LA FILOSOFIA AL MERCATO

LA FILOSOFIA ANDO’ AL MERCATO

La Filosofia andò al mercato

e un cavolo comprò,

in Atene,

nell’agorà di Atene,

nella polis ateniese,

tra Logos e Crazia,

Filos Sophia,

Filossophia,

Logoscratia,

la ragione al potere,

Filosofia,

amore del sapere,

sapore del sapere,

pathos e logos.

Filosofia povera e nuda,

senza padroni,

curiosa come Talete,

profonda come Anassimandro,

dinamica come Anassimene,

oscura come Eraclito,

quadrata come Pitagora della Magna Grecia,

teologica come Senofane,

profonda come Parmenide della Magna Grecia,

paradossale come Zenone,

astrofisica come Melisso,

omeomerica come Anassagora,

atomica come Democrito,

umana come Protagora,

sofista come Gorgia,

libera come Diogene,

insinuante come Socrate,

nobile come Platone,

scientifica come Aristotele,

sacrale come Zenone,

critica come Pirrone,

popolana come Epicuro.

La Filosofia andò al mercato

e un cavolo comprò in Grecia,

in Magna Grecia.

L’angoscia di morte fu ben servita allora.

LA FILOSOFIA VA AL MERCATO

La Filosofia va al mercato

e un cavolo compra,

in Occidente,

là dove tramonta il sole,

nell’Occidente sedicente italico,

a Turin, a Milan, a Venessia,

nel Belpaese dell’arcinota e benemerita Galbani,

nel topos in odore di ricotta di mucca e di pecora,

di tricotta perché bruciacchiata in forno,

nelle terre dove anche Ercole pose li suoi riguardi

per distinguersi da Ercolino sempre in piedi,

per allontanare dalle sue nobili radici i pupazzi di plastica

e le mummie incartapecorite di sedicenti benefattori,

di infausti editori e filosofi,

di sempiterni giornalisti e opinionisti,

di critici poco critici con se stessi,

dal mattino a notte fonda in esposizione,

narcisisti,

vanagloriosi,

insistenti,

impertinenti,

insolenti,

sussurratori furtivi,

tacchenti,

insultanti,

nervosi,

non edibili,

dal mattino a notte fonda in esibizione.

Filosofia,

filia del sapere,

fobia dell’ignorare,

Crazia della Verità,

non il giornale dei puffi mangioni e sanchipanza,

ma l’Aletheia,

il senza nascondimento,

colei e colui che non si nascondono,

colei e colui che non giocano a nascondino,

colei e colui disoccultati,

amore del buon gusto,

filosofi e filosofe,

buongustai,

maitres e maitresses a penser,

cuochi e cucinieri nell’agorà,

non quella di Serenella la bella,

quella dei buffi a cinque stelle,

quella degli ex secessionisti,

dei leghisti acqua e sapone,

fancazzisti vocati e vacui,

sistemisti del nulla,

sistemici apud nihil,

speculatori di lega bassa apud prope nihil,

di bassa lega,

di un quasi niente che è sempre un qualcosa di poco,

di molto poco,

non certo les philosophes sur le pont de Bercy avec Juliette,

non certo i filosofi trotterellanti sul lago di Barcis con Sabine.

Socrate insoddisfatto è meglio di un maiale ripieno alla cannella.

La Filosofia va al mercato

e un cavolo compra

presso la bancarella di Tanina,

di Ciuzza e di Mariuzza,

tutte in tivvù,

macchiette in tivvù,

fumetti in tivvù,

filosofi de Venessia e de Milan,

baffi dentro la barba e sotto i capelli,

Filosofia sedicente a pagamento giornaliero,

ad andamento continuo e persistente,

filosofi da fetida laguna e da novelle tremila,

le mille e tutte in una notte,

filosofi da decamerone,

dieci camere in dieci giorni,

dieci giorni in dieci camere,

virus,

virologi,

virus onniscienti e virologi sapienti,

prediche,

sermoni che sanno di grasso di maiale,

di sego di candele da osteria e da chiesa,

salotti italiani e nostrani come i polli e le loro uova,

si balla sotto le stelle e nelle stalle,

si sballa sempre sotto le stelle e nelle stalle,

giornali,

ospedali,

spettacoli dei soliti e controsoliti ben noti,

notissimi alla plebe e alla plebaglia rissosa,

malfamati nei migliori salotti di Caracas,

reti per pescatori,

reti per allocchi,

reti visive dove si litiga,

si grida,

si boicotta,

si saltimbanca,

si prevarica,

si minaccia,

alla prima che mi fai ti licenzio e te ne vai,

sor Pampurio e il marchese,

tutto a pagamento,

tutto saldato dagli amici dei miei nemici,

ex amici.

Ecco,

la misura dell’ignominia è colma,

il solito obsoleto capocchione onnisciente si alza e s’adira,

il direttore del puffo con voce squillante grida adelante,

alla prossima e memento soldi,

fratelli trappisti,

che ripetono replicanti,

memento skei,

ricordati di pagarmi,

i soddi ma ddari,

dicono che non dicono,

non dicono dicendo,

virus mentale impazza,

impezza,

impizza,

impozza,

inpuzza,

irrompe anche nel bar da Pippo dove si pappa,

cade nel pozzo che puzza

dove Pippo mangia una pizza,

dove Peppa fa una pippa a Pippo e viceversa,

la tivvù ammazza,

contagia,

memento mori dei trappisti,

fratelli e sorelle ricordatevi che dovete tener duro,

dicitici a sinnicu vuosto

ca nui cacammu tuosto,

fratelli,

sorelle,

misti e misticamza,

affini e collegati,

le chiese sono chiuse ormai,

come le case della senatrice Merlin,

i preti dove sono,

non ci sono,

mancano i monaci,

chiusi i conventi,

aiuto,

aita aita,

siamo soli,

dio è morto,

anche le sardine sono morte in questo mare di guai,

gli addivenienti dei dove sono,

non ci sono,

i politici e i miscredenti hanno ucciso anche dio,

siamo rimasti soli,

quali dei si profilano in cotanta goduria da grande fratello,

tutto a pagamento,

tutto si compra,

tutto ha un prezzo,

anche il deretano di Gaetano,

tutto al silicone,

tutto al botulino,

arriva il puffo a cavallo dei suoi testicoli consunti,

il puffo,

il famigerato,

il beneamato e purcaro o porcaio,

che porcheria,

che guaio,

che peste,

che morte,

che fine da eccesso e da difetto,

est modus in rebus,

sunt certi denique fines quos ultra citraque

nequit consistere rectum,

aprite le chiese

chiudete la tele,

forgiate le tele,

Penelope,

donne è arrivata Penelope,

insegna nell’agorà

a fare la tela e becco finalmente il marito.

La Filosofia va al mercato

e un cavolo compra.

La morte senza angoscia è ben servita.

Salvatore Vallone

Carancino di Belvedere 20, 01, 2021

 

NOSTALGIA

Scavo con le mani dentro il petto,

sangue caldo,

vita che pulsa,

cuore.

Non ti ho mai perso,

non sei un treno,

sei una casa.

Nessuna morte all’orizzonte,

ciuf ciuf,

stazione.

Nulla che sappia di mani strette per un addio,

che poi si devono lavare.

La furia dell’amore non si lava,

stesi esausti dormiamo,

pregni di umori umani.

Incenso e mirra.

Doni.

SAZA

Il Giardino delle Dolomiti, 21, 04, 2023


RITORNO A CASA

Dentro la casa dei miei sogni

il pavimento è un grande prato di folta erba sottile,

di colore verde Irlanda,

in declivio verso il mare.

Cosa ci faccio qui, se ho una casa così bella?

Mi sdraio sulla battigia,

cerco,

cerco ancora.

Di notte m’illumina Venere,

all’alba Lucifero.

Nomi diversi per lo stesso corpo.

Sono in attesa di me stesso

sulla spiaggia incenerita di Avola,

sono un unoqualunque arguto e di ottima istruzione,

tempestoso nella mia natura di maschio

e volubile come una donna

quando l’orizzonte mi annoia.

Stereotipi.

I soliti stereopiti.

Obsoleti racconti si mescolano alle fiabe.

Eppure siamo noi,

creature di carne e carta,

imperituri,

noi che amiamo a lungo i nostri sogni,

noi con un’innata predisposizione narcisistica alla luce.

Gli amanti si suicidano all’alba.

Gianni e Nino si amavano in Sicilia nel 1980.

Stranizza d’amuri.

Furono ammazzati dagli assassini.

Pum, pum, due colpi alla fine del film.

Pum, pum!

Quanto sono selvaggi i sicilioti!

Dirti che ti voglio bene è poca cosa,

tu sei nel mio prato sin dai primi fili d’erba,

sei la mia Irlanda.

Ti attendo,

come io attendo Ulisse sulla spiaggia.

Chi arriverà?

Nessuno.

Pum, pum!

 

Sava

 

Karancino di Belvedere, 21, 03, 2023

 

SULL’ARGINE DESTRO DEL CANALE

TRAMA DEL SOGNO

“Mi trovo sull’argine di un canale pieno d’acqua limpida che scorre in maniera tranquilla.

Sono sulla parte destra e vedo che sulla parte sinistra ci sono tante case strette, vecchie, attaccate l’una all’altra e disposte su diversi piani, ma non vedo le fondamenta.

Sull’argine sinistro c’è della gente povera.”

Amodio

INTERPRETAZIONE

Mi trovo sull’argine di un canale pieno d’acqua limpida che scorre in maniera tranquilla.”

Meno male che l’acqua è limpida, perché vuol dire che ci troviamo in assenza di sensi di colpa e in una situazione psichica linda e chiara, magari semplice, ma la semplicità è un pregio ed è da preferire alle contorsioni mentali e all’erudizione confusa.

Tutti ci siamo trovati un canale d’acqua a fianco, perché tutti viviamo in grazie alla “libido, l’energia, che di sua natura si lascia gustare e godere, ma che dalla nostra formazione psichica spesso si lascia temere e addirittura negare.

Tutti ci siamo immersi nelle acque limpide o torbide di un fiume o di un canale, così come tutti abbiamo fatto la pipì nell’acqua del mare in cui ci bagnavamo durante le vacanze estive. Tutti abbiamo attestato che la nostra vita si lega e si fonde con la figura materna e che nella sua acqua abbiamo respirato e siamo cresciuti per nascere.

Amodio sta sull’argine indefinito della sua vita e dell’ecoulement della sua energia, è in fase di serena riflessione magari dopo eventi anche traumatici che lo hanno segnato e impressionato come le pellicole fotografiche di un tempo.

Amodio è fermo e tranquillamente guarda l’orizzonte mentre la sua pienezza di forza e di energia è in attesa d’investimento, non certo un’attesa contemplativa di scuola buddista e neanche per ammirare la sofferenza umana, tutt’altro. Amodio sta prendendo coscienza dell’abbondante cornucopia della sua dea fortuna.

Sono sulla parte destra”

Che simbologia abbraccia la “destra”?

La “destra” rappresenta l’universo psichico maschile, il padre, la ragione, il sistema nervoso centrale, il presente, la realtà psicofisica in atto, la forza volitiva, l’aggressività ponderata, l’origine in riguardo al maschile e al padre, l’istanza psichica “Io” e la coscienza di sé.

Amodio è sulla “parte destra” della sua corrente di vita, dei flussi energetici della sua “libido”, della consapevolezza della sua carica erotica e sessuale.

Amodio è sornione, sta a guardare dopo aver deliberato, scelto, deciso e agito il suo piano esistenziale in atto e dopo averlo ben inserito nelle sue radici.

Amodio è un sornione che “sa di sé” e che ancora cerca la sua giusta collocazione o per lo meno la migliore collocazione possibile nel mondo alle condizioni date.

Amodio cerca di star bene, cerca il busillis della sua esistenza navigando tra Scilla e Cariddi e senza lasciarsi andare al richiamo seduttivo e infido delle infelici Sirene. Amodio è realista più del re o della regina Elisabetta, visto che di re e di nobili fortunatamente non ce ne sono quasi più.

Amodio è sulla parte “destra” della sua vita, è attestato come una roccia e con destrezza sui suoi argini e più non dimandare.

e vedo che sulla parte sinistra ci sono tante case strette, vecchie, attaccate l’una all’altra e disposte su diversi piani, ma non vedo le fondamenta.”

Poteva mancare la “sinistra”, anzi la “parte sinistra”?

Certamente no, ed eccola che si apparecchia e si presenta con tutte le sue connotazioni simboliche, con il suo corredo di rappresentanza: l’universo psichico femminile, la madre, il passato, la regressione, l’emozione, il crepuscolo della coscienza, l’obnubilamento mentale, la recettività, l’affettività, il sistema nervoso autonomo o neurovegetativo, il subconscio, la pulsione, l’istinto, la morte e i “fantasmi” psichici di tutte le qualità.

Infatti Amodio vede tante “case strette, vecchie”, vede il suo passato psichico, la sua formazione e i suoi “fantasmi”, il divenire di alcune parti della sua “organizzazione psichica reattiva”, della sua personalità, della sua struttura. Nello specifico Amodio vede l’angustia culturale e la pochezza degli stimoli del suo ambiente familiare e formativo, riflette sui ruoli che si giocavano e sui valori che si imponevano nella famiglia patriarcale dei tempi fortunatamente andati. Ma, purtroppo, Amodio non vede le sue radici, non vede “le fondamenta” di queste case disposte a diversi livelli in ordine d’importanza e di frequenza. Tutto questo non significa che Amodio non ha radici, tutt’altro, ne ha tante e non tutte assimilate perché il bambino è stato impedito nell’assorbimento dei contenuti psichici e culturali da un sistema familiare repressivo e autoritario, un “luogo psichico” dove i bambini valevano meno del quattro di coppe nel gioco del tressette. Si tratta delle famiglie fasciste che sono prosperate anche nell’Italia repubblicana per mancanza di alternative fascinose e di nuove prospettive. Si è perpetuata l’assunzione della minestra autoritaria fascista nelle famiglie democratiche soltanto nel titolo della forma politica. E Amodio rientra in questo contesto storico e culturale di cui ha detto con calore e passione anche perché è stato il mio contesto: il Veneto e la Sicilia negli anni cinquanta erano molto simili nei valori della povertà, negli schemi feudali e nei residui fascisti.

Amodio si è fatto le fondamenta da solo, ma conserva il dolore di non aver potuto, più che saputo, approfittare di una formazione più affettuosa nei contenuti e ricca di stimoli innovatori. Il sogno dice chiaramente e impietosamente di questa lacuna avvolta dalle nebbie del “non vissuto” e del “non detto”.

Sull’argine sinistro c’è della gente povera.”

Ho anticipato l’elaborazione del capoverso finale del sogno di Amodio. La povertà in questione è quella psico-culturale e verte nella mancata conquista di strumenti interpretativi ed esecutivi da dare alle nuove generazioni. Amodio si è sentito nel tempo defraudato di questa possibilità di avere a sua disposizione strumenti di analisi e di sintesi, di spirito critico soprattutto e di una lingua nazionale con cui superare gli angusti confini del suo paese d’origine, quella lingua che unisce e allarga i confini mentali perché consente la comunicazione con l’altro e soprattutto con il “simile” spesso definito erroneamente “diverso”.

La riflessione onirica di Amodio si può ritenere parzialmente conclusa, semplicemente perché il tema trattato investe ulteriori riflessioni e approfondimenti, nonché investimenti di recupero del mal tolto culturale e del non vissuto umano. Proprio vero che finché c’è vita, c’è qualcosa da fare e tanto da brigare per stare bene.

DI MADRE IN FIGLIA

TRAMA DEL SOGNO

“Ho sognato una mia cara zia. Era sorridente. Si trovava nella casa dove prima abitavo con la mia famiglia. Era di sera e nella casa c’era la luce accesa.

La casa era pulita e in ordine. Si vedeva che la zia stava bene, come quando veniva a trovarci e sorrideva contenta.

Passavo da lì con i miei figli piccoli e, come se la casa fosse a pianterreno, guardavo attraverso i vetri della finestra.

Allora raccontavo ai miei figli che io in quella casa ci abitavo da piccola.

La zia mi vedeva e apriva e io facevo notare ai miei figli come allora vivevamo in una casa così piccola.

Poi su un tavolo vedevo in una cesta tanti sacchetti da sposa con dei nastrini e fiorellini, alcuni erano un po’ aperti e altri chiusi, e pensavo che fossero quelli del matrimonio di mia figlia.

Il pavimento della stanzetta era lucido e pulito, non vedevo il letto e c’erano delle piante ben curate e messe vicino a questo tavolo.”

Sofia

P.S.

Ricordo che qualche giorno prima io e i miei cugini abbiamo pagato al Comune la tassa per evitare al feretro della zia lo sfratto dal loculo in cui riposa da più di venticinque anni.

CONSIDERAZIONE

L’ultima notizia di Sofia necessita di una severa riflessione.

La “Pietas” è morta.

Il sentimento di appartenenza alla famiglia umana è stato ucciso dalla trista e fredda amministrazione comunale. Il culto dei morti è vivo nei cuori dei sopravvissuti, ma non è contemplato negli aridi verbali delle istituzioni. Per fare cassa il sindaco e il consiglio comunale hanno imposto una sostanziosa tassa per prolungare la permanenza dei resti del defunto agli occhi e alla memoria dei posteri, pena lo smaltimento delle ossa e delle ceneri in un anonimo ossario. E così, i nipoti hanno versato il freddo denaro per consentire alla zia di essere ancora ricordata tramite il luogo e lo spazio occupato in cimitero e regolarmente pagato. Questo generoso e nobile riscatto dei familiari è ispirato a quella “Pietas” di cui dicevo in precedenza, quel sentimento che nella mitologia greca spingeva il giovane Enea a caricarsi sulle spalle il vecchio padre Anchise e a salvarlo dalle ceneri di Troia e dall’ira veemente dei Greci. Enea non salvava soltanto il corpo di Anchise dalla sicura morte, Enea riconosceva e onorava le sue radici ancora vive e visibili e le portava in salvo per onorarle a favore della sua identità psicofisica, culturale e civile. Il sentimento della “Pietas” e il culto della memoria tramite i defunti si attestano nel rafforzamento della nostra identità e della nostra storia: noi siamo i nipoti della zia e apparteniamo a quella famiglia da cui traiamo i connotati organici, psichici e culturali.

Questo discorso non fa una grinza, ma non si conclude con la tristezza e la rabbia di un Comune inumanamente balordo che per sanare il bilancio impone le tasse sulle tombe, semplicemente si allarga nell’interiorità di ogni nipote che ha avuto modo tramite questo stimolo di riesumare i propri contenuti psichici in riguardo alla famiglia e nello specifico alle figure genitoriali. Il fatto storico e concreto di sanare un freddo debito con il potere politico e amministrativo scatena la tematica dell’identità psichica di ogni nipote e i meccanismi dell’identificazione messi in atto per la propria formazione evolutiva e per la propria “organizzazione psichica reattiva” o struttura. Sofia ha sognato di sé e della sua formazione in netto riferimento alla figura materna e alla maternità. Il sogno è interessato fortunatamente non alle beghe politiche, ma alle psicodinamiche umane anche belle e piacevoli e non sempre travagliate.

INTERPRETAZIONE

Ho sognato una mia cara zia. Era sorridente. Si trovava nella casa dove prima abitavo con la mia famiglia. Era di sera e nella casa c’era la luce accesa.”

Sofia ha “spostato” o “traslato” nella “cara zia” la figura materna con tutto il carico di vissuti che ha contraddistinto la sua formazione e la sua evoluzione durante l’infanzia e l’adolescenza. L’essere “sorridente” conferma la bontà del vissuto e la bellezza della relazione “madre-figlia”, nonché l’assenza di sensi di colpa. La “casa” è il simbolo della nostra “casa psichica”, della nostra “organizzazione psichica”, della nostra struttura formativa ed evolutiva. Sofia sognando precisa che il materiale prodotto la riguarda in prima persona, la sua “famiglia”. In quella casa e con quella famiglia sono cresciuta e mi sono formata. “Abitavo” dà proprio il senso della consistenza psicofisica e della pienezza della vita vissuta in quel contesto spaziale e temporale. “Era di sera” suggerisce uno stato crepuscolare della coscienza, ma questo obnubilamento viene ridimensionato dalla “luce accesa” ossia dalla presenza dell’Io e delle sue funzioni razionali. Sofia “sa di sé” e della sua storia, ha ben razionalizzato la sua infanzia e adolescenza e le psicodinamiche familiari.

Riepilogando: Sofia sogna la madre e il proficuo periodo dell’infanzia senza traumi e sensi di colpa. In sogno ha operato uno “spostamento” difensivo della figura materna nella “zia” per continuare a dormire e a sognare. La causa scatenante del sogno è stato l’evento storico del pagamento del canone cimiteriale a favore della salma della cara zia, familiare con cui condivideva la permanenza in un tempo diverso nella stessa casa.

La casa era pulita e in ordine. Si vedeva che la zia stava bene, come quando veniva a trovarci e sorrideva contenta.”

Come dicevo in precedenza, la relazione con la zia era di buona qualità e di buon spessore nella memoria storica di Sofia, ma il capoverso si traduce nel modo seguente: la relazione con mia madre è stata chiara e non presenta sensi di colpa, ”pulita e in ordine”. Inoltre, la vivevo bene e senza traumi e rancori, con pienezza di sensazioni e di sentimenti. Anche la sua morte non ha compromesso e alterato questo vissuto nei riguardi di mia madre. “Contenta” dà il senso della pienezza del vissuto amoroso e “sorrideva” attesta della bontà e della bellezza dell’esperienza di figlia. Sofia esterna un buon vissuto nei riguardi della madre, dimostra di rievocarla senza particolari angosce e di non avere resistenze psichiche nel far emergere i ricordi.

Passavo da lì con i miei figli piccoli e, come se la casa fosse a pianterreno, guardavo attraverso i vetri della finestra.”

Sofia rievoca in sogno la sua infanzia e si porta dietro l’infanzia dei suoi figli. Questo elemento è significativo perché, annullando la dimensione temporale, Sofia ha la possibilità di viversi in sogno simultaneamente come figlia e come madre. La “casa a pianterreno” conferma la realistica concretezza del vissuto nei riguardi della madre e della loro massiccia solidarietà in vita e in morte. La separazione tra figlia e madre consiste nei “vetri della finestra”, le due dimensioni sono descritte in maniera che la vicinanza non venga turbata, così come la distanza non venga annullata. Si tratta di un convivere figurato della vita e della morte, della relazione e della separazione, della presenza e dell’assenza. Sofia porta i figli dalla nonna e li informa sulla sua infanzia. L’amore materno coinvolge Sofia e i suoi figli, la prima con la madre defunta, i secondi con la madre viva. Il sogno di Sofia oscilla tra questi due piani, il fisico e il metafisico, il reale e il surreale a riprova che la funzione onirica viaggia in maniera autonoma dalla Ragione e dalla Realtà e grazie alla Fantasia riesce a creare quadretti estetici e fortemente suggestivi.

Allora raccontavo ai miei figli che io in quella casa ci abitavo da piccola.”

“Di madre in figlia”, Sofia figlia si racconta come madre ai figli, mostrando a se stessa il cammino esistenziale che si è snodato sotto i suoi passi e la formazione che si è data tramite quelle esperienze vissute “da piccola”. Sofia forma anche i figli comunicando la sua formazione e precisa loro che nella semplicità abitano i vissuti di una vita di bambina fortunatamente serena. Rivisitando i luoghi della sua infanzia, Sofia incontra la madre e mostra i suoi figli senza perdere l’occasione di essere “magistra” oltre che “mater”, proprio “raccontando” una metodologia psicoterapeutica che porta colei che parla, Sofia, alla presa di coscienza dei suoi vissuti e coloro che ascoltano, i figli, all’identificazione nella madre e nella famiglia. Sofia è una madre che ha dato ai figli anche il suo esempio, oltre che il suo insegnamento. Sofia in sogno gestisce la madre e i figli parlando di sé. Questa opportunità è legata alla figura della zia e alla disposizione fiscale del Comune in materia cimiteriale.

La zia mi vedeva e apriva e io facevo notare ai miei figli come allora vivevamo in una casa così piccola.”

Ritorna il concetto della semplicità formativa ed educativa, la modalità di vita e l’insegnamento dei genitori che dal poco hanno eretto un monumento più duraturo del bronzo: “io facevo notare ai miei figli”. Sofia mostra la sua empatia con la madre in “la zia mi vedeva e apriva”, evidenzia una relazione a filo doppio nel dare e nell’avere, del reciproco scambio e della reciproca comprensione: empatia e simpatia, ti sento dentro e sentiamo insieme. Sofia sottolinea ancora le virtù della modestia e della semplicità, nonché i valori della solidarietà e della vicinanza affettiva. Il detto popolare vuole che in una botte piccola ci sia sempre e soltanto del buon vino e che le cose piccole sono piene di sentimento; Sofia è una strenua seguace di questa filosofia collettiva. Sottolineo “mi vedeva e apriva” come i simboli portanti di un’esistenza equilibrata e solidale. Questo capoverso è pregno di affettività, senso e sentimento.

Poi su un tavolo vedevo in una cesta tanti sacchetti da sposa con dei nastrini e fiorellini, alcuni erano un po’ aperti e altri chiusi, e pensavo che fossero quelli del matrimonio di mia figlia.”

A questo punto il sogno di Sofia prende il volo e passa all’approfondimento della relazione con la figlia a confermare ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, il titolo del sogno “di madre in figlia”. Dopo aver sviluppato la preziosa e semplice dialettica relazionale con la madre, Sofia svolge il suo vissuto verso la figlia adducendo una simbologia classicamente materna, come se consegnasse il testimone della maternità alla figlia dopo averlo ricevuto dalla madre in questa staffetta ontogenetica e filogenetica: origine di ciò che è e amore della specie o di ciò che è, entrambe le origini attribuite alla dea Madre e all’universo psicofisico femminile. Riepilogo e snodo il discorso simbolico del capoverso preso in considerazione. Sofia introduce due simboli classicamente femminili e materni, la “cesta” e i “sacchetti”, nonché la “sposa” e gli annessi e connessi estetici “dei nastrini e fiorellini”. L’esaltazione del grembo e della fecondazione si riscontra nell’evidenza della cesta che contiene i sacchetti, le uova pronte per essere fecondate e le uova ancora in via di maturazione e simbolo dell’abbondanza e della fertilità, la cornucopia della donna matura e pronta per essere fecondata, un discorso semplice e naturale che esclude fronzoli e ideologie. Il richiamo finale al matrimonio della figlia taglia la testa al povero toro per far pendere la bilancia sul tema archetipale della dea Madre, sulla condizione naturale della donna feconda, sullo schema culturale della verginità e dell’illibatezza, sul valore della fertilità nella coppia. “Di madre in figlia e di madre in figlia” è il titolo corretto e completo del sogno di Sofia. Sottolineo la delicatezza e la semplicità descrittiva dei quadretti che Sofia sognando riesce a elaborare, adducendo figure retoriche di massima divulgazione come le metafore della “cesta e dei sacchetti da sposa”.

Il pavimento della stanzetta era lucido e pulito, non vedevo il letto e c’erano delle piante ben curate e messe vicino a questo tavolo.”

Sofia ritorna alla “zia” ossia alla “madre” spostata nella “zia”, quella figura materna a cui ha donato con il pagamento del tributo la possibilità di memoria e di convivenza nel cuore e fuori dal cuore, in un cimitero amministrato da personaggi crudeli e senza sentimenti, dal mondo arido della politica e delle amministrazioni comunali. Sofia ripropone il suo vissuto sulla madre molto lindo ed esente da conflitti e sensi di colpa, la sua buona “razionalizzazione” della figura materna e del lutto legato immancabilmente alla perdita: “vedevo”. La dovizie di particolari simbolici come “le piante ben curate” e “il pavimento lucido e pulito della stanzetta” dimostrano quella vena realistica e concreta che ha fatto della semplicità psichica un modo di vivere e di affrontare la vita.

Il sogno di Sofia è un’esaltazione del sentimento universale della “Pietas”. Sofia nella sua individualità riconosce e onora la sua radice materna e a lei porta riconoscenza e devozione all’interno di una cornice didattica dell’amore materno rivolto alla figlia che va in matrimonio, quell’unione a cui la nonna non ha potuto assistere e partecipare. Anche questo non è un dolore di Sofia, ma una pacata riflessione. Degna di nota è la modalità di sognare nel suo essere positiva, lineare, semplice e modesta. Gli orpelli retorici e tronfi non rientrano nella psiche di Sofia e in special modo nella rievocazione della madre, così come, quando la madre era viva, le difese psichiche sono state ampiamente ridotte all’essenziale e hanno permesso a Sofia di essere autonoma e di eliminare il rischio di dipendere dalla figura materna.

Un ultimo ringraziamento va alle autorità comunali che hanno favorito con una tassa “impietosa” un così bel sogno e una altrettanto bella psicodinamica nella forma più naturale possibile.

E’ oltremodo doveroso un promemoria profetico per gli altri nipoti che hanno contribuito al pagamento del tributo. Anche voi avete sognato immancabilmente vostra madre nelle sfumature simboliche che hanno contraddistinto la personale relazione psichica con lei. Se non ve ne siete accorti, vuol dire che funzione simbolica del sogno ha ben coperto la figura materna e magari avete sognato una mucca al posto della mamma.

Bonne chance!

LA SECONDA CASA

TRAMA DEL SOGNO

“Sono arrivata a casa mia, una sorta di seconda casa.

Apro una porta interna e rimango choccata perché alla mia destra la porta è aperta e c’è la luce accesa.

Trovo un mio amico con la sua nuova compagna che ridevamo e facevano l’amore.

Lui si accorge che io sono entrata e allora io sono uscita.

Mi chiedo se anche lei si è accorta di me e se mi conosce.

Poco dopo fuori di questa casa e davanti a me vedo il mio uomo con lei.

Lui è inciampato ed è caduto goffamente.

Io sono dietro di lui di qualche passo.

Provo un grande sconforto e mi chiedo come ha potuto venire a casa mia portando lei.

Ai miei occhi appare sfacciato soprattutto dopo quello che c’è stato tra di noi.”

Questo sogno appartiene a Megan.

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Sono arrivata a casa mia, una sorta di seconda casa.”

Megan è una donna cresciuta ed evoluta che ha ancora qualche pendenza “edipica”, non ha ben calibrato e razionalizzato il suo “fantasma” e il suo vissuto nei confronti del padre e, di conseguenza si porta a spasso nel sogno la madre sotto forma di una donna intrigante e subdola che attenta al suo uomo e ai suoi amici in situazioni decisamente seduttive e intime. Ma, come dicevo, Megan è una donna cresciuta ed emancipata al punto di avere due case, una sicuramente è casa sua, “mia”, l’altra è la “seconda casa”, anzi “una sorta di seconda casa”, una decisa e coraggiosa asportazione della sua dimensione edipica dalla “organizzazione psichica reattiva”, dalla sua struttura psichica evolutiva. Megan può e sa trattare la relazione vissuta sin dall’infanzia con il padre e con la madre isolandola senza alcun rischio e pericolo di destabilizzarsi e opera in tal senso, rivive in sogno e descrive la sua “posizione edipica” anche perché è stimolata nella vita di tutti i giorni da qualche incidente o da qualcosa che non gira bene nella sua sfera affettiva e sessuale. Quindi, riepilogando, il “resto diurno” o la causa scatenante del sogno di Megan si attesta in uno stato affettivo e sessuale in cerca di migliore sistemazione, visto che parliamo di “case”.

Apro una porta interna e rimango choccata perché alla mia destra la porta è aperta e c’è la luce accesa.”

L’atmosfera è classica e di “suspence”, come nelle sceneggiature dei migliori film del filone mitologico di Edipo, come nelle più sofisticate rappresentazioni della cosiddetta “scena primaria”, il figlio o la figlia che coglie i genitori in flagrante e nell’inequivocabile atteggiamento intimo del coito. Dentro la sua “casa” psichica personale, quella emancipata dai genitori, Megan s’imbatte nella sua autonomia, sulla “destra in una “porta aperta” e in una “luce accesa”. Traduco i simboli e la psicodinamica. Megan è una donna libera, ma in una casuale e naturale introspezione, “apro una porta interna”, rimane colpita dalla consapevolezza che nel suo futuro prossimo c’è ancora in ballo la situazione relazionale con il padre e la madre, la sua “posizione edipica”. Megan pensava di aver liquidato le pendenze con il padre e la madre, ma si trova a prendere atto di quanto ben chiara sia la sua presa di coscienza e di quanto in ballo dentro di lei sia ancora questa mitica triangolazione. Questo è il senso teatrale del termine “choccata”, stupefatta e interdetta, sorpresa e alienata. Ripeto che Megan sta facendo questo sogno perché nella sua vita quotidiana qualcosa non gira bene in quanto ad affetti, erotismo e sesso.

Trovo un mio amico con la sua nuova compagna che ridevamo e facevano l’amore.”

Questa è la “scena primaria” nella classica versione psicoanalitica freudiana. La bambina s’imbatte realmente, o immagina altrettanto realmente, nel coito dei genitori, un’unione sessuale paventata e ricca di effetti speciali per l’intervento tremendo del sentimento della gelosia e del possesso, nonché del tradimento e dell’infingardaggine. Megan trasla il padre e la madre in atteggiamento oltremodo intimo “nell’amico” e nella “sua nuova compagna”. Il meccanismo onirico e primario dello “spostamento” consente a Megan di continuare a dormire e a sognare senza cadere nell’incubo e nel risveglio, portando così avanti la sua psicodinamica in atto, la travagliata ma abbastanza risolta relazione profonda con il padre e la madre. Ecco che li rappresenta nella loro intesa erotica e nella loro dinamica sessuale. “Ridevano” è più inquietante per Megan bambina del “facevano l’amore” semplicemente perché l’atto materiale si tollera e si digerisce, ma l’atto psichico si trasporta nel tempo e nelle sfere psichiche dell’empatia e della simpatia, della complicità e della solidarietà, Essere o sentirsi esclusa da questa modalità di vissuto relazionale è struggente e produce in Megan cento anni di solitudine.

Lui si accorge che io sono entrata e allora io sono uscita.”

Megan approfitta del sonno per sognare la sua reazione psicologica alla complicità a trecentosessanta gradi tra il padre e la madre, vissuti incamerati e organizzati nel corso della sua formazione evolutiva e denominati “posizione edipica”. Megan ha ben razionalizzato questo conflitto dell’infanzia e dell’adolescenza al punto che può entrare e uscire dalla sua stanza edipica, perché è di questa che sta parlando, è questa che sta riesumando e rievocando. Nota anche che tra lei e suo padre c’era e c’è una buona empatia e simpatia, complicità insomma, per cui si può permettere questa dispettosa scaramuccia con l’augusto genitore, ma in effetti la psicodinamica è tutta sua e solamente personale. Megan “sa di sé” e può visitare, entrando e uscendo, la sua relazione pregressa e attuale con la figura paterna.

Mi chiedo se anche lei si è accorta di me e se mi conosce.”

Questo è un capoverso ricco dei sentimenti della rivalità e della competizione nei riguardi della madre, la “lei” in senso di distacco e di superiorità. Megan attribuisce alla madre una certa qual consapevolezza del suo trasporto globale verso il padre e si dice “penso che anche mia madre sapeva che amavo mio padre o suo marito”. In ogni caso la donna rivale, che possiede il maschio in questione, è degna di un vissuto superficiale e andante. La competizione con la madre è improntata a metà tra orgoglio e risentimento, della serie “io non sono indifferente e non passo inosservata, mia madre si sarà accorta di quello che vivevo e provavo”. In effetti e concludo, si tratta di un dialogo di Megan con se stessa in riedizione della sua “posizione edipica” al completo, visto che non trascura di elaborare i suoi sentimenti e le sue sensazioni verso la madre e il padre senza assolutizzare la prima o il secondo.

Poco dopo fuori di questa casa e davanti a me vedo il mio uomo con lei.”

Ma guarda caso, non l’avrei mai pensato e tanto meno detto. Megan si relaziona con la gente e si porta dietro la modalità affettiva, erotica e sessuale che aveva elaborato e sperimentato quando era innamorata del padre e in competizione con la madre. Del resto, questo siamo e quello che abbiamo immaginato, vissuto e imparato lo trasportiamo pari pari nella realtà sociale di tutti i giorni. “Lei”, la madre, la segue e la perseguita, è un’ape regina che si prende tutti i maschi e adesso si intriga anche con l’uomo di Megan che questa volta non è apparentemente il padre, ma è sempre la figura paterna nella sostanza psicologica e profonda. Megan si è innamorata e ha scelto il suo uomo secondo il codice “edipico”, come si diceva, e sempre secondo queste coordinate si relaziona con il suo maschio. Resta sempre la diffidenza verso l’universo maschile, reo di non essere affidabile e di essere traditore.

Lui è inciampato ed è caduto goffamente.”

La rivincita di Megan a tanto alto tradimento è la derisione del “lui” amante e padre, secondo la dinamica più comica del teatro antico e moderno, l’inciampo e la caduta. Oltretutto la caduta è stata goffa, come la reazione di chi viene preso con le mani nella marmellata o con la lingua spiaccicata sulla “nutella”.

“Ben ti sta, brutto traditore, così impari!

Ma sai cosa ti dico?

Noi donne vi ridicolizziamo come e quando vogliamo.”

Megan spende una lancia interessata a favore dell’universo femminile, dando proprio potere alla donna che sceglie e prende il maschio imbecille che cede e si lascia avvincere senza consapevolezza, così, tanto per andare a scaricare in qualche anfratto il patrimonio dei coglioni.

Io sono dietro di lui di qualche passo.”

Megan in tanta psicodinamica è stata al suo posto e ha saputo controllare le evenienze fisiche e psicologiche della psicodinamica “edipica”. Lei ha ben capito tutto e ha ben controllato il tutto. A Megan non la si fa sotto i baffi, almeno su questi binari che portano alla formazione della coppia e alla vita in due, nonché alla necessaria limitazione della libertà d’azione, ma non di pensiero e d’immaginazione. Megan è sorniona nel collocarsi in sogno appena “dietro di qualche passo” agli uomini significativi della sua vita, il padre e il compagno in atto.

Provo un grande sconforto e mi chiedo come ha potuto venire a casa mia portando lei.”

E’ inequivocabile, Megan chiede a se stessa come ha potuto introiettare la psicodinamica edipica nel corso degli anni della sua formazione psichica e come si è potuta portata dentro la figura paterna con gli annessi e i connessi manifesti del tradimento e dell’intesa con la madre, dopo quello che c’era stato e per lungo tempo tra loro due. L’equivoco è sano e funge da motore di crescita per Megan bambina e adolescente. Lo “sconforto” è proprio un “non essere insieme a lui” e un “non ti porto dentro”, un senso di solitudine che si deve evolvere al meglio nell’emancipazione dalle dipendenze e nell’autonomia. E questo è avvenuto nella realtà e si sta riepilogando in sogno. Il perché di questo sogno deve trovarsi in una situazione relazionale e sessuale in atto o in una problematizzazione delle modalità di relazione con i maschi e con le donne da parte di Megan.

Ai miei occhi appare sfacciato soprattutto dopo quello che c’è stato tra di noi.”

Ancora una volta appare Pitagora con il suo “c.v.d.”, come volevasi dimostrare”. Megan si è sentita sfacciata con il suo comportamento nei riguardi dei suoi genitori e soprattutto non ha digerito di essere stata tradita e abbandonata, nonostante il suo atteggiamento provocatorio di cui conserva un residuo di vergogna. Proietta sul suo uomo in atto, il padre pregresso, quello che lei vive, il senso di essere stata eccessiva con la faccia deformata, “sfacciata” per l’appunto e per la precisione. Quello che c’è stato tra di noi non è proporzionale in alcun caso al deludente esito finale, per cui Megan mette un punto e avanti con il liscio e con la processione senza soffermarsi in inutili conflitti psichici e blocchi esistenziali.

Megan ha ben calibrato e risolto la sua “posizione edipica” e in sogno rafforza la sua autonomia psicofisica proprio riepilogando quello che ha vissuto intensamente e con il giusto equilibrio consentito a una bambina, a una adolescente e a una donna.

Questo è significato profondo e il monito reale del sogno di Megan.

Resta da chiedersi quale immagine ha Megan di se stessa, dal momento che è particolarmente remissiva e oltremodo civile con quella “donnaccia” che con non chalance gli ruba prima il padre e poi l’uomo. La risposta è la seguente: Megan ha dovuto a suo tempo mollare l’osso alla madre e ne è uscita da questa disputa rafforzata sulla liceità delle sue pretese verso un altro uomo, ma non credo che si lasci fregare l’uomo con quella remissività esibita nel sogno. E’ un residuo psichico del passato, della “posizione edipica” dove e quando è stata costretta a lasciare identificandosi nella madre e alla ricerca di un maschio che somigli al padre in qualche tratto. Megan ha sognato in toto la sua triangolazione dialettica “padre-madre-figlia” anche se si è spostata in avanti con il tempo per attestare quanto sia stata beneficamente segnata nella sua formazione psichica da questa primaria esperienza a sfondo erotico e sessuale.

Del sogno di Megan è stato abbondantemente detto, per cui il discorrere si può fermare qui.

GUERRA

Prima era prezzo del sale,

adesso del sacrificio.

Abbia pietà di noi, Signore.

Abbi pietà.

La tua casa,

la mia casa,

la mia spesa,

l’ombrello per la pioggia

e la cura nell’ospedale della resurrezione,

il bene e il male,

la mia vecchiaia

e la tua forza.

Cade tutto,

muri e pane,

la linea della nostra relazione,

il corpo a corpo degli amanti

e tutta la polvere che copre il sangue sul selciato.

Fango sui tuoi stivali col tacco dodici,

cessa la musica nel luogo del ballo,

cessa lo sballo di notti invase dalla noia.

Tutto torna all’essenza

che non vale un cazzo di niente.

Vorrei essere al mare con Dio

in volo dentro cieli azzurri.

Sabina

Trento, 05, 03, 2021


“IL BIAVER”

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Sono nella casa di mia nonna.

Dietro c’è il biaver e sotto la cantina.

Dall’altra parte c’è una rimessa per le macchine.

Faccio per andare nel biaver, dove da bambina andavo a fantasticare, e trovo la porta murata.

Ci rimango male.”

Questo è il sogno di Mariannina.

DECODIFICAZIONE – CONTENUTO LATENTE

Sono nella casa di mia nonna.

Mariannina ha decisamente un buon rapporto con la nonna, si è anche identificata in alcuni tratti psichici della sua figura, visto che si trova “nella casa” della nonna, anzi “nella casa di mia nonna”. “Sono” si traduce in “mi attesto”, in “consisto”, in “ho il mio fondamento”, in un’affermazione positiva di tipo strutturale fatta di sicurezza affettiva e di note psichiche consone all’infanzia. La “casa” condensa la struttura psichica evolutiva o la “organizzazione psichica reattiva”, insomma quella che tradizionalmente si definisce la “personalità” o il “carattere”. “Mia” indica magistralmente il senso del possesso e della sicurezza implicita all’affermazione decisa di appartenenza. La “nonna” rappresenta simbolicamente la “madre” saggia e positiva, la “parte buona” del “fantasma della madre”. La “nonna” è una madre vicina all’archetipo Madre anche perché la vecchiaia l’avvicina alla sacralità della morte: il valore etico della senescenza. Mariannina è cresciuta con la nonna, ha trascorso la sua infanzia con tanta figura. Magari è figlia di gelatai veneti emigrati in Germania che hanno appoggiato, non lasciato, la figlia alla madre di uno dei due, come spesso avveniva nel contesto rurale del laborioso e tenace Veneto degli anni sessanta. Tra un cantiere edile della boriosa e fredda Svizzera e la gelateria di una tollerante e accogliente Germania era di gran lunga preferibile il dio “Marco” rispetto al dio “Franco”. E così una generazione di bambini e di bambine è cresciuta senza la presenza dei genitori e con le solerti figure del nonno e della nonna in trepida attesa che i genitori facessero i soldini per costruire una bella villa nel paese d’origine. Questi genitori mercanti hanno coltivato la ricchezza e hanno mietuto traumi psichici per se stessi e per i figli.

Fine del papocchio morale e del pistolotto etico.

In sintesi, allora, risulta che Mariannina si è identificata al femminile nella nonna e sta rievocando in sogno questa figura per lei così importante, direi determinante per la sua formazione psichica.

Dietro c’è il biaver e sotto la cantina.”

Questo di Mariannina è un sogno spaziale, parla di luoghi e di punti cardinali, di “dietro” e di “sotto”, di una “casa” che si trova in un luogo e occupa uno spazio. La protagonista proietta i suoi vissuti negli spazi reali che automaticamente acquistano un significato simbolico. Poche parole tagliate con l’accetta e tanti significati simbolici tirati fuori anche con compiacenza.

Allora vediamo cosa dice Mariannina.

La nonna mi ha fato da madre, la nonna mi ha amata, protetta e cresciuta. Dalla nonna ho imparato a rimuovere le mie angosce di abbandono e di solitudine, il mio bel “fantasmino di morte”. La mia psicologia profonda è ricca e piena di idee e di vissuti che da bambina non potevo gestire. Il “biaver” è il posto dove si mettono le pannocchie di granoturco, la biada, l’oggetto simbolico dell’amore materno, la polenta, quel pane antico e giallo dei contadini veneti che, strofinato su una benedetta aringa affumicata, si poteva buttare giù nello stomaco con una incerta soddisfazione. Per la bambina abbandonata dalla madre e dal padre il “biaver” è consolazione e sopravvivenza, così come la “cantina” è quella vitalità immaginativa che temprava l’animo alle angosce presenti e future. Niente di inconscio in Mariannina, soltanto materiale profondo da approfondire magari quando diventa grande.

Dall’altra parte c’è una rimessa per le macchine.”

Il tempo passa e la bambina cresce sotto gli occhi attenti e vigili della nonna fino a diventare signorina. Non bastano gli affetti, servono anche le pulsioni e i desideri. La vita procede e la “libido” la sostiene nella leggerezza del suo essere che da adolescente si ritrova donna a pieno titolo. Quest’evoluzione psicofisica avviene sotto l’egida della nonna, nella casa della nonna. L’identificazione di Mariannina verte sulla figura femminile della nonna dal momento che della mamma non si vede l’ombra. La nonna è sempre una donna anche se in età matura. La simbologia delle “macchine” verte sul sistema neurovegetativo che governa la sessualità e la “rimessa” attesta di una particolare difesa e protezione della propria identità femminile. Mariannina distribuisce nello spazio le sue parti psichiche in via di evoluzione e opera quella gelosa tutela di se stessa dal momento che è stata toccata realmente dall’abbandono dei genitori.

Faccio per andare nel biaver, dove da bambina andavo a fantasticare, e trovo la porta murata.”

Mariannina ha bisogno di essere amata e cerca il cibo simbolico proprio in quel “biaver” che tanto ha scatenato in lei di bisogni, di pulsioni, di fantasie, di desideri, tanto ha stimolato l’immaginazione. Ma ormai è cresciuta ed è cresciuta in fretta, troppo in fretta per non trovare la porta ancora aperta. La porta è addirittura “murata”, il “biaver” si è trasformato in una tomba, gli affetti sono andati e possibilmente anche la nonna è morta. La fantasia di Mariannina in quell’angolo elaborava mondi e persone che compensavano la magrezza affettiva di quel periodo in cui sapeva della mamma e del papà senza poterli gustare. Quell’infanzia è perduta definitivamente anche perché Mariannina l’ha completamente rimossa e la nonna non abita più in quella casa. Chissà che nel tempo arrivi qualche stimolo e qualche grimaldello per riaprire il “biaver”, per demolire quel muro che ancora divide un triste passato e un triste presente. Mariannina è condannata alla tristezza, a essere triste nel suo fondo psichico per l’ingiustizia subita quand’era bambina anche se con la nonna nel “biaver” non mancava nulla.

Ci rimango male.”

Un eufemismo, “ci rimango male” è un semplice e facile eufemismo che serve a indicare il danno subito senza far sentire in colpa la mamma e il papà, quei genitori maldestri che adesso sono tornati dall’Eden per sbarcare il lunario nell’ingrata terra natia. La consapevolezza di Mariannina adulta associa il “male” sentimento e sensazione con il “male” essenza e apparenza. Un nostalgico “si poteva vivere meglio” chiude le scelte del tempo andato e del tempo presente dentro le ciglia chiuse di Mariannina che dorme e ancora sogna quel “biaver” della nonna pieno di pannocchie di granturco e di topi che razzolavano e rosicchiavano anche loro una razione d’amore o una manciata d’affetto.

Il breve sogno di Mariannina trova qui il suo giusto riposo.

TUTTO BRUCIA

LA TRAMA DEL SOGNO

“Il sogno si svolge a casa mia.

Tutto brucia al piano di sotto e all’esterno nel prato, sulle scale.

So che al piano di sopra c’è la mia compagna con i bambini, ma non riesco a muovermi e a non fare nulla per salvarli.

Mi sono svegliato con un’ansia assurda ed è da una settimana che penso e ripenso e sto male.”

Questo sogno appartiene a Claudio.

LA MIA MAIL

Caro Claudio,

per tranquillizzarti ti mando una sintesi dell’interpretazione del sogno. Si tratta di una normale evoluzione della tua sfera affettiva alle prese con i vissuti dei tuoi ruoli di compagno e di padre. La Psiche arriva sempre dopo la realtà dei fatti e ci vogliono anche anni per razionalizzare la tua nuova condizione avvenuta nello spazio di pochi anni. Gli investimenti affettivi procedono in maniera realistica, ma, essendo in eccesso, non vengono assimilati dalla consapevolezza dell’Io. La tua reazione a tanto trambusto avviene in maniera disordinata e si converte nella paura generica e nell’angoscia di non essere in grado di sostenere la situazione e di perdere le conquiste fatte con la tua evoluzione di compagno e di padre. Certo questi fantasmi onirici appartengono alla tua evoluzione psicologica. Cerca di non ripetere in tutto e per tutto le modalità affettive di tuo padre e di tua madre. Cerca di goderti nel vero senso della parola le persone care proprio materialmente nei corpi in primo luogo e, di poi, nella personalità. Dopo questa interpretazione l’ansia si risolverà. Ricordati che il sogno ti chiede una progressiva modificazione dei tuoi comportamenti psichici.

Se mi autorizzi fra qualche mese posso fare uno studio accurato del tuo sogno, come potrai constatare se ti colleghi al mio blog dimensionesogno.com nel rispetto della privacy e assolutamente senza alcun onere da parte tua. Se hai dubbi, scrivimi.

Buona giornata

Salvatore

Claudio mi ha dato il nullaosta.

L’INTERPRETAZIONE

Il sogno si svolge a casa mia.”

Tutti i sogni si svolgono a casa nostra. Tutti i sogni abitano in noi perché sono prodotti della nostra psiche e rievocano nel loro linguaggio simbolico le psicodinamiche che hanno contraddistinto la nostra evoluzione e la nostra formazione. Claudio elabora in sogno un tema intimo e privato, oltremodo delicato, la relazione con la sua nuova famiglia in un momento di difficoltà.

Tutto brucia al piano di sotto e all’esterno nel prato, sulle scale.”

Claudio sta attraversando un momento di crescita psichica di notevole portata: la compagna e due figli piccoli da sostentare e proteggere. La sua giovane età si impatta con la mole del compito e con le modificazioni evolutive che ha apportato e vissuto uscendo dal solito tram tram della vita precedente nella famiglia d’origine. L’incendio si è esteso in tutta la struttura psichica e occupa lo spazio personale in riguardo alla tensione nervosa messa in circolazione dalle nuove emergenze psico-esistenziali. La simbologia del fuoco si traduce in un eccesso di vitalità, “libido”, che traligna nella paura e nell’angoscia, dal momento che Claudio in sogno non sa e non capisce cosa gli sta succedendo. Il fuoco ha una valenza minacciosa e distruttiva, una carica di morte più che di vita. La tensione nervosa in eccesso ha bisogno di essere scaricata in sogno e nella veglia, ma dormendo Claudio è costretto a seguire le coordinate simboliche della sua attività onirica. Vediamo dove va a parare in questa rielaborazione e messa in discussione di sé e della sua “organizzazione psichica”.

So che al piano di sopra c’è la mia compagna con i bambini,”

Claudio presenta la sua vita affettiva, la sua donna e i suoi figli che ha depositato in una sfera di “sublimazione”, “al piano di sopra”, a testimoniare della purezza e della sacralità del senso della coppia e della paternità, della famiglia per la precisione. Claudio è angosciato dal fatto che il fuoco possa essere di danno mortale alle persone care. Si tratta di un’angoscia di inadeguatezza a tanto compito da parte di un giovane uomo che ha evoluto in breve tempo la sua situazione di persona e i suoi ruoli. Esiste anche una componente aggressiva nel pensare le persone care in sommo pericolo. Tale dato si giustifica con la paura che i nuovi arrivati minacciano l’equilibrio psicofisico precedente e faticosamente raggiunto. La novità dell’amore coniugale e dell’amore paterno abbisognano di tempo per essere assimilati come nuove dimensioni psichiche e, nello specifico, di ordine affettivo e sentimentale.

ma non riesco a muovermi e a non fare nulla per salvarli.”

Il blocco fisico in sogno è veramente brutto da vivere, proprio perché si tratta della manifestazione di un’angoscia da cui non si riesce a emergere e a risolvere. L’incapacità di muoversi e di reagire è veramente drammatica e spesso porta all’incubo e al risveglio. A questo blocco delle energie e dei movimenti si aggiunge, come se non bastasse, la consapevolezza dell’impotenza a salvare la compagna e i figli dal fuoco, dall’incendio e dalla sicura morte. Non c’è cosa peggiore per un padre e per un marito di non poter proteggere adeguatamente la propria famiglia e soprattutto i figli piccoli. Claudio simbolicamente manifesta la sua difficoltà a sentirsi in grado di accudire ai suoi cari in tutto e per tutto anche perché le sue paure e le sue angosce del passato non sono state del tutto risolte e capite. Si può parlare tranquillamente di una forma d’immaturità emotiva e affettiva legata alla rapidità delle esperienze vissute. Claudio deve digerire a livello psichico l’essere marito e l’essere padre e deve mettere anche a posto l’essere stato figlio nella famiglia d’origine. Claudio abbisogna di essere amato e rassicurato e non trova nella sua bisaccia le risorse da offrire ai nuovi arrivati. Il suo sacrificio e il suo sforzo si manifestano chiaramente nel sogno.

Mi sono svegliato con un’ansia assurda ed è da una settimana che penso e ripenso e sto male.”

L’ansia è direttamente proporzionale alla tensione nervosa che il lavoro onirico ha maturato nello svolgimento della psicodinamica non indifferente e certamente significativa. Claudio ha veramente a cuore la protezione da accordare ai suoi figli e alla sua donna, ma si sente minato in questa capacità di essere all’altezza della situazione. Il tempo aiuterà la maturazione del sentimento paterno e dell’amore coniugale. Esperienze precoci e improvvise della sfera affettiva e sentimentale richiedono un’assimilazione lenta e costante, per cui Claudio deve razionalizzare la necessità di un processo che dentro di lui andrà avanti di giorno in giorno nell’esercizio della convivenza e dei sentimenti. Si nasce figli e si diventa padri, si imiterà il padre ma bisogna liberarsi dai condizionamenti del passato e tentare l’originalità senza arrecare danno a se stesso e agli altri. Bisogna ripetere i comportamenti giusti del valore paterno e innovare gli schemi e i comportamenti non condivisi e che hanno arrecato scompensi e guasti. L’originalità è sempre condizionata, come l’autonomia psicofisica. L’uomo è un “animale sociale” che matura nella convivenza e nell’esercizio del quotidiano vivere. Claudio avrà la remissione dei sintomi di agitazione e d’angoscia man mano che prenderà coscienza dei suoi nuovi ruoli e assumerà un atteggiamento di progressiva acquisizione e assimilazione.

LA STANZA CHIUSA E BUIA

TRAMA DEL SOGNO

“Ho sognato di essere in una casa, non molto luminosa, come se fosse la mia, ma non somigliava a nessuna delle mie case.

C’erano con me mia figlia e i miei nipoti che erano venuti dall’America.

Io ero molto contenta, il piccolo Jake doveva andare nella stanza accanto, la porta era chiusa.

Io gli dicevo di accendere la luce ed entrare, ma lui, non so perché, aveva paura. Io l’ho accompagnato, ho acceso la luce e gli ho detto di stare tranquillo.

Appena entrati gli ho fatto guardare la stanza e ha potuto constatare che effettivamente non c’era nessuno.

Quindi si è tranquillizzato.”

Poi mi sono svegliata.

Bea

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO

Ho sognato di essere in una casa, non molto luminosa, come se fosse la mia, ma non somigliava a nessuna delle mie case.”

Potevo intitolare il sogno di Bea “Ava et magistra” o “Mater et magistra”, mettendo in rilievo la premura della nonna e l’amore della madre. Ho scelto “La stanza chiusa e buia” semplicemente perché la stanza di questa casa è di Bea e in sogno la “sposta” nel caro nipotino Jake “proiettando” anche il suo conflitto psicofisico.

Procedo con calma e devozione in onore alla donna, alla madre e alla nonna e senza far torto a nessuna rappresentazione reale e simbolica di Bea.

La “casa”, mi ripeto di sogno in sogno ormai da sei anni, rappresenta simbolicamente la “organizzazione psichica reattiva ed evolutiva”, come è corretto definire la vecchia “struttura psichica”, la obsoleta “personalità”, l’antiquato “carattere”, sulla scia delle dottrine di Sigmund Freud e di Melanie Klein. Bea sta visitando se stessa, è in introspezione, si sta guardando dentro perché ha ricevuto uno stimolo a visitarsi interiormente. Ma la sua coscienza è obnubilata, non è limpida semplicemente perché è turbata da un pensiero, da una preoccupazione, da un affanno: “in una casa non molto luminosa”. In effetti, Bea ha un deficit di lucidità mentale, è sovrappensiero, è in libera associazione, è in sub-vigilanza, è in uno stato crepuscolare. Si riconosce ma non si capisce e tanto meno si giustifica, visto che il suo pensiero affannoso non si è ancora ben evidenziato o, meglio, illuminato. Le “sue case” fanno parte del suo complesso psichico organizzato, meglio le sue “stanze”. E’ questa una pulsione d’amor proprio e un moto d’orgoglio che stanno benissimo in una persona che ha vissuto ed è pervenuta al traguardo venerabile di nonna. Eppure, qualcosa di nuovo si profila ancora nell’orizzonte psichico e nella panoramica mentale di questa signora navigata e articolata. Un pensiero si muove con lo strascico emotivo annesso formando una latina “cura”, una preoccupazione e un affanno.

Vediamo di cosa si tratta e cosa ci riserva il Fato.

C’erano con me mia figlia e i miei nipoti che erano venuti dall’America.”

La dimensione psichica di madre e di nonna si mostra in tutta la sua bellezza e superbia: “questi sono i miei gioielli”. Bea è come Cornelia, la madre dei Gracchi. Bea ha accanto a sé la figlia e i nipoti, le sue propaggini, il suo futuro in progressione reale e affettiva. Il “con me”, latino “mecum”, denota il senso del possesso sentimentalmente mediato e giustificato dalla stazza psichica del personaggio che Bea incarna con nerbo e interpreta con gentilezza. Si noti l’uso dei possessivi “mia” e “miei”, quasi una forma di capitalismo psichico da matriarca, a testimonianza, qualora ce ne fosse bisogno, del legame nerboruto che avvince le tre generazioni: nonna, figlia, nipote. La “America” non è un simbolo, è un dato di fatto che si inquadra nella psicodinamica come rafforzamento degli affetti e dei turbamenti. La lontananza non fa dimenticare coloro che si amano, tutt’altro, cementa con il desiderio e allucina con il sentimento della nostalgia, dolore del ritorno, mettendo in crisi la coscienza di sé”. Ricapitolando: in una “stanza” di una “casa” di Bea si ritrovano in sogno madre, figlia e nipoti. L’emotività e l’appagamento affettivo turbano la Psiche di Bea, al punto che si ritrova in uno stato crepuscolare della coscienza e in una leggera caduta della vigilanza.

E’ lecita la domanda: ma perché?

Io ero molto contenta, il piccolo Jake doveva andare nella stanza accanto, la porta era chiusa.”

L’attenzione di nonna Bea è focalizzata sul “piccolo Jake”, il nipote elettivo per affinità psichiche e maggiormente indifeso, nel vissuto della nonna, a causa della sua giovane età. La psicodinamica si svolge attorno al tema di un nipotino tutto da scoprire e tutto da conoscere, a cui in sogno la nonna Bea chiude una “porta” d’accesso a una “stanza”: la stessa Bea si chiude una “porta” per entrare in un suo ambito psichico. E’ come se questo ragazzino fosse stato per Bea lo schermo su cui proiettare il suo film: un nipotino in fase evolutiva rappresenta la nonna in crisi di auto-consapevolezza. Jake è piccolo e per questo è indifeso e va protetto, ma è anche in crescita e tutto da vivere perché non ha niente di scontato. Nonna Bea si preoccupa proprio di Jake e gli attribuisce il suo conflitto psichico. Vuole proteggerlo perché vuole proteggersi.

Quale vissuto proietta in Jake?

Il prosieguo del sogno lo dirà.

Io gli dicevo di accendere la luce ed entrare, ma lui, non so perché, aveva paura. Io l’ho accompagnato, ho acceso la luce e gli ho detto di stare tranquillo.”

Bea “proietta” sul nipote la sua psicodinamica depressiva, dice a se stessa di far chiarezza sui suoi “fantasmi” usando la testa e migliorando la presa di coscienza per uscire dal tunnel dell’obnubilamento con la “razionalizzazione”. Ma Bea ha paura, istruisce le “resistenze” atte a impedire la riesumazione della sua verità psichica in atto e che in tempo di morte, coronavirus, è a due passi dal vedere la luce. Bea non conosce la causa della sua paura. E’ in buona compagnia di se stessa, ma non riesce a illuminare l’angoscia di morte, la “stanza buia” della sua “organizzazione psichica” che ospita il nucleo depressivo, quel nucleo che nel corso della vita ha rimosso agendo e frastornandosi alla grande. In sogno sta traslando il conflitto e acquietando le tensioni nervose emerse. Cerca di dare nome e cognome alla sua angoscia di morte.

Ma perché si è fiondata proprio nel nipotino più piccolo?

Lo stato d’animo ansioso e doloroso è stato assimilato alla persona indifesa e bisognosa di aiuto. Bea vive Jake in una condizione psichica simile alla sua. Bea è “regredita” all’infanzia quando ha elaborato l’angoscia depressiva della perdita e si è assimilata al nipote bambino. Lo stimolo a questa operazione difensiva dall’angoscia, processo della “regressione”, è l’azione psichica nefasta del coronavirus.

Appena entrati gli ho fatto guardare la stanza e ha potuto constatare che effettivamente non c’era nessuno.”

Bea prende per mano la sua bambina impaurita e la rassicura e la consola con la ragione. La classica paura dei bambini è quella del l’uomo nero o del ladro o dello zingaro, di quella figura angosciante che ti porta via dall’affetto dei tuoi cari genitori: una “traslazione” della morte per abbandono e per inedia. Bea non si rende conto che il suo “deficit” psichico contingente è legato a questo “fantasma” e lo vive in sogno “spostandolo” nel nipote e si pone in certosina attesa di capirlo. Intanto ha sognato l’intruso, quel “nessuno” che si teme sempre che s’intrufoli dentro di noi per violare la nostra intimità e la nostra sensibilità affettiva.

Come nasce dentro di noi bambini questo “nessuno” così forte e così presente?

Lo formuliamo da soli e non soltanto nella penuria degli affetti e delle coccole, ma soprattutto nel massimo dell’abbondanza al semplice pensiero “e se non fosse più così?”, commutando lo stato di benessere attuale nell’opposto. Lo formuliamo quando viviamo il sentimento di ostilità nei riguardi dei nostri genitori e quando si ridestano i sensi di colpa per aver tanto osato nei loro confronti per i nostri bisogni di possesso. Lo formuliamo per i nostri bisogni inappagati e per i nostri desideri infranti. Secondo questi parametri universali formuliamo la nostra “morte” psichica da abbandono e da inedia. Tutti abbiamo una “stanza” della morte nella nostra “casa” psichica. Tutti abbiamo una stanza atta all’accumulo disordinato delle nostre perdite immaginarie e reali, la stanza depressiva dove abbiamo messo dentro le nostre morti. Basta una causa scatenante adeguata per tirarle fuori alla rinfusa. Dobbiamo tenere in ordine questa strana e naturale “stanza” della nostra “casa”. Dobbiamo tenerla illuminata dalla razionalità che ci permette non solo la “razionalizzazione del lutto”, ma soprattutto la consapevolezza della fine naturale della nostra vita, quella morte che addolora e fa paura, ma che non è angosciante se sappiamo della nostra umana debolezza e della nostra sovrumana onnipotenza. Vivendo, bisogna imparare ad andare via alzandosi satolli dalla tavola, come l’ospite di Orazio dopo il banchetto nel comodo triclinio. Per far morire la Morte, impareremo a usare il pensiero simbolico, i “processi primari” che governano la funzione onirica, e a ridurre tutto a simbolo, noi stessi in primo luogo.

Quindi si è tranquillizzato.”

Bea si è tranquillizzata tramite il suo nipotino. Ricordati Bea che devi fargli un bel regalo, perché lui lo ha fatto a te e di gran valore: la moneta affettiva e simbolica. In effetti, Bea si è regalata la possibilità di capire e di capirsi sognando. E allora dovrà fare un bel regalo al suo sognare. Ma il sogno non l’aveva capito del tutto, l’aveva intuito e forse neanche, perché l’aveva confezionato con tutti i crismi del simbolismo mitico dei Greci. E allora dovrà fare un bel regalo al sottoscritto che glielo ha spiegato. Di sicuro Bea si tranquillizzerà adesso che sa razionalmente cosa ha sognato approfittando del nipote piccolo e indifeso come lei quand’era bambina. Il tempo del coronavirus, questo tempo di morte imperante dentro e fuori, ha disoccultato il Profondo psichico e ha aperto “la stanza chiusa e buia” che tutti abbiamo e custodiamo con accuratezza. Bisogna ringraziare anche il “coronavirus” se Bea ha trovato la sua verità depressiva e se si è disposta verso la “atarassia”, il “morire della morte” perché nulla in lei chiede di continuare a vivere pur vivendo.

Purtroppo questo virus ha portato più danni che benefici, specialmente per i tanti che non riescono a vedere il bicchiere mezzo pieno e tendono al “maximum” catastrofico.

Poi mi sono svegliata.”

Bea si è svegliata. Era ora. La sveglia l’ha riportata alla ragione e alla realtà, alla tutela di se stessa e all’amor proprio, al volersi bene senza onnipotenza e senza follia, senza le suggestioni sociali e culturali e in special modo quelle della politica e delle tv di stato, dei giornali maldicenti e dei plenipotenziari privati e dei loro servi. Abbiamo da svegliarci, più che mai in questo tempo del “coronavirus”, anche dal “sonno dogmatico” di cui scriveva Immanuel Kant in riguardo all’umano ottimismo logico sulle verità conoscitive. Asteniamoci dal coinvolgimento acritico e dai messaggi degli illusionisti con il viso rifatto e con il ghigno innato. Piuttosto affidiamoci e fidiamoci del nostro sognare e del sogno che, a suo modo, non ci può mentire e dice necessariamente la nostra verità, quella che ha il sapore dell’angoscia forgiata da noi e soltanto da noi risolvibile.