotel”.

Mentre andiamo verso casa, io davanti e lui di dietro, mi viene il dubbio che se facciamo sesso poi non riesco più a sganciarmi da lui, perché magari si farà insistente. Mi chiedo se sia stata una buona idea accettare la proposta e ci rimugino fino a casa.”

Come dicevo, quello di Merigiò è un sogno quasi a occhi aperti dal momento che si serve di una vena narrativa e di una verve descrittiva che aggiungono chiarezza alla tensione che via via la protagonista costruisce su questo meraviglioso incontro del suo tipo: un rapporto sessuale, una storia di sesso, punto e basta. L’andare “verso casa” attesta della familiarità e della condivisione vissute in precedenza e “l’io davanti e lui dietro” conferma la direttività consapevole e volitiva di Merigiò durante il precedente menage di coppia, proprio quel menage sessuale che era il fiore all’occhiello e che la protagonista teme perché può rievocare una forma di dipendenza e un desiderio di ritorno al passato. Merigiò teme di riattaccarsi al suo ex proprio per quello che rappresentava nella coppia, un uomo che fa bene il sesso e che sa ben percorrere le località limitrofe. Non è messa bene a questo riguardo la donna e rimugina se aderire alla pulsione che la vuole eccitata o aderire al divieto che la vuole a rischio dipendenza. Riepilogando: un uomo e una donna si sono incontrati a suo tempo e hanno vissuto una buona intesa sessuale che è stata la parte costitutiva del loro rapporto. Dopo la separazione la donna vive una frustrazione sessuale e in sogno rievoca il suo partner con la gioia di rivivere l’eccitazione sessuale del passato e con il timore di ricadere nella storia a causa delle frustrazioni del tempo presente.

Arrivati a casa non mi ricordo da che parte salire al mio piano. Ed invece di andare dietro alla casa, vado sul davanti. Mentre passo davanti alla porta di mia madre, sento che si apre ed io in quel momento non voglio che mi veda con il mio ex. Vedo sgattaiolare fuori qualcosa di nero, ma non capisco cosa e poi la porta si richiude.”

Merigiò ragiona e valuta perdendo in attrazione e crescendo in riflessione. Merigiò aumenta le sue resistenze a lasciarsi andare alla trasgressione e al ritorno della fiamma erotica. Merigiò istruisce le sue difese dal coinvolgimento e tira fuori i tabù materni e familiari che hanno contrassegnato la sua formazione psichica e sessuale nel caso specifico. L’educazione di Merigò ha conosciuto l’intolleranza e la condanna della sessualità e della vitalità che a essa si ascrive, almeno prima del matrimonio. La figura materna è stranamente il “Super-Io” di Merigiò, perché di solito è il padre a investire questo ruolo di censore della mente e di torturatore del corpo delle figlie. Possibilmente l’ombra scura, “vedo sgattaiolare fuori qualcosa di nero”, è quel padre che non supera la prova repressiva perché l’istinto sessuale e la pulsione erotica della figlia sono decisamente più forti del divieto familiare e del tabù culturale dominanti. Il “salire” in questo caso non si traduce simbolicamente nel processo psichico di difesa dall’angoscia della “sublimazione della libido”, ma rientra nella costruzione della scena onirica e nel fomentare il quadro con l’effetto sorpresa, in maniera che l’eccitazione prenda il sopravvento con giusta causa e buon effetto di claque. Le porte che si aprono e si chiudono, la madre che c’è e non c’è, il davanti e il didietro, il vedere e il non vedere sono elementi costitutivi della sceneggiatura onirica e sono funzionali ad accrescere la tensione erotica della trasgressione e il rischio dell’avventura tra riedizione del “già vissuto” e dipendenza sempre dal “già vissuto”. Merigiò non riesce a liberarsi dalla morsa di eccitazione che sta elaborando in sogno e nello stesso tempo la fomenta attraverso il ricorso a tappe e a momenti di preparazione della scena finale con l’evento clou: fare sesso, vivere una contingenza di sesso. Il quadro costruito da Merigiò sa di ormoni in movimento, ha un sapore adolescenziale fatto di desiderio e repressione, di eccitazione e contenimento, di sblocco e di argine.

Io continuo a camminare verso una scala e ci salgo, mentre faccio gli scalini, continuo a pensare se sto facendo la cosa giusta.”

Merigiò a questo punto insiste sul “camminare” e sul salire la “scala” e sul fare “gli scalini”, per cui richiama il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido” per aiutarsi a reprimere la voglia di sesso che si porta dietro sin dall’inizio del sogno e anche prima di andare a letto e dormire. Il ricorso alla valutazione del suo “Super-Io” attesta che la donna è anche disposta a sacrificare la sua “libido” pur di non sentirsi in colpa per il resto dei suoi giorni e per non avere l’amara sorpresa dell’ex che fraintende la finalità erotica dell’amplesso e magari la tarma a vita per tornare con lei. Merigiò sta giocando con il morto e lo sa, ma l’unico ostacolo allo sballo erotico può essere, almeno fin adesso, la censura morale del padre e della madre che poco prima sono sgaiattolati nell’ombra degli atavici tabù sessuali, quelli che rasentano la sessuofobia. Ma si sa che più reprimi e più ti ecciti, per cui Merigiò, per continuare a dormire e non svegliarsi in preda al desiderio inappagato, deve trovare l’espediente giusto e la forza di ascoltare i suoi bisogni erotici e le sue pulsioni sessuali senza ricorrere a frustrazioni inopportune e a dannose auto-castrazioni. Sta facendo la cosa giusta? A Merigiò prima il piacere e dopo l’ardua sentenza.

Arrivata sopra non riesco a salire sul terrazzo se non arrampicandomi su una struttura in legno traballante e mi siedo in cima, ha un fondo in compensato che sembra stia cedendo e continua ad oscillare, procedo da seduta spingendomi con fatica.”

La “sublimazione della libido” fortunatamente non funziona, dico fortunatamente perché la frustrazione di tanto desiderio sessuale avrebbe portato a una “conversione isterica”, a una somatizzazione delle tensioni inespresse con grave e contingente danno per l’equilibrio psicofisico di Merigiò. All’incontrario il fallimento della “sublimazione” scompensa meno il sistema economico e dinamico della psiche e apporta il vantaggio di usare la via diretta e non la via surrogata per espletare correttamente le funzioni sessuali. La “sublimazione della libido” traballa e si poggia su una base sottile che rischia di cedere e che oscilla. La fatica di Merigiò è tanta nel contenere il desiderio di fare sesso con il suo ex, per cui non le resta che abbandonarsi al moto degli organi vitali e al desiderio di avere un uomo adeguato al compito e collaudato nel tempo. Il quadro costruito da Merigiò è formidabile perché dà pienamente il senso dell’incertezza e del travaglio della scelta tra il prendere e il lasciare, una decisione tutta sua, un combattimento con se stessa e le istanze psichiche dell’Es che vuole, del Super-Io che impedisce e dell’Io che sta a guardare.

Penso: guarda che lavoro fatto male che ho fatto senza di lui e da quando lui non c’è, mi dirà che non so fare niente.”

Qualche senso di colpa Merigiò se l’è trascinato dopo la rottura con il suo ex e in particolare teme che lui la riprenda sul fatto che è rimasta una donna incompleta e non ha trovato un uomo equivalente a lui e tanto meno uno migliore. Merigiò ritiene che il suo ex le contesti la debolezza manifestata nel circuirlo e nell’accettare il suo invito a fare sesso, insomma non è tanto sicura della relazione che si può stabilire e dei discorsi che possono intercorrere in questo recidivo happening e soprattutto dopo. Merigiò teme anche la gelosia dell’uomo e la possibilità di sentirsi tradito in questo periodo in cui lei ha goduto della sua libertà e della sua autonomia. Merigiò non è tranquilla perché non è sicura della bontà della sua decisione di tornare sul luogo del delitto, si convince di non essere una buona assassina, ma la spinta pulsionale e gli ormoni indicano la direzione di una sana scopata.

Ma non importa, continuo ad avanzare con la paura di cadere, finché non salto sul terrazzo. Mi giro per avvisarlo di stare attento, ma lui è già sceso ed è al mio fianco.”

“Alea iacta est”, disse Cesare attraversando il Rubicone. “Il dado è tratto e la cosa si può fare”, dice Merigiò in sogno a se stessa e al suo ex: “non importa, continuo ad avanzare” anche con la sana paura di sbagliare. Merigiò riprende la seduzione e rilancia l’intesa anche se nei suoi desideri lui è già pronto al suo fianco per l’amplesso fatale. Marigiò non attribuisce al suo ex alcuna titubanza e segue la linea sperimentata di descrivere un maschio che riflette poco e che non ha paura di stare con una donna. La disinibizione, in effetti, appartiene a Merigiò, che la proietta su di lui per incentivare la sua spinta a sentirsi libera nella scelta e autonoma nella decisione. Decisamente si tratta di un invidiabile e auspicato traguardo. Il sogno continua e si compiace di accrescere la tensione come una forma di eccitazione preliminare.

A quel punto dobbiamo entrare in casa, ma io sono ancora assalita dal dubbio di fare la cosa giusta, anche perché lui è brutto, io ho paura … ma non mi viene di dirgli di no.”

Si conferma la decodificazione precedente. Merigiò è combattuta come Amleto e si chiede se scopare o non scopare. L’intimità è pronta e bella e fatta, la recezione sessuale è al punto giusto, bisogna sconfiggere le ultime resistenze che vorrebbero illegale e pericoloso il fattaccio e il tramaccio. Merigiò è assalita più dal desiderio che dal dubbio. In questo capoverso opera una traslazione dei significati ed è come se dicesse “che lo vuole e che è eccitata”. Convertendo le tensioni negative della paura e dell’incapacità a negarsi in positive, viene fuori quanto si diceva prima, uno stato di eccitazione sessuale che aspira a realizzarsi. “Brutto” si traduce eccitante. Merigiò non sa dirsi di no, non sa negarsi il benessere. E allora si va avanti verso il meglio, come prescrive il principio filosofico dell’ottimismo evoluzionistico.

Una volta entrati, lui mi chiede se può andare in bagno. Io gli dico di si, e lui mi risponde “sai, io devo andare anche a far la cacca.”

E’ la descrizione del coito desiderato: “entrare in casa”, “sono assalita”, “lui è brutto”, “io ho paura”, “una volta entrati”, “devo andare anche a fare la cacca”. Ho ripreso parti del precedente capoverso e del presente ed è venuta fuori l’allegoria del coito. I condimenti sono quelli giusti: la penetrazione, l’eccitazione, la forza dell’istinto, l’aggressività sessuale. In poche parole Merigiò ha tradotto mirabilmente in parole il suo desiderio sessuale e nelle sequenze in cui lo ha immaginato. I simboli dicono che “andare in bagno” significa intimità e ricerca di fusione, “fare la cacca” equivale allo scarico dell’aggressività anale, alla componente sadomasochistica della “posizione psichica anale” e propria della “libido” che si realizza nell’aggressività e nella passività del subire. Merigiò è una donna che vuole il maschio deciso e aggressivo, incisivo e determinato nell’esternare carezze inequivocabilmente condite di tollerabile sadismo. Ecco perché in sogno manda il suo ex a fare la cacca. La castità per Merigiò è veramente una sofferenza, ma ancora il sogno continua e può riservare sorprese oppure si può acquietare nel dopo l’orgasmo.

Intanto io vado a preparare la camera. Ma mentre sono là penso a come fare per mandarlo via, allora prendo il cellulare per mandare un messaggio all’amico con cui mi vedo ora per avvisarlo di dove e con chi sono (una forma di sicurezza se dovessi aver bisogno).”

Merigiò sta facendo di tutto, anche l’impossibile, per tenere sotto controllo i suoi istinti, ma non ci riesce e tra un prepararsi nella sua “camera” psicofisica e un pensiero di fuga elabora anche un senso di colpa nei riguardi dell’uomo che sta frequentando. Certamente Merigiò sta dicendo a se stessa che andare a letto con l’ex significa tradire l’altro, non è tanto sciocca da dover comunicare all’interessato il tradimento e oltretutto in diretta. Merigiò non si sente sicura solamente perché interviene a intermittenza il “Super-Io” a dirle che queste cose non si fanno tra la agente per bene e a prescriverle l’astinenza sessuale in cambio della virulenza della “libido”. “Una forma di sicurezza se dovessi aver bisogno” ricalca l’eccitazione tormentosa che Merigiò vuole vivere e che rientra nelle sue modalità eccitative e sessuali. Non è una donna che fa punto e basta, Merigiò è una donna che usa tanto la fantasia e che le cose le gusta fino in fondo, dall’inizio alla fine e nel mezzo ci mette tutti i condimenti necessari a un thriller di sessuale ispirazione.

Però quando apro il cellulare c’è un gioco che gira e non mi permette di accedere ai messaggi ed io provo e riprovo, ma non riesco ad uscire da quella modalità gioco e non potendo fare il messaggio mi prende la paura.”

Ritorna in versione amplificata e diretta il bisogno di Merigiò di complicare i preliminari psicofisici in vista di un’eccitazione che non tralascia alcun particolare nel midollo spinale e nella vagina, si manifesta ancora questa tendenza a fare di un volgare coito un poetico coito, di un prosaico amplesso un poetico amplesso, di una semplice scopata una accurata scopata. Merigiò non è donna che si fa mancare qualcosa quando fa le sue cose e questo capoverso onirico lo testimonia proprio con il bisogno di cercare aiuto e l’incapacità a trovarlo proprio perché non lo vuole, proprio perché non ne ha bisogno. Merigiò è sorniona e sa il fatto suo e, di certo, non ha paura di un uomo che già conosce e sa come prendere o di un uomo che si presenta nella scena della sua vita. Tutto questo semplicemente perché Merigiò sa di sé, ha una buona autocoscienza, una limpida auto-consapevolezza. Il “gioco” che le impedisce “di accedere ai messaggi” conferma quanto prima affermato. Merigiò sta giocando e si eccita con questi preliminari della seduzione e della conquista e non pensa minimamente di ragionare e di riflettere in questo trambusto dei sensi che aspira in progressione all’appagamento orgasmico. Se Merigiò cambiasse “la modalità di gioco”, andrebbe decisamente in crisi erotica e sessuale.

Sento che la porta del bagno si apre e nascondo il telefonino sopra all’armadio in modo che il mio ex non vada a controllare se ho mandato messaggi a qualcuno.”

Anche l’effetto sorpresa non manca in questo lungo e tormentato sogno di Merigiò. Il thriller non manca, con tutta l’eccitazione che si porta addosso, di testimoniare che il sentimento della gelosia è per lei una fonte di godimento. Non è il suo ex a essere geloso, ma lei che è gelosa e possessiva e non gode a condividere un uomo. Merigiò si difende con il meccanismo della “proiezione” e attribuisce al suo ex quello che è un suo precipuo vissuto, il sentimento della gelosia. E’ una donna che non vive in condominio e non concepisce la condivisione di un uomo, è una donna che le pensa tutte e ne pensa troppe, è una donna dal palato delicato e non si confonde con la massa anonima e asettica. Tutto è pronto per l’amplesso fatale e le ultime resistenze sono state debellate. Finalmente Merigiò è sola con se stessa e in compagnia del suo ex. Adesso si possono adempiere le scritture profane e laiche. Ora o mai più.

A quel punto aspetto che arrivi in camera … e là finisce il sogno.”

Merigiò ha combinato o non ha combinato?

Il lettore di questo testo deve farsene una ragione e deve prendere una posizione sul possibile prosieguo del sogno erotico di Merigiò. La mia risposta è la seguente: Merigiò si è fatto il suo ex abbondantemente durante il sogno, per cui non era necessario vivere narrativamente la fase finale del coito. Era giusto e naturale che si svegliasse senza cadere nell’incubo, proprio perché aveva tanto speso in eccitazione durante il “lavoro onirico” di costruzione delle varie sequenze. Anche l’attesa di lui, “aspetto che arrivi in camera”, dice dell’atmosfera seduttiva che Merigiò ha voluto costruire nel suo sogno elaborando scene magiche e umanissime allo stesso tempo.

Il sogno di Merigiò si può definire un sogno di sesso e si può degnamente concludere con il trionfo dei sensi di una donna fantasiosa e pratica.

MAMMA DOVE SEI ? AIUTAMI !

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Mi trovavo in macchina e avevo il cellulare a terra e mia figlia gridava: “Mamma dove sei, dove sei, aiutami!”
Io le rispondevo dicendo: “dimmi dove sei, che arrivo”.
Lei mi diceva dov’era, ma io non riuscivo a sentire e a capire.
Allora ho girato la macchina e ho pensato di avere sbagliato e di avere perso tempo.
Mi sono sentita in colpa.”

Questo è il sogno di Antonia Soares.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Il sogno di Antonia è un dramma intrapsichico, non ha niente a che vedere con la maternità e con la “posizione psichica genitale”, riguarda la rievocazione di un trauma rimosso e risalente all’infanzia e all’adolescenza. Questa dura riesumazione avviene durante un rapporto sessuale anonimo in cui la protagonista è tutta presa non dalla sua “libido” in atto, ma dalla sua angoscia e tenta di risolvere “il ritorno e l’afflusso del rimosso” con una presa di coscienza e una “razionalizzazione” che in passato non sono state effettuate semplicemente perché non si sono rese necessarie a causa del buon funzionamento della “rimozione” e degli altri “meccanismi di difesa” dall’angoscia che avevano preso in carico il trauma con tutto il suo contenuto tensivo.
La prima considerazione dice della delicata sensibilità che contraddistingue il periodo dell’infanzia, la seconda considerazione induce a riflettere sulla bontà del meccanismo psichico di difesa della “rimozione”, lo strumento principe che portò il dottor Freud a ipotizzare, più che a scoprire, una dimensione psichica inconsapevole e attiva, “l’Inconscio” del primo sistema psichico, quello che richiedeva una subcoscienza, “Preconscio”, e una coscienza, “Conscio”.
L’infanzia e l’adolescenza sono contraddistinte da una costante turbolenza del Corpo a cui la Psiche non riesce a star dietro. Il congenito ritardo di quest’ultima a prendere coscienza delle progressive ed evolutive modificazioni organiche è la causa principale delle crisi psichiche che caratterizzano i primi dieci anni di vita. La Psiche arriva sempre dopo il Corpo e lavora nel lungo termine. Se poi si aggiungono interferenze improvvide e azioni traumatiche da parte dell’ambiente e degli adulti nello specifico, la tempesta ormonale lascia il posto alle deformazioni psichiche in riguardo a settori determinanti per la vita di una persona come le funzioni affettive e sessuali. La violenza adulta sul mondo infantile è un tema così variegato e ampio da somigliare a una costellazione.
Per quanto riguarda il meccanismo psichico di difesa della “rimozione”, bisogna dire che non è duraturo e inossidabile perché spesso non funziona nel modo giusto e globale. Per questa imperfezione si verifica il “ritorno del rimosso” nelle situazioni di vita più imprevedibili e specialmente negli stati psicofisici particolarmente eccitanti e ricchi di connotati emotivi ed affettivi. Anche il sogno è un “ritorno del rimosso” in quanto fuggono dal carcere della “rimozione” le rappresentazioni e le emozioni collegate che si dispiegano nella scena onirica. Quando queste ultime si manifestano nella vita corrente, vengono prese in considerazione e in trattamento dai meccanismi psichici di difesa più sofisticati come la “formazione reattiva” o la “formazione di sintomi” o la “formazione sostitutiva” o la “formazione di compromesso”. In ogni caso il ripristino dell’equilibrio psicofisico è il primo obiettivo psichico da raggiungere dopo il fallimento parziale del sistema delle difese. Questo lavoro è opera dell’Io che ridisegna le rappresentazioni e stempera le tensioni in maniera accettabile. Pur sviluppandosi l’Io sin dal primo anno di vita, non riesce a organizzare esperienze e conoscenze, vissuti e fantasmi, affetti ed emozioni in maniera idonea all’equilibrio psicofisico, “omeostasi”, ma riesce a smaltire al meglio il cumulo delle tensioni nervose. Se in quest’opera di riordino arriva un trauma causato da un’esperienza violenta, come ad esempio la pedofilia, ecco che l’Io incorre in una difficoltà ulteriore al normale minuto mantenimento e deve ricorrere all’uso di meccanismi di difesa adulti e più complessi come la “razionalizzazione” o la “sublimazione”.
Ulteriore rilievo va dato alla frattura psichica tra il trauma subito da Antonia bambina e la mancata o parziale consapevolezza di Antonia adulta: “Lei mi diceva dov’era, ma io non riuscivo a sentire e a capire”. Manca la continuità nel flusso psicofisico tra l’infanzia e la maturità a causa della difesa operata dal meccanismo della “rimozione”, il quale ha lavorato bene separando la scena del trauma dall’angoscia collegata, ma ha introdotto nel sistema un’entropia e un disordine che nel tempo e con l’uso continuato hanno indebolito la compattezza della struttura, “organizzazione psichica reattiva”. Più si rimuove e più ci si indebolisce, per cui la prognosi impone che il rimosso venga smaltito con la presa di coscienza e la razionalizzazione man mano che si presenta e abbandonando la politica conservativa dello struzzo che nasconde la testa sotto la terra ma viene beccato dall’avvoltoio nelle parti intime. Antonia stessa lo dice nella conclusione del suo breve e ricco sogno: “ho pensato di avere sbagliato e di avere perso tempo. Mi sono sentita in colpa.” Ha accantonato nel ripostiglio e nel dimenticatoio il trauma sessuale e la violenza collegata, ma è successo che la rappresentazione o la scena è stata dimenticata, ma l’angoscia è rimasta in circolo per essere ridestata dalle scene e dalle situazioni similari occorse inevitabilmente alla donna adulta. Non si insisterà mai abbastanza sulla necessità salvifica della presa di coscienza anche dei vissuti più truci e turbolenti. “Conosci te stesso” equivale a non rimuovere troppo e a un “sapere di sé” che consente un buon gusto della vita.
Si può procedere con la decodificazione.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Mi trovavo in macchina e avevo il cellulare a terra e mia figlia gridava: “Mamma dove sei, dove sei, aiutami!”

I temi dell’angoscia di una figlia che invoca il soccorso della madre si presentano immediatamente in questo breve ma intenso sogno. Antonia si presenta come madre e figlia di se stessa e rivive all’improvviso una esperienza della sua infanzia mentre si trova nel contesto ben preciso della “macchina”, nel pieno esercizio della sua vita sessuale. Antonia sta vivendo un’esperienza amorosa e si sente bambina disperata e in cerca di aiuto, riesuma per via associativa un trauma subito nell’infanzia con tutte le emozioni che sono rimaste congelate dentro. E’ sfuggito alla “rimozione” e al controllo dell’Io l’episodio violento che Antonia ha subito da bambina sulla pelle e sul corpo, un trauma di qualità sessuale proprio perché si ridesta in un similare contesto.
Il “cellulare” è uno strumento di comunicazione e rappresenta simbolicamente il potere di comunicare, uno strumento che viene a mancare tra la donna che si sta per affidare alle sensazioni del corpo e la bambina che chiede aiuto sotto le sferzate del ricordo della violenza. Antonia non è compatta e chiede aiuto come una bambina terrorizzata che cerca una simbiosi protettiva con la madre. La figura maschile non compare in maniera evidente e questa assenza attesta della terrificante intensità emotiva che Antonia sta vivendo nella sua persona.
Vediamo i simboli: “trovavo” rappresenta la realtà psichica in atto, “macchina” condensa gli automatismi neurovegetativi della funzione sessuale, “cellulare” contiene il senso della relazione e della comunicazione oltre che il potere fallico, “a terra” attesta della caduta del potere relazionale, “figlia” rappresenta la dipendenza psicofisica e la parte psichica indifesa, “gridava” è una scarica isterica catartica delle tensioni, “mamma” condensa la libido genitale e il potere degli affetti, “dove sei” significa quale consistenza hai, “aiutami” condensa il bisogno di dipendenza psicofisica.

“Io le rispondevo dicendo: “dimmi dove sei che arrivo”.

Antonia mamma cerca se stessa figlia per aiutarla, la donna cerca la bambina sempre per alleviare l’angoscia. Antonia tenta questo incontro con quella “parte psichica di sé” che è in netta crisi durante un episodio di ordine sessuale che ha ridestato un antico trauma. E allora Antonia opera una “regressione” difensiva, si fissa nell’infanzia e si dice: “cerca di capire cosa si è mosso in te e in questo modo risolvi la situazione”. “Arrivo” ha proprio il senso della comprensione razionale della situazione traumatica emersa durante il rapporto sessuale, un trauma dell’infanzia che la donna adulta sente affiorare ma non riesce a capire e a controllare. E’ un conflitto intrapsichico tra la mamma che protegge la figlia bisognosa d’aiuto, tra la parte adulta e la parte bambina in un viaggio di andata e ritorno che non riesce a trovare il punto di partenza e di arrivo ossia la consapevolezza di cosa si è mosso e di cosa si sta consumando. Antonia non riesce a riabilitarsi psicologicamente e subisce le tensioni antiche che sono riemerse. Parafrasiamo lo psicodramma: “se capisco cosa si è mosso in me e in riguardo all’infanzia, se intuisco quale trauma si è ridestato, se mi raccapezzo sul passato emerso in questa situazione intima, certamente mi ricompatto e riprendo la consapevolezza del presente senza subire la tirannia del passato mal digerito.” Antonia non sa e Antonia non capisce semplicemente perché non c’è flusso comunicativo tra l’infanzia e la maturità in riguardo al trauma.
Vediamo i simboli: “rispondevo” equivale cerco un collegamento e una sintonia con me stessa, “dicendo” rappresenta l’energia genitale della parola e il dono di una parte di sé, “dimmi” o ingiunzione di aiuto, “dove sei” ossia dove ti attesti o cosa ti è venuto fuori, “arrivo” contiene il senso di una soluzione razionale e di una comprensione del materiale psichico emerso.

“Lei mi diceva dov’era, ma io non riuscivo a sentire e a capire.”

La sua parte bambina, quella traumatizzata, comunicava, ma la donna adulta non riusciva “a sentire e a capire”. Antonia è disturbata dall’emergere di un trauma infantile durante un rapporto sessuale, ma non riesce a capire di cosa si tratta. Sente che è regredita all’infanzia, ma non ricorda e non ha consapevolezza. Percepisce il disagio psichico e il carico d’angoscia senza riuscire a collegarlo a una esperienza vissuta e a inserirlo nel contesto che sta vivendo. Esiste una distonia tra il presente e il passato che ritorna, una disarmonia tra il piacere e il dolore, una cesura tra il trauma e la memoria. Antonia vive soltanto le emozioni negative di un qualcosa di indefinito che la riporta all’infanzia e all’adolescenza e che non riesce a definire, a comprendere, ad afferrare e a razionalizzare.
Vediamo i simboli: “Lei” rappresenta la parte psichica dipendente e debole, “diceva” contiene l’energia della parola e della comunicazione, “dov’era” o della consistenza del trauma, “io” rappresenta la parte adulta della protagonista, “non riuscivo” condensa il senso dell’impotenza e la consistenza del blocco, “sentire” si collega alla percezione e alla partecipazione empatica, “capire” o contenere nella sfera razionale dell’Io.

“Allora ho girato la macchina e ho pensato di avere sbagliato e di avere perso tempo.”

Antonia reagisce a una forma d’intuizione sommaria e si ritira dall’amplesso sessuale e in questa modificazione dei dati ha la consapevolezza di avere vissuto la sua “libido” in maniera critica e conflittuale. Arriva la presa di coscienza dell’errore e della persistenza nel difetto per la mancata razionalizzazione del trauma. La mancanza di Antonia non ha permesso una giusta collocazione psichica nei riguardi del suo corpo e del maschio. Del resto, dopo aver subito una violenza sessuale, Antonia si è trovata a ricercare il suo potere e problematizza in sogno la sua collocazione nella relazione sessuale attraverso la simbologia della “macchina” che va in una certa direzione e della macchina che inverte la rotta. Antonia riesce a capirsi meglio per viversi meglio.
Vediamo i simboli: “girato la macchina” o cambiato consapevolezza sulla sessualità, “pensato” o funzione dell’Io e presa di coscienza, “sbagliato” condensa la fallacia e la difesa dal coinvolgimento, “perso tempo” o disarmonia psichica e sessuale.

“Mi sono sentita in colpa.”

Come si spiega il senso di colpa dopo l’inversione di rotta psichica?
Si spiega con il ritardo con cui è avvenuta la presa di coscienza e con il persistere del danno psichico che Antonia ha continuato a vivere dopo il trauma subito. Avrebbe dovuto raggiungere prima questa sua verità, ma i “meccanismi di difesa” hanno fatto il loro dovere funzionando al meglio possibile nelle condizioni date.
Alla luce di tutto questo è legittima la domanda: “ma quanto materiale psichico ci portiamo addosso mentre viviamo e quanto ci condiziona nelle quotidiane benefiche traversie?”
Comunque, tutto bene quel che finisce bene. Il sogno ha ancora una volta evidenziato il guasto del contatto tra madre e figlia, ma, non avendo capito il messaggio latente, Antonia ha subito il danno.

PSICODINAMICA

Il sogno di Antonia sviluppa la psicodinamica di un trauma sessuale subito nell’adolescenza che si ridesta nella vita adulta nell’esercizio della “libido genitale, a riprova che i “meccanismi psichici di difesa” dall’angoscia possono non funzionare in maniera ottimale e produrre un ritorno delle tensioni collegate al trauma. Le tensioni, a suo tempo, erano state separate dalla rappresentazione a opera dell’Io per continuare a vivere in equilibrio e nella semplificazione della vita corrente. Il sogno ha la capacità di presentare i traumi sotto forma simbolica proprio perché nel sonno l’azione mediatrice dell’Io è quasi assente e notevolmente ridotta, per cui si verifica il “ritorno del rimosso” o l’emersione del materiale psichico ingombrante e ingestibile dalla coscienza. Il senso di colpa per la mancata presa di coscienza subentra nel finale, ma senza quella chiarezza e certezza che Antonia abbia intuito di cosa si tratta. La lettura della decodificazione del sogno apporterà quel chiarimento che la protagonista non ha ancora a disposizione e che le consentirà di riformularsi dentro e nelle relazioni.

ULTERIORI RILIEVI METODOLOGICI

La decodificazione dei “simboli” è stata effettuata cammin facendo e centrandola sul contesto vissuto da Antonia.

Evidenza di archetipi non pervenuta.

Il “fantasma di abbandono” sembra manifestarsi in “Mamma dove sei, dove sei, aiutami!”, ma si tratta di una frattura intrapsichica e di una mancata presa di coscienza.

L’istanza psichica vigilante “Io” è presente in “ho pensato”. L’istanza pulsionale “Es” si evidenzia in “Mi trovavo in macchina” e in “mia figlia gridava: “Mamma dove sei, dove sei, aiutami!”. L’istanza censoria e limitante “Super-Io” compare in “Mi sono sentita in colpa.”

Il sogno di Antonia non presenta una “posizione psichica” specifica perché si svolge in un presente che include una formazione psichica completa che va dalla bambina alla donna. L’amor proprio di una consapevolezza del trauma dispone per un tratto “narcisistico”.

Il sogno di Antonia si serve dei meccanismi psichici di difesa della “condensazione” in “macchina” e in “figlia” e in “mamma”, dello spostamento” in “cellulare” e in “sentire” e in “capire”, della “rimozione” in “mamma dove sei?”, della “drammatizzazione” in “Mamma dove sei, dove sei, aiutami?”. “Io le rispondevo dicendo: “dimmi dove sei, che arrivo”.

Il processo psichico di difesa della “regressione” rientra nei limiti della funzione onirica e si suppone in “mia figlia gridava” con la “fissazione” associata. Il processo psichico di difesa della “sublimazione” non è presente.

Il sogno di Antonia contiene un tratto “narcisistico” all’interno di una “organizzazione psichica genitale”: amor proprio nella ricerca di ricompattare la psiche.

Le “figure retoriche” formate da Antonia nel suo sogno sono la “metafora” o relazione di somiglianza in “figlia” e in “mamma”, la “metonimia” o nesso logico in “sentire” e in “capire”, la “enfasi” o forza espressiva in ““Mamma dove sei, dove sei, aiutami!”

La “diagnosi” dice di un trauma infantile emerso per il mancato funzionamento dei meccanismi di difesa durante il sonno.

La “prognosi” impone ad Antonia di portare a consapevolezza il trauma, al fine di evitare che incida nella quotidianità e nell’esercizio della vita sessuale.

Il “rischio psicopatologico” si attesta in un ulteriore “ritorno del rimosso” con la sintomatologia d’angoscia e con la limitazione della “libido” a vissuti di gratificazione dell’altro e con la candidatura all’anorgasmia.

Il “grado di purezza onirica” del sogno di Antonia è “buono” alla luce della drammaticità incalzante che lo contraddistingue. La vena narrativa non inficia la simbologia e la psicodinamica. La sintesi aiuta il decorso interattivo dei simboli senza confusione.

La “causa scatenante” del sogno di Antonia, “resto diurno” del “resto notturno”, si attesta in un ricordo del primo pomeriggio o in un rapporto sessuale antecedente al sonno.

La “qualità onirica” è la “frustrazione”vissuta in maniera direttamente proporzionale all’incalzare degli eventi.

Il sogno di Antonia si è svolto durante la seconda fase del sonno REM alla luce dell’intensità emotiva e della chiarezza logica.

Il “fattore allucinatorio” si attesta nel senso dello “udito” in “gridava” e in “le rispondevo dicendo” e in “non riuscivo a sentire”.

Il “grado di attendibilità” della decodificazione del sogno di Antonia è “buono” alla luce della chiarezza dei simboli e della loro interazione. Di conseguenza, il “grado di fallacia” è minimo.

DOMANDE & RISPOSTE

La decodificazione del sogno di Antonia è stata considerata da una lettrice anonima che non si è voluta qualificare. Alle fine ha posto le seguenti domande.

Domanda

Possibile che il sogno dice a modo suo quello che ci portiamo dentro anche quando siamo a letto e mentre facciamo l’amore?

Risposta

Proprio quando si abbassano le difese della vigilanza, come nel sogno e nelle esperienze ad alta tensione emotiva, i “fantasmi” emergono sotto forma di energia nervosa, grossolanamente definita angoscia. Il “fantasma” è un’esperienza sensoriale che ha un’immagine, una rappresentazione simbolica. Diciamo meglio, ad Antonia in sogno emerge la tensione nervosa, l’agitazione a cui lei non sa dare l’immagine giusta perché non sa collegarla a quel preciso contesto traumatico della sua infanzia. Del resto, la “rimozione” è dell’immagine, della rappresentazione, della scena e non della tensione nervosa. Quest’ultima resta dentro congelata e può essere attivata da qualsiasi stimolo che nel corso della vita si può associare al trauma subito. Tutto questo l’ho spiegato prima. Quindi proprio quando le difese non funzionano, ritorna la magagna di quello di irrisolto che ci portiamo dentro.

Domanda
L’ho capito. Ma perché proprio nel sesso?

Risposta

Perché il sesso è ancora avvolto nei drappi dei tabù, dei divieti, dei peccati. E anche perché si tratta di tematiche molto intime e di vissuti estremamente personali.

Domanda

Quindi a letto ci portiamo il passato. Non siamo mai liberi anche nei momenti più nostri.

Risposta

Proprio così. Là dove c’è emozione e sentimento, piacere e libertà, disinibizione e trasgressione, le censure si attenuano e le difese progressivamente cadono, per cui si svelano gli altarini e si possono scatenare emozioni pregresse di qualsiasi tipo, tecnicamente si possono avere delle “scariche isteriche” da conversione di vissuti antichi come nel caso di Antonia, una donna adulta che durante l’intimità sessuale sente arrivare e subisce una crisi legata a un trauma che aveva subito da piccola.

Domanda

Parliamo di questi traumi sessuali, di queste violenze contro le donne che sono all’ordine del giorno. Ma le violenze contro le bambine non emergono e della pedofilia si parla per certi casi, come gli ecclesiastici, e poi basta.

Risposta

La pedofilia è molto diffusa soprattutto nelle famiglie, “intra moenia”, e queste violenze non vengono denunciate sia per le minacce e sia per un falso senso della dignità sociale. Quando i bambini parlano, spesso non vengono creduti e paradossalmente sono puniti per la loro perversa fantasia. A tal proposito ricordo che le madri negli anni cinquanta non lasciavano le figlie con i mariti e vigeva lo schema animalesco del padre che seduceva e violentava le figlie. La tesi degli antropologi che l’incesto è naturale anche nei primati superiori veniva confermata.

Domanda

Quindi spesso a scuola ci troviamo di fronte bambini traumatizzati e magari procuriamo loro altri traumi o li valutiamo come ignoranti e scansafatiche e invece soffrono e noi non lo sappiamo. Ma cosa si può fare?

Risposta

La scuola deve essere più sensibile e più “psicologica”. Per il resto, nei casi di pedofilia va bene la psicoterapia individuale. Anche la psicoterapia della famiglia ha i suoi pregi, perché consente a tutti di parlare, di porre i problemi e i disagi, di poterli correggere. Inoltre favorisce una modalità di comunicazione corretta e proficua per tutti i membri del gruppo. Comunque si è capito che lei è maestra.

Domanda

Ma perché Antonia non sentiva e non capiva?

Risposta

E’ la classica reazione di chi subisce una violenza. La psiche e il corpo si assentano e subentra una forma di anestesia e di inconsapevolezza in attesa che passi la tempesta. Le bambine e le donne che hanno subito violenza raccontano in questo modo il loro calvario. Questo è anche il senso di “non sentire” e di “non capire” di Antonia nel sogno.

Domanda

Mi pare di aver capito che una persona che rimuove i suoi traumi è più nervosa delle altre.

Risposta
L’uso eccessivo della “rimozione” produce una carica nervosa che traspare nella vita di tutti i giorni. Quando non funziona, si ha il “ritorno del rimosso” e la conversione delle tensioni nelle funzioni del corpo o nella ideazione, oppure si usa un alto meccanismo di difesa. Quando vedi una persona nervosa o meglio costantemente reattiva, è legittimo pensare che ha facilità a usare il meccanismo di difesa della “rimozione”.

Domanda

Ma siamo combinati bene a livello psicologico perché abbiamo tante risorse e possibilità.

Risposta

Madre Natura ci ha voluto bene. Dobbiamo usare e dosare bene con la “presa di coscienza” i nostri conflitti e i nostri disagi, così come le nostre gioie e le nostre positività. “In medio stat virtus.” La Psiche non ama gli eccessi. Esistono dei confini al di là e al di qua dei quali non si attesta la rettitudine. In ogni caso le funzioni dell’Io di razionalizzare e di scegliere i meccanismi e i processi di difesa giusti e non pericolosi sono determinanti.

Domanda

Quale canzone ha scelto per questo sogno, visto che lei ama associare la cultura popolare ai temi dei sogni e le dirò che la cosa mi piace un sacco. Io avrei pensato a una canzone che tratta della violenza su una ragazza come la canzone di Luca Barbarossa del 1988 intitolata “L’amore rubato”. Cosa ne pensa?

Risposta

Meglio di così non è possibile. Anzi…meglio di così…soltanto gli spaghetti alla carbonara con la pancetta della signora Rosa di Carbonera, ridente paesello in provincia di Treviso.

 

“MORTA, SEI FELICE?” O LA MORTE E LA FELICITA’

 

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Sono davanti ad un cancello di una villa e una ragazzina mi porge un vecchio telefono cellulare.
Lo prendo in mano e sul display si visualizza un “sms” che mi ha inviato standomi di fronte.
Il messaggio dice: “Morta, sei felice?”
Mi sento offesa per essere stata definita “morta”, ma le spiego che sono felice e lo faccio da un elicottero volando basso sopra di lei da poterla toccare sulla testa….”

Il sogno è firmato “Morta” e la protagonista lo titola “la morte e la felicità”, per l’appunto.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

La “presa di coscienza” del materiale psichico rimosso, un trauma o un fantasma, si attesta nel rivisitare e rivivere al presente parti formative della nostra storia, eventi che ci hanno psicologicamente segnato e contraddistinto. La vera e giusta “presa di coscienza” non è un gioco intellettuale fine a se stesso e istruito per divertimento dalla nostra facoltà razionale, ma è un processo travagliato che porta all’evoluzione psichica tramite l’accettazione e l’amorosa cura di sé. Questa è l’operazione psicoterapeutica insegnata ventiquattro secoli fa da Socrate e che Morta esegue egregiamente nel suo sogno: “l’ironia e la maieutica” per portare avanti il progetto psichico esistenziale del “conosci te stesso”. Morta è una donna che si definisce in questo modo truculento per attestare che ha razionalizzato e accettato la sua infanzia e adolescenza, la stagione della vita in cui si è formata e che nei suoi desideri avrebbe voluto più vivace e meno pacata, più ricca di “libido” trasgressiva e meno inibita da insulsi divieti e atavici tabù. Ma si sa che del “senno di poi son piene le fossa” e, allora, bisogna procedere verso la revisione e il superamento, la comprensione e il progresso, il recupero e la reintegrazione del materiale psichico estromesso e alienato. Ecco che all’uopo arriva la preziosa funzione dei sogni di gelosa custodia del passato e di preparazione del futuro nella dimensione del presente. I sogni sono i generosi tutori dei nostri desideri. Il “senno di poi” non serve perché è il patrimonio dei “se” e dei “ma” e appartiene al corredo difensivo delle persone inette e indolenti.
Morta ha posto pace al desiderio di riottosità contro le possibilità non attuate, ha operato la “razionalizzazione” dei suoi vissuti e dei suoi fantasmi in riguardo all’infanzia e alla prima adolescenza, ha capito che quello che poteva nascere non è nato semplicemente perché non era stato preparato e perché non era stato disposto e, di conseguenza, non poteva vedere la luce.
Eppure Morta avrebbe voluto essere la ragazzina impudente e schietta, truffaldina e provocatrice con cui nel sogno si mette in relazione con fare sornione e costruttivo.
Analizziamo le vezzose e accattivanti movenze oniriche.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Sono davanti ad un cancello di una villa e una ragazzina mi porge un vecchio telefono cellulare.”

Morta usa il meccanismo della “proiezione” e della “spostamento” per entrare in relazione con se stessa e, nello specifico, con la figura adolescente del suo essersi desiderata “una ragazzina” intraprendente e innovativa, ai ferri corti con l’ambiente e con il coltello tra i denti. Morta può uscire allo scoperto e relazionarsi con la sua adolescenza, una tappa della sua vita oltremodo significativa, la madre della sua formazione psichica e l’inizio di quello che non avrebbe voluto essere e che inevitabilmente è stata. Il “vecchio telefono cellulare” rappresenta il sistema delle relazioni, le modalità di rapportarsi con se stessa e con gli altri, con la realtà delle cose e con il mondo. La “ragazzina” rappresenta l’età della trasgressione della spudoratezza, della disinibizione sociale e della provocazione, una tappa esistenziale psichica a metà tra l’infanzia e la prima maturità, l’adolescenza con tutte le sue problematiche conflittuali. Da notare, inoltre, che Morta si trova “davanti al cancello di una villa” ossia davanti ai suoi limiti, ma in una convinzione altolocata del suo “Io” e della sua persona. Queste sono le sue difese psichiche, quelle che le hanno impedito di essere, di poi crescendo e confrontandosi con il prossimo, come avrebbe desiderato.

“Lo prendo in mano e sul display si visualizza un sms che mi ha inviato standomi di fronte.”

Morta è entrata in contatto con se stessa e con il suo passato adolescenziale e si prende amorosa cura di sé, “lo prendo in mano”. Ha piena e oggettiva consapevolezza, “visualizza un sms”, dell’altra sé stessa, la “ragazzina”. Ha razionalizzato e scritto un messaggio a mo’ di pacata “presa di coscienza” senza alcun equivoco e senza alcuna ambivalenza, nudo e schietto, “standomi di fronte”.

“Il messaggio dice: “Morta, sei felice?”

Morta ragazzina dice a se stessa adulta se ha ben capito e razionalizzato la sua adolescenza. Adesso che è una donna compatta e piena di sé, a differenza dell’inquietudine e del tormento del passato, può trovare appagamento e felicità. Quest’ultima è da intendere letteralmente dal greco “eudaimonia”, “buon demone” dentro, una buona e consapevole “libido” tutta da vivere e da godere. “Morta sei felice?” congloba una contraddizione semantica: come può essere felice una Morta? Ma Morta è il suo nome desunto dalla consapevolezza adulta che ha vissuto l’adolescenza in maniera pacata, senza vitalità e trasgressione per paura di essere rifiutata dal suo nucleo affettivo. Morta doveva essere brava e fare la brava.

“Mi sento offesa per essere stata definita “morta”, ma le spiego che sono felice…”

La felicità è l’assenza di affanni e di angosce, è la presenza di un “buon demone” nel corpo e nella mente. Morta spiega e si spiega, “razionalizza”, il suo passato di adolescente ligia al dovere e vissuta a metà, diversa dai suoi coetanei più “springhi” che investivano “libido” senza essere bigotti o bacchettoni. La percezione del “mi sento offesa” si attesta nell’essere colpita emotivamente da una verità tutta sua a cui è arrivata dopo lungo travaglio e onesta gestazione, “le spiego”.

“e lo faccio da un elicottero volando basso sopra di lei da poterla toccare sulla testa….”

Il riconoscimento e la riconoscenza verso il suo essere stata adolescente avvengono secondo un blando processo di “sublimazione della libido”, “un elicottero” che “volando basso” consente una prossimità alla realtà e una amorevole cura di se stessa: io sono questa, non posso essere un’altra. E, allora, Morta è orgogliosa delle sue ragioni, “toccare la testa”, e si può vantare del suo “comunque andare”, del suo coraggioso procedere nel cammino dell’esistenza.

PSICODINAMICA

Il sogno di Morta verte sulla “razionalizzazione” dei vissuti e dei “fantasmi” d’inadeguatezza legati alla sua adolescenza, propone l’amorosa cura di sé, recupera e integra nell’organizzazione psichica “parti di sé” conflittuali e traumatiche. Il sogno di Morta merita la definizione di “elogio della consapevolezza”. Degna di rilievo e ben visibile è la funzione del sogno di compattare la psiche recuperando il materiale alienato o estromesso.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

Il sogno di Morta evidenzia la funzione dell’istanza psichica “Io” nell’essere attrice del meccanismo di difesa dall’angoscia della “razionalizzazione”: “il messaggio dice”, “mi sento offesa” e “le spiego”. E’ presente l’istanza “Es”
in “una ragazzina” e “sei felice”. L’istanza psichica “Super-Io” si lascia intravedere e supporre nella infelicità dell’adolescenza legata a pulsioni repressive e paure introiettate dall’ambiente familiare: “morta, sei felice?” E’ presente la “posizione psichica orale” in “sei felice?” e la “fallico-narcisistica” nella misura naturale: volersi bene e soddisfazione.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

I meccanismi psichici di difesa presenti nel sogno di Morta sono i seguenti: la proiezione” in “una ragazzina”, lo “spostamento” in “una ragazzina”, la “condensazione” in “una ragazzina” e “cancello villa” e “telefono” e “elicottero” e altro. Domina il sogno di Morta il processo psichico di difesa dall’angoscia della “razionalizzazione”: “messaggio” e “le spiego”. E’ presente in forma blanda il processo psichico di difesa della “sublimazione della libido” in “elicottero volando basso”.

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Morta evidenzia un tratto “narcisistico” all’interno di un’ordinata “organizzazione psichica orale”: mi voglio bene e sono determinata da bisogni affettivi.

FIGURE RETORICHE

Le figure retoriche richiamate nel sogno di Morta sono la “metafora” in “ragazzina”, la “metonimia” in “elicottero” e “volare basso”.

DIAGNOSI

La diagnosi dice della psicodinamica della razionalizzazione del materiale psichico rimosso ed emerso alla coscienza. Nello specifico, l’adolescenza travagliata e il “non nato e vissuto di sé” e lo stato adulto sono integrati e compattano la “organizzazione psichica reattiva”, il carattere o la personalità.

PROGNOSI

La prognosi impone a Morta di continuare nelle prese di coscienza e nell’accettazione di sé e dei vissuti adolescenziali. L’amorevole cura di sé e il gusto delle evenienze della sua esistenza consentono di costruire il meglio per sé. Bisogna coltivare “la ragazzina” per esaltare la donna.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta nella possibile “rimozione” difensiva del materiale psichico emergente a livello di coscienza e nella conseguente “psiconevrosi istero-fobica” che è in grado di produrre somatizzazioni eclatanti.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “simboli” e dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Morta è “4” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

RESTO DIURNO

Il “resto diurno” del “resto notturno”, la causa scatenante del sogno di Morta è legata a un’intuizione pacata di “parti di sé” e alla valutazione razionale del conseguente benessere.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità onirica del sogno di Morta è ironica e discorsiva con paradosso linguistico e semantico incorporato: Morta sei felice?

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

A coronamento del sogno di Morta e al di là di tutte le sterili teorizzazioni, mi pregio di proporre il travaglio psicofisico di una donna forte e coraggiosa, costretta alle “prese di coscienza” più acrobatiche e drammatiche, Antonia Suarez, l’innamorata e tenera amante del poeta mediterraneo Balduccio Lagrange Sinagra.
Il brano è da sentire e gustare a piccole dosi e con assoluta calma.

ANTONIA,
L’UNICA E LA DOPPIA

Ciao Fernando,
sono Antonia e ho deciso di scriverti
perché ho bisogno di fermarmi un attimo.
In questi giorni corro troppo con il cervello,
quasi il galoppo di uno stallone di razza.
Penso all’euro,
alla fesa di tacchino,
al telefonino da mettere in carica,
al culo a mandolino di mia sorella,
al teatro con i burattini e le marionette,
alla zucca gialla ricca di carotene,
alla cieca fortuna che ci vede da dio.
So pensare a tutte queste cose
e mi ricordo anche di spegnere la moka
prima che il caffè venga su come uno zunami
e inondi il piano della cucina.
Penso,
mi ricordo anche di portare dentro la legna per la stufa
e di svuotare la vaschetta della cenere.
Penso, ma non sono.
Mi ricordo, ma non sono.
Dentro di me sono confusa come una mentecatta
e di per me stessa mi sento sguazzata come una lattina di coca cola.
Non so pensare o capire come sto,
non riesco a mettere in ordine le mie idee.
Ma cosa voglio?
Non so pensare al lavoro,
alla comunità alloggio,
non so pensare a un programma,
se un programma io posso pensare.
A volte sento che il mio corpo funziona,
funziona anche bene se vogliamo,
ma c’è un nastro in testa
che mi frastorna e mi rimescola,
un nastro di pensieri come un film,
una pellicola di celluloide
che scorre girandomi e rigirandomi dentro.
Nessuna immagine si può fermare
perché il nastro deve scorrere e non si può fissare.
E così so
che di corsa sono finalmente andata in farmacia
a prendere lo Xanax per mia madre e l’Efferalgan per me,
che si sono tenuti cinquanta centesimi di resto
e che mi hanno fottuta con questo maledetto euro che non capirò mai
perché la morte della lira mi ha mandato in confusione.
E così so
che alle tre di notte mi sono bevuta una moka express,
che ieri ho fumato meno di un pacchetto e mezzo di sigarette,
che venticinque euro non corrispondono alle cinquanta mila lire
che mio padre mi dava per il lavoro in serra,
che la fesa di tacchino non equivale al petto di pollo
soltanto perché costa meno.
Ma io dove sono?
Dove sono?
Io sono dietro,
dietro i pensieri,
dietro il corpo,
dietro la faccia,
dietro questa facciata esterna di benessere,
dietro le faccende quotidiane,
dietro le attività del centro diurno,
ma sono così dietro che mi sono persa di vista.
Ho bisogno di sentire,
di sentirmi,
di fermare questo film,
questo nastro che scorre indipendentemente da ciò che faccio,
ma che è così confuso
che non riesco a proiettarlo in uno schermo grande
per poterlo focalizzare.
Ci sono due Antonie,
una fa e partecipa attivamente alla vita quotidiana
e in qualche modo funziona,
e una sta dietro la fronte
perché non le è possibile stare altrove.
Questa Antonia qualche volta scende da dietro la fronte
e va tra la pancia e il cuore.
E allora un senso di tristezza la invade
e tutto sa di tristezza,
ma questa Antonia non sa darle un nome,
non sa capire.
E tutto diventa così pesante,
così inumano da uscire fuori di testa e fuori dalla testa.
Le pareti della mia stanza sono tutte bianche e senza quadri,
ma c’è una minuscola macchiolina nera
che tempo fa ho fatto con i colori a olio
e io qualche volta sono lì,
sono in quella macchiolina
e sono quella macchiolina.
La cosa mi aiuta a sentire che non tutto funziona
perché c’è sempre qualcosa di nero.
Quella macchiolina è più nera di tutti i miei vestiti
che sono sicuramente più grandi
ma che ormai sono diventati parte di un esterno
e che quindi io non sento più come miei
perché tutto di me fa parte di un esterno forse ancora sconosciuto.
La mia posizione non è ancora definita in questo esterno
e parto sempre svantaggiata.
Leader o merda?
La leader non sono capace di farlo,
ma mi piacerebbe,
mi piacerebbe un casino.
La merda sono capace di farla,
ma non mi piace,
non mi piace per niente.
O forse si è comunque e sempre unici
senza correre il rischio di perdersi nell’omogeneità di tutti gli altri.
La partecipazione è comunque e sempre un rischio,
ci si può perdere come sta succedendo a me,
non ci si trova più,
non ci si sente più
perché importante è stare con gli altri,
sentire gli altri,
essere con gli altri nelle attività mie e degli altri.
Ma io,
io quella di sempre,
quella che conosco o credo di conoscere da anni,
quella che sente l’angoscia e che vive il nero come unico spazio,
quella che è tutto e quella che è niente,
quella che preferisce essere niente
perché il niente è l’unica cosa possibile,
un’assenza assoluta eppure una presenza,
un essere in tanti da tutte le parti senza esserlo,
un eppure niente,
insomma io dove sono?
Si, forse mi trovo in una posizione scomoda,
forse la mia è una posizione scomoda,
ma è meglio così sicuramente,
perché adesso la mia posizione è più funzionale
o comunque adesso ho più possibilità di arrivare da qualche parte.
Partecipare alla vita è sempre più funzionale,
perché la vita è fatta per essere vissuta e non per essere sfibrata,
ma credo che per vivere la vita
bisogna essere in equilibrio con se stessi e con gli altri
e io non sono in equilibrio con me stesa
e forse non lo sono nemmeno con gli altri.
Non lo sono con me stessa
perché comunque sento che c’è una parte di me che sta dietro a tutto
e che forse si fa avanti solo qualche volta quando scrivo,
quando mi sento triste o nervosa,
quando mi vengono le mie cose,
quando vado al supermercato per comprare la fesa di manzo.
Forse è così che devono andare le cose,
devo trovare a quella parte di me uno spazio adeguato e compatibile,
devo trovarle la misura giusta,
devo lasciarla vivere qualche volta e nella giusta misura
perché non vada a invadere tutto.
Questa invasione potrebbe essere distruttiva,
se non per me, per le relazioni che ho con gli altri.
Ma sai una cosa?
Qualche volta mi manca questa parte di me,
perché sono io comunque
e questa sua presenza in sordina dietro i pensieri,
dietro la pancia a botte,
dietro il sedere a cofano,
non mi fa stare bene
perché mi fa sentire nell’esigenza di sentire,
di sentire più me stessa,
di sentire dove sto andando e non di andare e basta,
perché io e lei siamo corpo e mente, materia e spirito
e non può funzionare il corpo mentre la mente si sente triste,
non può funzionare la materia mentre l’anima si sente in fallo.
La mia mente è divisa tra due correnti di pensiero,
una di tutti i giorni che nasce con l’euro e che sembrerebbe funzioni,
una che sta dietro e osserva
e che forse si sente anche trascurata.
La mia anima è malata di peccato
perché la mia materia ha tanto peccato in parole, omissioni e opere
e forse si sente inadeguata agli entusiasmi dell’unità europea
o della fesa di tacchino impanata alla milanese.
La mia materia ha peccato e la mia anima si è ammalata.
Questa è la verità,
la mia verità,
la mia elementare verità.
Infatti io sono fatta dei quattro elementi.
Il mio corpo è la terra,
il mio spirito è il fuoco,
la mia mente che funziona è l’acqua,
la mente che contempla è l’aria.
Tutto questo fa parte di un unico pianeta
e l’unico pianeta è l’essere umano
e io sono un essere umano.
Si,
siamo fatti così
e nello spazio c’è spazio per tutti.
Importante è vivere in armonia con tutte le nostre parti
e dare a ognuna lo spazio giusto.
Ma non è sempre facile.
So mettere tutto a far parte di un gioco armonioso,
ma a volte funziona a settori e uno esclude l’altro.
Ci si sente facilmente un tutto unico di notte,
quando tutto tace e il buio occulta le parti,
ma la luce del giorno porta con sé la disgregazione
ed ecco che allora si diventa un corpo che funziona,
uno spirito che dorme,
una mente che viaggia come l’euro in Europa,
un pensiero che è agli albori
e partecipa alle relazioni con tutti gli elementi.
Così inevitabilmente c’è un’altra me stessa
che si sente esclusa e che osserva tutto,
non una sola me stessa
ma tante me stesse che sentono e che osservano.
Lo psichiatra dice
che l’identità dell’essere umano non è assolutamente monolitica,
ma è costituita da tante parti,
da tanti modi,
da tanti modelli.
E allora va bene così,
sono nel giusto
e sono nel normale.
Ti ringrazio,
amore mio,
perché mi dai la possibilità di riflettere
e di stare bene nella mia confusione,
perché mi dai la possibilità,
scrivendoti,
di mettere ordine nel mio piccolo caos anche da sola e senza farmaci,
soltanto con la certezza che comunque tu ci sei.
Ciao,
sempre tua Antonia & Antonia,
l’unica e la doppia.

Salvatore Vallone

Pieve di Soligo (TV), mese di ottobre dell’anno 1989.