PUBBLICITA’ E FANTASMA DI MORTE

SALVATORE VALLONE

PUBBLICITA’ E FANTASMA DI MORTE

dimensionesogno.com

 

CULTURA, IMMAGINE E PUBBLICITA’

IL CONCETTO DI CULTURA

Si definisce “cultura “dal punto di vista psicologico-cognitivo un sistema interattivo di “schemi” interpretativi ed operativi con cui un gruppo umano pensa ed orienta le sue attività, elabora e costruisce il suo mondo, dà senso alla sua vita e significato alla realtà che lo circonda.
Secondo l’ottica sociologica la “cultura“ è un sistema di “valori” condivisi e convissuti da una società di uomini che attraverso la comunicazione e la collaborazione ricerca un senso alla vita individuale e collettiva ed evolve storicamente l’identità di appartenenza.
In base agli assunti della Semiologia, la “cultura” è un sistema interattivo di “segni”, elaborato sempre da un gruppo umano, che acquista senso e significato all’interno di un “codice”; quest’ultimo consiste in una serie di elementi finalizzati all’interpretazione ed alla trasmissione di messaggi specifici, semplici e complessi, sempre traducibili in altre forme di comunicazione.
Il “segno” è un dato naturale e positivo, portatore secondo un criterio associativo di un contenuto cognitivo-culturale basato su codici convenzionali che ne consentono in un primo tempo l’interpretazione e l’assimilazione e di poi l’azione consequenziale.
I valori condivisi e convissuti, la comunicazione, la collaborazione, il senso di solidarietà e di appartenenza, l’identità storico-evolutiva del gruppo sono principi e temi sociologicamente determinanti, così come il concetto di sistema, di schema, di segno, di interpretazione, di esecuzione, di senso e di significato sono i fondamenti psicologici necessari all’elaborazione culturale.
E’ implicita in ogni definizione di “cultura” la caratteristica umana di “animal symbolicum”: l’uomo è un essere vivente, capace di elaborare conoscenze in codice e di trasmettere i relativi messaggi.
E’, inoltre, significativa l’associazione tra pensiero ed azione, tra interpretazione ed esecuzione, tra teoria e pratica sotto il comune denominatore del “segno”.

IL CONCETTO DI IMMAGINE

La definizione più semplice di ”immagine” esige che essa sia la rappresentazione di una parte della realtà in sua assenza, la riproduzione in varia modalità, quindi, di un oggetto non presente nell’attualità e soltanto richiamato.
Semiologicamente, quindi, l’immagine è un “segno” che rappresenta ed evoca qualcosa di altro.
Essa rimanda alla realtà oggettiva o a qualsiasi altra forma di realtà elaborata dall’uomo e dalla società in quanto soggetti che vivono, pensano ed agiscono.
L’immagine, infatti, può essere un segno convenzionale che rappresenta direttamente la realtà o un segno, altrettanto convenzionale, che si collega a una elaborazione schiettamente umana di varia natura.
L’immagine rinvia a due attività e a due ordini di fenomeni propri dell’uomo: la “riproduzione”, che ha il suo modello nella realtà esterna, la “creazione”, che ha il suo modello nella realtà interiore.
Di conseguenza intenderemo per “Immaginario” il luogo dove i prodotti della funzione immaginativa di natura creativa, “Immaginazione”, si raccolgono: essi sono le immagini, i simboli, i miti, le visioni oniriche, i fantasmi psichici, le convenzioni sociali, gli schemi cognitivi, i segni individuali e collettivi.
In passato si è privilegiata la ricerca deterministica della causa delle immagini e la si è individuata nell’esistenza fisica della realtà esterna, la “Natura”, mentre negli ultimi tempi l’asse scientifico si è spostato sulla struttura psico-cognitiva dell’uomo e sullo studio semiologico dei fenomeni in questione.
Il termine latino “imago”, infatti, significa “rassomiglianza” e rimanda inevitabilmente all’oggetto rappresentato; pur tuttavia restava un’ambivalenza di fondo tra soggetto e oggetto difficile da giustificare e da risolvere.
Proprio per superare tale ambiguità si è cominciato a distinguere tra una ”immaginazione riproduttrice” e una “immaginazione creatrice”, sottolineando nel contempo la caratteristica sfuggente e paradossale dell’immagine, che, lungi dal riflettere semplicemente ed esclusivamente qualsiasi tipo di realtà, può anche elaborarla, trasformarla, invertirla, spostarla, condensarla, crearla e altro.
L’immagine, quindi, non solo può esprimere la realtà interiore, ma la può riprodurre con maggiore pregnanza rispetto a qualsiasi altro mezzo naturalmente o artificialmente deputato all’elaborazione e alla trasmissione di messaggi semplici e complessi, individuali e collettivi.
Essa, pur tuttavia, si presenta come un’interpretazione personale e conserva una primaria dimensione soggettiva e interiore, difficile da ridurre in mere convenzioni sociali e in freddi schemi cognitivi dato il persistere dell’ambivalenza tra esperienza immaginativa individuale ed esperienza di riconoscimento sociale e, quindi, del senso di estraneità in un certo grado della dimensione personale rispetto a quella collettiva.
La Psicoanalisi complica o risolve la difficile questione legando le immagini alla rappresentazione dei desideri anche inconsci dell’uomo, come avviene nel fenomeno psicofisico del sogno dove l’immagine realizza il desiderio stesso in maniera allucinatoria.
Secondo Freud il “fantasma” è proprio ”immagine del desiderio inconscio” ed è parte integrante della realtà psichica e del sistema corrispondente.
Queste teorie specifiche non escludono, anzi per tanti aspetti supportano, le tesi acquisite e condivise, in base alle quali l’immagine è un fatto mentale, una fonte di conoscenza della realtà per le sue capacità di riprodurla e di comunicarla: ogni forma di rappresentazione per immagine non consiste in un mero trasferimento delle particolarità dell’oggetto percepito in un altro registro ed in un altro contesto, ma in una operazione psico-cognitiva di selezione e di pertinenza in rapporto ai codici culturali, linguistici e comunicativi vigenti all’interno di un gruppo umano.
Soltanto in rapporto a questi codici si determina il modo in cui l’uomo filtra, conosce e socializza i dati trasmessi, per costruire, a sua volta, immagini che gli permettono di comunicare e di condividere con altri uomini la stessa realtà, anche diversificandone il livello e la qualità.
L’immagine è, quindi, un dato elementare della coscienza individuale e collettiva.
Essa è il ponte che unisce il verbale ed il corporeo, il linguaggio e la pulsione.
L’immagine affonda le sue radici nel registro biologico, dal momento che rappresenta bisogni dell’uomo e che da essi trae l’energia per la loro realizzazione: in tal modo essa si evolve e si esalta nella pulsione desiderativa ed è costantemente finalizzata all’azione.
Si ripropone, infatti, la stretta connessione tra immagine e desiderio, tra immagine e sentimento, tra immagine ed emozione.
Questo ricco corredo rende l’immagine un valido strumento di coinvolgimento umano.
L’essere un’affascinante sintesi di corpo e psiche nelle sue proprietà pulsionali e volitive consente di accostare l’immagine al fantasma e di definirla anche come il veicolo privilegiato dell’espressione di quest’ultimo.
Il “fantasma” nella sua specificità è un prodotto della “fantasia”, reale ed illusorio allo stesso tempo. Esso ha una forte incidenza nella formazione psichica dell’uomo e serve ad inserire i desideri nella realtà , ma non a soddisfarli.
Il fantasma è una sintesi psichica operata attraverso i processi primari di condensazione, di spostamento e di drammatizzazione del desiderio.
Esso è, inoltre, un ottimo e convincente mediatore tra dimensione interna ed esterna, tra elaborazione individuale e deliberazione sociale, tra processi primari o pensiero creativo e processi secondari o pensiero logico dell’uomo.
Il fantasma, quindi, trova il suo naturale completamento espressivo nell’immagine.

CULTURA E IMMAGINE

All’interno di una cultura, dei suoi assunti segnici di base e delle sue convenzioni, le immagini sono, come si diceva in precedenza, un rapido veicolo di trasmissione di messaggi semplici e complessi, oltre che un prezioso strumento di formazione e di condizionamento del gruppo umano.
Ogni cultura, infatti, produce immagini in univoca relazione ai “codici” che le elaborano, le formulano, le interpretano e le mettono in atto; questi processi sono in necessaria sintonia espressiva con la situazione storica e sociale.
Si è rilevato che le immagini sono dal punto di vista semiologico “segni” molto prossimi all’oggetto rappresentato e che semanticamente rimandano soltanto in apparenza all’oggetto designato, perché il loro significato è inscindibilmente collegato ai codici culturali ed è inscritto nelle convenzioni sociali.
Ogni “immagine” è un “segno” correlato, quindi, al significato fissato dal “codice”.
Immagine, segno e codice sono i tre elementi di natura psico-semiologica, essenziali ed interattivi nelle complesse evoluzioni sociali di un sistema culturale.
I codici, espressamente richiesti in questa dialettica tra cultura ed immagine, sono fondamentalmente tre: il “codice di rappresentazione”, il “codice di riconoscimento” ed il ”codice di esecuzione”.
Essi non sono disgiunti l’uno dall’altro, ma interagiscono nella simultaneità dello sviluppo delle loro funzioni; i codici si scindono soltanto per un agio esplicativo.
Essi si attivano con l’individuazione di caratteri corrispondenti e di proprietà congrue tra immagini e schemi culturali, tra segni e convenzioni in atto all’interno di un gruppo umano, ma si sono già attivati con l’elaborazione di tutti gli strumenti atti alla rappresentazione, all’interpretazione, alla comprensione, all’assimilazione ed all’esecuzione.
Gli atti dell’interpretare e del comprendere si sintetizzano nell’operazione del “decodificare”, mentre l’assimilare si riduce ad una introiezione psichica e l’eseguire è consequenziale alle precedenti operazioni e consiste nella realizzazione concreta delle acquisizioni effettuate ad altri livelli.
Il “rappresentare” si attesta in un uso del codice nella sua specifica attitudine a comporre ed a dare forma ad un messaggio, operazioni finalizzate ad una trasmissione compatibile con le esigenze interpretative ed esecutive della collettività.
Il “decodificare” è un atto di “riconoscimento” ed in quanto tale segna l’uscita evolutiva dal “codice di rappresentazione” e l’immissione consequenziale nel “codice di riconoscimento” per l’appunto.
Queste operazioni consentono l’innesco del “codice esecutivo” ossia l’instruzione dei meccanismi finalizzati all’azione pratica: “pragmatica” nello specifico.

SINTESI

Puntualizziamo queste difficili linee teoriche, necessarie per la comprensione della questione.
Si definisce “codice di riconoscimento” il vocabolario e la sintassi che rendono possibili l’interpretazione e la comprensione degli schemi culturali e delle immagini collegate; esso corrisponde alle convenzioni socio – culturali istituite nel gruppo, cosi come la costante ed evolutiva elaborazione del vocabolario e della sintassi, “codice di riconoscimento”, coincide con il “codice di rappresentazione”.
L’immagine esprime significati culturali, riconosce schemi interpretativi ed esecutivi, dipende dalla cultura che formula il “codice di rappresentazione”, che possiede il “codice di riconoscimento” ed innesca il “codice di esecuzione”.
I codici culturali sono le condizioni che consentono di condensare in una immagine tutti contenuti che ad essa si possono riferire e collegare per acquistare il suo adeguato significato.
Indispensabile appare il veicolo segnico dell’immagine nell’acquisizione, nella diffusione, nella trasmissione e nell’esecuzione degli schemi culturali; lungi dall’essere sottovalutato o rimosso a favore di concezioni meno pragmatiche dell’uomo, è necessario considerarlo con attenzione ed interesse proprio per la ricchezza dei suoi contenuti e delle dinamiche psico-sociali che disvela e di cui rende possibile la conoscenza scientifica, la quale su questi assunti semiologici è stata tradizionalmente impedita o sottratta alla riflessione dell’Occidente da pesanti eredità metafisiche e morali.
Il “segno” è un elemento essenziale nella costituzione, nella trasmissione e nell’evoluzione psicologica dei processi culturali ed all’interno di una cultura umana, dei suoi schemi di base e delle sue convenzioni le immagini sono un prezioso e rapido mezzo di trasmissione e di divulgazione di messaggi e di significati semplici e complessi.
Ogni cultura produce immagini in base alle condizioni storiche ed al destinatario del messaggio.
Sono sempre le convenzioni culturali che stabiliscono le relazioni logiche e simboliche che intercorrono tra l’immagine ed il suo significato, tra l’immagine e la sua interpretazione.
L’immagine è, quindi, il prodotto concreto e visibile dove viene condensata una parte delle proprietà culturali che una società umana ha storicamente elaborato nel corso dei secoli e che continua a produrre nel tempo presente.
Infatti il processo culturale consiste, come si affermava in precedenza, in una dinamica sociale di condivisione e di convivenza degli stessi schemi interpretativi ed operativi.
Ogni cultura produce ed opera necessariamente con immagini; esse sono definizioni di contenuti interni, resi significativi attraverso il riferimento ai diversi codici, essenziali ed intrinseci alla cultura stessa.
Per meglio comprendere queste tesi si pensi alle difficoltà che tutti incontriamo nel momento in cui siamo chiamati a comprendere il comportamento di un gruppo culturalmente diverso e che, quindi, non possiede gli stessi schemi interpretativi ed esecutivi.
L’immagine illustra e giustifica la cultura che rappresenta, chiarisce e rafforza il significato del messaggio che ritiene degno di essere comunicato, in ciò includendo anche una proprietà ed una dimensione etica.

IL CONCETTO DI PUBBLICITA’

Esplosa nel secondo cinquantennio del ventesimo secolo in piena rivoluzione economica e commerciale, sollecitata dalla necessaria ed esasperata ricerca di mercati da parte dei grandi gruppi industriali, la “Pubblicità” si è attestata ed affermata come la branca della Psicologia sociale che studia con specifica metodologia e con appropriati strumenti di analisi i modi più idonei e le tecniche più proficue per divulgare messaggi , comunicare notizie, fornire informazioni, porre le basi psico-cognitive delle motivazioni, più o meno profonde, che successivamente indurranno l’indifeso individuo e l’improvvido gruppo a trasformarsi in acquirenti e consumatori di un determinato prodotto, adeguatamente lavorato anche nella diffusione del nome e del marchio.
Come in precedenza per il concetto di cultura anche in questo ambito è opportuno parlare di “sistema pubblicitario” per mettere in rilievo le complesse psicodinamiche interattive innescate, i vari contributi scientifici e le diverse metodologie che affluiscono da altre discipline nell’analisi di questo interessante fenomeno umano, individuale e collettivo allo stesso tempo.
E’ utile, a questo punto, precisare il concetto di “propaganda”, per tanti aspetti simmetrico e complementare a quello di “pubblicità”, per delimitare eventualmente gli ambiti e per fissare le competenze di entrambi gli schemi interpretativi ed esecutivi.
Si definisce “propaganda”, sempre in privilegiato riferimento al sistema economico e commerciale, il procedimento sistematico di persuasione di massa effettuato attraverso vari mezzi di comunicazione, che trasmettono messaggi a diversa soglia suggestiva e sintetizzati in slogan facili da memorizzare, comunicazioni compatibili con i valori di base del gruppo sociale ed idonee ai canoni di valutazione del “senso comune” in esso inscritto ed espresso.
L’intento programmatico del sistema propagandistico è di informare a livello medio e nello stesso tempo di ridurre lo spazio opzionale degli utenti, “persuadere” nei due versanti razionale – deliberativo ed emotivo – volitivo, in modo di pilotarne l’opinione e di condizionarne la scelta attraverso la presentazione reiterata e dolcemente ossessiva di modelli ,che progressivamente si trasformano in stereotipie ancor più facili da ricordare e da divulgare ulteriormente, per cui a propaganda si associa inevitabilmente pubblicità .
Dalle definizioni di “pubblicità” e “propaganda” appare evidente la simmetria dei concetti , per molti aspetti quasi una coincidenza, e nello stesso tempo la complementarità del concetto di “propaganda” rispetto a quello di “pubblicità”, in quanto la prima può essere stimata un’esasperazione scientificamente pilotata della seconda: la “pubblicità” mantiene un ampio spettro in un registro generale di diffusione di messaggi, mentre la “propaganda” è un rafforzamento specifico di un puntuale contesto diffusivo e si serve per i suoi scopi programmatici di strumenti psicologici più incisivi ed a volte subdoli.
Approfondiamo, a questo punto, l’essenza del sistema pubblicitario.
Il sistema pubblicitario, si diceva in precedenza, si traduce in un’elaborazione teorica adeguata al “senso comune” ed in una pratica sociale volta alla comunicazione di messaggi, dotati anche di contenuti simbolici, con funzione di persuasione finalizzata alla vendita di una merce.
La funzione persuasiva non si basa soltanto sulla dimensione reale di soddisfare un bisogno, ma si sviluppa anche su una valenza logico – simbolica, le cui radici si ritrovano in motivazioni psichiche profonde, che per essere comprese ed instruite richiedono necessariamente il valido apporto della “Psicoanalisi” nelle sue diverse espressioni metodologiche.
Le strategie della “Psicologia della pubblicità “possono essere “dirette e centrate”, come le attività finalizzate alla trasmissione ed all’acquisizione di un dato specifico, o “indirette e proiettive”, se considerano non solo il contenuto oggettivo delle risposte , ma soprattutto i vissuti e gli atteggiamenti psichici che un determinato prodotto induce nella volgarmente definita “opinione pubblica”, scientificamente meglio inquadrata come “Psiche collettiva”, di cui l ’ ”Immaginario” è parte consistente e profonda.
Le tecniche, all’uopo elaborate, consentono di studiare e di formare, quindi, la struttura psichica di interi gruppi umani attraverso l’analisi del consenso o del dissenso, del favore o del rifiuto proiettati su una determinata merce associata ad un determinato messaggio o di formulare un’informazione specifica per quel tipo di merce e per quel tipo di persone.
L’elaborazione scientifica delle cause dell’interesse che il prodotto suscita o delle inibizioni che ne impediscono la scelta verte sull’assunto di base che esiste una “Psiche collettiva”, dotata sia di una “Istanza” vigile e razionale e sia di una “Istanza” profonda di natura fantasmica definibile “Inconscio collettivo”; le proprietà ed i meccanismi di questa dimensione psichica, opportunamente studiati da una metodologia pubblicitaria di scuola psicoanalitica, consentono di operare scientificamente non solo nell’elaborazione e nella trasmissione di messaggi centrati ed a vario grado subliminali, ma soprattutto nel condizionamento effettivo e pilotato della fascia sociale media, quella più numerosa ed economicamente più proficua.
Per accrescere il carattere di invito verso un prodotto è, quindi, necessario massimizzare il valore dell’immagine – messaggio ed adattarlo ai gusti ed agli atteggiamenti psichici dominanti dei consumatori; questi vissuti collettivi, si possono e si devono anche progressivamente evolvere e mutare per adeguarli all’immagine – messaggio non solo di un nuovo prodotto, ma di un nuovo bisogno artificialmente creato ad uopo prevalentemente economico.
Le diverse metodologie e le conseguenti strategie pubblicitarie devono ridurre o annullare in ogni modo la distanza semantica tra l’immagine del prodotto e la psiche del consumatore, devono risolvere le difficoltà di associazione tra il significato dell’immagine ed i vissuti del fruitore, devono considerare la congruità tra il tipo di messaggio e le esigenze simboliche del gruppo, aumentando in tal modo il gradiente di valenza ed il consumo del prodotto.
Negli ultimi tempi si sono anche usate metodologie e strategie pubblicitarie opposte ossia quelle basate sul “non senso” e sul “paradosso”; questa interessante e pericolosa esasperazione della ricerca non si compensa in termini di consumo, dal momento che a livello psico-cognitivo il fruitore cerca e trova sempre un significato tra immagine, messaggio e prodotto.
Inoltre, il “non senso” e il “paradosso” riducono notevolmente la fascia degli acquirenti, dal momento che essa si attesta presso i ceti a forte valenza intellettuale ed estetica, i quali hanno la formazione e la sensibilità per apprezzare queste nuove operazioni pubblicitarie, la loro creatività, le loro figure retoriche ed i meccanismi psichici coinvolti.
L’incidenza, quindi, del messaggio pubblicitario è notevole e le sue componenti sono molteplici: i segni, i codici, i linguaggi utilizzati con funzione persuasiva e con modalità tecniche che l’antica “Arte retorica” aveva a suo tempo individuato con i Sofisti e con l’immane sforzo enciclopedico di Aristotele e della sua scuola nella Grecia del quinto e del quarto secolo avanti Cristo.
La ”Retorica”, in particolare i suoi meccanismi cognitivo – simbolici e le sue figure tecniche, accomuna la “pubblicità” alla “propaganda” e ne rafforza la simmetria, per cui si è proceduto negli studi ad isolare ed a classificare le componenti retoriche, razionali ed emotive dei vari messaggi e la loro complessa dialettica.
La centralità della forma pubblicitaria nell’ambito dello sviluppo della società industriale ha indotto riflessioni etiche e giuridiche sulla mercificazione dell’utente ed ha messo in luce il delicato ruolo che il meccanismo psichico di natura fantasmica e la forma retorico – simbolica assumono nella “pubblicità – propaganda” e nel determinare la scelta ed il valore di un prodotto.
Il sistema pubblicitario è il luogo culturale di natura psico-cognitiva dell’attribuzione reale e simbolica di valore e svolge una funzione essenziale non solo nel sistema socio – economico dei paesi industrializzati, ma soprattutto nel sistema sociale dei paesi economicamente in via di sviluppo.
Esso, inoltre, possiede la caratteristica di essere funzionale al mercato e connesso alla legge della domanda e dell’offerta; in base a questa relazione economica di fondo il sistema pubblicitario si riduce in una proposta variamente articolata di consumo, secondo le linee più o meno complesse di un condizionamento dell’agire razionale ed emotivo delle masse, un’azione che influisce sulla Psiche collettiva e determina il comportamento sociale.
Così come il consumo viene analizzato per il ruolo determinante che riveste nel sistema economico e nella società, anche la “pubblicità” viene valutata in base all’abilità di innestarsi con i suoi messaggi sulle contingenze culturali ed alla capacità di essere in sintonia o in distonia con gli schemi dominanti.
Il sistema pubblicitario, si diceva in precedenza, dipende da ragioni produttive e non è, quindi, libero o esente da condizionamenti di natura economica; questa dipendenza e questo vincolo hanno in passato anche impedito o ridotto la qualità estetica del prodotto pubblicitario.
Con l’accentuarsi della ricerca di mercato e l’esasperarsi della concorrenza economica gli studi sul sistema pubblicitario si sono approfonditi e notevolmente complicati: non si opera soltanto per trasmettere un messaggio nudo e crudo, ma si ricercano gli strumenti più sofisticati, i modi più incisivi ed i canali più subdoli per incidere il messaggio pubblicitario in maniera indelebile nella Psiche individuale e collettiva attraverso la scoperta e l’elaborazione di veicoli subliminali.
Questa ricerca psico-sociologica ed in particolare questa immissione della Psicologia del profondo nel sistema pubblicitario hanno prodotto rispetto al passato non solo una crescita dei consumi, ma anche un miglioramento della qualità estetica del messaggio.
L’approfondimento degli studi ha richiesto una certa creatività, soltanto apparente in quanto sempre determinata dagli esiti psicoanalitici sull’attività fantasmica dell’uomo, ed ha portato originalità e bellezza nei prodotti pubblicitari.
La capacità persuasiva del messaggio non si attesta soltanto nel rafforzamento dovuto alla sua ripetizione, ma si concentra soprattutto nel toccare e nel far risuonare nuclei psichici profondi di natura fantasmica, i “fantasmi” per l’appunto, per cui il messaggio, penetrato con facilità attraverso canali subliminali nell’ “Inconscio collettivo”, produce in maniera costante un lavorio psichico che tiene in memoria ed in attrazione il nome e l’immagine del prodotto.
In tal modo il gruppo è disposto verso l’acquisto di una merce dopo aver ricevuto in maniera apparentemente passiva ed innocua, suo bengrado o suo malgrado, il prodotto pubblicitario.
Per queste notevoli proprietà il sistema pubblicitario può essere ritenuto un pericoloso laboratorio sperimentale permanente, finalizzato a preparare non solo bisogni e gusti collettivi, ma anche un “Immaginario” ricco di fantasmi più o meno inconsci e di pulsioni finalizzate all’azione .
La Pubblicità, quindi, non si correla esclusivamente al consumo, ma in primo luogo ed in maniera determinante si riferisce alla società, proponendo in maniera coatta un consumo di idee che, se non significa necessariamente assunzione passiva ed asettica dei contenuti di un messaggio da parte delle masse, induce una notevole riduzione della consapevole rielaborazione critica dei dati acquisiti ed introiettati proprio a causa della loro qualità fantasmica e subliminale.
La sfera psichica inconscia è determinante nell’innescare con i suoi meccanismi la rielaborazione dei contenuti inizialmente trasmessi.
In conclusione la Psicologia sociale, la Semiologia e le diverse Psicoanalisi sono le discipline scientifiche che privilegiano nel messaggio pubblicitario lo studio dell’interazione tra la volontà, più o meno cosciente, del fruitore – consumatore, le metodologie elaborate e gli strumenti usati.
Una particolare attenzione etica merita il deterministico condizionamento e la produzione coatta di risposte rigide, che il sistema pubblicitario induce sempre nell’indifeso fruitore – consumatore; per il resto il fenomeno ha manifestato tutta la sua complessità psico-sociologica all’interno del sistema interattivo della “cultura”.

ESEMPLIFICAZIONE

L’IMMAGINE FEMMINILE TRA SCHEMA E SEGNO
IN PUBBLICITA’

E’ necessario, a questo punto, passare dalle aride linee teoriche alla constatazione empirica della loro applicazione ed oggettiva verità.
Prendiamo in considerazione lo “schema” ed il “segno” della “donna” all’interno della cultura occidentale negli anni settanta ed analizziamo la concezione e la rappresentazione dell’universo femminile al fine di verificarne la sintonia o la distonia, dal momento che l’assonanza o la discrepanza dei valori con le immagini è fattore determinante nel sistema pubblicitario.
Se esiste sintonia tra schema e segno l’assunto metodologico di fondo esige che in un sistema culturale la concezione corrisponda alla rappresentazione che il gruppo umano ha storicamente elaborato, maturato e diffuso al suo interno: l’ immagine – schema della donna si traduce, quindi, nell’immagine-segno corrispondente.
Se esiste distonia tra schema e segno l’assunto metodologico di fondo esige che in un sistema culturale la concezione non corrisponda alla rappresentazione che il gruppo umano ha storicamente elaborato, maturato e diffuso al suo interno: l’immagine – schema della donna non si traduce, quindi, nell’immagine-segno.
In questo caso il messaggio risulta immediatamente incomprensibile al senso comune e viene rifiutato dalla pubblica coscienza; soltanto in un secondo tempo quest’ultima è costretta ad operare uno sforzo intuitivo e deduttivo per trovare l’opportuna associazione logica o simbolica e per fissare il nesso comprensibile e condivisibile.
In tal modo si è tentata un’innovazione culturale, che non deve essere improvvisa e costrittiva, ma progressiva e compatibile con l’evoluzione dello schema e del segno, della concezione e della rappresentazione.
Il sistema pubblicitario si presta a simili irruente operazioni, ma bisogna sempre calcolare il rischio economico legato al rifiuto del messaggio e conseguentemente del prodotto, rapportandolo anche al vantaggio pubblicitario legato alla diffusione del rifiuto.
Si conferma la necessità psichica dell’uomo di reperire un senso a qualsiasi segno, di dare significato a qualsiasi fenomeno, di stabilire un nesso attraverso catene associative logiche e simboliche capaci di interpretare segni o fenomeni.
L’uomo è un animale dotato di processi primari e secondari, di elaborazioni finalizzate alla conoscenza simbolica e logica dell’universo che lo circonda e della realtà che egli stesso autonomamente produce o crea.
Riprendiamo l’esemplificazione.
Il “codice di riconoscimento” della donna impone all’interno di una cultura che la sua immagine si riconduca al “codice di rappresentazione” per essere compresa dal maggior numero dei membri della società nei suoi significati e nei suoi nessi logici e simbolici.
L’immagine della donna si rivolge alle masse; ad esse comunica e da esse è compresa.
Tale immagine contribuisce a divulgare ed a strutturare lo schema culturale ed i valori sociali ad esso collegati.
L’immagine della donna esprime e forma la “Coscienza” socio-culturale e l’ “Immaginario” sulla donna.
Nel sistema pubblicitario essa è ampiamente usata e riproduce nelle sue diverse sfaccettature lo schema culturale in atto o introduce segni in evoluzione, ossia nuovi attributi sull’universo femminile compatibili con il senso logico-simbolico e con il buon senso etico.
L’immagine culturale della donna viene usata nelle sue varie fasi evolutive
psico-fisiologiche e socio – istituzionali ; l’immagine pubblicitaria trasmette non solo la pubblicità del prodotto, ma divulga anche valori utili e modelli riconoscibili, entrambi funzionali in ogni senso alla società.
Argomentiamo in maniera specifica.
Negli anni settanta è stata immessa nel circuito pubblicitario una serie di immagini, che rappresentava in primo piano una donna nuda nell’atto di lavarsi le mani e le braccia, seduta in una vasca da bagno ricolma di acqua calda e di vaporosa schiuma.
Lo “spot” pubblicizzava una marca di sapone affermata nel mercato internazionale.
Decodifichiamo questa prima immagine nel suo duplice significato: l’esaltazione della bontà del prodotto e la barriera al pubblico senso del pudore, in quanto è impedita la visione della nudità della donna.
Le immagini mettono,di poi, in evidenza, oltre naturalmente il sapone e la marca, la vera, l’anello matrimoniale all’anulare della mano sinistra della donna ed introducono una figura maschile che si protende verso di lei.
L’uomo è rappresentato in atteggiamento ambivalente di apprezzamento del sapone e di ammirazione degli attributi femminili esibiti ed intravisti; in effetti la figura maschile è costruita in modo tale da apparire poco interessata al sapone ed alle sue proprietà detergenti ed olfattive, ma all’incontrario molto attratta dalla bellezza e dalla nudità della donna, che continua imperterrita a lavarsi con fare ammiccante e senza mostrare le parti intime del suo corpo.
Lo sguardo dell’uomo ha una espressione piacevolmente turbata, che denota chiaramente un vissuto globale di piacere e di desiderio legato alla visione.
Decodifichiamo ancora i “segni” trasmessi in immagine ed estraiamo gli schemi culturali e sociali impliciti.
Nella propaganda della marca del sapone si esprimono i seguenti valori:
– la vera, l’oggetto simbolico dell’ istituto socio – giuridico e religioso del matrimonio;
– l’intimità seduttiva ed erotica, giustificata dal matrimonio;
– la liceità del desiderio sessuale sotto il tetto coniugale;
– il valore della pulizia, dell’igiene e della bellezza;
– il valore estetico dell’atteggiamento vanitoso e della civetteria ammiccante per la figura femminile;
– lo schema del corteggiamento da parte del maschio verso la donna;
– la tolleranza del voyerismo, ossia del piacere e dell’eccitazione sessuale legata al senso della vista, all’interno del matrimonio, dal momento che in altro contesto può essere considerato una deviazione immorale o addirittura sessuale;
– altri ed eventuali valori con relazione di senso e di nesso con quelli dominanti nelle immagini ed appena esposti.
In sintesi viene esibita e confermata in immagini pubblicitarie una serie di valori culturali, socialmente riconosciuti e condivisi, che escludono nella loro massificata convenzionalità la possibilità di essere valori innovativi, alternativi e trasgressivi.
Infatti sono valori “normali”proprio nel senso che riproducono e fissano la norma culturale del gruppo umano.
La cosiddetta “normalità” in cultura consiste, infatti, nella divulgazione, massificazione e condivisione degli schemi, i quali trovano grande facilità ad essere trasmessi attraverso il veicolo dell’immagine, in modo specifico l’immagine pubblicitaria, e ad iscriversi nella Psiche collettiva con subdola dolcezza e con chiara forza impositiva, ma sempre con grande efficacia.
La “normalità”, quindi, è una convenzione generale costituita dai valori di base affermati in quel momento storico: la “normalità” è il “valore” fisso ed evolutivo, assoluto e contingente che si pone come condizione degli altri e successivi schemi interpretativi ed esecutivi.
In questa griglia di base rientra in maniera consistente il “valore donna” per tutte le proprietà culturali che esso assume presso qualsiasi società.
L’immagine femminile nel messaggio pubblicitario è ampiamente usata: in essa, si diceva, la donna attraversa tutta la fascia culturale del suo sviluppo psicofisico.
Le operazioni pubblicitarie, infatti, si effettuano prevalentemente in sintonia con il codice di rappresentazione, di riconoscimento e con i suoi contenuti, ossia i valori affermati.
Ed avviene così che la bambina neonata serve a suscitare negli osservatori attenti e disattenti i sentimenti della maternità, della paternità e dell’amore genitoriale.
Essa esalterà l’istituto psico-socio-giuridico ed il valore della famiglia attraverso il semplice accessorio dei pannolini per l’igiene intima, dei cibi omogeneizzati, dei profumati saponi e dei giocattoli, questi ultimi sempre pedagogicamente d’avanguardia.
Con il crescere la bambina si potrà usare in pubblicità mentre gioca con meravigliose bambole a cui non manca neanche la parola, esaltando ancora il valore affettivo della famiglia ed educando la massa all’importanza psicologica del gioco nel processo formativo dell’infanzia.
L’adolescente in immagine sarà utile a corroborare i valori legati ai bisogni estetici di un abbigliamento colorato, dell’igiene personale, di un’alimentazione centrata sul modello estetico affermato.
La giovane donna trasmetterà i valori dell’innamoramento platonico o del “tempo delle mele”, della castità ingenua o di Lolita, lo schema della famiglia aperta, che esibisce un dialogo democratico ed una solidarietà affettiva infinita, o della famiglia rigida, che dopo Carosello esige la nanna per i propri figli.
L’immagine femminile nello splendore della giovinezza servirà in prevalenza alla trasmissione ed alla divulgazione di maliziosi messaggi pubblicitari consentiti dagli schemi culturali di natura estetica, seduttiva ed erotica in atto nel gruppo.
Ecco che la giovane donna diventa attraente in ogni senso quando beve un aperitivo con un atteggiamento ammiccante ed ambiguo, magari intingendo il dito nel bicchiere e succhiandolo in maniera sensuale, o se mastica con voluttà una gomma nell’attesa del suo giovane innamorato tutto da baciare,quando inforca le calze alla moda lanciando le sinuose ed affilate gambe verso il cielo o se entra nuda di profilo in una rotonda vasca da bagno fornita di una formidabile apparecchiatura per l’idromassaggio.
E’ questa la fascia dell’universo psicofisico femminile privilegiata e maggiormente usata nelle immagini pubblicitarie, le quali contribuiscono in maniera consistente ad elaborare ed a fissare il valore culturale della donna in quella società ed in quel momento storico.
L’identità femminile, individuale e collettiva, si troverà soprattutto nelle immagini pubblicitarie ed il gruppo usufruirà di quel modello non solo a livello interpretativo, ma anche a livello esecutivo.
In questa riduzione in immagini delle progressive tappe psicofisiche femminili è inscritto e reperibile lo schema culturale, morale e giuridico, del comune “senso del pudore” e la sua evoluzione si può determinare anche in base allo sviluppo dello schema della nudità, a cui l’immagine femminile si presta con naturale disposizione ed a cui si sottopone spesso con altrettanto mercenario interesse.
La storia culturale del nudo femminile nella sua versione nobile ed estetica e nella sua versione volgare e pornografica misura in maniera direttamente proporzionale l’evoluzione o l’involuzione della soglia della tolleranza civile, della censura morale, della convivenza sociale e del comune senso del pudore; anche il fattore economico è coinvolto in questa dinamica culturale sia nel progresso che nel regresso, sia nella ricchezza che nella povertà.
Dagli anni cinquanta alla fine del secolo si rileva nelle immagini pubblicitarie e nella stampa della cultura occidentale una progressiva disinibizione morale ed un progressivo uso del nudo femminile ed anche di quello maschile.
Si è gradualmente abbassata la soglia della coscienza morale, ponendo schemi innovativi attraverso l’uso di immagini adeguate; è conseguito un aumento dell’offerta di immagini pubblicitarie trasgressive e compatibili con la riduzione della soglia della disinibizione culturalmente in atto, per non incorrere, più che nell’onta del rifiuto e nel conseguente danno economico, nella restrizione sociale della comprensione del messaggio.
Gli schemi innovativi più provocatori, inizialmente emarginati o guardati con sospetto, di poi vengono culturalmente assorbiti dal gruppo e concorrono a costituire progressivamente la normalità o il comune senso del pudore nel nostro caso; questo processo si serve sempre dell’ineliminabile e rapido contributo divulgativo ed educativo dell’immagine, la quale viene condivisa in maniera congrua al suo essere gradualmente ed opportunamente imposta.
Dopo la divulgazione in immagine del valore trasgressivo del nudo femminile e la sua integrazione, la cultura,quella pubblicitaria nel caso specifico, potrà elaborare un nuovo schema dirompente come quello dell’erotismo di un abbigliamento succinto ed attillato, evolvendo il valore estetico della seduzione e ridimensionando in tal modo il valore trasgressivo della nudità, rientrato ormai nella normalità.
Procedendo in questa escursione esemplificativa sulle immagini pubblicitarie riguardanti il “valore donna” e verificando il suo necessario legame con i codici culturali di rappresentazione e di riconoscimento, prendiamo in esame l’uso pubblicitario in immagine della maturazione psicofisica femminile.
La donna che tesse le lodi di un detersivo è una casalinga felice, una madre tenera ed una moglie innamorata, in esaltazione dei valori culturali della famiglia, dell’amore coniugale e della pulizia domestica.
La donna è l’angelo del focolare; un valore antico ma sempre attuale, rielaborato soprattutto per vendere le detergenti polveri magiche che rendono bianchi anche i capi colorati.
Gli stessi valori si decantano nelle operazioni pubblicitarie che vedono la donna ancora madre affettuosa e moglie fedele, quando sorprende l’indaffaratissimo marito con un succulento pranzetto o va a cena in casa di amici con la dovuta signorilità ed eleganza, quando mette a letto i bambini con infinita dolcezza o sorbisce un buon liquore adagiata su un divano in pelle: una donna sempre perfetta ed inscritta nelle immagini che i codici culturali prescrivono.
Verso i quarant’anni questo tipo di donna userà la crema antirughe ed entrerà benevolmente in concorrenza con la figlia ventenne nella conquista del maschio per esaltare la bontà della suddetta crema e per affermare il valore trasgressivo dell’ape regina.
Si strutturano e si sedimentano nella pubblica coscienza valori su valori sulla scia di immagini.
Nella maturità la donna sarà adatta a pubblicizzare il giusto fissante per la nauseabonda ma utile dentiera o i pannoloni per la patologica incontinenza urinaria, i tortellini elaborati secondo l’antica ricetta della nonna o la portentosa e delicata candeggina da consigliare soprattutto all’inesperta nuora, affinché non rovini le camicie dell’amato figlio.
Non risulta a tutt’oggi essere in circuito pubblicitario l’esaltazione propagandistica della bara: la donna non è stata ancora coinvolta in simili macabre operazioni.
Una considerazione è opportuna in questo finale per mettere in rilievo l’importanza del sistema pubblicitario nell’evoluzione culturale.
Oggi si impone un sentire ecologico: tutti gli uomini sono in debito d’amore e di rispetto verso la Natura.
Per difenderla bisogna elaborare ed affermare il giusto valore culturale.
Le immagini pubblicitarie si sono sintonizzate anche sul tema della salvaguardia dell’ambiente per un interesse economico ed in questa speculazione hanno contribuito notevolmente a trasmettere ed a divulgare il giusto schema interpretativo ed esecutivo, educando efficacemente le masse in maniera indiretta ed ottenendo maggiore successo rispetto ad una campagna di “pubblicità progresso” indetta dal ministero della pubblica istruzione o dell’ambiente.

CONSIDERAZIONI FINALI

Le immagini pubblicitarie non sono,quindi, soltanto puri segni.
Il “segno – immagine” non è una semplice parola, uno tratto scarno, una lineare indicazione, una costrittiva prescrizione, un chiaro concetto ed un consequenziale significato.
Il “segno – immagine” è un “testo” da leggere, da comprendere e da assimilare, un testo da decodificare in un discorso chiaro e costituito da logici passaggi da concetto a concetto, da proposizione a proposizione, da giudizio a giudizio.
Il “segno – immagine” è un “testo” che contiene e comunica significati complessi e nessi compiuti.
Il “segno – immagine” è un “testo”dotato di ricchezza di contenuti e contraddistinto dalla difficoltà di individuare il senso ed il collegamento tra le varie parti.
La lettura del “segno – immagine – testo” comporta la necessità del vocabolario e della sintassi impliciti nella logica che consente la giusta interpretazione e la opportuna esecuzione.
Queste sono le condizioni metodologiche che trasformano il “segno – immagine – testo” in un sofisticato discorso consequenziale.
In ciò si attesta l’operazione ermeneutica della decodificazione.
Le eventuali confusioni interpretative e le perplessità esecutive nell’intreccio di un testo confermano la complessità che esiste tra immagine e segno, tra immagine e realtà, tra immagine e cultura, tra immagine e codice.
L’immagine è,quindi, un testo complesso, che non si riduce alla semplice descrizione dei segni che la compongono, ma richiede un discorso ricco ed articolato.
Il messaggio pubblicitario per immagine o per immagini è un testo che richiama necessariamente il contesto culturale esistente e che rimanda ad una realtà esterna in cui tenere un comportamento dotato di senso; interpretarlo è un percorso obbligato per la comprensione della cultura in cui si è necessariamente inseriti.

L’IMMAGINE PUBBLICITARIA

Le rivoluzioni industriali e tecnologiche, la costituzione di mercati internazionali, l’immissione di prodotti e di beni di consumo, l’incremento demografico, l’aumento del potere d’acquisto delle masse, la crescita degli scambi, la formazione di gruppi economici multinazionali, la spietata concorrenza nell’occupare gli spazi disponibili di mercato, il notevole e rapido progresso dei mezzi di comunicazione, tutti questi fattori hanno reso necessario l’uso del sistema pubblicitario non solo per la divulgazione del marchio e la vendita dei beni prodotti, ma soprattutto per il condizionamento psico-educativo delle masse al desiderio, al bisogno, al consumo ed all’uso.
I gruppi industriali hanno riservato e riservano più che mai oggi all’investimento pubblicitario una buona fetta del loro capitale ed in tanti casi le spese per la promozione e la propaganda sono superiori agli investimenti diretti a migliorare la qualità del prodotto.
Per questi concreti motivi gli studi sul sistema pubblicitario, in particolare nel settore dell’immagine, sono notevolmente progrediti e la ricerca scientifica si è organizzata in “équipes” di specialisti nei vari settori: il grafico, il fotografo, il linguista, lo psicologo, il sociologo, il pubblicitario, l’ideatore o “concept”, il metodologo ed altri esperti, che di volta in volta sono stati coinvolti nello studio e nell’operazione di divulgazione dei messaggi per immagine.
Un dato essenziale è apparso costantemente in ogni lavoro specifico ed è stato posto come assunto di base: l’immagine pubblicitaria riassume inevitabilmente l’immagine culturale della società.
Si è ripetutamente dimostrato che esiste uno stretto rapporto tra cultura ed immagine e che una buona interazione è determinante per ottenere gli effetti divulgativi desiderati.
Alcuni studiosi hanno pur tuttavia rilevato che immagine e cultura non sono simmetriche ed equipollenti nella loro dialettica: la prima dipende dalla seconda, perché da essa è prodotta e ne sfrutta gli strumenti ed i contenuti.
In tal senso si è giustamente affermato che l’immagine è “parassita”nei confronti della cultura.
Infatti il sistema pubblicitario si appropria e si serve dei codici logici, simbolici, espressivi e comunicativi del sistema culturale.
La funzione pubblicitaria consiste nell’elaborare e nel costruire le immagini in maniera compatibile con la cultura, affinché il messaggio risulti facilmente comprensibile e la divulgazione sia più rapida.
La valenza simbolica e la carica emotiva dell’immagine favoriscono l’introiezione psichica del messaggio, più che la cosciente adesione logica.
L’osservatore non ha la possibilità immediata di servirsi della sua facoltà razionale e critica, specialmente se le immagini sono vissute come apparentemente innocue e lo dispongono, quindi, ad abbassare con naturalezza la soglia della vigilanza; in tal modo esse si imprimono con maggiore facilità nella sua dimensione psichica profonda.
Il messaggio viene veicolato dall’immagine e scende nella sub-liminalità della coscienza.
Esso prevalentemente si ferma a livello subconscio ed è pronto ad affiorare alla coscienza nel momento opportuno per mezzo di uno stimolo congruo.
Ad esempio, se desidero gustare un budino, mi verrà in mente e mi disporrò all’acquisto del prodotto la cui marca è stata pubblicizzata con l’immagine più incisiva a tutti i livelli.
Se mi trovo in un supermercato, la mia attenzione sarà attratta dai prodotti propagandati ed alla fine acquisterò quelli la cui immagine pubblicitaria mi ha maggiormente colpito, al di là della loro qualità.
La Psiche collettiva ed individuale, gradevolmente bombardata dalle immagini, abbassa, suo bengrado o suo malgrado, le difese in una con la soglia di vigilanza e subisce la dolce invadenza del registro verbale e visivo dei diversi messaggi.
Avviene in tal modo che l’immagine scivola dalla coscienza e scende verso le sfere psichiche più profonde per essere incamerata nell’ “Immaginario culturale collettivo”, una dimensione psichica che metodologicamente è opportuno collocare tra il “Subconscio” e l’ “Inconscio”.
Complessa è, quindi, la rete delle relazioni tra immagini e realtà interna o tra immagini e realtà esterna, che si instaura all’interno dell’apparato psichico di ogni uomo.
Dare senso compiuto all’immagine e razionalizzare il processo psico-cognitivo innescato non sempre è possibile da parte di chi vive o subisce i messaggi pubblicitari: la decodificazione non è facile, spedita ed esauriente.
L’immagine manifesta in tal modo la sua complessa polivalenza e la sua ricca polifunzionalità, dimostrando di non essere soltanto una semplice immagine propagandistica.
Il codice pubblicitario dell’immagine si sviluppa ottimalmente su due registri, il verbale ed il visivo; dalla loro interazione deriva la forza e l’efficacia del messaggio.
Essi hanno la funzione determinante di fissare il marchio nella pubblica coscienza e di condizionarne i desideri, i bisogni e le scelte, per cui il fruitore delle immagini pubblicitarie si candida a possibile acquirente e si trasforma progressivamente in convinto consumatore del prodotto.
Il registro verbale, le parole scritte ed orali, ha la funzione di guidare il registro visivo, l’immagine o la serie delle immagini.
Quest’ultimo tende a rafforzare l’informazione data dal registro verbale attraverso una gamma di soluzioni attraenti ed originali.
Il registro visivo o l’immagine, infatti, può essere:
– estetico, se il contenuto e l’armonia tra le parti induce una spiccata intuizione sentimentale ed una complessa sensazione di bellezza;
– pulsionale, se colpisce l’apparato sensoriale e suscita un’immediata reazione intesa alla soddisfazione del bisogno indotto;
– emotivo, se la pulsione ed il bisogno si traslano e si sublimano in un sentimento di varia natura e qualità;
– originale, se deroga dai canoni convenzionali ed esibisce un’ottica personale non ancora affermata;
– convenzionale, se rispetta in tutto e per tutto gli schemi ed i valori culturali in atto secondo un piatto allineamento;
– eccentrico, se esprime fattori originali con la benefica aggravante di una deroga dalla convenzionalità espressiva e con l’assunzione di caratteri che, pur esulando dalla norma, sono compatibili e tollerati;
– trasgressivo, se la deroga coinvolge e confuta il codice etico o il sistema dei valori morali in atto e si colloca decisamente in un’ottica alternativa;
– paradossale, se il senso ed il significato non sono facilmente reperibili e dispongono verso una esagerazione enfatica;
– assurdo, se il senso ed il significato non sono facilmente reperibili e lasciano supporre una loro inesistenza;
– metaforico, se rappresenta per somiglianza o per similitudine qualcosa al posto di qualcos’altro;
– simbolico, se il senso ed il significato si reperiscono e si formulano secondo una dinamica psico-cognitiva di “spostamento” e “condensazione”;
– ed altro, ma è determinante che il registro visivo o l’immagine colpisca l’osservatore e si incida nella sua psiche.
Il registro verbale o le parole scritte ed orali può essere a sua volta:
– imperativo, se ingiunge l’immediata esecuzione del messaggio;
– referenziale, se illustra le caratteristiche e le proprietà dell’oggetto in causa;
– informativo, se tende esclusivamente a dare una comunicazione;
– retorico, se ricorre ai modi ed alle figure del linguaggio poetico e discorsivo;
– ed altro, ma è determinante anche in questo caso che esso colpisca l’osservatore o l’uditore e si incida nella sua psiche.
Le tante possibili combinazioni del registro visivo e del registro verbale, dell’immagine e della parola in versione scritta ed orale, offrono al messaggio pubblicitario la prerogativa non indifferente di essere poliedrico e polivalente, rendendolo particolarmente efficace nella sua primaria funzione divulgativa.
Sembra ovvio che i messaggi innovativi colpiscano in maggior misura la coscienza individuale e l’opinione pubblica rispetto a quelli scontati e convenzionali, ma bisogna sempre tenere in grande considerazione l’elasticità degli assunti di base e lo spirito di fondo della cultura in questione.
E’ importante che entrambi i tipi di messaggio si inseriscano nell’ “Immaginario culturale collettivo” senza provocare forti resistenze per raggiungere il desiderato effetto pubblicitario, un successo avallato dal conseguente incremento delle vendite.
Se il registro verbale tende ad essere rigido, preciso e laconico, il registro visivo, all’incontrario, possiede una potenza evocatrice profonda ed una carica comunicativa di gran lunga suggestiva e libertaria: l’immagine evoca ed esalta i vissuti individuali e collettivi, mentre la parola scritta costringe, delimita, precisa, fissa ed inquadra il messaggio in maniera univoca ed inequivocabile senza consentire autonomia interpretativa.
L’immagine suscita il ricordo, consente la libera associazione delle idee, rende possibile il coinvolgimento dei vissuti, dei simboli, dei desideri, dei sentimenti e delle opinioni individuali.
L’immagine è una rappresentazione che non fornisce soltanto un’informazione: essa è ricca di carica emotiva e trova la sua naturale espressione concettuale nel simbolo.
La cultura occidentale possiede una prevalente qualità razionale negli schemi, ma esalta anche la funzione simbolica specialmente attraverso le immagini.
In questa complessa dialettica tra “Ragione” e “Simbolo” è necessario il giusto equilibrio, dal momento che l’abuso del simbolismo comporta il raffreddamento della carica emotiva dell’immagine e la sua riduzione ad una lineare informazione; in tal modo la funzione simbolica si equipara progressivamente all’asettico esercizio della funzione razionale.
L’inflazione di immagini produce la perdita della carica emotiva del simbolo: l’uomo è costretto a ridurre gli investimenti neurovegetativi nell’esercizio della funzione simbolica, per cui l’immagine perde gran parte del suo potenziale pulsionale.
Le immagini in eccesso inducono la Psiche individuale e collettiva ad una naturale e giusta difesa dall’invasione dei simboli e dei messaggi collegati.
All’aumento spropositato ed alla diffusione incontrollata delle immagini e dei simboli corrisponde in maniera direttamente proporzionale, quindi, il ridimensionamento progressivo del coinvolgimento emotivo da parte dei destinatari.
Di fronte ad un possibile fallimento, allora, diventa vitale per il sistema pubblicitario avere efficacia comunicativa forzando la pubblica coscienza su altri canali e con altri metodi: si presenta la necessità di infiltrarsi in maniera più profonda e sottile tra le fitte maglie psichiche individuali e collettive.
A tal uopo l’immagine è chiamata a svolgere compiti e funzioni che richiedono una conoscenza più approfondita delle sue proprietà e delle sue dinamiche.

I LIVELLI DELL’IMMAGINE

L’immagine pubblicitaria si distingue metodologicamente in tre livelli di codificazione: l’ “iconico”, l’ “iconografico” ed il “tropologico”.
Appartengono al “codice iconico” le immagini a prevalente valenza sensoriale o cenestetica; esse hanno la funzione di stimolare i sensi, di produrre desideri e di indurre bisogni nell’osservatore.
Questo tipo di immagini sono, quindi, naturalmente intenzionate verso la stimolazione dell’apparato sensoriale e scatenano in prima istanza piacevoli sensazioni; all’eccitazione consegue la formulazione del desiderio e l’investimento della sua energia nella soddisfazione del bisogno.
Si ripristina in tal modo l’equilibrio psicofisico turbato.
La sete, la fame, il gusto si possono suscitare in maniera diretta ed immediata con l’immagine di una fresca bibita o di una succulenta pietanza.
Una leggera piacevole ansietà si può provocare nell’osservatore con la visione di un uomo che effettua nel cielo un’acrobazia in caduta libera prima di aprire il paracadute.
Una pulsione erotica si può destare alla vista di una bella e seducente donna, che adatta sensualmente con le mani le calze alle sue affusolate gambe.
Una sensazione erotica si può vivere con l’immagine di una donna affascinante, che intinge il dito nel bicchiere contenente l’amaro preferito e lo lecca poi maliziosamente.
Le sensazioni si evolvono naturalmente nel desiderio e nel bisogno, inducendo al consumo del prodotto impresso nella psiche attraverso provocazioni cenestetiche più o meno forti.
L’immagine di una giovane donna in atto di baciare con passione un uomo suscita una sensualità, che induce il desiderio ed il piacere del bacio; questa dinamica
psico-sensoriale si può traslare per compensazione nell’associazione ad una gustosa gomma da masticare o al bisogno di un alito gradevolmente profumato da portare nelle relazioni sociali, possibilmente di quel tipo.
Una prospera donna che corre sul bagnasciuga di un’assolata spiaggia tropicale, abbigliata in maniera succinta e con la libera espressione del corpo, sensibilizza e sublima la carica erotica nel possibile desiderio di un fresco bicchiere di birra.
Il codice iconico produce, quindi, sensazioni precise e dirette, ma la loro evoluzione non si riduce sempre e soltanto alla soddisfazione immediata ed univoca del bisogno implicito, dal momento che possono intercorrere meccanismi psichici più complessi rispetto al lineare appagamento della pulsione indotta.
Appartengono al “livello iconografico” le immagini che rimandano a significati convenzionali di natura squisitamente culturale.
Esiste in cultura una codificazione simbolica che dirige e condiziona l’interpretazione della realtà sociale e si compiace di realizzarsi nell’immagine, dal momento che a tale simbologia convenzionale essa offre la sua poderosa capacità di sintesi ed il comodo veicolo di un’immediata comprensione.
In ogni cultura esiste un’ampia gamma di iconogrammi o immagini convenzionali: la croce, l’aureola, la madre, il nonno, la morte ed altro.
Queste immagini simboliche e descrittive possono essere semplici o complesse, tradizionali o innovative; esse circolano liberamente all’interno di una cultura e sono usate dai membri della società senza particolare imbarazzo o difficoltà.
La serie delle immagini iconografiche in atto si arricchisce continuamente di nuove rappresentazioni legate ai tempi, ai bisogni, ai modelli, ai miti ed alle mutate condizioni sociali ed economiche.
Si strutturano, infatti, in questa fascia di iconogrammi i simboli creati artificialmente dal sistema economico per la società dei consumi e le pressioni abilmente pilotate dalla società delle immagini.
Il messaggio iconografico facilita la rapidità della trasmissione di nuovi bisogni e di nuovi modelli, facendo perno specialmente sulla carica innovativa e sul bisogno psichico di identificazione delle nuove generazioni.
La moda si compiace di esprimersi iconograficamente con immagini adatte alla necessaria ricerca di nuovi compiacenti acquirenti.
Il look ed il modello sono convenzioni iconografiche.
L’appartenenza al gruppo,che assolve le necessità psichiche di identificazione e di identità, è determinata dal modo di apparire prima che dal modo di sentire del gruppo stesso, dall’immagine prima che dall’ideologia.
Esemplificazione di iconografia tradotta e trasmessa in pubblicità può essere “babbo natale”che porta i doni ai bambini buoni o la famiglia corazzata in abbigliamento “punk” che si ritrova a tavola per gustare i sofficini ripieni a sorpresa.
C’è sempre l’immagine di un generoso “babbo natale” o di un tenero “nonno” da associare ad un buon panettone o ad un dolce pandoro.
I simboli delle immagini convenzionali sono di unanime lettura e di immediata decodificazione; questa iconografia è determinante per la trasmissione efficace di messaggi pubblicitari.
Per completare il quadro prendiamo in esame il terzo “livello” di codificazione delle immagini, quello “tropologico”.
Esso si attesta nella traduzione in immagine delle figure retoriche del linguaggio ossia della dimensione espressiva della parola e della plasticità del discorso.
Si tratta di un’operazione sofisticata e diffusa nella tecnica pubblicitaria dell’immagine: un artificio di grande interesse creativo, che si risolve nel dare forma suggestiva e poetica all’immagine ed al suo messaggio.
Il sistema pubblicitario si serve della plasticità dell’immagine per costruire messaggi ad alto contenuto suggestivo e di rara incisività psichica.
E’ una maniera di uscire dalla piatta convenzionalità riproduttiva dell’immagine e della comunicazione visiva, è una forma di nobilitazione dell’immagine, la quale, priva dell’ovvietà dei suoi elementi costitutivi ed informativi, ricerca e trova un’originalità espressiva ed una polivalenza funzionale, finalizzate sempre allo scopo primario di colpire la “Psiche individuale e collettiva” e di inscriversi nell’ “Immaginario culturale”dei futuri consumatori.
E’ un originale ed efficace modo di ricaricare di emotività l’immagine, indotto, come si diceva in precedenza, specialmente dalla progressiva perdita della carica pulsionale dell’immagine causata dal suo indiscriminato uso nella società contemporanea.
I “tropi” o i modi classici del linguaggio tradotti nell’immagine sono soprattutto la “metafora”, la “metonimia”, la “sineddoche”, l’ ”antonomasia”, l’ “iperbole” e l’ “enfasi”.
Passiamo ad esemplificazioni desunte dalla pratica pubblicitaria più diffusa e cominciamo dalla trasposizione in immagine del “tropo” metafora.
“Metti un tigre nel motore” recitava il registro verbale o lo slogan di una nota immagine pubblicitaria di una marca di carburante.
Notiamo l’operazione linguistica e grammaticale “un tigre” ossia l’intenzionale conversione al genere maschile della parola tigre, giustificata dall’esaltazione simbolica della potenza e della velocità, classiche virtù del maschio e di un’ottima benzina.
L’operazione pubblicitaria di porre il tigre al posto del carburante con un’originale somiglianza è una metafora in immagine.
Sulla stessa scia metodologica è stato messo anche un uomo al posto del motore dell’auto di una bella quanto severa donna.
In queste immagini l’uomo è costretto a rombare per pubblicizzare le pasticche balsamiche alla menta piperita, tanto salutari per la sua gola sottoposta all’inumano sforzo di fungere da meccanismo propulsore.
La metafora “maschio – motore “ ha una valenza culturale e soprattutto politica, in quanto mette in risalto il tema dell’emancipazione femminile.
L’uomo è, infatti, chiaramente al servizio della donna e dà voce ed energia al motore della sua auto.
Tralasciando i significati simbolici più profondi di ordine sessuale impliciti nell’immagine, si rileva il fatto che vengono mantenute le solite prerogative maschili della forza e della potenza con una inversione politica della tendenza a dominare, in quanto l’uomo è nettamente dominato e mal ridotto.
Altri esempi di metafora in immagine sono:
– un biondo grappolo d’uva al posto del vino di marca a denominazione di origine controllata;
– il cielo azzurro e terso sotto la crosta terrestre per rappresentare le proprietà ecologiche del metano;
– una rapida cascata di acqua pura, che oltre ad inscriversi nella pelle con una sensazione di freschezza, sostituisce il deodorante maschile più indicato per certe operazioni di conquista del gentil sesso, magari senza “chiedere mai”.
Se la metafora procede per somiglianza, la metonimia si basa su una relazione concettuale e semantica ossia su una relazione di significato.
Ricorriamo alle opportune esemplificazioni tramite immagini pubblicitarie diffuse.
Si realizza una metonimia nel pubblicizzare la marca di una carne in scatola con l’immagine di una mucca in ottima salute, che purtroppo è destinata a perdere totalmente per fornire le sue buone carni, ristrette sia nella gelatina e sia nella scatola metallica, al consumo ed al gusto dell’acquirente.
Operazione di metonimia in immagine è sostituire la scatola contenente la carne dello sfortunato animale con l’immagine della mucca viva e vegeta.
Altra operazione retorica di metonimia nel pubblicizzare una marca di cioccolato è l’immagine di una mucca, svizzera per non compromettere la qualità del prodotto, colorandola di viola ed etichettandola come la confezione del prodotto.
La mucca è in relazione concettuale con la barra di cioccolato tramite il latte contenuto in essa e nel cioccolato stesso.
Se, come si diceva, la buona qualità del cioccolato è svizzera nell’ “Immaginario culturale collettivo”, si può capire il rischio pubblicitario che si corre mettendo in discussione tale schema ed indicando in un prodotto italiano una migliore alternativa.
“Ma chi ha detto che il cioccolato è solo svizzero? ”
Questa propaganda si è rivelata vincente nel tempo, proprio innovando uno schema radicato nell’ Immaginario culturale collettivo”.
Definiamo l’operazione retorica in immagine della sineddoche: l’uso di un dato particolare, estrapolato da un contesto di per se stesso completo ed investito di un senso più largo o più ristretto.
Un esempio è il seguente: una giovane ed interessante donna saluta alla stazione un uomo, che non appare in immagine, a cui sfugge la sciarpa di seta dal finestrino del treno proprio nel momento della partenza.
La sciarpa, che si suppone profumata, viene afferrata al volo dalla donna, che la stringe a sé e la odora mentre il treno si allontana portando via l’invisibile amato bene.
La sineddoche è individuabile nell’oggetto particolare “sciarpa”, in quanto parte accessoria dell’uomo che viene usata al suo posto ed in sua vece.
Sullo stesso piano tropico si colloca la similare immagine pubblicitaria di un profumo maschile, che mostra una giovane e sensuale donna mentre stringe a sè un maglione con giusta smania erotica ed olfattiva.
La figura retorica della sineddoche si coglie nel mettere il maglione al posto dell’uomo a cui appartiene.
Altri tropi ricorrenti nelle immagini pubblicitarie sono l’antonomasia, l’iperbole e l’enfasi.
Il primo si attesta nell’elogio del prodotto, nel bisogno di identificazione e nel desiderio di appartenenza dell’osservatore.
“Antonomasia” è l’esaltazione di un profumo o di un dopobarba destinati unicamente a un tipo di persona o a un modello di uomo: usa quel prodotto “l’uomo che non deve chiedere mai” e la sua categoria.
L’antonomasia nell’immagine seleziona una classe di persone per l’uso del prodotto pubblicizzato, ma non restringe il consumo dal momento che libertariamente tutti possono aderire a questa casta privilegiata appagando il desiderio di appartenenza semplicemente con l’acquisto del prodotto.
L’ ”iperbole” in immagine consiste in un’esasperazione dell’espressività.
Essa deve necessariamente colpire nel modo giusto, altrimenti fallisce il suo obiettivo e si traduce con la sua esagerazione in una comunicazione stucchevole perdendo efficacia e inducendo al rifiuto del marchio.
Esaltare l’unicità, l’assolutezza, l’indispensabilità di un determinato prodotto è un’operazione retorica iperbolica, difficile da realizzare nella sua apparente semplicità, dal momento che bisogna reperire il modo suadente di esagerare per non incorrere in un altrettanto iperbolico rigetto del prodotto.
L’immagine che riesce a conciliare l’esaltazione e la moderazione, l’imposizione e la persuasione nel registro visivo e verbale sortisce un esito pubblicitario fruttuoso, dimostrando di avere ben usato la figura retorica dell’iperbole.
Imporre iperbolicamente un detersivo o un olio extravergine d’oliva significa esagerare nella maniera giusta e compatibile con la soglia di tolleranza della pubblica coscienza.
L’ “enfasi” è prossima all’iperbole e si può definire una forma di esagerazione persuasiva, quasi un familiare invito dentro una suadente immagine.
Nel caso specifico il lasciare intendere proprietà magiche o effetti speciali nel prodotto pubblicizzato equivale a un uso enfatico dell’immagine pubblicitaria.
Giuridicamente nelle sue esasperazioni l’enfasi può essere considerata una truffa, ma tralasciamo questo aspetto legale e riportiamo un esempio adeguato per una migliore comprensione del meccanismo retorico.
In un’immagine pubblicitaria di un mediocre, qualitativamente parlando, profumo “pour l’homme” compare in secondo piano la figura di una bella e seducente donna in atteggiamento estasiato verso la figura maschile situata in primo piano.
L’operazione enfatica consiste nell’esaltare il profumo e nel promettere indirettamente la possibile conquista di quel tipo di donna, così sensibile a quel profumo e a quel tipo d’uomo.
E’ il prodotto che conquista, al di là delle mirabili arti seduttive maschili.
Si accresce enfaticamente l’importanza del profumo immettendo nell’immagine un senso ulteriore che ha la funzione di amplificare e ampliare le proprietà del prodotto.
E’ facile individuare in questo esempio anche l’uso dell’antonomasia: quel tipo d’uomo e quel tipo di donna.
Come si diceva in precedenza, incidono nella comunicazione pubblicitaria i processi psicologici di identificazione, permessi e innescati dal buon uso delle immagini.
Si costituiscono nella società gruppi fondati sulla condivisione di determinati messaggi, condensati e fissati in immagini pubblicitarie, le quali forniscono gli elementi di base per possibili aggregazioni.
Inoltre, essendo l’immagine libertaria e liberatoria, in quanto favorisce l’espressione dei vissuti, dei sentimenti, dei bisogni e dei desideri dell’osservatore, sono stati escogitati nuovi modi di comunicazione pubblicitaria dietro la spinta e la concorrenza del mercato.
La pubblicità “Benetton”, ad esempio, è stata innovativa e ha suscitato nell’opinione pubblica, oltre che negli addetti ai lavori, reazioni opposte di interesse e diffidenza, d’amore e odio, di apprezzamento e disprezzo, proprio per la sua originalità nell’offrire immagini pubblicitarie che esulavano dalle tradizionali convenzioni culturali e combinazioni dei registri visivi e verbali.
A pubblicità, in tal modo, è conseguita pubblicità sulla pubblicità.
Operazione di grande abilità è, infatti, saper creare le condizioni di ulteriore diffusione e gestire il dissenso o la contestazione, più che il consenso e il favore, al fine di incrementare la conoscenza e la suggestione del marchio, oltre che naturalmente le vendite.

CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’USO PUBBLICITARIO DEL “FANTASMA DI MORTE” NELLA CULTURA CONTEMPORANEA

La cultura occidentale in questi ultimi decenni ha progressivamente elaborato un nuovo schema “tanatologico”: ”discorso sulla morte”.
Questa evoluta rappresentazione della morte è stata impostata su un crudo realismo e si è rivelata inizialmente traumatica per il ridimensionamento etico del precedente “valore”: lo schema della morte ha perso la sua benefica “pietas” per acquistare in arida divulgazione.
Esso è stato notevolmente favorito nella trasmissione dalle immagini, le quali hanno contribuito
alla sua “introiezione”, così come ne hanno supportato la “proiezione”.
La “Psiche collettiva” attraverso le immagini si è “in-formata”alle nuove emergenze culturali.
In forza del massiccio uso dei sistemi di comunicazione è stata divulgata una rappresentazione della morte, crudele nella sua formalità convenzionale ed irreparabile nella sua drasticità biologica.
La cultura occidentale ha lentamente evoluto la nuova “tanatologia” in un’infausta “tanatocrazia” proprio attraverso il rilievo e lo spazio concessi alle immagini di morte.
“Tanatocrazia” significa, per l’appunto, “potere della morte” ed è un variegato e sottile schema culturale, che si riduce facilmente in immagine e con altrettanta facilità si inscrive nella “Psiche collettiva”, turbando l’ “Immaginario culturale” e la dimensione inconscia proprio con il suo concretizzarsi in vissuti psichici a forte carica emotiva: “fantasmi”.
Il fantasma in psicologia dei processi culturali è sempre uno schema interpretativo ed esecutivo della realtà, un modo psichico profondo dell’uomo di comprendere, di rappresentare e di vivere la situazione in cui si trova e di determinare l’azione idonea alla circostanza come risposta più adeguata e proficua.
Il “fantasma” è, quindi, un “segno” di natura psichica e di acquisizione culturale, individuale e collettivo.
Per sua essenza esso possiede un alto contenuto simbolico ed una forte carica emotiva.
Si riversa, quindi, con naturale disposizione e si condensa per congrua affinità nell’immagine: la trasmissione visiva gli è particolarmente congeniale.
Fantasma ed immagine condividono una similarità strutturale e qualitativa: il fantasma si traduce in immagine e l’immagine rappresenta ed evoca il fantasma, perché l’immagine è l’immediata espressione, “proiezione”, di un materiale psichico costituito da immagini.
Il fantasma è l’immagine interiore e si compiace di tradursi nell’immagine esteriore, conservando le sue caratteristiche.
La “Psiche” profonda, individuale e collettiva, è costituita da fantasmi universali, “archetipi”, che trattano temi umani universali al di là dello spazio, del tempo e della cultura: la vita e la morte,
l’origine e le figure genitoriali, la sessualità e la procreazione, temi condivisi e necessariamente convissuti da tutta l’umanità al di là delle differenze storico – culturali e razziali.
Gli archetipi sono, quindi, forme psichiche universali dell’essenza umana.
Inoltre i fantasmi sono culturali e limitati nello spazio, nel tempo e nella dimensione sociale, quando trattano forme psichiche che condizionano il pensiero e l’azione di un gruppo umano ben definito.
Esemplificando, sono fantasmi culturali quelli della razza e del primato di un popolo con tutti i miti ad essi collegati, in quanto sono schemi che si affermano attraverso il condizionamento educativo.
Essi rientrano nell’essenza umana soltanto come principi del diritto naturale alla sopravvivenza ed alla conservazione della specie, ma l’esasperazione li riduce ad artificiali e pilotate sovrastrutture di natura culturale.
Un fantasma è, inoltre, individuale quando esprime caratteristiche psichiche della persona che lo elabora e lo formula.
Esso è, quindi, un investimento psichico personale e rientra nella formazione di ogni uomo.
Ad esempio la fantasia dei bambini crea originali fantasmi, spostando e condensando vissuti personali negli oggetti più disparati: un orsacchiotto diventa tutt’altro che un semplice pupazzo di “peluche” e può esorcizzare l’angoscia dell’abbandono e della solitudine con il suo rappresentare la figura materna.
La funzione fantasmica dell’uomo è, quindi, universale e si concretizza in archetipi ed in fantasmi culturali, collettivi ed individuali.
Il fantasma è una rappresentazione del normale processo di sviluppo psichico dell’uomo; esso si manifesta nel simbolo, nel sogno, nei disturbi psichici gravi, nei rituali nevrotici, nei miti, nelle fiabe, nell’arte ed in generale nelle attività creative dell’uomo.
Un fantasma è costituito da una componente razionale e logica, in quanto si traduce in un concetto; da una componente simbolica e mitica, in quanto sposta e condensa per mezzo del processo primario della “fantasia” significati ed emozioni diverse; da una componente cenestetica e pulsionale, in quanto procura nell’uomo una serie di sensazioni di varia qualità ed induce ad agire ed a reagire.
Esemplifichiamo proprio con l’inquisito “fantasma di morte”.
Esso ha una componente logica e fenomenica, in quanto rappresenta il freddo concetto della morte: la morte è la naturale evoluzione biologica del corpo.
Ha una componente simbolica e mitica, in quanto può significare fine, distacco, separazione, anaffettività, solitudine, perdita, depressione: una fusione di sentimenti e sensazioni.
Ha una componente cenestetica e pulsionale, in quanto produce una serie di sensazioni intense, costringe ad agire e condiziona la condotta dell’uomo anche in maniera patologica: emozione e rito, ossessione e rituali nevrotici, coazione a ripetere e rituale psicotico.
Un altro esempio è il complesso vissuto riguardante la figura materna.
L’ archetipo “madre” rappresenta l’origine del Tutto e della Vita; il simbolo “madre” condensa e sposta i sentimenti ambivalenti dell’amore e dell’odio; il tutto sempre all’interno di una cornice emotiva di forte intensità.
Logicamente la madre è colei che ha generato, simbolicamente colei che ama o odia, pulsionalmente colei che attrae o respinge.
Il “Luogo” psichico del fantasma è l’ “Inconscio” ed il “Subconscio”; l’ “Immaginario culturale collettivo” si colloca per comodità metodologica tra le due dimensioni profonde e condensa le immagini di natura educativa e di qualità sociale.
La sede psichica del fantasma è in sostanza la “Subliminalità” , la sfera psichica situata al di sotto della coscienza e della vigilanza.
Il fantasma, quindi, può essere inconscio o subconscio, individuale o collettivo, archetipico e culturale.
L’organo privilegiato di risonanza del fantasma è l’immagine con la sua provocazione allucinatoria di varia intensità.
Nella cultura occidentale contemporanea un nuovo ed originale fantasma non solo si aggira, “tanatologia”, ma nutre e domina, “tanatocrazia”, la “Psiche collettiva”, diffondendosi attraverso le immagini: il fantasma di morte.
Esso si manifesta e traligna nella “tanatofobia”: l’angoscia della morte.
Ma l’uomo non può vivere con questo pesante fardello emotivo, oltretutto continuamente sovraccaricato dalla cultura in cui vive, per cui in sua difesa interviene in maniera naturale il meccanismo psichico della “rimozione”.
Il fantasma di morte viene escluso dalla “Coscienza” ed in parte è relegato nell’ “Inconscio”, ma permane con la sua mole nel “Subconscio”, per cui la rimozione è sempre parziale e l’angoscia si acquieta senza risolversi.
La soluzione è di difesa, per cui bastano cause scatenanti contingenti e di un certo spessore per riesumare il fantasma di morte e l’angoscia implicita.
L’immagine interna di morte è in sintonia e simpatia con l’immagine esterna di morte continuamente riprodotta da una cultura ormai tanatocratica.
L’immagine esterna può avere la funzione, come si diceva, di causa scatenante, ma anche di esorcismo del fantasma e della sua angoscia: convivendo con il problema lo si tiene sotto controllo e si disinnesca progressivamente la carica.
Il fantasma di morte perde in maniera artificiale il suo potenziale d’angoscia a furia di essere riprodotto in immagine.
La cultura occidentale è stata particolarmente occupata dal fantasma di morte sin dal secondo decennio del secolo.
Dopo un lungo periodo di pace sul suolo europeo scoppiava la prima guerra mondiale, non a caso definita la “Grande guerra”, e la “Psiche collettiva” dell’Occidente iniziava ad impregnarsi di concreti contenuti di morte.
Le guerre, le epidemie, le carestie, la miseria, lo sfruttamento, l’indigenza, i genocidi ed altri funesti fattori non solo sono stati responsabili della selezione naturale della specie umana, ma hanno contribuito e contribuiscono a strutturare un “Fantasma di morte collettivo” ed a dare un nuovo significato culturale al morire e di conseguenza al vivere.
Il “valore della morte” è, infatti, strettamente collegato e funzionale al “valore della vita”.
La rivoluzione scientifica ed industriale ha progressivamente trasformato la dimensione naturale della vita e della morte; essa, inoltre, ha evoluto i classici istituti sociali della famiglia e del gruppo, esasperando i valori dell’individualismo, della prevaricazione, della conflittualità, del profitto, del potere e ridimensionando i valori della “pietas”, partecipazione e solidarietà in primo luogo.
La cultura occidentale dietro la spinta evolutiva del progresso non ha potuto operare un’adeguata razionalizzazione del valore della vita e della morte, anche perchè i tempi psichici sono più lunghi di quelli tecnologici: i tempi interni sono più lunghi dei tempi esterni.
In un mondo che si trasforma rapidamente l’uomo occidentale si è trovato psicologicamente costretto ad incamerare, senza concedersi la possibilità di comprendere e di razionalizzare, un’ingannevole trasfigurazione culturale della morte, un fantasma tralignato ormai da una giusta e naturale paura della morte in un’innaturale angoscia: la “tanatocrazia” o potere della morte sull’uomo.
L’uomo occidentale si è impedita la giusta mediazione di una efficace “tanatologia”, di una “coscienza della morte” tramite il “discorso sulla morte”, unica condizione per una naturale soluzione del problema.
La “tanatologia” è tralignata improvvidamente nella “tanatocrazia”, che a sua volta è degenerata per difesa nella “tanatofobia”, per cui lo schema non ha trovato la sua naturale dimensione all’interno della “Psiche collettiva” occidentale.
Lo stato attuale di cose si traduce in una malattia culturale di fondo, in un’epidemia psichica oscura, più che nelle sue cause, nei suoi effetti.
Il fantasma tanatocratico è ormai un assunto di base della cultura occidentale e condiziona la vita individuale e sociale.
Si diceva che la reazione a tale situazione psico-socio-culturale è stata la “rimozione”, la difesa psichica primaria intesa a rendere inconscio il fantasma di morte.
E’ conseguita la manifestazione in immagine del fantasma di morte nella vita di tutti i giorni, man mano che si rimuoveva l’angoscia collegata e si rendeva indolore la visione della morte.
Un uso generalizzato ed indiscriminato del fantasma di morte ha portato ad una progressiva disinibizione psichica e morale.
In primo luogo il sistema delle comunicazioni di massa, soprattutto quello visivo, si è appropriato dell’uso in immagine del fantasma di morte.
I mass-media dopo iniziali remore hanno iniziato a trasmettere immagini di morte, di violenza, di distruzione, di odio, repertori di guerra, la morte in diretta, la guerra in diretta, il morto ammazzato di mafia o di terrorismo, le stragi di stato e di cosca, il tutto ed altro con ripetitiva ostentata compiacenza finalizzata decisamente ed esclusivamente al profitto.
Il “reportage” di guerra con il suo carico di cadaveri si chiama “scoop” giornalistico: il successo di ascolto ha una rendita economica non indifferente.
Angoscia, trauma, sbalordimento, impressione, indignazione, abitudine, indifferenza ed insensibilità sono state in progressione le posizioni psichiche collettive ed i meccanismi naturali più diffusi di difesa da parte della società di fronte all’aggressione delle immagini di morte.
I telegiornali si sono riempiti di immagini atroci di morte per un sadico o santo dovere di informazione.
Si è in tal modo strutturato tra l’ “Inconscio” ed il “Subconscio” un “Immaginario culturale collettivo” ben dotato di variopinti e variegati fantasmi di morte.
La droga, la guerra, la malattia, l’epidemia, la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita, la morte di stato, la camera a gas, la sedia elettrica, la fame, le ribellioni etniche, gli scontri razziali, gli omicidi, i mostri da prima pagina, gli scontri ideologici, la guerra di religione, gli attentati terroristici, le violenze sulle donne e sui bambini, la pedofilia, gli incesti, la morte del torero o dello sportivo in diretta, i sequestri di persona, le stragi, gli stupri …ed altro..ben altro e tanto di altro e di subdolo ancora.
A conclusione della tiritera trova conferma la tesi in base alla quale noi viviamo in una cultura tanatocratica, segnata dalla morte e dalle sue immagini.
Non ci si può difendere dall’irruzione e dall’invasione delle immagini di morte invocando una nuova etica o una salvifica morale, perché esse sono inscritte nella cultura e sono da essa prodotte senza possibilità di estrapolazione, per cui la necessaria difesa psichica e sociale dall’invasione violenta delle immagini di morte diventa possibile soltanto attraverso una razionalizzazione ed una presa di coscienza collettiva.
Anche il sistema pubblicitario per immagine si è rapidamente impadronito, da buon parassita e senza adeguate cognizione di causa e di effetto, del comodo e proficuo veicolo divulgativo del fantasma di morte.
Tale operazione ha permesso e permette al messaggio pubblicitario di arrivare nelle profondità psichiche, individuali e collettive, e di inscriversi a livello subliminale.
Fare perno sul fantasma di morte significa toccare agevolmente la psiche a livello profondo e strutturare un condizionamento che consente un duraturo successo pubblicitario ed economico.
A volte l’immagine di morte in pubblicità viene criticata e contestata; in tal modo produce ulteriore pubblicità, la pubblicità della pubblicità.
Ma in effetti il sistema pubblicitario non è immorale e censurabile, in quanto usa un collaudato canale psico-culturale di trasmissione di un messaggio.
L’immagine pubblicitaria impregnata di morte è solo un’operazione efficace di divulgazione di un marchio.
Si può soltanto affermare che la tanatocrazia dell’immagine pubblicitaria non è originale, in quanto precostituita e preparata sia dallo schema culturale dominante e sia dal sistema dell’informazione in atto.
Ma il fine vero di qualsiasi pubblicità è quello di incidere la subliminalità psichica delle masse; si può martellare la parte cosciente e sortire soltanto un effetto informativo, ma è più proficuo l’effetto psichico della carezza e della frustata subliminale.
E’ stata sicuramente in Italia e forse nel mondo la Benetton a usare il fantasma di morte come veicolo pubblicitario del suo marchio.
In alcune immagini pubblicitarie Benetton domina incontrastato e sovrano il famigerato fantasma di morte e l’ideatore, “concept”, Oliviero Toscani ha scelto o eseguito le immagini fotografiche senza affidarsi al cieco caso, all’estro, all’improvvisazione.
Forse Toscani non conosceva a fondo gli innesti culturali, le dinamiche psichiche profonde ed i significati inconsci evocati dall’immagine di morte, pur tuttavia ha fatto uso del fantasma di morte nelle immagini pubblicitarie in maniera ripetitiva e massimamente sintetica come in una singola fotografia.
Il fantasma di morte nelle immagini pubblicitarie Benetton è stato servito, inoltre, in visione chiara e diretta o in visione occulta ed indiretta senza l’evidenza della morte ma attraverso l’equivalente simbolico.
Quest’ultima operazione è stata ancora più efficace, dal momento che si sono ridotti i rischi di un rifiuto legato all’esibizione immediata della morte e la resistenza psichica a riesumare il fantasma introiettato.
Viene confermata la tesi che le immagini pubblicitarie Benetton, al di là delle contingenti e discutibili esagerazioni dettate più da eccesso di fiducia che da effettiva convinzione metodologica, non sono mai state semplici immagini di una semplice pubblicità.
Oliviero Toscani ha esordito coraggiosamente con le immagini tanatocratiche ed in seguito anche altra pubblicità si è appropriata dello stesso veicolo psichico e dello stesso meccanismo divulgativo.
L’efficacia è stata ancora una volta sicura e buona.
Al fantasma di morte si è progressivamente associato in un’evoluzione forzata il fantasma, implicito più che limitrofo, della “vecchiaia” nelle sue opposte versioni, buono e cattivo.
Vigorsol, Campari, Lavazza, Segafredo, Grana padano, Coca-Cola, Colgate si sono serviti in maniera diretta o indiretta del fantasma di morte, mentre Rifle, Bertolli, Brooklin, Conferenza episcopale della chiesa cattolica si sono serviti del fantasma della vecchiaia nelle sue opposte versioni.
E’ facile prevedere una continuazione in questi tormentati ma proficui binari.

ITINERARIO BIBLIOGRAFICO ALLARGATO E RAGIONATO

Il presente lavoro ha una natura pluridisciplinare.
Esso é il risultato equilibrato e specifico del concorso di Filosofia, Psicologia, Psicoanalisi, Sociologia e Semiologia.
Le materie viaggiano ed interagiscono secondo linee metodologiche ed ermeneutiche affermate, mentre la parte riguardante il “fantasma di morte” e la decodificazione delle immagini pubblicitarie si ascrivono al lavoro di ricerca dell’autore.
I precisi richiami bibliografici saranno divisi per disciplina e sinteticamente supportati dalle tesi dei vari studiosi.
Per la Semiologia e la Sociologia culturale sarà fornita una breve linea evolutiva dalla Filosofia verso l’autonomia del metodo e del contenuto.

SOCIOLOGIA

M. Horkheimer – T. W. Adorno – Lezioni di sociologia – Edizioni Einaudi – Torino – 1966.
E’ un lavoro fondamentale per l’evoluzione della scienza sociologica, frutto del lavoro degli studiosi dell’”Istituto per la ricerca sociale”di Francoforte e curato per la pubblicazione dalle figure rilevanti di Horkheimer e Adorno.
Il testo ha il carattere di una libera discussione su temi chiave-la definizione di individuo e di gruppo, di società e di massa, l’interpretazione dell’arte e della musica- ed i concetti espressi si saldano in una visione unitaria senza esaurirsi in definizioni statiche.
Il discorso si sviluppa con analisi critiche e suggerimenti costruttivi, per cui anche le contestazioni risultano feconde per lo sviluppo della sociologia.

E. Durkheim – Il pensiero filosofico e la fondazione della sociologia – a cura di C. Montaleone – Casa editrice Le Monnier – Firenze – 1981.
Si tratta di un’antologia dei seguenti testi del nume tutelare della sociologia francese:
Corso di scienza sociale, (1888); La divisione del lavoro sociale, (1893); Le regole del metodo sociologico, (1895); Il suicidio, (1897); La concezione materialistica della storia, (1897); Le forme elementari della vita religiosa, (1912); La dualità della natura umana e le sue condizioni sociali (1914).
Questa completa sintesi dei temi principali del pensiero sociologico di Durkheim fornisce le conoscenze di base del sapere sociologico ed i collegamenti filosofici con la tradizione e l’attualità.

Max Weber e la critica della società nel pensiero contemporaneo – a cura di C.Bordoni e A.De Paz – Casa editrice G. D’Anna – Messina – Firenze – 1977.
E’ un’ampia antologia del pensiero sociologico che si incentra su brani essenziali della produzione scientifica di Max Weber e si allarga a tutti gli autori determinanti per la fondazione e l’approfondimento dei temi sociologici; il testo parte dalla critica dialettica di Marx ed approda alla sociologia italiana contemporanea dopo aver riattraversato lo storicismo tedesco, la sociologia critica nordamericana ed il pensiero dialettico contemporaneo.
Si apprezza la complessità e l’attualità del pensiero weberiano, ricco di valide riflessioni e di interessanti incursioni in altre discipline come l’economia, la politica e la religione.
Il panorama delle interpretazioni sociologiche degli altri autori offre un’apprezzabile sintesi del sapere sociologico.

Introduzione alle scienze umane – di Fulvio Papi e collaboratori – Zanichelli editore – Bologna – 1983.
E’ un testo prezioso per addentrarsi nello studio dell’Antropologia, Sociologia, Economia, Psicoanalisi, Linguistica, Semiotica: un lavoro curato da specialisti con abbondanza di materiale e chiarezza di sintesi.

I. Spano – Sociologia tra ideologia e scienza – Edizioni Sapere – Padova – 1994.
Si tratta di un testo esauriente che fornisce con accurate analisi e dovizie di dati una visione globale della storia della Sociologia; si rileva il privilegiato riferimento alla difficile emancipazione della disciplina dalla Filosofia ed al suo approdo alla dignità di sapere autonomo.

FILOSOFIA E SEMIOLOGIA

Si fornisce l’iter evolutivo che porta la Semiologia a staccarsi dalla Filosofia e ad assumere una contrastata autonomia scientifica; i brevi commenti sono destinati ad illustrare il travaglio ed il merito di questa giovane e complessa disciplina.

G. Reale – Storia della filosofia antica – volume II° – Aristotele – La Retorica – pagine 569,…583 –
Edizioni Vita e Pensiero – Milano – 1988.
“Lo scopo della Retorica é quello di persuadere o, più esattamente, quello di scoprire quali siano i modi e i mezzi per persuadere in generale su qualsiasi argomento.”
L’arte della Retorica é una metodologia del persuadere che analizza e definisce i procedimenti con cui l’uomo cerca di convincere gli altri uomini e ne individua le strutture fondamentali.
La conoscenza di questa parte della filosofia del grande Aristotele é determinante per lo studio e la comprensione del sistema pubblicitario.

T. Hobbes – Il pensiero politico – a cura di R. Tisato – Edizioni Canova – Treviso – 1980.
Un’antologia del pensiero di Hobbes (1588 – 1679) che contiene brani significativi ed in particolare la teoria gnoseologica e del linguaggio.
“La Ragione é un puro procedimento formale di connessione tra nomi, é il calcolo delle conseguenze dei nomi generali su cui c’é accordo per contrassegnare e significare i nostri pensieri.”
“Il linguaggio consiste nell’insieme dei nomi o appellativi, arbitrariamente elaborati e delle loro connessioni, con cui gli uomini possono fissare le cose pensate, richiamarle alla memoria e comunicarsele reciprocamente per la propria conservazione ed utilità.”
Le radici della Semiologia sono in queste teorie.

J. Locke – Saggio sull’intelletto umano – a cura di C. Motzo Dentice di Accadia – Casa editrice Principato – Milano – Messina – 1946.
In questa importante opera il filosofo inglese (1632 – 1704) tratta anche della dottrina dei “segni”del linguaggio, per cui si può ritenere un antesignano della Semiologia, almeno per quest’aspetto.

J.H. Lambert – Enciclopedia Garzanti di filosofia – pagina 610 – Garzanti editore – 1993.
Autore del testo di logica “Nuovo Organo”, Lambert (1728 – 1777) introduce la Semiotica come studio della conoscenza simbolica ed in particolare della lingua e del suo possibile influsso sulla conoscenza della verità.

B. Bolzano – Ibidem – pagine 124,125.
Nell’opera “Teoria della scienza” Bolzano (1781 – 1848) favorisce l’uscita della semiotica dalla gnoseologia tradizionale e l’ingresso nella Psicologia come ricerca della motivazione e della logica dei “segni”.

E. Husserl – La fenomenologia trascendentale – a cura di A. Marini – Editrice La Nuova Italia – Brescia – 1974.
Si tratta di un’accurata antologia di brani significativi del filosofo della Fenomenologia.
Per quanto riguarda la Semiologia nell’opera in tre volumi “Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica” Husserl (1859 – 1938) delinea le realtà psichiche cui appartengono le motivazioni e nella quinta delle “Meditazioni cartesiane” le caratterizza non come soggetti singoli, ma come un’intersoggettività originaria, un “Noi” intersoggettivo che si dispiega in un operare comune di cui il linguaggio, la società e la storia sono le più dirette manifestazioni.

Ch.S. Peirce – Pensiero-segno-uomo – in Semiotica – Casa editrice Einaudi – Torino – 1980.
Nell’opera postuma in otto volumi “Raccolta di scritti di C.S.Peirce”il filosofo del “pragmaticismo” americano (1839 – 1914) oppone alla Logica aristotelica – kantiana ed hegeliana la “Semiotica” o dottrina dei “segni” e la “Faneroscopia” o dottrina delle categorie.
Esaminiamo il notevole contributo di Peirce nella fondazione della Semiologia.
Egli sostiene, in primo luogo, che tutte le nozioni e le parole umane sono“segni”e che il loro riferimento all’oggetto può essere immediato o mediato da un altro segno, che si definisce ”denotativo”, se l’oggetto é indicato fisicamente, “simbolico”, se l’oggetto é soltanto rappresentato.
In quest’ultimo caso il “segno” va interpretato mediante un altro “segno”denominato“interpretante”.
Esso può essere “emotivo”, se legato all’espressione di un sentimento, “energetico”, se riassunto in una reazione fisica, “logico”, se esprime il significato formato non per via concettuale pura, ma per abitudine mentale.
A Peirce si ascrive, inoltre, il merito della tripartizione dei “segni” in “indici”, “icone” e “simboli”.
Esemplifichiamo: in base alla nozione di “interpretante” un segno visivo può rimandare ad un segno verbale, quest’ultimo ad un segno simbolico e quest’ultimo ad un segno psichico, un vissuto fantasmico; in ogni caso un segno, nel chiarire se stesso, é chiave di interpretazione di un altro segno.
La seconda teoria di Peirce riguarda la “semantica semiotica”, lo studio della relazione che può essere posta tra il “segno” ed il “referente”, l’oggetto a cui rimanda; nel caso specifico gli “indici” rimandano al referente in un rapporto di contiguità, le “icone” rimandano al referente in un rapporto di similarità, i “simboli” rimandano al referente in un rapporto di convenzionalità.
Nel settore semiotico della pubblicità questi concetti ed in particolare l’”iconico” ed il “simbolico”, il registro del similare ed il registro del convenzionale, sono importanti per comprendere i meccanismi che interagiscono nel sistema.

Ch. Morris – Lineamenti di una teoria dei segni – Editrice Paravia – Torino – 1954.
Morris (1901 – 1979), filosofo statunitense, ha fondato e supportato metodologicamente la Semiotica, sganciandola dalla gnoseologia e fornendole i requisiti di disciplina autonoma.
Essa si evolve, quindi, in una scienza ermeneutica che studia ed interpreta diversi settori dell’attività conoscitiva e pratica dell’uomo, oltre che le relazioni tra i diversi elementi costitutivi; in questo lavoro chiarisce e giustifica anche se stessa.
Secondo le teorie di Morris l’uomo é tra i viventi l’essere che si serve in maniera ricchissima di segni, dal momento che il comportamento segnico non é esclusivo della specie umana ma appartiene anche ad altri animali.
L’uomo ha elaborato un universo complesso di segni, tra cui il linguaggio parlato e scritto, per cui la civiltà umana é costituita e si basa su segni e su sistemi di segni.
La Filosofia e la Psicologia di Morris identificano la Ragione e la Mente umane ad attività segniche.
I simboli sono segni speciali basati su una relazione analogica con il referente
Nell’articolo “Fondamenti della teoria dei segni” Morris chiamò “semiosi” il processo in cui qualcosa ha funzione di segno; essa comporta quattro fattori:il “veicolo segnico” o funzione di segno, il “designatum”o oggetto a cui si riferisce, “l’interprete ossia il soggetto per cui il segno funge, “l’interpretante”o l’effetto del segno sulla persona.
La “semiosi” inoltre ha tre dimensioni: la “semantica”, che studia le relazioni tra i segni e gli oggetti, la “pragmatica”, che studia le relazioni dei segni con gli interpreti e la “sintattica”, che studia la relazione dei segni tra loro.
Morris definì “sistemi segnici” i diversi linguaggi ed operò una classificazione dei segni, dei linguaggi e dei discorsi.
Nell’opera del 1946 “Segni, linguaggio e comportamento” egli ha fuso in maniera originale la Psicologia del comportamento e la Semiotica; il suo contributo alla ricerca nel settore pubblicitario è stato notevole.
Nella seconda fase della sua vita approfondì la Semiotica, conciliandola con una teoria dei valori.

F. De Saussure – Corso di linguistica generale – Casa editrice Laterza – Bari – 1976.
Ferdinand De Saussure (1857 – 1913), linguista svizzero, battezzò la Semiologia come la scienza che studia il segno, elemento di un sistema o codice senza di cui risulterebbe incomprensibile, ed analizza i segni e le loro relazioni all’interno del quadro della vita sociale.
La Linguistica viene inglobata nella Semiologia come una sua parte fondamentale.
La Semiologia di De Saussure si é divisa in due correnti: la “Semiologia della comunicazione”, che analizza i sistemi di segni fortemente codificati nelle lingue, nei segnali e negli alfabeti, e la “Semiologia della significazione”, che si riconosce nelle idee di Barthes ed analizza da un punto di vista funzional-sociologico tutti i fenomeni basati su segni e portatori di segni come la comunicazione di massa, la pubblicità e la moda.

R. Barthes – Elementi di semiologia – Casa editrice Einaudi – Torino – 1966.
Barthes (1915 – 1980) prende in esame tutti i fenomeni significativi da un punto di vista sociologico, declinando la Semiologia in una sorta di “Teoria generale della cultura”.
L’uomo é un animale sociale che produce ed usa segni nella realizzazione di se stesso e della sua esistenza, per cui viene in questo modo a trovarsi inserito in una complessa rete di sistemi segnici che gli rendono possibile o lo costringono a pensare, parlare ed agire.
La società esalta e complica la comunicazione e la trasmissione segnica tra i suoi membri con ideologie che sono complessi interattivi e relazionati di segni coniati da elites in base alla lettura dei segni del tempo e ricevono sostanza ed incentivazione dalla partecipazione attiva e fattiva delle masse.
Strutturalista rigido negli anni sessanta rielaborazione successiva attenzione al soggetto testo soggettività dell’autore e del lettore del testo.

L. Wittgenstein – Scritti scelti – a cura di A.G.Gargani – Principato editore – Milano – 1988.
Wittgenstein considera in maniera rigida il segno come elemento di un
sistema-codice.
Nell’opera “Ricerche filosofiche” analizza il significato di un segno e ne afferma la dipendenza dalle regole in base alle quali i linguaggi, le parole e le varie combinazioni vengono elaborati.
“Ogni segno da solo sembra morto. Cosa gli dà vita é l’uso ed esso vive di convenzioni.”

U. Eco – Trattato di semiotica generale – Casa editrice Bompiani – Milano – 1975.
U. Eco – La struttura assente – Edizioni Bompiani – Milano – 1968.
Il più noto semiotico italiano opera una revisione delle rigide norme dello strutturalismo culturale e linguistico in funzione di una maggiore elasticità metodologica e dell’abbandono di un coatto determinismo.
Definisce la Semiologia la scienza dei segni che interpreta l’ineliminabile essenza storica di ogni soggetto.

E. Riverso – Filosofia del linguaggio – Città Nuova Editrice – Roma – 1990.
La filosofia del linguaggio si é sviluppata attraverso analisi logiche sempre più complesse e rivolte a cogliere il significato dell’uomo e della realtà; essa, in tal modo, é approdata all’analisi degli atti del parlare nella concretezza socio-culturale degli individui umani.
La grandiosa avventura del pensiero analitico é espressione del modo di essere e del travaglio della cultura occidentale.

ANTROPOLOGIA E PSICOSOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI

S. Freud – Totem e tabù – Opera omnia – Casa editrice Boringhieri – Torino – 1978.
Scritto da Freud (1856 – 1939) nel 1913, il testo tratta un argomento socio-psicologico: i costumi, le credenze e le forme di organizzazione sociale delle popolazioni primitive alla luce della scoperta dell’”Inconscio”e delle sue leggi.
Freud instruisce con naturalezza provocatori parallelismi tra la Psiche collettiva ed i processi inconsci dell’uomo.

S. Freud – Il disagio della civiltà – Opera omnia – Casa editrice Boringhieri – Torino – 1978.
Scritto nel 1929, il testo consente a Freud di esprimere e confermare il suo concetto pessimistico sulla natura sociale e civile dell’uomo.
L’aggressività, espressione di una pulsione di morte, e la carica distruttiva, finalizzata alla sopravvivenza, evidenziano il forte contrasto tra l’amore di sè e l’amore verso il prossimo; quest’ultimo é la condizione fondamentale per la civiltà,” Kultur”.
Freud ritiene che la civilizzazione comporti per ogni uomo un insostenibile sacrificio della propria carica libidica e la necessaria instruzione del delicato meccanismo di difesa della sublimazione.

C. Levi-Strauss – Antropologia strutturale – Edizioni Il Saggiatore – Milano – 1966.
In quest’opera fondamentale Levi-Strauss (1908) espone la sua metodologia nell’indagine antropologica ed il fine: la struttura é un sistema di relazioni latenti nell’oggetto, per cui si pone la necessità di elaborare modelli idonei a svelare le regole inconsce che condizionano il comportamento umano.
La sociologia di Durkeim, l’antropologia culturale di Boas e lo strutturalismo linguistico di Jakobson portano al sistema di Levi-Strauss.

M. Weber- Il metodo delle scienze storico-sociali – Edizioni Einaudi – Torino – 1959.
In questo testo Weber (1864 – 1920) tenta di evitare la riduzione delle scienze
storico-sociali al positivismo deterministico e allo psicologismo.
I fenomeni socio-culturali hanno una specifica oggettività proprio nel criterio dell’avalutabilità, dal momento che la loro comprensione comporta una teoria dei valori ed una spiegazione causale che non prevede la sussunzione di un sistema di leggi generali.

E.B. Tylor ed altri – Il concetto di cultura – a cura di P. Rossi – Edizioni Einaudi – Torino – 1970.
E’ un testo prezioso per la comprensione dei fondamenti teorici della scienza antropologica e per lo studio dei processi culturali.
Sono esposte le teorie degli autori più acuti nel settore e si coglie il passaggio dallo schema storico-evolutivo dell’antropologia positivistica alla rivendicazione dell’individualità storica di ogni cultura.
Tylor individua nell’organizzazione sociale primitiva la fase originaria dello sviluppo dell’umanità, una fase che si presenta con caratteri uniformi ed analoghi presso tutti i popoli.
Tale uniformità del processo culturale non coincide con lo sviluppo delle scienze e delle arti.
Tylor allarga il concetto di cultura dal suo significato parziale a quello totale.
Boas (1858 – 1942) insiste sulla differenza tra eredità biologica ed eredità sociale; la cultura non si trasmette mediante i meccanismi riproduttivi della specie umana, ma si acquisisce mediante il processo dell’apprendimento.
Si respinge ogni spiegazione deterministica e si afferma che la cultura é irriducibile a condizioni esterne ed estranee, extra-culturali.
Boas nega la possibilità di riportare tutte le culture ad uno schema universalmente valido ed identico, come aveva sostenuto Tylor, ed afferma, invece, la necessità di studiare le culture nel loro particolare contesto storico con una analisi individualizzata ed evitando parallelismi fittizi e fuorvianti.
Kroeber (1876 – 1960) elabora una teoria della cultura capace di giustificare la sua irriducibilità alle condizioni extra-culturali e distingue tra evoluzione inorganica, organica e super-organica, individuando in quest’ultima la sede della cultura, che, a sua volta, non può essere ridotta, quindi, ad una base biologica o psicologica.
Malinowski (1884 – 1942) identifica la cultura con l’eredità sociale: tra cultura e società c’é una corrispondenza perfetta e l’organizzazione sociale rientra nella cultura così come la cultura costituisce il patrimonio del gruppo.
Egli indica nelle istituzioni le unità elementari della cultura, ma tende a riportarla ad una base biologica e ne sottolinea il legame con l’ambiente naturale.
Ogni istituzione è in rapporto con qualche bisogno bio-psicologico fondamentale e rappresenta un tentativo di risposta ad esso, per cui nel suo complesso la cultura é uno sforzo di soddisfacimento dei bisogni inerenti alla natura umana.
Essa si costituisce come un ambiente secondario, creato dall’uomo, per estendere il suo potere di azione e di controllo sull’ambiente naturale.
Malinowski si distacca notevolmente dall’impostazione evoluzionistica: ogni cultura costituisce un sistema chiuso, un complesso di elementi legati fra loro da relazioni funzionali e tutte le culture sono irriducibili ad uno schema unitario di sviluppo, per cui devono essere indagate in ciò che costituisce la loro individualità.
Murdock (1897 – 1985) accoglie le tesi elaborate dalla scuola boasiana e da Kroeber a proposito del concetto di cultura ed in particolare la sua irriducibilità a qualsiasi spiegazione di tipo biologico o psicologico, il suo carattere super-organico ed al tempo stesso super-individuale.
Afferma l’identità tra sociologia ed antropologia, per cui la cultura é costituita non da abiti individuali ma da abiti di gruppo di cui é necessario precisare il processo di formazione.
Risolvere il problema con la funzione adattiva, l’adattamento, era la premessa al relativismo culturale.

E. Riverso – Individuo società e cultura – Edizioni Armando – Roma – 1971.
Si tratta di uno studio accurato sul concetto di cultura e sulla psicologia dei processi culturali.
Riverso (1928) definisce la cultura un insieme di schemi interpretativi ed esecutivi, trasmesso alle nuove generazioni attraverso processi educativi che somigliano ad una programmazione cibernetica.
La cultura é la risposta che un gruppo umano dà all’ambiente naturale ed alla situazione storica in cui vive, dando un senso alla vita ed assumendo un ruolo in base ai valori affermati.
Ogni cultura possiede una dinamica evolutiva più o meno intensa.

La mente dei primitivi – a cura di F. Remotti – Principato editore – Milano – 1974.
E’ un’antologia delle opere di Durkheim, Mauss, Lèvy, Bruhl, Boas; si legge con facilità e si può considerare una buona introduzione allo studio sociologico dei processi culturali.

FILOSOFIA E PSICOANALISI

S. Freud – Interpretazione dei sogni – Opera omnia – Casa editrice Boringhieri – Torino – 1978.
Classico testo del padre della psicoanalisi (1856 – 1939), pubblicato nel 1900, in cui viene esposta la teoria psicoanalitica sull’origine, sulla formazione, sulla funzione e sull’interpretazione del sogno.
Di particolare interesse risultano i processi di formazione del prodotto onirico: la condensazione, lo spostamento, la simbolizzazione, la drammatizzazione e la rappresentazione per l’opposto.

E. Cassirer – Filosofia delle forme simboliche – Editrice La nuova Italia – Firenze – 1966.
Cassirer (1874 – 1945) si può considerare il fondatore della filosofia critica della cultura.
Concepì l’uomo come “animal symbolicum” in quanto é capace di elevarsi dai dati immediati a forme espressive superiori.
Tutte le realizzazioni culturali si fondano sull’attività simbolica e l’evidenziazione dei nessi strutturali permette di riconoscerne i tratti irripetibili.

M. Lancellotti – Funzione simbolo e struttura – Edizioni Studium – Roma – 1974.
E’ un saggio su Cassirer che individua la chiave per la comprensione corretta del pensiero del filosofo nell’interrelazione tra i concetti di funzione, simbolo e struttura alla luce dell’intento di pervenire ad una antropologia generale, per cui era necessario chiarire i principi che consentono di comprendere la totalità degli aspetti della cultura umana.

C.G.Jung ed altri – L’uomo e i suoi simboli – Edizioni Longanesi – 1980.
Un libro, rivolto ai lettori non specialisti, é il chiaro risultato a più voci dell’analisi di alcuni aspetti della problematica junghiana sui simboli, intesi come espressioni del linguaggio dell’inconscio. Quest’ultimo non é un deposito di materiale oscuro, ma un mondo ricco e vitale che costituisce la base dell’identità individuale e collettiva.
I simboli universali si definiscono archetipi ed alla dimensione inconscia individuale corrisponde un “Inconscio collettivo”.

M. Klein – Il nostro mondo adulto ed altri saggi – Martinelli editore – Firenze – 1972.
Il testo presenta la teoria dei fantasmi interiorizzati dal bambino in fase precoce e l’attività psichica della primissima età con le fasi schizo-paranoide e depressiva.
L’autrice (1882 – 1960) ha fondato una scuola specifica.

J. Lacan – Scritti – due volumi a cura di G. Contri – Casa editrice Einaudi Torino – 1974.
L’autore (1901 – 1981) in alcuni saggi approfondisce la ricchezza della vita fantasmica ed immaginativa dell’uomo per evolvere la sua ricerca nello strutturalismo psicoanalitico linguistico. L’Inconscio é un linguaggio basato sull’ordine simbolico in un contesto ed in una catena strutturante di significanti.
Le lezioni di Freud, De Saussure, Jacobson e Léevi-Strauss sono state ben assimilate dalla mente poliedrica dello psicoanalista francese.

R. Desoille – Teoria e pratica del sogno da svegli guidato – Casa editrice Astrolabio – Roma -1974.
Viene esposta una psicoterapia basata sul linguaggio delle immagini come espressione dei vissuti fantasmici profondi dell’uomo.

G. Balzarini – C. Salardi – Analisi immaginativa – Casa editrice Astrolabio – Roma – 1987.
Il testo contiene la nuova forma di psicoterapia che integra il lavoro sul corpo, sull’immaginazione e sulla parola, fondendo le rispettive tecniche in un equilibrato approccio unitario.

F. Fornari – Simbolo e codice – Casa editrice Feltrinelli – Milano – 1976.
Il testo si presenta come un lavoro di rinnovamento della psicoanalisi.
L’autore applica la semiotica alla psicoanalisi e definisce l’inconscio “facoltà significatrice”.
Valuta l’attività simbolica ed i suoi prodotti universali sulla scia di Freud e Klein; un testo importante, anche perché é il massimo contributo italiano allo sviluppo teorico e clinico della psicoanalisi.

J. Bergeret e colleghi – Psicologia patologica – Masson Italia editori – Milano – 1979.
Un testo fondamentale per gli studiosi di psicoanalisi ed addetti ai lavori.
D particolare pregio é la parte teorica riguardante la teoria del “Sogno, fantasia e fantasma” ed i meccanismi di difesa.

R. Fretigny – A. Virel – L’imagerie mentale – Ed. du mont blanc – Ginevra – 1968.
Uno studio moderno ed approfondito sulle immagini e sul linguaggio delle immagini; quest’ultimo é privilegiato rispetto al verbale ed al corporeo.
La vita psichica é immagine; l’immagine é temporalmente anteriore alla parola e strutturalmente inferiore in quanto prossima alla dimensione inconscia ed ai suoi processi.

S. Vallone – Lezioni di psicoanalisi – Herbita editrice – Palermo – 1996.
L’autore offre una trattazione unitaria della vita e del pensiero di Freud; di poi commenta le cinque conferenze americane e particolarmente interessanti risultano le note sui processi formativi del sogno.

S. Vallone – TEMA – Rivista di psicoanalisi clinica e forense – Il fantasma – N° 1 – Edizioni Sapere – Padova – 1998.
L’autore approfondisce la nozione di fantasma ed il suo determinante influsso nella formazione psichica di ogni uomo.

PSICOLOGIA DELLA PUBBLICITA’

Per uno studio globale del sistema pubblicitario si consiglia la lettura dei seguenti testi.

F. Alberoni – Consumi e società – Edizioni Il Mulino – Bologna – 1964.
Il testo si lascia apprezzare per l’acuta visione sociologica con cui l’autore inquadra la problematica del consumismo e le dinamiche relazionali negli anni sessanta.

A. Miotto – Psicologia della propaganda – Edizioni universitarie – Firenze – 1953.
Decano nella diffusione della psicologia l’autore in questo testo analizza i meccanismi fondamentali del sistema pubblicitario.

L. Frontori – Il mercato dei segni – Editore Cortina – Milano – 1988.
L’autore compie un’acuta indagine di stampo semiologico sulla funzione e sui meccanismi della pubblicità.

AA.V.V. – Pubblicità e televisione – Eri – Roma – 1968.
Nel pieno trionfo di “Carosello” diversi esperti del settore ed addetti ai lavori discutono le problematiche elementari del sistema pubblicitario televisivo.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’IMMAGINE PUBBLICITARIA “BENETTON”     “IL MORTO AMMAZZATO”

L’immagine fotografica in esame presenta una ricca struttura culturale e fantasmica.
Al suo interno si condensano, infatti, gli schemi tragici della sottocultura mafiosa siciliana ed un chiaro fantasma di morte.
Analizziamo il quadro e l’interazione dinamica degli elementi.
Sullo sfondo dell’immagine si mostra un muro grezzo, venato di riflessi rossastri ed parallelo ad una strada grigia; di poi, l’impianto si spezza in due parti e nella metà destra si stagliano tre figure femminili, un cadavere, una pozza di sangue ed alcuni oggetti.
Le donne rappresentano la moglie, la figlia e la madre dell’uomo ucciso.
La prima è inginocchiata davanti al cadavere, indossa il tradizionale abito nero, simbolico del lutto, e stringe in mano un fazzoletto bianco, che contrasta cromaticamente con l’abito e si sposa con il bianco rosaceo delle mani, del viso, di un orecchino pendente e del lenzuolo, che copre il corpo inanimato del marito.
Lo sguardo della donna è fisso sul cadavere ed esprime rassegnazione e tensione, impotenza e rabbia, accettazione e rifiuto: sensazioni e sentimenti desumibili dalla postura degli occhi.
La figlia è vestita di nero, somiglia in viso alla madre in maniera sorprendente ed è in piedi con le braccia conserte e lo sguardo inteso nel vuoto di un contenuto dolore.
Attesta orgoglio e distacco in questa situazione di lutto, un orgoglio da solitudine e da incapacità ad accettare la morte del padre e l’ideologia sottesa.
Anche la postura ad intreccio dei piedi è in linea con l’amor proprio ferito dal tipo di morte e dal sordo dolore, che non trova la giusta via d’espressione.
Apparentemente freddo e glaciale è quel volto rosaceo di figlia, combattuta ancora dallo strascico emotivo del complesso edipico e dall’autonomia psichica appena conquistata.
L’espressione di questi sentimenti è la consequenziale reazione ad una morte violenta per lupara e ad una ferinità capace di fracassare il cranio del padre e di muovere allo stesso tempo la sua intelligenza e la sua sensibilità.
Sull’estremità destra dell’immagine si vede la madre, un’anziana e tarchiata signora vestita di nero e seduta su una seggiola con un fazzoletto bianco tra le dita, con le mani semichiuse in pugno ed appoggiate senza forzatura sulla parte superiore delle cosce.
La donna esprime il suo dolore con un pianto composto alla vista del figlio ucciso, il dolore naturale e consapevole di una madre, privo dei temi ideologici e delle movenze artificiali della letteratura classica o folcloristica.
Il cadavere, negligentemente coperto da un bianco lenzuolo, è il nucleo forte dell’immagine.
Viene occultata la testa fracassata, da cui è fuoruscito copiosamente il sangue, mentre restano esposte le scarpe con inaudito senso del macabro.
La morte in primo piano e lo scempio del corpo non offendono la sensibilità dell’osservatore.
Sono, invece, i particolari della tragica immagine ad impressionare maggiormente con la loro carica di infausto simbolismo: l’ombrello nero dalla luccicante punta metallica e la tradizionale coppola siciliana, anch’essa nera e rovesciata sulla grigia strada.
Il primo colpisce per un fattore di superstizione ed il secondo non viene certamente vissuto come un semplice e povero capo d’abbigliamento, bensì come un oggetto denso di cultura mafiosa.
L’associazione tra coppola e mafia è lineare, così come altrettanto lineare è l’associazione tra coppola e “sicilianità”.
Rientra, infatti, nell’ “Immaginario culturale collettivo” il differenziarsi della generosa gente di Sicilia in alcuni schemi, non necessariamente criminali, che attestano della “sicilianità” come una drammatica e fatale coesistenza di bene e di male.
Impressionano ancora ed in maniera macabra lo scorrere ed il ristagnare del sangue fuoruscito dalla testa, oltre al particolare suggestivo, in calce all’immagine, dell’ampia pozza di sangue che riflette chiaramente il viso della figlia.
Si propone nel concreto immergersi di quest’ultimo nel sangue del padre un’ideale convivenza della vita e della morte, della figlia e del padre, della nuova e della vecchia generazione, del frutto e delle radici.
L’immagine è carica di un senso tragico di memoria greca e la figlia si assimila ad un’eroina euripidea.
Un muro, una strada, un “morto ammazzato”, una pozza di sangue, un viso riflesso, tre figure femminili, una coppola, un ombrello coesistono con vissuti diversi all’interno di un’inequivocabile cornice di “sicilianità” tanatocratica.
Si tratta di un quadro complesso, tenuto insieme nei suoi significati da un poderoso supporto culturale e psichico quale il fantasma di morte, e di un “insieme di segni”, la cui chiave interpretativa è fornita dall’intrinseco “segno della morte”.
La scena violenta scatena per via diretta nell’osservatore una macabra emozione, il cui fantasma attinge linfa all’assunto tanatocratico dominante nella cultura occidentale.
Esso fa perno sull’ “Immaginario culturale collettivo” con una forte carica ideologica e simbolica.
E’ un’immagine carica di un’angoscia depressiva, almeno al primo impatto, che viene drasticamente comunicata ed entra in circolazione psichica a causa della chiarezza espressiva dei contenuti.
L’osservatore è costretto ad una rapida difesa ed instruisce un distacco dal coinvolgimento emotivo attraverso un tentativo di razionalizzazione: egli riconduce l’immagine ad un insano fatto pubblicitario, minimizzando il contenuto e raffreddando l’emozione.
Infatti, staccando lo sguardo dal centro verso il margine sinistro, l’osservatore trova nel rettangolo verde con la scritta “United Colors of Benetton”, registro verbale, la conferma della divulgazione pubblicitaria ed allora mette in atto il meccanismo psichico della scissione, “splitting”: separa il delitto di mafia dall’operazione pubblicitaria e privilegia quest’ultima, condannandola per difesa.
E’ più naturale vivere la rabbia di una provocatoria immagine pubblicitaria, piuttosto che subire l’angoscia della rappresentazione di una morte violenta.
In tal modo è reso possibile il ripristino dell’equilibrio psichico.
La manovra propagandistica entra in crisi, perché al rifiuto di provare una forte emozione, attuato con il meccanismo della scissione, si associa automaticamente il rifiuto del marchio e del prodotto.
Il sistema psichico di difesa è riuscito nel suo compito di impedire l’angoscia, trasfigurando la carica emotiva in rabbia verso l’autore del crudo inganno.
L’educazione e l’abitudine culturali alle immagini ed ai vissuti di morte favoriscono l’instruzione del meccanismo di difesa: la rappresentazione e l’angoscia della morte sono state sperimentate in altre circostanze.
L’assuefazione al fantasma si è evoluta in schema culturale, così come la sua esibizione in immagine funesta.
Riepilogando: il famigerato fantasma di morte domina la scena del “morto ammazzato”e lega gli elementi tragici dell’immagine, i quali diventano, dopo la “scissione” difensiva in “immagine di morte” ed in “immagine pubblicitaria” e la provvisoria “rimozione” della prima e la decisa condanna della seconda, progressivamente gestibili dalla psiche dell’osservatore.
Persistono, pur tuttavia, in quest’ultimo come difesa il distacco ed il raffreddamento emotivi, proprio perché l’immagine nella sua crudezza ha un potenziale eccessivo di tensione.
A questo punto corre l’obbligo di porre alcuni interrogativi profilati dalla pubblica coscienza su questa immagine
La gente si è chiesta se si può usare per fini pubblicitari di lucro un’immagine drammatica dal punto di vista umano, morale e sociale.
Un difficile problema socio-politico della collettività nazionale può essere sfruttato privatamente da un gruppo industriale per vendere tanti maglioni sia pur coloratissimi e di buona fattura?
E’ tollerabile manipolare l’offesa al valore della vita umana in un’immagine pubblicitaria?
Non è una macabra beffa subire nei muri delle città del mondo gigantografie di tal genere?
L’immagine usata per fini pubblicitari è, inoltre, un pessimo biglietto da visita della Sicilia e dei suoi abitanti; essa evoca vissuti xenofobici, che variano in base allo schema culturale presente a livello di “Immaginario collettivo” nelle varie regioni d’Italia o nelle diverse parti del mondo.
La risposta a tali giusti quesiti è lineare: l’immagine pubblicitaria è espressione sintetica e parassita della cultura che la elabora e di cui gli uomini sono interpreti ed attori più o meno coscienti.
Nella società delle immagini i principi morali sono contenuti nelle stesse immagini, prodotti culturali che hanno inscritti i criteri di valutazione ed i valori etici.
La “Morale” delle immagini è implicita nella “Ragione” delle immagini: le “verità etiche” si sposano e si subordinano alle “verità economiche” del sistema culturale.
“Ethos”e ”Logos”si incontrano nell’ “Agorà”.
Riprendiamo l’analisi e la decodificazione dell’immagine del “morto ammazzato”: essa è solo tecnicamente efficace, perché fa perno sul fantasma di morte e crea alcune dinamiche a livello psichico subliminale.
Spostiamo la nostra attenzione sul lato sinistro dell’immagine pubblicitaria, dove campeggia il rettangolo verde della Benetton con l’obsoleta dicitura ”United Colors of Benetton”.
E’ obbligo interpretare la relazione e l’interazione semantiche tra il messaggio verbale e la tragica scena.
Diversi possono essere i modi ed i significati: il “registro verbale” del rettangolo verde interagisce “metonimicamente”, concettualmente con il “registro visivo”.
Il termine “Colors” non ha un significato cromatico, ma culturale.
Diventano un fatto etnico anche la morte e quel tipo di morte, quasi in un folclore del lutto e dei personaggi.
La mafia e quel modo di morire sono “Colori Culturali della Sicilia e dei Siciliani”.
Nel folclore dei personaggi, dei colori e dell’abbigliamento l’immagine può essere considerata un “United Colors of Sicily by Benetton”.
Il popolo della generosa terra di Sicilia è in debito nei confronti dei signori Benetton e di Toscani.
Quale altra associazione è possibile tra un capo d’abbigliamento e la sinistra immagine di una morte violenta ?
Si può decodificare “metaforicamente” il “registro verbale” ed il “registro visivo”: la luce caratteristica dei macabri Colori dell’immagine somiglia ai Colori Uniti della Benetton.
Questa interpretazione è riduttiva.
L’interazione di entrambe costituisce la “verità retorica” dell’immagine: coesione di originali colori etnici e tessili.
Metonimia e metafora sono le figure retoriche che spiegano l’interazione del registro verbale con i contenuti dell’immagine.
Nel corso dell’analisi è stata giustamente rilevata la crudezza dell’immagine, ma bisogna considerare che tale aggressività è stemperata dal valore della “pietas”espresso dalla figura materna.
Si intende per “pietas”il naturale sentimento e la sincera emozione che l’uomo vive nell’attesa della misteriosa esperienza della morte: il “fatto psicologico” ed il “fatto culturale”sono integrati.
La “pietas” è la capacità di sentire la sacralità del valore della morte e per converso della vita.
Nell’immagine del “morto ammazzato” dominano la formalità del dolore e la rabbia dell’impotenza nelle figure della moglie e della figlia.
Questi atteggiamenti dipendono dall’artificiale strutturarsi del fantasma di morte nell’ “Immaginario culturale collettivo”: di fronte alla morte si è culturalmente condizionati nell’espressione emotiva e nella difesa psichica.
Nel margine destro dell’immagine è possibile riscontrare un naturale vissuto della morte nella madre: una “pietas” che non domina, ma che dà senso e riscatto al quadro.
La “pietas” è presente nella figura della madre per il ruolo che essa incarna, per l’approssimarsi della sua morte, per il diverso rapporto con la vita e con la cultura, per il suo essere meno segnata dagli artifici della cultura ufficiale.
L’atteggiamento naturale dell’espressione del dolore non ha alcunché di ideologico e preformato; esso esprime il senso della perdita del figlio nell’accettazione cosciente degli eventi umani e del volgersi delle stagioni.
La madre é per essenza filogenetica, anche se può essere tanatocratica,ma in questo caso la madre ha dato amorosamente la vita e si accosta pietosamente alla morte.
La “Madre” è un archetipo ed ha legami con il “Sangue” e non con la “Cultura”.
Il fantasma di morte viene attenuato nella violenza d’impatto proprio dalla “pietas” materna.
In conclusione si può affermare che l’immagine pubblicitaria del “morto ammazzato” è in linea con gli schemi culturali in atto ed è un veicolo propagandistico di medio spessore a causa della sua mediocre incidenza subliminale.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’IMMAGINE PUBBLICITARIA “BENETTON”    “LA MORTE DI DAVID ”

L’immagine pubblicitaria in esame nasce da una fotografia in bianco e nero scattata da Therese Frare in una stanza dell’ospedale dell’Ohio State University, dov’era ricoverato in fin di vita David Kirby, malato terminale di A.I.D.S. .
L’autrice portava avanti il progetto di documentare il dramma delle persone affette da immunodeficienza e su espresso desiderio di David e con il consenso della madre ha fissato in immagine le fasi finali della vita, il momento della morte, le fasi appena successive, i momenti cruciali e tragici del trapasso del giovane.
Una delle tante fotografie sulla morte di David è stata scelta dalla Benetton per scopo pubblicitario ed all’uopo è stata colorata con l’ausilio del computer da Oliviero Toscani, “concept” unico del gruppo.
La fotografia, registro visivo, è così diventata immagine pubblicitaria Benetton con l’inserimento nella parte inferiore destra del famoso rettangolo verde con la solita iscrizione, registro verbale, “United Colors of Benetton”.
L’impianto ritrae David appena spirato, con la bocca e gli occhi ancora aperti, esanime e con le sottili braccia poggiate sopra il bianco e picchiettato lenzuolo, il padre in lacrime che lo abbraccia, la sorella piangente che stringe a sè la figlia sgomenta.
Una mano ignota nella parte sinistra dell’immagine stringe il polso di David.
L’immagine è stata venduta dalla Frare al gruppo industriale trevigiano ed i genitori di David non hanno chiesto alcun compenso per l ’autorizzazione all’uso pubblicitario, anzi si sono mostrati oltremodo riconoscenti verso la Benetton.
A tal proposito la madre ha detto in un’intervista che non è la Benetton ad usare la foto del dramma familiare, ma è la famiglia Kirby ad usare la Benetton per portare avanti il desiderio ed il progetto del figlio David di sensibilizzare le coscienze di tutto il mondo sugli effetti tragici e letali dell’A.I.D.S. .
David era omosessuale, ma aveva contratto il male con una trasfusione di sangue infetto, almeno secondo la versione della madre.
Realizzare il desiderio di David della prevenzione della malattia attraverso il canale pubblicitario Benetton è sembrato ai genitori un’occasione provvidenziale ed una maniera di noblitare la memoria del figlio, attribuendo alla sua morte un fine socialmente utile.
Pur tuttavia l’uso pubblicitario dell’immagine della morte di David ha suscitato clamore ed indignazione in tutto il mondo, specialmente nei puritani paesi anglosassoni, ma in effetti é una degna maniera di tenere in vita David, convertendo il suo dramma esistenziale e sublimando il suo dolore in amore e tutela della vita.
David desiderava trasfigurare la sua morte in un valore positivo: la vita e la salute fisica, al di là del fatto che l’immagine mostra drasticamente i segni terminali della sua malattia.
La divulgazione della sua fotografia di malato morente di A.I.D.S. vuole essere uno strumento educativo ed un deterrente psico-sociologico per indurre le nuove generazioni alla tutela dal contagio del male e dai suoi effetti lenti e letali.
Paradossalmente la fotografia di David morente vuole inneggiare al benessere psicofisico ed alla vita.
L’operazione vuol trasfigurare David in un eroe benefattore dell’umanità nel momento della morte attraverso la conversione nell’opposto di quel valore che egli non rappresenta e non incarna.
E’ un meccanismo psichico dell’attività onirica dell’uomo, il sogno, allucinare il vero desiderio nella versione opposta.
Se l’immagine di David può trasmettere un messaggio socialmente utile e positivo, bisogna rilevare in primo luogo l’ambivalenza psichica della sua struttura: un vissuto di attrazione si origina e si associa ad un vissuto di repulsione.
L’attrazione nasce come pulsione a condividere ed a partecipare il sentimento doloroso della morte, la repulsione nasce come pulsione difensiva a fuggire dall’angoscia della morte ed in particolare di quel tipo di morte.
Attrazione partecipativa e repulsione difensiva, sorda inquietudine e rapida fuga: è questo il contrastato vissuto che l’immagine induce nell’osservatore al primo impatto.
Anche la coreografia dei personaggi si sviluppa secondo queste movenze: attrazione del padre verso il figlio nel suo protendersi in un doloroso abbraccio ed il ritrarsi della sorella dal fratello per protendersi nell’abbraccio protettivo della figlia.
Il padre si dirige verso la morte sotto la spinta del sacro sentimento naturale della “pietas”, mentre la sorella si dirige verso la vita in chiara fuga dall’angoscia della morte.
Ad una prima visione il fantasma di morte domina il quadro e l’angoscia lo sorregge: l’immagine è ricca di nuclei psichici di congruo spessore e di forte contrasto, che disorientano l’osservatore.
Ad accrescere il disagio interviene la coscienza dell’infrazione blasfema alla dignità del dolore ed alla sacralità dell’esperienza di morte per il fatto che l’immagine è tralignata in un messaggio pubblicitario.
La mercificazione della morte e la venalità colpiscono la Psiche collettiva.
In effetti si presentano i valori, non i disvalori, ampiamente elaborati dalla cultura occidentale: la tanatocrazia ed il capitalismo.
La famiglia Kirby ed il gruppo Benetton si servono del condensato culturale e psichico profondo dell’immagine a conferma del parassitismo del sistema pubblicitario.
E per quanto riguarda la questione morale basta ribadire che ogni immagine riproduce l’etica della cultura in cui si inscrive e di cui rappresenta i valori.
L’essenza dell’immagine diventa legge morale, quando si opera una ratifica culturale: la norma risiede nella ragione dell’immagine.
La fotografia della morte di David è una inscrizione morale ed il rettangolo verde della Benetton è il suo giusto epitaffio etico.
Un dato è certo e da ribadire: la pubblica coscienza si trova di fronte ad un’altra immagine pubblicitaria di morte, che usa il relativo fantasma per arrivare all’ “Immaginario culturale collettivo”, per incidere le sfere psichiche subliminali e per condizionare le scelte dei consumatori.
L’analisi delle interazioni di senso e di significato tra i contenuti tanatocratici ed i valori culturali dell’immagine rileva un determinante nesso fantasmico, che fornisce un vissuto coesivo all’impianto: la “pietas”.
A stemperare l’angoscia ed a riportare il fantasma di morte in una dimensione comunicativa è chiamata la forte carica sentimentale, ”pietas”, espressa in prima istanza dal padre.
La sua immagine consente l’effettivo riscatto dall’angoscia di morte e ne favorisce la sublimazione in un naturale dolore della morte.
Il padre è riuscito a trasfigurare il suo vissuto nel simbolo adeguato ed a comunicarlo senza che esso degeneri nell’angoscia, nell’onnipotenza o nella negazione.
La figura paterna proietta un valore in disuso nella cultura contemporanea, il naturale dolore per la morte del figlio, una “pietas” in versione maschile dopo quella femminile esibita dalla madre nell’immagine del “morto ammazzato”.
Il valore della paternità di fronte alla morte del figlio in versione sublimata e simbolica si esprime in particolare nel pianto accorato, una reazione emotiva che riduce in simboli il figlio, la perdita, la morte, il lutto.
Il padre riconosce se stesso, esprime i suoi naturali sentimenti e permette all’osservatore di identificarsi nella postura psichica del suo dolore.
Il simbolismo paterno è archetipico.
Le rappresentazioni del Padre e della Morte si sono ben fuse in una dimensione fantasmica dal respiro universale.
L’immagine perde i suoi connotati particolari e si trasforma in una coinvolgente e complessa simbologia della Natura umana.
Si consideri la figura della sorella: si ritrae da un lato con un senso di rifiuto, paura e dolore.
Essa si riscatta a metà con la “pietas” materna esternata nell’abbraccio protettivo della figlia,
la cui espressione è di curiosità sgomenta, un atteggiamento di difesa dei bambini quando sono sul punto di incamerare un trauma.
Del resto questa bambina vive in una cultura segnata dalla morte, un contesto che ha smarrito il senso ed il culto naturali del morire.
A questo punto l’attenzione si concentra su un particolare emotivamente intenso e simbolicamente ricco del quadro: la figura di Cristo con le mani allargate in segno di accoglienza situata sopra il capezzale di David.
E’ un’immagine sacra quasi scontata in un ospedale, ma è altamente significativa perché funge da nesso simbolico di tutti i vissuti espressi nell’immagine ed in particolare sutura i temi dominanti della morte e della “pietas”.
Le mani in atto di accoglienza benedicente sortiscono un effetto carismatico nel trapasso di David, che dopo tante sofferenze riscatta i suoi limiti umani ed approda con l’aiuto misericordioso di Cristo al difficile momento del trapasso.
Il particolare simbolico è in sintonia di significato con il contesto.
La presenza nell’immagine del simbolo carismatico del riscatto allevia la solitudine ed il rigore dell’inesorabile morte; le mani di Cristo, protese verso David, operano una suggestione che induce l’osservatore a rassicurarsi ed a vivere con la giusta tensione l’immagine, proprio perché i segni reali sono in sintonia con i segni simbolici.
Alla naturale “pietas” paterna si associa nel momento della morte la trascendente “pietas”divina.
Nell’immagine pubblicitaria di David bisogna riconoscere che il fantasma di morte è stato servito in maniera egregia nell’ingegneria simbolica degli elementi.
Oltretutto David richiama con le sue sembianze il volto di Cristo inscritto nell’ “Immaginario culturale collettivo” e la sua sofferenza evoca il senso sacro di una trasfigurazione e di una catarsi.
Il valore della “pietas” resta il perno simbolico dell’immagine in riferimento al tema della morte;
quest’ultimo acquista sacralità archetipica proprio attingendo alle diverse ”pietas”, la paterna, la divina, la fraterna nel suo medio spessore.
L’unico elemento che stona nel quadro è l’orologio al polso di David, mentre non impressiona la sua patologica magrezza.
Esso, in quanto strumento che misura l’inesorabile scorrere del tempo, ha una affinità simbolica con la morte, ma sembra negligentemente dimenticato in quel polso magro, piuttosto che dialetticamente significativo.
A questo punto è opportuno esaminare l’interazione psico-retorica dell’immagine, “registro visivo”, con il rettangolo verde Benetton,“registro verbale”.
Si pone il solito problema del come inserire l’elemento pubblicitario in una fotografia dove trionfa il fantasma di morte, sia pur lenito e sublimato dalla “pietas”.
Quali e quante relazioni di significato riscontreremo nel quadro globale se assoceremo secondo metonimia ossia in relazione concettuale la suggerita coesione dei colori Benetton con la visibile coesione familiare e la sintonia delle “pietas”: i colori archetipici del dolore paterno e della morte.
Come il colore etnico culturale nell’immagine del “morto ammazzato” favoriva la coesione degli elementi caratteristici e significativi del quadro, anche in questa immagine sono i colori profondi di tipo archetipico a dare forza unitaria e completezza all’impianto visivo nel significato e nelle emozioni.
Un metonimia scorre tra il condensato psichico profondo dell’immagine ed il rettangolo verde Benetton.
In conclusione è obbligo rilevare che nell’immagine domina incontrastato un chiaro e diretto fantasma di morte, sublimato negli archetipi del Padre e della Morte, compatibile con le resistenze psichiche degli osservatori.
Questi fattori danno forza ed incisività all’operazione pubblicitaria.
Il valore simbolico della “pietas” dà significato alla struttura generale dell’immagine e lega in maniera unitaria i valori della sofferenza, del dolore, del lutto, della famiglia, dell’infanzia, della morte e della vita.
Al dramma esistenziale della morte si associa il valore umano e religioso della vita e della partecipazione emotiva alla sofferenza in vista di un piano celeste che aiuta e rende significativo il trapasso.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’ IMMAGINE PUBBLICITARIA “BENETTON”    “IL GUERRIGLIERO”

L’immagine in esame presenta in primo piano un femore umano, impugnato con decisione da un guerrigliero di colore ripreso di spalle.
L’uomo porta a tracolla un fucile mitragliatore ed una stola nera bordata di giallo; uno zainetto militare pende dal suo fianco sinistro.
Sul margine destro ed in posizione centrale è inserito il rettangolo verde della Benetton, che trasforma l’immagine di un militare ben bardato in immagine pubblicitaria.
Forte ed immediata è la reazione emotiva dell’osservatore al chiaro simbolismo di morte.
Altrettanto elevata è l’ “enfasi fantasmica”: l’amplificazione e l’esagerazione oggettive dei contenuti ideologici e psichici dell’immagine.
Essa desta il senso dell’artificialità e della falsità volutamente provocatorie con effetto sgradevole e repellente.
Con il solito procedimento deduttivo consideriamo inizialmente lo schema culturale dominante per passare successivamente alla decodificazione dei simboli ed all’analisi dei vissuti collegati.
Si rileva con evidenza che il fantasma di morte è presente in maniera massiccia e quasi totale.
La sua consistenza è eccessiva e la sua ripetitività è ossessiva: la tanatocrazia induce l’osservatore a difendersi dal martellamento psichico, nonostante l’elementare sensazione di un’esagerata artificialità nella costruzione dell’immagine.
Il fantasma di morte viene servito in diverse versioni e la ricerca evasiva di un elemento simbolico diverso e gratificante si impatta nella dominante tanatocrazia dell’impianto.
Tale ripetizione aggrava l’angoscia implicita nel fantasma e rende ingestibile la visione.
L’immagine del “guerrigliero” non è soltanto tanatocratica, ma è costruita con una forte enfasi di triplice ordine:
– un’enfasi diretta delle varie parti dell’immagine;
– un’enfasi univoca del simbolismo attraverso la ripetizione del fantasma;
– un’enfasi indiretta di tipo pubblicitario, un’esaltazione implicita del prodotto attraverso l’esagerazione manifesta dei contenuti e dei simboli dell’immagine.
E’ opportuno, alla luce della prevalenza della figura retorica in immagine dell’ “enfasi”, definirne la dinamica nella divulgazione dei messaggi.
Si tratta di un procedimento espressivo polivalente, atto ad amplificare il significato, il simbolo, l’emozione ed inteso ad indurre vissuti eccedenti la norma.
L’ “enfasi” è un’operazione retorica tendente ad accrescere l’intensità espressiva, simbolica ed emotiva di un’immagine nel caso specifico: un’esagerazione del registro visivo.
Il rischio del procedimento si attesta in un uso eccessivo che rende stucchevole il messaggio e induce l’osservatore ad un rifiuto per l’evidenza di una forte derisoria esagerazione.
Consegue che l’operazione enfatica deve essere ben dosata nel contenuto e nella dinamica specialmente in pubblicità, per non incorrere in un fallimento ed in un danno economico.
L’immagine del “guerrigliero” offre in maniera diretta quattro versioni del fantasma di morte disorganiche e maldestramente assommate.
In primo piano viene presentato un femore umano, un particolare scheletrico repellente e truculento, simbolo di morte e di violenza ferina.
Oltretutto questo femore è impugnato con decisione da un uomo, per cui si accrescono il disgusto ed il rifiuto.
Il fantasma non è collegato soltanto alla morte, ma include l’aggravante macabro della decomposizione del corpo per quanto riguarda il femore e della furia omicida di natura cannibalica per quanto riguarda l’uomo.
Un truce guerrigliero impugna ed ostenta la morte, rivestendo il ruolo di spietato omicida.
Se l’esercizio della violenza diventa normale nello stato di guerra, questo guerrigliero va di gran lunga al di là dell’umana comprensione perché esprime una ferinità cannibalica.
Il fatto che il femore sia impugnato da un guerrigliero di colore aumenta l’aspetto tribale dell’immagine, perché nell’ “Immaginario culturale collettivo” l’uomo di razza nera è vissuto o come il “buon selvaggio” o come il “crudele cannibale” ed in entrambi i casi estraneo alla civiltà.
Si tratta di un’esaltazione spietata della parte bestiale dell’uomo e dei valori della morte violenta, della guerra, della disperazione, della ferocia: il tutto sotto un’egida primitiva.
La Psiche instruisce i meccanismi difensivi della fuga per ridimensionare l’angoscia dell’orripilante particolare dell’immagine e del suo sinistro simbolismo, ma è costretta ad associarvi la feroce valenza cannibalica e ad aggravare la carica emotiva.
Repellenza e ritrazione caratterizzano il vissuto iniziale dell’osservatore; conseguono il rifiuto dell’ideologia della violenza e progressivamente il distacco emotivo.
E’ un’immagine esagerata e provocatoria ad alto tasso d’angoscia; la coscienza dell’enfasi interviene a ridimensionare l’effetto traumatico del primo impatto.
L’analisi del secondo elemento significativo del quadro è il fucile mitragliatore, un’arma micidiale sempre in primo piano ed uno strumento inequivocabile di morte violenta.
Il simbolo è chiaro e non si presta ad altre interpretazioni.
Il terzo fantasma di morte è rappresentato nell’immagine dalla stola nera e bordata di giallo, un classico paramento del sacerdote nel rito funebre.
Lo stesso colore ha un significato funereo: il nero si associa al simbolismo della morte e del lutto.
La stola non è decisamente un capo d’abbigliamento militare e tra le altre cose il guerrigliero non veste un’uniforme ben precisa che lo possa identificare come appartenente ad un esercito o ad uno stato.
Il capo indagato, quindi, è squisitamente simbolico ed appositamente esibito per testimoniare il valore tanatocratico dell’immagine.
Il guerrigliero si lascia identificare in un simbolo di morte e non certo nella difesa di una causa o di valori costituiti, per cui il vissuto dell’osservatore resta negativo e senza il possibile appiglio di una condivisione ideologica.
Il guerrigliero sembra sempre più una figura costruita in laboratorio o in sartoria anche nel suo anonimato politico.
Bisogna rilevare, inoltre, che la stola è un paramento sacro e funerario usato dal guerrigliero in maniera impropria.
Questo spirito sacrilego conferma l’artificialità enfatica dell’immagine, per cui la drasticità mortifera del guerrigliero comincia a perdere tensione ed acquista risibilità.
L’uso improprio della stola è blasfemo ed offende il sentimento religioso: il segno mortifero e l’irrisione del sacro rafforzano il rifiuto psichico difensivo dell’osservatore.
Il quarto elemento simbolico di morte è rappresentato dalla figura, ripresa di spalle, del guerrigliero, proteso verso la pratica della violenza.
Esso è il drammatico nucleo umano di condensazione degli altri simboli tanatocratici del quadro.
Il guerrigliero é l’attore protagonista alla cui volontà si riconduce decisamente la responsabilità del complesso simbolico rappresentato: la morte violenta in primo piano.
Riepilogando, si può affermare che nell’immagine sono presenti quattro consistenti ed inequivocabili fantasmi di morte:
– il primo di tipo anatomico, il femore;
– il secondo di tipo militare, il fucile mitragliatore;
– il terzo di tipo religioso, la stola funebre;
– il quarto di tipo antropologico, l’uomo guerrigliero.
Essi sono inseriti in un contesto tanatocratico disorganico ed artificiale.
Non esiste alcuna possibilità di riscatto, di compensazione, di riparazione del complesso fantasmico di morte, all’incontrario delle immagini analizzate in precedenza.
L’interazione dei quattro elementi simbolici è rigidamente determinata come in un’aritmetica somma e non consente decodificazioni variegate ed interpretazioni giustificative.
Una veloce rassegna degli altri elementi conferma la tesi di una deterministica costruzione artificiale dell’immagine, sia pur con qualche imprevisto.
Lo zainetto militare è una parte del corredo del guerrigliero e conferma lo schema bellico rappresentato, per cui diventa insignificante decodificarlo o immaginarne il contenuto.
Un elemento dell’immagine sembra fuori luogo in questo contesto di morte: il cinturino nero di buona pelle al polso rigirato del guerrigliero.
Si è costretti a supporre un orologio dal momento che non è visibile, un simbolo del tempo che scorre e della morte che si avvicina.
In tal modo entra nella psicodinamica simbolica un altro identico fantasma, complementare rispetto agli altri, ma che interagisce con il complesso dell’immagine in maniera rafforzativa sia pur senza ulteriore aggravio emotivo.
L’orologio è un sofisticato ed indiretto simbolo di morte e non trova spazio espressivo perché viene accantonato dalla chiarezza e dalla pregnanza degli altri simboli.
A questo punto si profila all’analisi un particolare ben visibile dell’immagine che non è compatibile con il coriaceo progetto fantasmico dell’impianto: l’anello dall’intreccio d’oro all’anulare della mano sinistra del guerrigliero.
Il simbolo dell’anello entra in relazione dinamica e dialettica con il contesto mortifero dell’immagine ed in maniera contraddittoria ad una prima impressione.
Infatti l’anello non occulta un fantasma di morte, ma condensa un nucleo culturale e psichico notevolmente diverso.
L’anello in cultura è simbolo di relazione, di unione e di condivisione sentimentale a forte contenuto emotivo, al di là della funzione acquisita di tipo estetico.
L’anello è un segno ed un pegno dell’amore, il simbolo dell’amore sessuale.
In particolare esso è simbolo vaginale e rimanda ad una figura femminile: esso è il linguaggio sessuale di lei e l’espressione dell’amore.
Lo schema culturale della relazione d’amore ed il simbolo dell’unione sessuale sono compendiati nell’anello senza alcuna distonia:il primo è il completamento sublimato del secondo.
Il guerrigliero, questa macchina di morte così adeguata alla cultura contemporanea e non a caso riprodotta in mille film, possiede desideri e sentimenti classicamente umani.
Il condensato simbolico dell’anello attesta che il guerrigliero è portatore di valori umani, crede nell’amore ed ha un legame d’amore: una contraddizione consistente con i significati degli altri elementi dell’immagine ed un contrasto tra desiderio sessuale e sentimento d’amore, tra violenza e sentimento d’odio.
Il simbolo della fusionalità totale, l’anello, purtroppo si ridimensiona e si annulla, schiacciato dalla forza strutturale dei fantasmi di morte.
Questo particolare simbolico riesce soltanto ad esser spia di una contraddizione, che resta priva di argomenti probanti per modificare la forte tensione tanatocratica dell’impianto.
L’anello non riscatta alcunché, anzi indispone l’osservatore per la sua posizione contraddittoria e per la conferma di una costruzione artificiale e grossolanamente enfatica dell’immagine, sempre più vicina all’atelier di un furbo fotografo che alla realtà di una guerra civile in atto.
Un’ultima conferma dell’architettata tensione tanatocratica dell’immagine é la posizione da tergo del guerrigliero, simbolo di rifiuto a comunicare, di drasticità fanatica e di netta chiusura verso l’interlocutore.
Per lui parlano il femore, il mitra, la stola, la crudeltà ed il disprezzo del valore della vita umana.
Si ribadisce la reazione emotiva di chiusura e di rifiuto nei confronti dell’immagine e l’instruzione di barriere psichiche da parte dell’ormai deluso osservatore.
I meccanismi psichici incarcerano la drammatica simbologia di morte
nell’ “Immaginario culturale collettivo”e le impediscono di trapassare
nell’ “Inconscio archetipico” proprio a causa dell’artificialità enfatica dell’immagine.
Al tutto si aggiunga la sensazione dell’osservatore di essere deriso da una vile operazione di laboratorio fotografico.
Anche se la realtà storica offre verità peggiori di quelle rappresentate dal guerrigliero, quest’ultimo assume una valenza ridicola nel vissuto finale di un osservatore in cerca di riscatto.
L’esagerazione enfatica e l’abuso del fantasma di morte, pur lavorando una “Psiche collettiva” educata alle immagini tanatocratiche, sortiscono l’effetto del rifiuto perché innaturali.
A livello pubblicitario l’immagine non ottiene la finalità sperata, anzi con essa vengono rifiutati in blocco marchio e prodotto.
L’immagine del guerrigliero si è ridotta ad un’offesa gratuita al buon senso dell’osservatore: un peccato di arroganza che si paga in termini economici.
Essa è il classico esempio del cattivo uso del meccanismo dell’enfasi nel settore pubblicitario alla luce della nulla incisività subliminale.
Passiamo all’interazione del rettangolo verde Benetton, inserito nel margine destro, con gli elementi del quadro.
Non è possibile reperire alcun valido riferimento ed alcun nesso dinamico con i fantasmi espressi nell’immagine.
Si può concludere che il registro verbale del rettangolo verde, ”United Colors of Benetton” è artificialmente giustapposto e che il solo nesso evidente è l’assenza di nesso.
L’operazione pubblicitaria é ulteriormente inefficace.
L’immagine, infatti, è priva di amalgama e di coesione, in quanto si riduce ad una coatta sommatoria di simboli tanatocratici e le sue caratteristiche non le consentono neanche un effetto educativo e civile di denuncia della guerra e della violenza.
Essa non esibisce coesione di colori etnici o psichici come l’immagine del “morto ammazzato”o della “morte di David” ed il nesso ricercato potrebbe individuarsi nella disorganicità in opposizione alla coesione dei colori Benetton.
Ma questo salvataggio retorico non convince, perché l’immagine pubblicitaria del “guerrigliero” manca dell’amalgama dei significati, risulta malamente costruita con enfasi parossistiche e non può che sortire l’effetto di un’improvvisazione da laboratorio fotografico.
Essa é uno stolto strumento pubblicitario al pessimo servizio degli schemi culturali dominanti.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’IMMAGINE PUBBLICITARIA “BENETTON”     “IL CIMITERO DI GUERRA”

L’immagine pubblicitaria in questione è di diretta paternità del fotografo Oliviero Toscani.
Si tratta di un cimitero inglese di guerra.
La descrizione è abbastanza semplice: un reticolo geometrico di croci in pietra grigia, un vasto prato verde ed il solito rettangolo altrettanto verde della Benetton sul margine destro in basso.
Interrompono il sistema armonico di croci due stelle, simboli ebraici, situate al culmine del pilastrino conficcato nel terreno.
Gli elementi simbolici dell’immagine sono la croce, il prato verde, la disposizione geometrica ed il rettangolo pubblicitario.
E’ un impianto semplice nell’uniformità dei segni e complesso nell’interazione dei simboli.
Il fantasma psichico dominante è tanatocratico.
L’immagine è in gran parte occupata dalle croci, allineate in un mosaico che sullo sfondo dà l’impressione visiva di un incastro di tessere.
Decodifichiamo il simbolo della croce.
E’ un segno cristiano di morte e di trasfigurazione della morte, legato alla passione, al sacrificio, alla resurrezione ed alla redenzione dell’umanità dal peccato originale da parte di Gesù Cristo.
La croce è il simbolo religioso e culturale della “parte positiva e buona della morte”, interpretata e vissuta come momento di transizione verso la vita eterna dopo il tormentato soggiorno nel tempo e nello spazio.
La morte è un trapasso senza trauma, oggetto del desiderio della fede in quanto ricongiunge al Padre ed apre le porte del Regno dei cieli.
La croce cristiana, quindi, è il simbolo della vittoria della vera vita sulla morte attraverso la trasfigurazione spirituale e la perdita della componente materiale corporea.
Le croci dell’immagine richiamano il sacrificio di giovani vite, perdute nell’affermazione dei valori culturali della patria e della pace attraverso l’incivile esercizio della guerra.
La morte buona si associa alla giovinezza perduta al servizio di valori culturali quali l’amor di patria e la pace.
La morte è uguale per tutti e rispetta anche il tipo di fede; infatti le due stelle ebraiche sono un esempio di tolleranza religiosa.
La prima sensazione che l’immagine produce nell’osservatore è di profondo silenzio e di diffusa tranquillità, nonostante i temi emotivi di fondo siano tanatocratici.
I soldati, tante giovani vite infrante, il lutto, il dolore, i valori civili e culturali, il giusto premio, la memoria, la gratitudine, l’esempio da imitare: questi sono i principali significati culturali e simbolici, che interagiscono con una forte carica trasfigurativa sotto il segno della croce.
Quest’ultima si può definire un complesso organizzato, armonico e ben compensato, che si inserisce in maniera blanda nella psiche dell’osservatore; la sua visione, infatti, non mutua angoscia, perché i significati si fondono in un sentimento di pacata malinconia.
La croce dell’immagine del cimitero di guerra contiene tre attributi del fantasma di morte: la morte buona, la morte bella e la morte giusta.
La morte è fantasmicamente buona perché non procura angoscia, in quanto lo spirito ritorna alla casa del padre nella dimensione dell’eternità; la morte è bella perché avviene all’interno di un desiderio e di un progetto che la rendono attraente; la morte è giusta perché generosamente consumata per amore della patria e per garantire la sopravvivenza del gruppo nazionale.
Anche la guerra, richiamata dalla morte, paradossalmente ha una sua giustificazione.
Mentre nell’immagine del guerrigliero la morte era ferinità inumana, in questa immagine è una necessità culturale che sublima l’angoscia.
Passiamo alla decodificazione del prato verde.
Esso rappresenta simbolicamente lo spazio dove si dispone la realtà psichica in atto, il teatro interiore dove si svolgono le trame della storia psicologica di ogni uomo.
Scendendo di livello il prato è simbolo di Madre, della parte buona e vitale della Madre, perché richiama l’archetipo del Principio femminile, la Terra.
Il colore verde è simbolo della vita, della giovinezza, del principio della realtà e della carica vitalistica con cui si devono investire le esperienze dell’esistenza.
Si inscrivono simbolicamente nel colore verde la parte estetica, edonistica e gratificante della vita: il piacere, la bellezza, il rispetto e la stima di sé.
Il verde rinvigorisce l’unità psiche-corpo, favorisce i processi di autocoscienza e dispone all’azione concreta.
E’, inoltre, il colore della realtà, impressiona realisticamente e dispone la psiche alla decisione.
Il verde è un ottimo strumento per l’operazione pubblicitaria, in quanto attrae dolcemente ed induce naturalmente l’osservatore all’azione senza alcun senso di costrizione.
Non a caso è il colore della natura e delle sue armonie e rappresenta il giusto equilibrio dell’Io nel suo versante interno ed esterno, nelle sue istanze consce ed inconsce.
Una riflessione ulteriore sull’immagine e sulla simbologia del colore verde consente di rilevare che proprio il colore della vita e della vitalità avvolge e ricopre con il suo manto verde la morte violenta di giovani soldati.
Si manifesta una contraddizione tra la vita e la morte, tra Eros e Thanatos, tra la simbologia del “sopra” e del “sotto”, un conflitto tra archetipi che ha sempre suscitato emozioni profonde nell’uomo.
Il contrasto viene mediato e risolto nella trasfigurazione e nella vittoria della croce sulla morte, della vita spirituale su quella materiale, della vitalità verde psichica sulla vitalità nera del nulla, della buona madre che copre e protegge sulla cattiva madre che divora ed abbandona.
La contraddizione trova un’ampia gamma di compensazioni che rende la dialettica dei simboli simmetrica ed equipollente nella sua distribuzione interpretativa.
Nell’ ”Immaginario culturale collettivo” verdi sono anche i prati dell’”al di là”, l’Inconscio dell’anima.
Convivono e si integrano degnamente in un equilibrio di significati la croce ed il prato, la vita e la morte, lo spirito e la materia.
Passiamo a decodificare il significato simbolico dell’impianto geometrico del cimitero con la disposizione reticolare delle croci.
La struttura rappresenta una simbologia di razionalità ed evoca un fantasma collegato all’ordine logico dell’uomo.
Gli schemi della proporzione, della misura, dell’equilibrio, dell’armonia, della simmetria appartengono alla funzione razionale, il cui fantasma si attesta nella freddezza logica.
La ragione é ordinata ma fredda ed occulta il fantasma dell’aridità affettiva ed emotiva.
Nell’analisi dell’immagine del cimitero di guerra essa é espressa simbolicamente dall’impianto geometrico delle croci, una gelida ragnatela associata all’emozione profonda della morte.
Come conciliare i fantasmi di Ragione e Morte, di freddezza logica e di angoscia della fine?
Essi si fondono in un simbolo di nuovo conio: la giustificazione della vita nel suo inevitabile andar verso la morte.
La carica emotiva si stempera proprio sublimandosi nell’accettazione della morte.
Anche in questo caso la dialettica dei simboli si risolve nella tranquillità dell’animo.
Riassumendo, si riconosce che la croce, il prato e la razionalità interagiscono con buona armonia; il discorso simbolico delle immagini si allarga in un sapere filosofico che tocca delicati temi dell’esistenza umana.
I tre fantasmi si integrano reciprocamente, viaggiando dal registro emotivo al razionale, dal simbolico al logico senza contraddizione ed inducendo una serena accettazione.
Il vissuto globale, che l’immagine del cimitero di guerra produce nell’osservatore, è positivo nonostante la tanatocrazia manifesta, perché la buona organizzazione dei significati e delle emozioni riduce notevolmente l’aspetto drammatico e lo sublima in buono, bello e giusto.
Consideriamo l’interazione dell’immagine, registro visivo, con il rettangolo verde Benetton, registro verbale; quest’ultimo si inserisce in maniera estetica e come comunicazione di un messaggio compatibile.
La coesione dei simboli e delle emozioni rende giustificazione dell’”United”.
I “Colors” simbolici sono quelli della parte positiva della vita, della morte e della ragione.
Il rimando alla calibratura cromatica dell’abbigliamento Benetton é plausibile senza vergognose contaminazioni.
L’adeguata combinazione simbolica e culturale ed il vasto ventaglio delle problematiche connesse rendono, quindi, il messaggio pubblicitario del cimitero di guerra efficace e suadente.
Il complesso fantasmico arriva tranquillamente nell’ “Immaginario culturale collettivo” e poi trapassa senza resistenze e censure nell’”Inconscio collettivo archetipico”.
Un ultimo rilievo sulla prevalenza del colore grigio.
Esso é in linea con il vissuto di malinconia riflessiva dei temi profondi rappresentati e condensati.
Il significato simbolico del colore grigio é la neutralità emotiva ed ideale, la libertà da stimoli e da tendenze, una imperturbabilità a conferma soffusa dei temi di fondo dell’immagine.
Trasportato da un’atmosfera grigia l’osservatore può passare alla scelta del prodotto.
Non si poteva trovare una degna conclusione ad un’immagine di apparente semplicità e di naturale vastità.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’IMMAGINE PUBBLICITARIA “BENETTON”       “I PINOCCHI”

L’immagine pubblicitaria in esame presenta su uno sfondo bianco una serie di Pinocchi, cinque marionette identiche nella fattura e diverse nel colore; quest’ultimo oscilla dalla tinta naturale del legno alle sfumature noce ed ebano.
L’immagine è completata dal rettangolo verde Benetton, collocato sul margine destro in basso.
Classiche sono le caratteristiche della marionetta inventata da Collodi e trasmessa
all’ “Immaginario culturale collettivo”: la stilizzazione è ortodossa.
I Pinocchi sono fotografati in una dinamica di fuga dal quadro e scorrono per suggestione visiva verso il lato sinistro.
Con questo espediente è stato impresso all’immagine un certo movimento, che la riscatta dalla staticità e dalla stereotipia delle sagome.
A Oliviero Toscani si riconduce la paternità dell’idea pubblicitaria e dell’artifcio fotografico.
La simmetria grafica dell’impianto è rispettata a tal punto che l’immagine diventa monotona, stucchevole ed infantile.
La decodificazione appare semplice, in quanto verte sul simbolo di Pinocchio e sulla solita interazione con il rettangolo verde Benetton.
I Pinocchi inducono a precisare il significato simbolico della fiaba di Collodi, un condensato della fantasia umana che contiene fantasmi di un certo spessore.
Pinocchio nasce dalla frustrazione della paternità di Geppetto, un vecchio falegname che costruisce un burattino di legno per compensare il suo desiderio insoddisfatto.
Il lungo naso della marionetta ha un significato simbolico di tipo fallico.
L’intervento della fatina, simbolo della parte positiva della madre, concede vita ed intelligenza a Pinocchio, dopo che il padre Geppetto lo ha artificialmente forgiato.
Il pupazzo inanimato è diventato un bambino vivente, ma la sua simbologia profonda è legata alle sue radici e rappresenta la parte inanimata dell’Io o della psiche, il suo essere di legno che viene vitalizzato dalla buona madre fata.
Pinocchio rimanda ad un fantasma psichico profondo e collettivo di inanimazione e di morte, un vissuto sofisticato non legato alla morte fisica ma a quella psichica e riferita alla figura materna.
La parte interiore inanimata di Pinocchio è quella relativa al suo esser orfano di madre.
Quest’assenza richiama il simbolo di una madre mortifera, che non ama e non dà la vita.
In Pinocchio è condensato il fantasma della parte negativa della madre, mentre la parte positiva ha trovato nella fatina il suo surrogato simbolico compensativo.
Si realizza con un’allucinazione il desiderio di Pinocchio di avere una madre.
Egli rappresenta il dramma di tutti i bambini costretti nella normalità ad elaborare ed incamerare il fantasma della madre ed a scinderlo in una parte cattiva ed anaffettiva, strega e morte, ed in una parte buona ed affettuosa, fata e vita.
Pinocchio è un bambino cattivo, perché reagisce a questo vissuto interiore di solitudine ed a quest’angoscia di abbandono che avverte ma non sa razionalizzare.
Pinocchio rappresenta,quindi, un sofisticato fantasma di morte, la morte di una parte del proprio Io, in riguardo al corpo, il burattino, ed agli affetti di base, la psiche.
Ancora una simbologia di morte si presenta nell’immagine pubblicitaria Benetton, un fantasma sofisticato ed indiretto.
Forse lo stesso ideatore non pensava che i suoi pinocchi potessero essere gravidi di tanta carica simbolica.
Nella realtà l’immagine dei pinocchi non crea particolare emozione e non richiama la traumatica fantasmizzazione della nostra prima infanzia, per cui é e resta un’immagine fredda e ripetitiva.
Essa tende a distaccare l’osservatore, piuttosto che ad attrarlo e coinvolgerlo in qualche modo.
Questo vissuto di freddezza é salutare, perché ferma Pinocchio nell’”Immaginario collettivo culturale”; lo stimolo é debole, non risveglia il nostro pinocchio interiorizzato e non evoca il fantasma della parte negativa della madre.
Nel caso contrario l’immagine sarebbe stata traumatica e la sofferenza dell’osservatore sorda e diluita nel tempo.
Le improvvisazioni possono essere pericolose per l’equilibrio psichico.
A questo punto consideriamo l’interazione del rettangolo verde con la simbologia dell’impianto.
Una metonimia spiega che i pinocchi sono colorati come i capi d’abbigliamento della Benetton o che la Benetton produce originali maglioni sfumati in tutte le tinte per bambini discoli come Pinocchio.
I significati si accostano anche nel decodificare che, se la fiaba di Pinocchio appartiene ai bambini, anche l’abbigliamento Benetton é per l’infanzia.
L’interpretazione profonda viaggia per opposto: Pinocchio rappresenta la parte inanimata, scissa ed isolata dell’Io, contrariamente alla sbandierata coesione dei colori Benetton.
Questa complessa decodificazione non entra in gioco nell’effetto pubblicitario.
Quest’ultimo è di relativa efficacia e colpisce nei termini di una fredda e generica curiosità.
Una riflessione finale è opportuna: la Psiche collettiva é bersagliata dal fantasma di morte a tal punto che scegliamo di raccontare la fiaba di Pinocchio ai nostri bambini o ne usiamo l’immagine in pubblicità senza cognizione.
La cultura condiziona e la pubblicità consegue.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’IMMAGINE PUBBLICITARIA “BENETTON”    “LE FOGLIE MORTE SOSPESE SUL PETROLIO”

E’ un’immagine fotografica di Oliviero Toscani idealmente articolata e tecnicamente elaborata, che raffigura un gruppo di foglie colorate d’autunno, staccate dal ramo e galleggianti su una macchia nera di petrolio.
Sul margine destro ed in posizione mediana é inserito il rettangolo verde della Benetton.
L’immagine é di grande effetto estetico e richiama i caratteristici colori autunnali delle colline trevigiane.
I bordi delle variopinte foglie sono evidenziati dalla densità del petrolio greggio, che procura un riflesso cromatico ed un ispessimento del contorno.
Le foglie affondano in parte o totalmente nel liquido denso e ne assorbono la viscosità; alcune mantengono intatto il loro colore, altre lo lasciano trasparire o sono tinte in maniera omogenea di nero.
La macchia di petrolio cromaticamente sfuma dal metallico argentato al nero denso e pastoso.
L’impianto é sottoposto ad un trattamento di luci particolarmente efficace, per cui l’immagine induce nell’osservatore un forte effetto estetico e psicologico.
Nel suo condensare colori caratteristici, effetti speciali e combinazioni originali essa attrae a diversi livelli; la bellezza formale e la ricercatezza tecnica ispirano sin dal primo impatto sensoriale la ricerca dei sofisticati significati simbolici ed il rifiuto a fermarsi alla degustazione estetica.
Si stabilisce una diretta proporzione tra la costruzione formale del quadro e l’esigenza a decodificare dell’osservatore.
L’immagine delle foglie morte sul petrolio esordisce e si delinea sempre più come una decisa provocazione psichica e la sua bellezza incentiva a reperire i significati profondi.
Bisogna riconoscere che l’effetto psichico del “fattore colore” é sorprendente; esso non si esaurisce nel favorire proiezioni ed investimenti soggettivi, ma anche ritrovamenti oggettivi di senso e di significato.
L’impianto acquista una rudimentale funzione di test psicologico e ricorda le macchie del reattivo di Rorschach.
La decodificazione seguirà il seguente ordine per non smarrire la ricchezza dei contenuti:
– interpretazione simbolica delle foglie morte;
– interpretazione simbolica del petrolio;
– interpretazione simbolica dell’insieme “foglie morte e petrolio”;
– analisi dell’interazione del complesso simbolico con il rettangolo verde Benetton.
Le colorate foglie morte dell’autunno nella loro densità fantasmica richiamano l’interazione archetipica tra la vita e la morte.
Esse, infatti, non si riducono ad un simbolo unico ed univoco, ma possiedono un’originalità derivata dalla fusione di parti simboliche opposte: la vita é condensata nel colore delle foglie e la morte nell’essere staccate dal ramo.
Il fantasma di nuovo conio esige che le foglie morte rappresentino la vecchiaia, la senilità colorata dalla residua vitalità e dalla saggezza della vita vissuta.
La terza età é l’anticamera della morte, la progressiva libertà dai legami con la realtà, la preparazione al distacco e la disposizione a ben morire.
Quante esperienze possono raccontare le colorate foglie dell’autunno ai viandanti distratti?
La foglia morta é fondamentalmente il simbolo dell’autunno della vita umana, della vecchiaia, della saggezza,della tristezza riflessiva e della malinconia.
L’angoscia di morte é compensata dalla consolazione della saggezza.
Ma queste foglie affondano e si sporcano nel denso petrolio, restano invischiate nell’unto ed impedite nella residua vitalità.
Può essere esteticamente valida l’associazione tra le foglie morte colorate ed il petrolio, ma sono drammatici il significato simbolico chiaramente tanatocratico e la sensazione di impedimento della vitalità che il liquido nero suscita nell’osservatore.
L’effetto luminoso dell’ispessimento argentato dei bordi delle foglie si trasforma in un’estetica camicia di forza e dà un ulteriore senso di blocco.
L’interazione foglia e petrolio impedisce simbolicamente l’espressione della residua carica vitale legata al colore e dispone progressivamente la psiche dell’osservatore all’angoscia della fine, per cui il quadro acquista drammaticità e mutua una sottile tensione.
La foglia staccata dal ramo affonda nel petrolio, in un nero ineluttabile richiamo verso il “basso”, per cui l’immagine resta esteticamente originale, ma la simbologia perde gran parte del suo iniziale ottimismo e della sua carica sublimativa: la vecchiaia smarrisce il suo colore e si inviluppa nelle nere trame della morte.
Il petrolio é simbolicamente carico di morte, sia per il colore nero e sia per il luogo di residenza, il “sotto” o le viscere della terra, simboli della “parte negativa della morte”, la punizione e la pena infernale.
Il petrolio condensa psicologicamente il blocco delle energie vitali e la prossimità della morte nella precaria vecchiaia.
Il solito fantasma tanatocratico si é chiaramente profilato dopo aver fatto capolino nella simbologia della foglia morta e nel successivo traino della simbologia del petrolio; il nuovo conio fantasmico esprime l’agonia dell’uomo nel cammino verso la parte negativa della morte, il peccato ed il tormento eterno.
La vecchiaia, colorata di saggezza, si é ridotta all’anticamera della morte senza alcuna possibilità di riscatto.
La foglia morta ha una radice simbolica antica, mentre il petrolio, al di là della sua proprietà energetica, desume il significato dalla simbologia del “sotto” e dalla sua natura di materia organica decomposta nell’immenso sepolcro della terra.
Nella formazione del simbolo prevalgono il luogo, la qualità ed il colore, che ne attestano il significato in un ambito decisamente mortifero.
Consideriamo, a questo punto, l’interpretazione ideologica e culturale.
L’immagine denuncia e condanna l’inquinamento indiscriminato e la sistematica distruzione della natura.
L’ecosistema affoga nei mali del progresso tecnologico sotto la pessima regia di un uomo che giustifica gli incommensurabili danni prodotti con la necessità dell’evoluzione scientifica.
I sofferti problemi dell’inquinamento e dello sfruttamento irrazionale delle risorse naturali sono condivisi dalla pubblica opinione e supportate, quindi, dal sistena culturale insieme alle istanze anti-ecologiche del capitalismo industriale.
Questa reale contraddizione matura conflittualità ed ulteriore tensione da impotenza nell’osservatore.
Consideriamo, a questo punto, l’interazione del complesso simbolico con il registro verbale del rettangolo verde,“United Colors of Benetton”.
Appare immediata e chiara la sintonia tra i colori della natura, foglie morte dell’autunno ed il petrolio delle viscere, e la richiamata originalità delle combinazioni cromatiche dell’abbigliamento Benetton.
Anche la fredda pastosità metallica dell’effetto luce rimanda ad un colore originale sicuramente presente nella gamma Benetton.
Questa associazione si sposa in rima baciata con la figura retorica della metafora.
Il meccanismo psichico e culturale, che veicola il messaggio verso le sfere subliminali senza forti resistenze, è il fantasma della “vecchiaia in cammino verso la morte”, originale nella fusione simbolica di foglie morte e petrolio.
E’ opportuno rilevare l’incipiente e crudele uso della terza età e delle problematiche psichiche connesse nella divulgazione di messaggi pubblicitari, un discutibile fenomeno ripreso da altri marchi ed in atto in maniera spudorata in alcuni spot.
L’immagine pubblicitaria delle “foglie morte sospese nel petrolio” imbrocca il filone giusto per essere incisiva ed arrivare nel profondo psichico.
L’originale stimolazione cromatica e l’interazione dei simboli permettono al messaggio di depositarsi nell’”Immaginario culturale collettivo” con dolce attrazione; il fantasma di morte, quindi, funge soltanto da perno pubblicitario in linea con la cultura tanatocratica.
E’ proprio il particolare “effetto colore”che frastorna piacevolmente l’osservatore ed impedisce l’angoscia attraverso la soluzione ideologica ed il meccanismo di difesa della proiezione.
Si tratta di un’immagine poliedrica a forte carica reattiva; il messaggio fascinoso passa attraverso il colorato quadro e lascia emergere i vissuti individuali di natura culturale e personale.
L’effetto pubblicitario è efficace per il modo estetico di proporre il fantasma di morte ed il problema ecologico.
La fissazione del marchio é assicurata.

DALL’IMMAGINE PUBBLICITARIA ALLO “SPOT”

Fino a questo punto sono state decodificate immagini pubblicitarie singole, un solo fotogramma, desunte dalla realtà e da fatti concreti o costruite artificialmente in laboratorio con l’ausilio di tecniche particolari e con effetti speciali.
La Benetton ed in prima persona il fotografo Oliviero Toscani hanno il merito di avere scelto e praticato, senza costosi investimenti e sfruttando il meccanismo della “pubblicità nella pubblicità”, metodologie nuove nelle finalità e nei contenuti: un’apprezzabile rivoluzione nel settore.
L’immagine singola é una poderosa sintesi di sensi profondi e di significati convenzionali, un’efficace mediazione di istanze inconsce e consce, una proficua fusione di contenuti subliminali e coscienti; essa, inoltre, si presta ad un ampio lavoro d’interpretazione proprio perché condensa in pochi segni ed in precise interazioni un’ampia gamma di sapienza pregressa.
Il tema della morte nella cultura tanatocratica ha offerto stimoli, spunti e materia alla metodologia pubblicitaria; esso ha colpito l’opinione pubblica per la novità dell’uso e la sua densità fantasmica si é tradotta in produzioni di vario livello.
Dalle immagini fotografiche sulla morte manifesta o latente, si é passati agli “spot” tantatocratici ed alle sequenze pubblicitarie sulla vecchiaia.
E’ opportuno, a questo punto, definire il concetto di “spot”: una serie di segni organizzati secondo i registri visivo, sonoro, verbale ed in varia combinazione.
Lo ”spot” si usa elettivamente in radio ed in televisione; la prima si serve dei registri sonoro e verbale e lascia la costruzione del registro visivo all’immaginazione dell’ascoltatore, la seconda può adoperare tutti i registri con grande effetto.
Lo ”spot” classico é una serie di immagini dotate di senso ed in successione, che, in maniera logica consequenziale o con il “senso del non senso”, sviluppa una trama per divulgare un messaggio.
Lo “spot” é un testo che si legge all’interno di precisi codici e si spiega in un contesto culturale ben definito.
L’immagine pubblicitaria singola condensa i significati di uno “spot”; quest’ultimo, invece, esplica l’immagine singola in una sequela ordinata di immagini, suoni e significati.
Lo “spot” é analitico e per questa proprietà si può definire una guida alla lettura, all’interpretazione ed alla divulgazione di qualsiasi messaggio.
La sequela di immagini, suoni, scritture e la loro complessa interazione sono per il sistema pubblicitario uno strumento completo ed allo stesso tempo arduo per la variegata gamma di combinazioni che esso implica, un universo tutto da esplorare ed in sintonia con la cultura ufficiale.
Lo “spot” è una decodificazione che rende comprensibile ad una vasta platea anche un messaggio difficile e complesso.
Come l’immagine singola, esso si basa sui meccanismi psico-cognitivi dell’uomo, mentre a livello tecnico instruisce necessariamente una prolissità che se da un lato spiega e divulga, dall’altro lato può rendere stucchevole il messaggio e minarne l’efficacia.
Merita attenzione l’uso del registro sonoro per la proprietà di costruire musiche e ritornelli, che si imprimono con facilità nella memoria dell’utente.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “CAMPARI ”                      “IL MATRIMONIO MANCATO E BENVENUTO IN PARADISO”

Lo spot in esame si snoda in una serie di immagini basata su un assunto crudamente tanatocratico.
E’ opportuna una premessa sul modo di procedere nella decodificazione.
Si fisseranno le immagini più significative per lo sviluppo del messaggio e nodali per l’elaborazione culturale e simbolica; di poi si passerà ad un’analisi esplicativa e ad una valutazione globale.
Lo spot in questione si può sinteticamente definire “il matrimonio mancato e benvenuto in paradiso” e si può ridurre alle seguenti immagini:
– un elicottero vola sopra un fatiscente edificio con bar annesso della periferia di una qualsiasi città degli U.S.A.;
– un uomo tarchiato, con espressione da mastino napoletano ed agghindato a festa, scende da una berlina nuziale, gridando ferocemente tutta sua rabbia in lingua inglese, brandendo una mazza da baseball ed indicando il luogo dove si nasconde la persona ricercata;
– una donna scarmigliata, vestita in abito da sposa e con bouquet in mano, esce dalla macchina imprecando ed esprimendo la sua sete di vendetta;
– un giovane uomo, vestito scompostamente in tight e seduto al bancone del bar con aria preoccupata e rassegnata allo stesso tempo;
– un barista consola il malcapitato avventore, offrendo l’aperitivo in questione;
– un vortice ingoia lo sposo mancato all’atto del bere e lo deposita su una distesa di ghiaccio, probabilmente del polo nord;
– una donna procace e bella, vestita in pelle, accoglie il nuovo arrivato con l’accattivante formula “welcome to paradise” e sorbendo lo stesso aperitivo.
Lo spot é supportato validamente da una musica, registro sonoro, e da effetti speciali adeguati alla drammaticità della situazione rappresentata.
“Il matrimonio mancato e benvenuto in paradiso” é un impianto pubblicitario tecnicamente elaborato in maniera congrua ed originale; altrettanto non si può affermare della struttura psichica di base, in quanto viene usato maldestramente il fantasma di morte.
La trama é la seguente.
Un uomo non mantiene fede alla promessa di matrimonio e nel giorno delle nozze non si presenta in chiesa e fugge.
Viene ritrovato in un bar di periferia e dopo aver sorbito l’aperitivo, discretamente offerto dal barista, viene ucciso con una mazza da baseball dal fratello della sposa; é lecito supporre che quest’ultimo gli abbia fracassato il cranio.
A questo punto l’anima “in carne ed ossa” viene risucchiata da un vortice e si ritrova in una distesa di ghiaccio ed in compagnia di una bella donna dai tratti somatici ibridi, che amorevolmente lo accoglie in questo originale paradiso e con il solito aperitivo in mano, l’onnipotente e famigerato “cocktail” bevuto in terra, in cielo ed in ogni luogo.
Il paradiso é più arabo che occidentale per la sensuale presenza femminile, che allevia il tormento del traumatico trapasso.
Il fantasma dominante é la morte nella “forma violenta” incarnata dalla figura maschile, il fratello della sposa tradita, e nella “forma buona” incarnata dalla figura femminile, la giovane donna; quest’ultima rievoca impropriamente l’archetipo della morte.
Lo schema culturale o il valore sociale di fondo, espresso nell’impianto pubblicitario, é l’istituto del matrimonio, mentre l’omicidio si afferma come pena per chi non mantiene fede alla promessa d’amore, uno schema arcaico e criminale, pur tuttavia presente nell’ “Immaginario culturale collettivo”.
L’esercizio della violenza mortifera appartiene all’universo maschile e rientra nella “Cultura”, mentre la morte buona é dell’universo femminile e rientra nella “Natura”; quest’ultima é una simbologia archetipica che affonda le radici nella legge della Madre e del Sangue: la Madre é signora della Vita e della Morte.
E’ implicita nello spot una dialettica tra “Cultura” e “Natura”, i valori sociali ed i valori del sangue.
Si rileva che la donna, archetipo improprio della morte, é troppo giovane ed ha una sensualità eccessiva che la rende vitalmente femminile e poco materna.
Il ghiaccio é il simbolo del gelo della morte, un rafforzamento della tanatocrazia dell’impianto.
Il vortice rappresenta simbolicamente la “regressione”, inclusa nell’esperienza della morte, al grembo materno, che protegge dall’angoscia della fine.
Particolarmente truci sono la mazza da baseball come strumento di morte ed il tipo di morte.
Ci chiediamo, a questo punto, che relazione può esistere tra l’aperitivo, che consola sempre e dovunque, e la morte, che colpisce in vita e consola successivamente, alla luce del fatto che la struttura culturale concilia il positivo dell’istituto matrimoniale con il negativo dell’efferatezza dell’omicidio come pena di una colpa e si serve, inoltre, di un archetipo alterato, la giovane donna.
Si può desumere con un certo azzardo l’uso della figura retorica della “metonimia”, relazione di significato, nella fusione della figura femminile con la morte buona e nella capacità consolatoria dell’aperitivo e della donna.
La connessione di un valore e di un disvalore all’interno di una cruda cornice tanatocratica rende l’operazione pubblicitaria un maldestro tentativo di imprimere un marchio attraverso la parte negativa della cultura: l’omicidio dello sposo fedifrago.
Lo spot é globalmente viziato dalla figura retorica dell’”iperbole” ed in particolare nell’esaltazione di schemi criminali della cultura metropolitana ed il suo uso non si riduce ad una nobile denuncia, bensì ad un indiretto avvallo.
A livello di concezione scientifica lo spot é improvvisato, precario e malamente messo insieme senza cognizione di causa e sensibilità sociale.
E’ apprezzabile l’artificio tecnico, ma non é sufficiente a divulgare e ad incrementare le vendite, perché il messaggio arriva nell’”Immaginario culturale collettivo” e viene rifiutato in blocco; lo schema tanatocratico, infatti, non è in alcun modo condivisibile ed instruisce una barriera di resistenze.
L’uso della lingua inglese nelle imprecazioni del fratello della sposa e nello slogan di fondo “welcome to paradise” ha una funzione difensiva, in quanto tende ad alleviare la crudezza dei vissuti, distraendo l’osservatore con lo stimolo a costruire il senso ed il significato delle immagini.
L’artificio non é sufficiente a salvare lo spot dal naufragio dell’approssimazione.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “VIGORSOL”              “LA TRAGICA VINCITA ALLA LOTTERIA ”

Lo spot in esame si risolve nelle seguenti immagini:
– un giovane uomo grassoccio si reca allegramente nella sede di estrazione dei numeri della lotteria americana, tenendo in mano la ricevuta del gioco ed un pacchetto di confetti da masticare;
– un locale affollato di gente che attende l’evento;
– il simpatico personaggio si siede e si dispone alla fortuna mettendo in bocca un confetto;
– inizia l’estrazione ed i numeri vengono scanditi in lingua inglese da una voce fuori campo;
– ghigni di disappunto del nostro personaggio, che continua a masticare, mentre un signore, seduto dietro di lui, sobbalza e singhiozza ad ogni numero estratto per la cospicua vincita che gli si prospetta;
– quest’ultimo, nella piena espressione della sua gioia, esce dal locale e viene letteralmente schiacciato da un’automobile che gli piomba addosso dall’alto dell’edificio;
– la riflessione finale sul fatto che una gomma da masticare può cambiare il gusto della vita.
La trama dello spot é chiara come le sue sentenze: a grandi fortune si associano grandi sventure ed una gomma non porta fortuna nel gioco, ma allunga e migliora la vita.
Il fantasma di morte domina l’impianto pubblicitario in maniera “schiacciante”, per usare un gioco di parole in linea con l’esito finale.
La valutazione globale rileva una tanatocrazia violenta, sgradevole ed ingiustificabile nella sua enfasi; l’esagerazione del tema e dell’effetto induce l’osservatore a rifiutare nettamente le immagini ed il loro crudo significato sulla scia della raccapricciante sensazione indotta dal tipo di morte e dalla repentina sorpresa.
Si tratta di immagini aspre al primo impatto e tollerabili nelle successive visioni, che portano l’osservatore a difendersi con il rifiuto in blocco del messaggio e del prodotto, dal momento che non riesce a ridicolizzare il contenuto perché il fantasma di morte é diretto e immediato.
Quest’ultimo, infatti, non é supportato da alcun archetipo o valido simbolo, per cui la costruzione dello spot é concettualmente poco pregnante e priva di significati profondi.
L’articolazione ideologica delle immagini risulta elementare nelle sue linee di senso e di significato, oltre che nei nessi.
In assenza di simboli arcaici di un degno spessore consideriamo gli schemi culturali: il gioco, il rischio, la fortuna e la superstizione.
L’interazione di questi segni si conclude con la dialettica della morte tragica e della sopravvivenza, entrambe espressioni di un sentire superstizioso che fa coincidere la massima fortuna, la vincita alla lotteria, con la massima disgrazia, la morte, e la sfortuna nel gioco, la perdita dell’investimento fatto, con il massimo bene, la sopravvivenza e la scoperta del vero gusto della vita.
Si tratta di un classico e diffuso schema culturale a prevalenza emotiva e magica, in base al quale é preferibile e proficuo vivere ed essere sfortunato nel gioco.
L’effetto esorcistico dal male della morte e consolatorio é dato da una gomma da masticare.
La superstizione popolare esige che tutto si compensi in maniera equa e nel tempo, anche se nella sintesi dello spot queste dinamiche sono immediate.
La figura retorica della metonimia regola l’impianto: il gusto del confetto da masticare ha un’affinità di significato con il gusto della vita priva di fortuna nel gioco.
Esiste un’antitesi tra la vita e la morte, basata sull’associazione tra sfortuna-confetto gustoso e fortuna-tragica fine.
Concezioni elementari, sensazioni dure ed effetti truculenti rendono lo spot di pessimo gusto ed inefficace, nonostante il suo debole tendere verso l’ “Immaginario culturale collettivo”con lo schema della superstizione.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “LAVAZZA”               ”IL CAFFE’ IN PARADISO”

Il gruppo industriale Lavazza ha seguito con oculatezza ed ha praticato con efficacia la lezione Benetton sull’uso del fantasma di morte in pubblicità.
Si può anche affermare che l’allievo ha superato il maestro, dal momento che la serie degli spot é validamente ancora in atto e non mostra segni di decadimento.
L’ideazione delle immagini mantiene una buona coerenza nella progressiva elaborazione dell’assunto di base, la tanatocrazia, e nel toccare i delicati settori psichici e culturali, i fantasmi ed i valori.
Si rilevano, inoltre, una chiara coscienza ed una precisa conoscenza della metodologia scelta e sperimentata in tanti anni di lavoro; esse hanno evitato incresciosi incidenti da improvvisazione ed improvvide forzature da megalomania.
L’idea pubblicitaria é stata portata avanti con apprezzabile omogeneità e senza scadere nella stucchevolezza ripetitiva.
La Lavazza ha supportato i suoi messaggi con la bravura di un famoso attore, Tullio Solenghi, il quale ha interpretato “l’anima in carne ed ossa”di un simpatico giovane che non si é rassegnato alla vita spirituale in un paradiso privo di alcuni piaceri della vita mortale.
Si può affermare che il protagonista non ha del tutto accettato la morte e le dimensioni celesti, per cui mantiene ed esibisce un gradevole ricordo, privo di nostalgia, della vita: il paradiso é sempre auspicabile rispetto alla vita terrena.
Rileviamo, a tutto vantaggio della bontà dello spot, l’assenza di dolore nel modo di offrire i desideri del tempo passato.
Un altro importante personaggio é san Pietro, rappresentato da un attore conosciuto dal grande pubblico grazie a questa pubblicità: Riccardo Garrone.
Il principe degli apostoli ha la classica funzione del maestro e del consolatore, nonché il prioritario ruolo di intermediario del Padre eterno: il tramite per eccellenza tra Dio e le anime del paradiso.
Questi sono i personaggi principali della pubblicità Lavazza; ad essi si possono associare di spot in spot figure minori e congrue con la trama delle immagini: il fornitore napoletano di caffè che protesta per il mancato pagamento delle forniture, la bella donna da sedurre che si indispettisce per le banali strategie umane della seduzione, la bagnante carina ed il suo armadio come amico che ha bisogno di un caffè doppio per la sua mole ed altre simpatiche espressioni di varia umanità, spiritualizzate per esigenze di copione.
Un comune denominatore degli spot é il gusto della “gag”, della comicità disimpegnata, della satira bonaria e dell’ironia sottile in un quadro di accessibile semplicità e di facile comprensione.
A questo punto consideriamo il teatro ed il canovaccio su cui si sviluppano le immagini e si recita il fantasma di morte.
Tra le bianche e morbide nuvolette del cielo esiste il paradiso, il luogo per eccellenza dove le anime vivono la beatitudine in compagnia di Pietro; una di esse non si mostra del tutto adattata e denota un’insoddisfazione che la porta bonariamente a trasgredire nella ricerca consolatoria di un gustoso caffè Lavazza e nel rievocare i piaceri della vita.
Di fronte ai benevoli rimproveri del complice Pietro, il nostro personaggio si difende proprio cadendo dalle nuvole e con la caratteristica ed accattivante espressione, ”ma allora ditelo, eh !”.
L’assoluzione alla trasgressione e la gioia finale sono ripristinate, insieme agli equilibri turbati, da un buon caffè bevuto in compagnia.
In un solo caso e per motivi contingenti il nostro personaggio é audacemente sceso dal Paradiso in Purgatorio per assistere ai campionati mondiali di calcio con le anime in attesa della purificazione definitiva, efficacemente rappresentate in bianco e nero e punite con la telecronaca differita di decenni delle partite.
Questo é lo schema che si sviluppa all’interno di un assunto tanatocratico diretto e secondo trame diversificate.
Extrapoliamo e decodifichiamo gli archetipi ed i simboli del contesto.
In primo luogo l’archetipo dell’ ”Alto”o del “Sopra”, che rappresenta la sede del divino e comporta il meccanismo psichico della “sublimazione”.
In questa cornice si presenta e si giustifica la simbologia del paradiso, come luogo della vita eterna e spirituale dopo la morte, giusto premio per gli uomini di buona volontà che hanno assimilato e praticato la fede cristiana con tutto il corredo dei suoi valori culturali e sociali.
L’angoscia di morte, intrinseca al fantasma rappresentato, viene sublimata dall’archetipo dell’”Alto” o del paradiso, per cui l’impianto pubblicitario non mutua vissuti negativi e non viene rifiutato, ma si deposita nell’”Immaginario culturale collettivo” e trapassa nell’”Inconscio archetipico” senza resistenze difensive proprio per questa sua attraente sintonia psichica e culturale.
L’effetto pubblicitario é tecnicamente massimo.
La simpatia dello spot ed il sorriso indotto nell’osservatore rafforzano la carica di suadenza dei messaggi e mettono in secondo piano l’aspetto trasgressivo dell’uso della religione cristiana per un fine pubblicitario; l’operazione non viene vissuta come blasfemia, ma come simpatica evocazione di contenuti etici e religiosi, sicuramente impropria e non sacrilega.
L’osservatore aderisce al messaggio sulla scia della divertente trama e trascinato dall’umanità dei suoi personaggi.
La “gag” in salsa diversa prevale sull’offesa al senso religioso.
Si pone, a questo punto, il problema della relazione di significato tra la vita beata in paradiso ed un buon caffè bevuto sulla terra, residuo di un piacere classicamente umano.
Il caffè condivide con lo stato di paradisiaca beatitudine proprio il piacere: una metonimia scorre tra il piacere spirituale del paradiso ed il piacere materiale del caffè.
La Lavazza produce sulla terra un caffè paradisiaco e compatibile con la vita beata.
Una buona tazza di caffè Lavazza accresce e completa la beatitudine spirituale.
E’ posta una sintonia concettuale, metonimia, tra il piacere dello spirito ed il piacere del corpo nella rappresentazione di un caffè sorbito in paradiso.
Si é così profilato uno spot tanatocratico, ampiamente compensato dalla simpatia dei contenuti e dall’umanità dei personaggi, proprietà che fanno smarrire il senso della morte e la sua angoscia a favore di una dimensione spirituale che non é una parodia religiosa, ma un modo di inserire un messaggio pubblicitario nella psiche collettiva in maniera efficace ed immediata.
Qualche contraddizione logica negli spot é ininfluente e va ampiamente assolta.
Una leggera caduta di stile é stata l’incipiente crescita delle ali, le alucce, al personaggio principale; per il resto si tratta di una pubblicità buona e delicata nel difficile settore tanatocratico.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “SEGAFREDO”       “IL CAFFE’ ALL’INFERNO”

Ribadendo il concetto che la funzione pubblicitaria attesta il suo valore nel fissare a livello subliminale – nelle sfere psichiche profonde situate sotto il limite della coscienza – un messaggio ed un bisogno e non solamente nel divulgare il marchio di un prodotto, dopo aver rilevato che in tale operazione il fondato uso del fantasma di morte sortisce un chiaro successo, si può valutare in termini critici lo spot Segafredo “il caffè all’inferno”.
L’impianto pubblicitario si riduce nelle seguenti immagini:
– diavoli apparentemente crudeli e “diavolesse” procaci, in costume ed in ambiente infernali, frustano le pallide anime dei dannati e divorano con gusto cosce di pollo tra lamenti, fiamme e fumo;
– entrano in scena Belzebù, vestito classicamente da principe dei diavoli, ed un visitatore in carne ed ossa, vestito in maniera sgargiante;
– uno scambio di battute tra i due personaggi precisa che si tratta del girone dei golosi, che il pollo é cucinato “alla diavola” secondo la specialità della casa, che si tratta di un vero tormento incompatibile con una trasmissione televisiva e che é proprio il caso di riequilibrare la situazione offrendo ai dannati almeno un caffè;
– con il coro dei ”magari” da parte di questi ultimi, la proposta viene accettata;
– segue il coro “ Segafredo moment ”con coreografia incorporata e le anime, dopo aver tanto sbavato, bevono finalmente un caffè e godono di un momento di pace;
– il visitatore chiede a Belzebù un giudizio sul gusto dell’”espresso casa” ed alla risposta “divino”si sente un forte tuono provenire dall’alto.
La trama dello spot é chiara, come il riferimento alla “Divina commedia” di Dante: il visitatore, l’inferno, il girone dei golosi, il principio del contrappasso ossia la corrispondenza, per contrasto o somiglianza, delle pene dei peccatori con le colpe commesse in vita.
La novità concettuale consiste nel fatto che il visitatore perora la causa dei dannati ed ottiene il premio di un caffè con musichetta e coro in tanto tormento di fame e di fiamme.
Se il richiamo al massimo poeta italiano ed alla sua opera può essere apprezzato, non altrettanto si può fare del richiamo alla pubblicità Lavazza.
I diritti di priorità nel settore pubblicitario hanno una drastica validità, per cui la libera ed immediata associazione dello spot Segafredo alla serie Lavazza, alla luce della similarità dell’impianto tanatocratico e per il contrappasso inferno – paradiso, non produce investimenti da parte dell’osservatore, il quale valuta e vive il testo pubblicitario come una volgare imitazione di schemi ed una puerile parafrasi di contenuti.
Lo spot dimostra la sua inconsistenza nell’ideazione: non é originale ed é nettamente a rimorchio di una valida serie pubblicitaria.
Esso é, inoltre, precario ed approssimativo nella metodologia, in quanto usa il fantasma di morte senza cognizione di causa ed effetto; essendo, infatti, costruito in riferimento al lavoro della Lavazza, il quadro pubblicitario non esibisce consapevolezza e conoscenza delle strutture psichiche coinvolte e del linguaggio simbolico usato.
Lo spot risulta pesante ed ingombrante nella sua prevedibile enfasi, scontato e ripetitivo nel registro verbale e nelle sue coreografie.
L’effetto pubblicitario é nullo nel proprio, molto efficace nell’altrui: la Lavazza ringrazia la ditta concorrente Segafredo per il regalo offerto con l’aver costruito la sua pubblicità in riferimento alla propria.
Esistono esagerazione nella ricerca di simpatia e forzatura nella prevedibilità delle battute; i personaggi sono, inoltre, obsoleti e gli scenari puerilmente carichi di fumo convenzionale.
La tanatocrazia diventa risibile e non accede neanche all’ ”Immaginario culturale collettivo” soprattutto per il suddetto ”effetto traino”; il fantasma di morte non è un supporto valido per l’assimilazione del messaggio.
Eppure il valore del poliedrico Renzo Arbore, protagonista dello spot nei panni del visitatore, è fuori discussione, ma non é bastato a salvare l’impianto pubblicitario dal completo naufragio.
In altre simili esperienze lo “show man” si è rivelato inappuntabile: vedi la birra ed il famoso slogan “meditate gente, meditate”.
In questo desolato contesto il valore di un uomo di spettacolo non basta, anzi accresce la delusione dell’osservatore, il quale non tollera il basso livello del prodotto pubblicitario e punisce il marchio.
Consideriamo, a questo punto, la componente simbolica ed il registro culturale.
E’ presente l’archetipo del “Sotto” o del “Basso” nell’”Inferno”, il luogo della morte e della punizione eterna, un simbolo collettivo a forte valenza emotiva, anche se presentato in maniera risibile.
A livello religioso l’”Inferno” comporta il peccato ed a livello culturale la trasgressione a Dio ed alle sue leggi: una deroga ai valori sociali della religione cristiana.
Si assolvono volentieri le anime per i peccati di gola, ma la loro permanenza nell’inferno é antitetica ai valori cristiani.
Essendo presenti diavoli, “diavolesse” e peccatori non si avverte il senso del sacrilego, anche se qualche censura religiosa può suscitare il richiamo finale a Dio tramite il tuono, espressione simbolica di rabbia e di punizione da parte di un padre giudice severo.
Procedendo nell’analisi si trova il simbolo del “tramite”, il visitatore che scende a visitare l’inferno ed intercede presso l’autorità costituita di Belzebù, il capo degli angeli ribelli, per ottenere un piacere alle incipriate anime dei dannati.
Belzebù é il simbolo della ribellione a Dio, del peccato dei sensi e le diavolesse richiamano la concezione negativa della donna, legata alla colpevolizzazione della forte carica sessuale femminile.
Questi temi rientrano nell’”Immaginario culturale collettivo” e possiedono una certa suscettibilità, nonostante siano toccati con stucchevole ilarità.
L’unica tesi originale é il limite che i mass media hanno nella divulgazione dei messaggi e delle immagini; questo tema giustifica la concessione di bere un buon caffè.
Ma l’osservatore non considera il quadro nella sua completezza e lo censura immediatamente in quanto imitazione della pubblicità Lavazza; di poi instaura un confronto e privilegia i diritti della primogenitura.
La tanatocrazia diretta della spot, l’inferno ed il tormento, non mutua angoscia perché non viene considerata ed assimilata.
Il fantasma di morte si annacqua e l’operazione psichica diventa inefficace perché non si innesca.
In conclusione consideriamo la relazione tra inferno e caffè e la figura retorica usata nello spot.
Il caffè serve a consolare le anime, un breve piacere in un luogo di eterno dolore, per cui si riscontra una metonimia, una chiara e contingente assonanza di significato.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “PARMIGIANO REGGIANO”  “L’ANIMA CONTESA E IL TRIONFO DELLA VITA”

Lo spot in esame si contraddistingue per la congrua elaborazione della dialettica “vita – morte” e per l’efficace risoluzione in un liberatorio sberleffo da parte di un personaggio, il vecchietto, attraente in ogni senso.
L’impianto pubblicitario si può definire “l’anima contesa ed il trionfo della vita”.
Esso ha un chiaro riferimento alla “Divina commedia” di Dante nella diatriba tra diavoli ed angeli sul possesso di un’anima, presenta equilibrio nell’ideazione ed equipollenza nelle psicodinamiche, perché la concezione, la struttura, la tecnica ed i contenuti sono in sintonia evolutiva.
In modo specifico é degno di apprezzamento lo sviluppo dell’angosciante scena iniziale, il vecchietto sul letto di morte con l’esibizione immediata e diretta del fantasma, in quella finale estremamente liberatoria, il “tiè e vaffanculo”ai diavoli ed alla morte, contenuti nell’armadio del male, con il convenzionale ed azzeccato gesto.
L’osservatore inizialmente entra in tensione, poi sorride ed incamera il messaggio senza instruire alcuna resistenza; le fasi intermedie dello spot preparano l’effetto sorpresa ed il riscatto conclusivo.
L’idea attraente della trama, la solida costruzione psico-culturale, l’efficace tecnica e la carica di simpatia e tenerezza del protagonista rendono ampia ragione della bontà del quadro pubblicitario e del successo divulgativo.
La presenza diretta ed immediata del fantasma di morte, la difficoltà di compensare gli investimenti psichici dell’osservatore e la necessità di distribuire le cariche emotive in un crescendo catartico sono state ben risolte in un contesto organico ad ogni livello, per cui lo spot sortisce un giudizio pienamente positivo.
La trama si snoda nelle seguenti immagini:
– un vecchietto, dal colorito pallido e dall’espressione rassegnata, é disteso sul letto di morte, attorniato dai familiari in un ambiente funereo;
– dall’armadio, posto di fronte al letto, escono due diavoli, classicamente abbigliati in rosso ed avvolti di fumo con corna e tridente nero, che con gesti ammiccanti invitano il vecchietto chiaramente all’inferno;
– atterrito dalle allucinazioni il moribondo chiama la figlia al capezzale, bisbiglia nel suo orecchio
qualche parola e con un semplice gesto chiede un pezzetto di un qualcosa;
– la scena si sposta nella cucina della casa con il primo piano di una forma di parmigiano reggiano, da cui la figlia stacca con il coltello una consistente scaglia per offrirla al padre;
– il vecchietto la prende in mano e la gusta, i diavoli si impauriscono e scompaiono e dalla base del letto salgono due angeli celesti tra nuvolette altrettanto celesti con arpa dorata e melodia celestiale, che lo vogliono in paradiso;
– si passa alla scena finale dei due operai che portano via l’armadio e del vecchietto, seduto dietro il mobile per l’appunto ed in perfetta efficienza psicofisica, che rivolge con decisione lo sberleffo del “tié e vaffanculo” ai demoni imprigionati ed alla morte scampata, incrociando in modo particolare il braccio destro con la mano sinistra all’altezza del gomito.
Analizziamo la trama: un vecchio sta per morire e, dopo la paurosa allucinazione dei diavoli che lo vogliono portare all’inferno e degli angeli che lo vogliono portare in paradiso, chiede alla figlia come ultimo desiderio un pezzetto di parmigiano reggiano, buono e miracoloso in quanto trasforma i diavoli in angeli e gli restituisce la giusta vitalità per sconfiggere la morte; dopo essersi ristabilito in perfetta forma, si libera superstiziosamente dell’armadio e del suo pessimo contenuto.
Si rileva, ancora una volta, l’effetto simbolicamente prodigioso del parmigiano reggiano, che con le sue proteine dà vitalità al corpo e con il suo carisma esorcizza la morte: il tutto all’interno di una trama garbata e gradevole.
La decodificazione della tanatocrazia si scinde nei due fantasmi della “morte cattiva”, rappresentata dai diavoli, e della “morte buona”, rappresentata dagli angeli.
Viene usato in maniera diretta un archetipo, la Morte, ed il pericoloso meccanismo psichico della scissione, “splitting”, del fantasma di morte nella “parte negativa” e nella “parte positiva”.
I contenuti profondi interagiscono nel quadro senza effetto traumatico, trainati in progressione dalla carica di simpatia che riduce notevolmente l’angoscia senza ridicolizzarla, ma risolvendola nella capacità esorcistica del formaggio e nella vincente furbizia del vecchietto.
L’archetipo della morte viene offerto in maniera scissa e compensata; anche l’enfasi che accompagna le figure diaboliche ed angeliche, interpretate dai bravi fratelli Ruggeri, si distribuisce sotto il comune denominatore della “simpatia”, intesa proprio nel senso etimologico di partecipazione emotiva ai vissuti rappresentati ed alle reazioni innescate nel quadro.
E’ da rilevare che la scena iniziale è particolarmente lugubre ed ansiogena; essa induce una netta repulsione che si riscatta e si sublima nel susseguirsi delle immagini, per cui serve a catturare l’attenzione dell’osservatore ed a premiarla con la sentita trasgressione dello sberleffo finale senza alcuna concessione alla volgarità.
Gli angeli ed i diavoli, pur essendo simboli squisitamente religiosi, non richiamano ideologie d’angoscia o confessioni specifiche.
Le forme fantasmiche della morte sono sconfitte nella risoluzione finale del trionfo della vita e della vitalità, a metà proteica ed a metà esorcistica, insito nel prodigioso parmigiano reggiano.
La simbologia culturale si attesta nel valore del benessere psicofisico, che viene esibito nel contrasto dell’immagine incisiva del vecchio in punto di morte e dell’immagine suadente del vecchio in perfetta salute.
L’armadio é un simbolo femminile negativo in quanto contenitore del male.
Esso richiama l’ambiguità fantasmica del grembo materno, che può dare la vita e la morte; l’asporto dell’armadio costruisce una simbologia catartica ed un vissuto liberatorio nel crescendo della vittoria della vita sulla morte, della vitalità sull’inerzia.
A livello di “Inconscio collettivo” si coglie e si fissa lo schema infantile ed onnipotente della sopravvivenza, sopraffazione della vita e negazione della morte, mentre a livello di “Immaginario culturale collettivo” si struttura il corredo dei valori legati al benessere psicofisico, star bene come necessità.
Le figure degli angeli e dei demoni, come si diceva in precedenza, non acquistano valenza religiosa o metafisica, ma sono espressioni di morte contrapposte al valore della vita e della vitalità, rappresentato ed oggettivato nel parmigiano reggiano.
Si spiega in tal modo la figura retorica della “metonimia” che corre tra i significati della vitalità energetica e del piacere di vivere, entrambi condensati nel miracoloso e gustoso parmigiano reggiano e nel vecchietto arzillo e superstizioso.
Si tratta di una buona ed accattivante pubblicità che istiga l’osservatore a diventare consumatore non solo attraverso l’assimilazione del messaggio a livello di “Immaginario culturale collettivo”, ma soprattutto con l’inscrizione subliminale, dal momento che il fantasma di morte fissa il messaggio in maniera suadente nell’”Inconscio archetipico”.
E questo é il fine di ogni forma pubblicitaria che si rispetti.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “COCA COLA“             “I CUBETTI DI GHIACCIO“

Lo spot “Coca cola” dal titolo “i cubetti di ghiaccio” é semplice nella realizzazione, complesso nell’ideazione ed articolato nella psicodinamica; in questi due ultimi settori esso manifesta una precisa coincidenza con l’impianto pubblicitario “Parmigiano reggiano” – “l’anima contesa ed il trionfo della vita”-, analizzato in precedenza.
La similarità evolutiva dei simboli, pur tuttavia, non si traduce in un’imitazione, come nel caso della Segafredo in riferimento alla Lavazza, perché il lavoro in questione non richiama all’osservatore altre operazioni pubblicitarie.
E’ vero che il tema e l’ambito tanatocratico sono identici in tutti gli spot, ma é il variare della simbologia e della combinazione dei segni che pone le condizioni per innescare psicodinamiche originali o convenzionali, incisive o precarie.
Lo spot dei “cubetti di ghiaccio” non risulta, quindi, similare allo spot dell’”anima contesa ed il trionfo della vita”, anche se l’itinerario concettuale é identico: “dalla morte alla vita”.
Le immagini significative sono le seguenti:
– una celletta frigorifera contiene dei cubetti di ghiaccio, che si animano ed esprimono il desiderio di finire in un bicchiere di frizzante coca cola;
– una donna li preleva dal congelatore e, liberati dal recipiente, essi si tuffano allegramente nei bicchieri con un coro di felicità;
– un registro grafico e sonoro recita lo slogan “sempre coca cola”.
La trama e la costruzione tecnica sono di una semplicità estrema.
Estrapoliamo i simboli ed interpretiamo le psicodinamiche.
Il fantasma di morte é indiretto e triplicato nella sua espressione e nella sua carica emotiva.
Esso é condensato nella celletta frigorifera, nella costrizione del contenitore e nel ghiaccio.
Il primo evoca il loculo per l’inumazione dei cadaveri, il secondo richiama la bara ed il “rigor mortis” ossia il blocco della vitalità, il terzo permette l’associazione del freddo alla morte.
L’esordio pubblicitario delle immagini é decisamente carico, per cui il quadro necessita di immediate compensazioni, facilitate dal fatto che la decodificazione dei simboli é mediata ed il vissuto é progressivo.
L’animazione dei cubetti e l’espressione verbale del desiderio, attraverso una serie di secche lamentele,-” mi sto rompendo”, “ho voglia di divertirmi”, “nessuno ci porta a tavola”, “speriamo che ci sia la coca cola”,- riscattano in maniera repentina la psicodinamica, allentando la carica emotiva.
Soprattutto l’espressione del desiderio esorcizza il massiccio fantasma di morte; i cubetti di ghiaccio, simboli di morte, hanno realizzato la “conversione nell’opposto”, la vita nella sua accezione di vitalità, secondo un meccanismo psichico usato ampiamente dall’uomo nel sogno notturno.
La vitalizzazione dei cubetti é tripla nel loro animarsi, esprimersi e desiderare, per cui l’equilibrio concettuale ed emotivo viene subito ripristinato in maniera originale e con lo stesso oggetto. L’osservatore non ha il tempo di vivere la pesante sostanza fantasmica del quadro, la morte, perché viene distratto e pilotato verso il fantasma opposto, la vita, rappresentato dagli stessi cubetti di ghiaccio attraverso l’artificio dell’animazione e secondo la legge poetica del contrappasso.
Nel passaggio “dalla morte alla vita” si realizza in un crescendo vitalistico il desiderio dei cubetti di ghiaccio, che é appunto quello di rinfrescare una bibita gustosa e frizzante come la coca cola.
Il messaggio é culturalmente chiaro ed esprime il piacere di soddisfare un bisogno, indotto dalla civiltà dei consumi e sostenuto dalle sensazioni di freschezza e di gusto: lo spot ha una forte valenza cenestetica, sensoriale, rafforzata dalla diffusione del sapore del prodotto.
Il piacere legato alla soddisfazione del desiderio dei cubetti di ghiaccio é associato al piacere della bibita gasata, per cui si coglie la figura retorica della metonimia, una condivisione di significato, in particolare nel piacere vitalistico della freschezza e dell’effervescenza, simboli di vitalità e di benessere.
Il fantasma iniziale dello spot si é convertito alla fine nel suo opposto senza instruire resistenze nell’osservatore grazie alla perspicacia della costruzione.
Il messaggio é particolarmente incisivo, perché induce sensazioni che rafforzano il suo ancoraggio nell’”Immaginario culturale collettivo”.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO“TRONY”                    “LA MORTE DISOCCUPATA”

Lo spot in esame si lascia apprezzare per l’ambiguità interpretativa e per la caduta di una simpatia forzata nel senso del ridicolo.
L’impianto pubblicitario é, inoltre, metodologicamente improvvisato e dinamicamente mal costruito al punto da risultare equivoco nel significato di base.
Queste caratteristiche possono essere proficue in altri settori del sistema pubblicitario, ma non nell’ambito tanatocratico, perché l’uso del fantasma di morte esige non solo oculatezza nel dosaggio e nella forma, ma soprattutto chiarezza nella comunicazione del significato per evitare che l’osservatore si carichi di ulteriore tensione non comprendendo il messaggio; in tale situazione conseguirebbe inevitabilmente il rifiuto di tutto il blocco secondo meccanismi naturali di difesa.
Dopo questa premessa é opportuno rilevare che lo spunto dello spot Trony in esame, ”la morte disoccupata”, é di natura socio-culturale, una causa di per se stessa nobile perché affronta il problema della sicurezza degli apparecchi elettrici alla luce dei tanti incidenti mortali che quotidianamente colpiscono le donne nel lavoro domestico.
Viene pubblicizzata, infatti, la soluzione tecnica Trony senza enfasi diretta, ma con una deleteria ambiguità di base, con esagerazioni fantasmiche e con umorismo obsoleto.
Consideriamo la trama dello spot nelle principali immagini:
– una figura maschile incappucciata e pallida, con mantello nero ed armata di classica falce, nella fattispecie la Morte, bussa alla porta di una casa;
– una giovane donna apre senza manifestare alcuna paura ed alla precisa richiesta di consegnare qualcosa nega con decisione, precisando che si tratta di un errore;
– all’obiezione ”dicono tutte così”, la signora mostra la garanzia Trony, che sorprende ed irrita la Morte al punto di chiederle di metterla via;
– viene divulgato il messaggio pubblicitario Trony;
– autoironia della Morte, “ potrei morire per questo” o “é la morte sua”, in riferimento a situazioni contingenti;
– la morte esce dalla casa e con finali diversi o incrocia un collega e si lamenta del fatto che non c’é più lavoro o riceve un comprensibile diniego da una vecchietta che aveva invitato a salire in ascensore.
Sia benvenuta la Trony con i suoi sistemi di sicurezza, ma la sua pubblicità é maldestramente costruita, perché, nel giusto tentativo di essere incisiva, usa il fantasma di morte ed incorre in un fallimento.
Nel delineare le immagini pregnanti si è evidenziata un’ambiguità di fondo nel significato del messaggio, quanto meno una generica difficoltà a comprendere il senso dei nessi.
Ma decodifichiamo i simboli ed analizziamo le interazioni per arrivare all’interpretazione del quadro.
In primo luogo il fantasma di morte viene offerto in visione immediata ed in maniera diretta, ma soprattutto in versione maschile.
L’impatto emotivo dell’osservatore è improvviso e l’archetipo è costruito in maniera errata, perché é l’universo femminile ad incarnare simbolicamente la Morte con la falce: l’archetipo classico della Morte é femminile, la “morte buona”o la “parte positiva della morte”.
La versione maschile é qualitativamente aggravante e comporta un ulteriore carico d’angoscia, in quanto il principio maschile simbolicamente condensa il significato della crudeltà e della violenza: la “morte cattiva”o la “parte negativa della morte”.
Anche la falce acquista un diverso significato nella versione maschile e femminile: nel primo caso é un simbolo fallico e uno strumento classico di dolore fisico, nel secondo caso è simbolo di necessità ed uguaglianza.
Un archetipo errato ed un aggravio d’angoscia giustificano un pessimo esordio e comportano la reazione difensiva di distacco da parte dell’osservatore.
Dopo l’iniziale guasto nella comunicazione subentra il valore culturale, sociale e civile dello spot: la tutela della vita della donna nel generoso lavoro domestico.
E’ un problema abbastanza sentito dalla pubblica coscienza, per cui la Trony ha i meriti di inserirsi efficacemente nella delicata questione e di risolverla.
Il successo pubblicitario poteva essere garantito soltanto da questo nobile e interessato fine e dall’aver toccato il problema “sicurezza domestica”a metà tra la “pubblicità profitto” e la “pubblicità progresso”, ma l’eccesso emotivo e l’errore di codice in riguardo al fantasma di morte hanno irrimediabilmente compromesso il buon esito dello spot.
Il punto morto per eccellenza dell’impianto é, pur tuttavia, l’ambiguità del messaggio o la difficoltà a capirne il senso e il significato.
La questione si pone nel seguente dilemma: la Morte cerca e vuol portar via con sé le donne che non usano gli elettrodomestici targati Trony o cerca e vuol portar via con sé i vecchi e pericolosi elettrodomestici privi di sicurezza Trony per salvare le donne dal pericolo della folgorazione?
La Morte è cattiva o buona?
La Morte vuole togliere la vita alle donne o salvare la vita alle donne?
Si evince dalla reazione emotiva di diffidenza,”dicono tutte così”e di disappunto, che la Morte ha con l’esibizione della garanzia Trony da parte della signora, che il progetto é mortifero; la Morte vuole portar via le donne che rischiano la vita e muoiono usando elettrodomestici pericolosi.
L’interpretazione é rafforzata e giustificata anche dalla versione maschile della Morte, la “parte negativa e brutta”.
Questa é l’ambiguità di fondo, che non permette la comprensione del messaggio ed induce ad un rifiuto per eccesso di tensione da fantasma di morte diretto e da difficoltà a cogliere il vero significato.
E’ uno spot che lascia pensare in ogni senso; da un lato per il pessimo gusto e dall’altro perché effettivamente mal costruito nei nessi.
Cerchiamo un’ulteriore conferma della decodificazione ed un ulteriore rafforzamento dell’interpretazione.
La Morte, incrociando un collega in una versione finale, si lamenta del fatto che non c’é più tanto lavoro come una volta e rischia la disoccupazione perché tutte le donne usano Trony .
La Morte cercava le donne improvvide da portar via dalla vita.
La Trony crea disoccupazione tra le varie Morti che girano per le case piene di elettrodomestici sicuri e garantiti.
Nello sviluppo psicodinamico delle immagini ci sono alcuni inutili tentativi di allentare la tensione ingenuamente creata: la signora tranquilla e sicura di sé, le varie battute della Morte e la vittoria finale su una fine infame da folgorazione.
A questo punto si può reperire la figura retorica usata nelle immagini per giustificare la relazione tra la morte e la Trony.
Si scopre facilmente la “metonimia” nel seguente nesso: la vittoria sulla morte é decretata dalla Trony o la Trony sconfigge la morte.
Almeno in questo punto lo spot é chiaro.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO“RIFLE”                    “LA TERZA ETA’ E LA SECONDA GIOVINEZZA”

“Some things never change – Rifle”:”alcune cose non cambiano mai – Rifle” recita il registro verbale nell’immagine finale dello spot in esame, esibendo in maniera ineccepibile il tema pubblicitario della persistenza e della continuità, in base al quale il valore storico di un prodotto é il fondamento del suo valore qualitativo.
Si tratta di uno schema soprattutto culturale, che nel settore pubblicitario si può definire “sindrome Nutella”, dal momento che é stata la Ferrero ad usarlo in maniera ripetitiva ed a fissarlo a suo vantaggio nell’”Immaginario culturale collettivo”: la Nutella é il cavallo di battaglia della nonna, della mamma e della figlia, che dispensano alla rispettiva prole, di generazione in generazione, la gustosa crema al cacao e nocciole.
Anche i jeans Rifle vantano antichi natali e possono, quindi, usare l’effetto storico in associazione alla prova qualità: ciò che é buono di per se stesso resta nel tempo senza bisogno di garanzie.
Al di là di questo opportuno rilievo lo spot “la terza età e la seconda giovinezza”segue il facile e collaudato itinerario psico-culturale “dalla morte alla vita”, dalla tanatocrazia, propinata in diverse salse e rafforzata in maniera sconveniente, all’affermazione dei valori della vitalità: il tutto con il tramite di un marchio di jeans.
La Rifle condivide con il Parmigiano reggiano l’uso del valore fantasmico della vecchiaia in associazione al puro fantasma di morte; il tema della senilità é diventato anche lo strumento divulgativo delle ultime campagne pubblicitarie Bertolli e Perfetti in favore dell’omonimo olio extravergine d’oliva e della gomma da masticare Brooklyn.
La vecchiaia, quindi, é il perno interpretativo delle psicodinamiche innescate nell’impianto Rifle.
Essa si colloca tra la “seconda giovinezza” e la morte ed é attraversata da una sottile vena d’ironia che traligna nel sarcasmo quando viene sovraccaricata di inutili forzature.
E’ uno spot ricco di contenuti, complesso nelle dinamiche, interessante nell’elaborazione concettuale ed accurato nella realizzazione; tanta carne sul fuoco giustifica qualche caduta di gusto.
La trama si condensa nelle seguenti immagini:
– con un suadente registro sonoro, musica classica, si offre un’atmosfera funerea molto efficace ed in linea con l’immagine di un classico cimitero dalle tombe marmoree con lapidi annesse;
– un’anziana signora é inginocchiata davanti alla tomba del marito e pulisce con una carezza la fotografia;
– un uomo anziano, inginocchiato a poca distanza davanti alla tomba della moglie, saluta ammiccando con gentilezza la signora, ottenendo un deciso gesto di disdegno;
– la scena si posta a casa di quest’ultima e la mostra significativamente mentre rigira la foto del marito, sostituisce gli occhiali, elimina la dentiera, libera il canarino, estrae dal cassetto gli attillati jeans Rifle, li indossa, balla e sculetta davanti allo specchio in piena euforia con un registro musicale moderno di stampo rock ;
– il signore anziano, completamente ringiovanito nell’abbigliamento e nello stile, arriva davanti alla casa della signora con moto di grossa cilindrata, occhiali scuri, jeans Rifle e ballando invita la signora ad uscire;
– la coppia si é costituita in perfetta sintonia giovanile e la scena si chiude con il registro verbale “some things never change, Rifle”, “alcune cose non cambiano mai”, in esaltazione della continuità storica e della qualità, argomento trattato in apertura.
Ritornando al registro sonoro, é doveroso un apprezzamento per le musiche veramente idonee ed efficaci nel duplice versante classico-funereo e rock-giovanile; questa contrapposizione avvince notevolmente l’osservatore, perché é in sintonia con il registro visivo, le immagini, e media le sensazioni, gli umori ed i vissuti scatenati dai fantasmi in corso di rappresentazione.
La musica dello spot “la terza età e la seconda giovinezza”é un ottimo strumento persuasivo, ben inserito nella psicodinamica “dalla morte alla vitalità”; identico giudizio sortisce l’espressione corporea del ballo con la sua bonaria ilarità.
La trama é semplice: una interessata e proficua relazione, un innamoramento da mutuo soccorso tra vedovi e un ritorno alla giovinezza per tanti aspetti inquietante.
Lo spot é carico di archetipi, simboli e valori, che interagiscono con proprietà semantica e con chiarezza interpretativa.
Essendo un impianto tanatocratico, l’archetipo dominante é la Morte, condensato a ripetizione nel cimitero, nelle tombe, nelle lapidi di marmo, nel luogo dell’angoscia e del dolore.
Il fantasma é diretto nell’interpretazione ed immediato nella reazione emotiva, per cui con la comprensione scattano in un primo momento nell’osservatore una forte tensione ed un risentito distacco, nonostante l’abitudine alle immagini di morte della cultura tanatocratica.
Interagiscono, pur tuttavia, fattori di compensazione come le delicate movenze ritualistiche del culto dei defunti, il gentile ammiccare del vecchio, il risentito disdegno della signora, l’abbigliamento classico della senilità.
Essi allentano le tensioni del quadro ed inducono progressivamente un sorriso ed un sentimento di tenerezza, che destituiscono d’importanza le circostanze rappresentate, rendendole accettabili per la carica implicita di simpatia e per la qualità di anomala letteratura rosa.
E’ opportuno notare, a questo punto, che nell’”Immaginario culturale collettivo”due vecchi innamorati hanno una valenza ridicola e sono oggetto di derisione, in quanto l’innamoramento é inscritto nella dimensione giovanile; nel migliore dei casi si può tollerare con benevolenza l’aspetto opportunistico di una convivenza tra vecchi.
In proposito si rileva anche che la seduzione da parte del maschio ed il disdegno da parte della femmina risponde agli schemi culturali diffusi ed in atto.
Il valore della vecchiaia e della vedovanza viene culturalmente rispettato nell’impianto pubblicitario fino al limite in cui diventa piacevolmente trasgressivo; di poi, per evitare il netto rifiuto e l’insuccesso pubblicitario, la dinamica dell’impianto deve evolversi nel senso del ridicolo attraverso un’enfasi dei contenuti e far perno sulla tendenza trasgressiva dell’osservatore.
Le esagerazioni trasgressive inducono il sorriso e l’accettazione del messaggio, reso oltremodo suadente dall’evoluzione di senso e dalle seguenti azioni: l’occultamento della foto del marito defunto, l’eliminazione degli occhiali senili e della nauseabonda dentiera, la libertà concessa al canarino in congrua metafora dell’acquisita libertà dal passato, gli attillatissimi jeans Rifle tirati fuori dal cassetto ed indossati con decisione sullo slancio di una musica rock adeguata alla rivoluzionaria contingenza.
La trasgressione é consumata e la vecchia signora risulta accattivante a tutti gli effetti.
Si rileva una contraddizione che l’osservatore non coglie perché trascinato da altri fattori: la donna anziana si libera del passato, la foto del marito e la situazione di vedova, ma dal passato giovanile trae i suoi jeans.
Procedendo nelle trasgressioni si incontra da parte dell’uomo anziano l’esaltazione del valore della giovinezza, condensata nella musica, nel ballo, nei famigerati jeans, negli occhiali neri da “blues brothers”, nella moto; quest’ultima ha una simbologia sessuale ed essendo attribuita al maschio conferma lo schema culturale della prerogativa maschile della seduzione sessuale.
La signora non può che acconsentire.
L’atto del ballare induce il sorriso per la sua enfasi e si archivia come una simpatica esagerazione.
Lo spot rappresenta un tipo di vecchiaia che esula dagli schemi dell’”Immaginario culturale collettivo”, ma comprensibile ed assolvibile in base all’artificio pubblicitario, che la interpreta in maniera bonaria e trasgressiva, confermando la bontà dello schema ufficiale in atto.
La simpatia dei vecchi traligna nella derisione altrettanto bonaria dell’osservatore, ma il presentare gradevolmente lo schema di una vecchiaia trasgressiva manifesta implicitamente la concezione ufficiale della senilità come preparazione alla morte.
La vecchiaia rappresentata é un illusorio e deprecabile esorcismo della vera essenza della vecchiaia, la preparazione alla morte.
L’effetto pubblicitario é, pur tuttavia, esente da questo travaglio culturale, in quanto subisce positivamente la sintonia della carica musicale, dei contenuti e delle dinamiche, esaltandola in un successo divulgativo.
A questo punto resta da decodificare la relazione tra i jeans Rifle e la morte nella valenza della vecchiaia e nell’antitesi della giovinezza.
Il titolo”la terza età e la seconda giovinezza” rende ragione delle contraddizioni e delle derisioni in cui incorrono questi vecchi che vanno contro natura e non dimostrano quella maturità e quella saggezza che convenzionalmente si attribuiscono all’età senile.
L’aspetto tollerabile dell’insensatezza nei vecchi é la malattia e non la deroga trasgressiva allo stato civile e sociale di vedovanza e l’oltraggio alla biologia, per cui anche il simbolo sessuale della moto assume una valenza ridicola.
L’”Immaginario culturale collettivo” non é generoso verso l’attività sessuale senile e, se non la condanna, la deride.
E’ altrettanto vero che a livello culturale si diffondono messaggi di giovinezza e che la vita si é oggettivamente allungata e migliorata.
Lo schema, quindi, che passa e fissa bene il messaggio, assolvendone le pecche e gli aspetti enfatici, é proprio la trasgressione.
Nonostante qualche caduta di gusto nel forzare il tema della vecchiaia, la trasgressione é la valenza dominante del quadro e fa perno sull’osservatore, dal momento che con un paio di jeans si va contro la morte, la cultura e la natura, affermando i valori della vitalità, osannati per altre vie dai segni del tempo e non solo pubblicitari.
La figura retorica della metonimia corre tra i jeans Rifle, trasgressivi nel tempo, e la carica di vitalità e la “forma mentis” che promanano dalla coppia non più verde.
Anche questa volta si è compiuto il solito viaggio “dalla morte alla vita” in compagnia di due simpatici vecchietti e con il tramite di jeans storici, veri condensati di giovinezza e vitalità.
Si dimenticava l’ultima magia Rifle: la ricrescita dei denti!

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO ”BROOKLYN”                 “LA VECCHIAIA IMPERFETTA E IL CARPE DIEM”

“Chew, before it’s too late!”
E’ il registro verbale, esibito nell’immagine finale, dello spot Brooklyn, un benefico messaggio poetico ed esistenziale tra pubblicità progresso ed etica filosofica.
“Mastica, prima che sia troppo tardi !”
In anticipo sia assolto l’azzardato accostamento del sistema pubblicitario all’arte ed alla filosofia, anche se alcuni spot sono veri capolavori di creatività e riflessione.
Tutto ritorna, tutto si trasforma e nulla di nuovo sotto il sole !
Quinto Orazio Flacco, il grande poeta latino dell’epoca classica, senza le costrizioni del sistema pubblicitario aveva affrontato e risolto, venti secoli prima e secondo l’etica epicurea, la questione in una cultura ben diversa e con i nobili strumenti segnici della poesia: “l’ineluttabilità della morte induce l’uomo a godere pienamente i momenti della breve stagione della vita”.
Non si tratta di un volgare edonismo, ma di una ricerca della felicità al presente secondo moderazione e priva degli inganni dell’inaffidabile futuro.
Orazio rielabora in inimitabile sintesi poetica i classici temi etici epicurei dell’”atarassia” e dell’”aponia”- assenza d’angoscia e di dolore, di conseguenza tranquillità dell’animo e buona
vitalità – e li esprime in questi mirabili versi, rivolgendosi ad una donna di nome Leuconoe ed invitandola a godere dei piaceri sensuali:
“Dum loquimur, fugerit invida aetas:
carpe diem, quam minimum credula postero”-
“mentre parliamo, sarà passato velocemente il tempo invidioso: cogli il momento, per nulla fiduciosa nel futuro.”
Sono i temi struggenti del tempo, della morte, del breve momento della vita, dell’avventura esistenziale da gustare sempre al presente.
Tutto ritorna e soprattutto in pubblicità, a testimonianza della complessità del sistema, dei codici, delle potenzialità espressive, della gamma dei contenuti, della capacità divulgativa e soprattutto dell’universalità dei nuclei psichici inclusi nei diversi registri.
La Perfetti, tramite la gomma Brooklyn e la metafora del “masticare”, invita a goder la vita con una sana aggressività ed al tempo giusto secondo i ritmi biopsichici di un “carpe diem” traslato nei segni culturali e tradotto nel codice pubblicitario.
Il valore antropologico, implicito nel messaggio e presente a livello di “Immaginario culturale collettivo”, é il seguente: l’uomo deve mettere equilibrio ed armonia tra le istanze psicofisiche, vivendo secondo le norme naturali di un’aggressività compatibile con l’età.
Un “carpe diem” chiaro e ad ampio spettro si offre nelle immagini in esame e non sorprende che l’offerta pubblicitaria di una gomma richiami senza equivoci temi esistenziali, messaggi filosofici, questioni sociali, traguardi civili; il tutto é ottenuto attraverso l’uso impietoso e l’esibizione irriverente della vecchiaia, sorella minore della morte.
“La vecchiaia imperfetta ed il carpe diem” é uno degli spot che attualmente cavalca la tigre della vecchiaia e riduce in codice pubblicitario un tema limitrofo alla morte, per cui a livello fantasmico si riscontra una proficua traslazione della morte nell’anticamera della senilità.
Sarebbe moralistico discutere la scelta del tema, ma é opportuno apprezzare il buon risultato tecnico dell’impianto e rilevare la complessa interazione dei contenuti.
Il lavoro in questione é esente da improvvisazione e precarietà, ma é studiato e preparato con intelligenza e competenza anche nei tratti più esasperati.
La figura retorica usata é ancora una volta la “metonimia”: il masticare una gomma Brooklyn é in relazione di significato con il masticare la vita al momento opportuno.
Saggezza impone di gustare intensamente ogni momento della vita e questa verità si desume dal vecchietto rappresentato, che non può più “masticare” una donna ed una pietanza, per cui deve rinunciare alla prima ed accontentarsi di un pastone, vivendo la nostalgia del tempo passato nella magra consolazione del ricordo di un gusto ormai interdetto.
Il vecchietto é costretto in un doloroso desiderio personale ed a rassegnarsi alla sua inequivocabile condizione.
Il quadro esprime una concezione pessimistica e derisoria della vecchiaia, un’età in cui la vitalità é ridotta e l’aggressività é spenta.
Il vecchio rappresentato non può camminare, non può masticare, non é autosufficiente; egli può solo ricordare di aver masticato cibi gustosi e di aver vissuto desideri sessuali.
Questi ultimi in quel contesto diventano insensati e censurabili, anche se opportunamente assolti dalla simpatia del personaggio e dalla singolarità della situazione.
Lo spot ha una forte valenza sociale e civile che gioca positivamente nell’effetto divulgativo; i vecchi si portano in colonia estiva, riposano al canto delle cicale, sono trasportati in carrozzella, sono accuditi da procaci infermiere dalle natiche sensuali e dal seno prosperoso, anche se devono subire l’insulto del tempo e la nostalgia con il tremendo dubbio di aver ben gustato la propria vita.
Non é indifferente l’umiliazione, subita dal vecchio, nell’essere scoperto in attenzioni e desideri culturalmente ritenuti incongrui all’età senile e colpevolizzati in maniera decisa secondo un criterio di perversione e secondo l’immagine idilliaca del vecchio saggio e buono allo stato di natura, uno schema culturale precedentemente discusso nello spot Rifle “la terza età e la seconda giovinezza”.
Lo spot Brooklyn pone in maniera cruda lo stato della vecchiaia ed il problema sociale e civile, alla luce del fatto che con la longevità sempre più spesso i vecchi vengono abbandonati in lussuosi alberghi o in squallidi ospizi e deprivati dei vitali affetti familiari.
Queste riflessioni riguardano il versante culturale del quadro pubblicitario.
Negli effetti lo spot si riduce alle seguenti immagini:
– in una colonia estiva per anziani alcuni vecchi sono tranquillamente appisolati al sole ed al canto delle cicale;
– una giovane e procace infermiera prepara il pranzo, una pietanza con contorno assortito;
– un simpatico vecchietto in carrozzella osserva con desiderio le sinuose natiche della donna e muove le mani con l’intenzione di palparle, quest’ultima intuisce la manovra e si gira di scatto, per cui il vecchietto non può che minimizzare guardando attorno con aria indifferente;
– viene servito al nostro arzillo personaggio da parte della stessa infermiera la pietanza iniziale in versione “mignon”, sminuzzata, e nel porgerla la donna si abbassa lasciando provocatoriamente vedere un bel seno abbondante;
– nella scena finale il vecchietto avvilito osserva il suo cibo, mentre la giovane donna, rivolta verso il mare, mette in bocca la gomma Brooklyn con lo slogan, uguale per tutti come la legge, “chew, before is too late”.
E’ dominante il contrasto tra giovinezza e vecchiaia nel masticare il cibo tritato e la gomma dei desideri, nella depressione rassegnata del vecchietto e nella cosciente vitalità della giovane donna.
Lo spot Perfetti é costruito in maniera egregia in ogni settore, al di là della sua crudezza espressiva, sublimata in pregio perché adeguatamente compensata.
E’ un impianto tanatocratico, ma non esibisce l’archetipo della Morte.
Richiama il fantasma di morte in maniera indiretta attraverso il simbolo ed il valore culturale della vecchiaia e, quindi, il messaggio si deposita e ristagna nell’”Immaginario culturale collettivo”.
La senilità viene esibita nelle versioni negative della menomazione, della demenza immorale, della nostalgia dolorosa della giovinezza.
I valori culturali sono prossimi anche alla perversione, ma sono ben compensati dalla carica di simpatia e di tenerezza che esprime il volto del vecchietto nel manifestare il suo desiderio e la sua rassegnazione alla caduta irrimediabile della vitalità.
L’impianto ha un finale depressivo, mediato dalla figura della giovane donna che mastica con tutti i numeri per aggredire il tempo e riempirlo di piacere.
E’ presentata la dura legge della vita nell’evoluzione dalla giovinezza alla vecchiaia e viene offerto un incitamento a godere del momento attraverso l’equivalente gusto di una gomma collaudata nel tempo e nel gusto come la Brooklyn.
In ultimo rilievo si può affermare che il gruppo Perfetti, dopo Benetton, si é seriamente candidato all’originalità nel settore pubblicitario ed a forzare, non sempre in maniera oculata, le immagini ed i temi, le psicodinamiche e le interazioni; il tutto avviene dopo l’incidente “Vigorsol” della “tragica vincita alla lotteria”, anche se con gli spot “Morositas” si intravede un’involuzione qualitativa da inutile enfasi.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “MOROSITAS”        “IL PIACERE DI TORTURARE LA FRUTTA”

Lo spot in esame ha una duplice versione, é di recente conio e si snoda nelle seguenti immagini:
– si accendono le luci di un vasto locale ed al centro appare una piscina vuota, sul cui fondo si svolge la trama;
– una musica sgradevole introduce la figura di un uomo dal viso decisamente brutto, dalle posture ebefreniche e dagli atteggiamenti maniacali, armato di classico rasoio da barbiere e vestito con una camicia bianca longitudinalmente attraversata da una nera custodia ascellare di pistola;
– l’aspirante killer balla goffamente ed esibisce minacciosamente le luccicanti facce dell’affilato rasoio;
– al centro della scena appare un limone giallo ed opportunamente animato, seduto su una poltroncina da regista, imbavagliato con nastro isolante nero all’altezza di una supposta bocca, tremante e sudato per la paura;
– con movimenti da pagliaccio, più che da assassino di professione, il killer si scaglia contro il povero limone e con il corpo ricopre la scena della tortura omicida;
– l’immagine finale mostra una confezione di caramelle Morositas al gusto di limone, da cui fuoriesce un succo giallo che si spande a macchia, mentre una voce precisa il sadico principio industriale: “torturiamo la frutta per il vostro piacere”.
Una seconda mini versione mette al posto del limone le fragole con le seguenti immagini:
– un laboratorio, che oscilla tra una linda macelleria ed un’asettica sala di anatomia patologica, con tanti lucidi uncini attaccati al muro, da cui pendono coppie di rosse e succulente fragole;
– la solita losca e risibile figura maschile, che ricorda il killer del limone e la sagoma di Frankenstein, che, con posture meno enfatiche ma decisamente pesanti, rincorre una fragola che tenta disperatamente di fuggire e la schiaccia con una grossa mazza;
– riappare il famigerato astuccio Morositas al gusto di fragola con il solito macabro succo che fuoriesce dal basso e si spande secondo il perentorio principio “torturiamo la frutta per il vostro piacere”.
Iniziamo l’analisi e la decodificazione di questo inquietante ed a suo modo originale spot.
Si rileva, in primo luogo, la chiara valenza tanatocratica dell’impianto nella dominante psicodinamica sadica; i repellenti e condannati temi della morte e della tortura sono temerariamente proposti in versione pubblicitaria dalla Perfetti.
Il sadismo é un congruo fantasma della dimensione psichica profonda, rientra nella formazione umana e consiste nella condensazione di una forte carica libidica deviata dal suo naturale obiettivo e tralignata in un’aggressività estrema.
Nella trama dell’impianto la pulsione sadica é scissa in due nuclei, quello della Perfetti, immesso e pulsionalmente scaricato nelle caramelle Morositas, e quello del consumatore, espresso nell’atto voluttuoso di gustare una morbida caramella alla frutta.
Il piacere sadico di torturare il limone e le fragole da parte della Perfetti é al servizio del piacere altrettanto sadico del consumatore, il quale si trova, suo malgrado o suo bengrado, coinvolto in una operazione repellente.
Si evoca in maniera improvvida il fantasma arcaico di natura sadomasochistica dell’osservatore e si esalta nel caso specifico la componente sadica con la classica dinamica associativa di un piacere perverso ottenuto attraverso la sofferenza ed il dolore.
Torturare ed uccidere la frutta, riducendola in succo, oltre a richiamare il sadismo latente e profondo di ogni individuo, produce una dolorosa sensazione, ”cenestesi”, nell’osservatore, provocato in maniera eccessiva: il prodotto incorre immediatamente in un netto rifiuto da difesa dell’angoscia di morte, aggravata dal dolore della tortura e dalla sensazione di stritolamento immessa nel circuito emotivo delle immagini.
Il fantasma si ferma all’”Immaginario culturale collettivo”, dopo essere sceso a livello subliminale, ”Inconscio archetipico collettivo”, in maniera improvvisa e forzata.
La psiche dell’osservatore instruisce i meccanismi di difesa dall’angoscia dopo l’inutile provocazione delle immagini e la chiara intuizione del loro significato profondo; la componente sadica viene controllata senza la necessità di essere riconosciuta da parte di chi vive sulla sua pelle l’innesco pubblicitario.
L’angoscia del fantasma di morte, la sorda sofferenza della tortura, il macabro brivido del rasoio e l’opprimente senso di schiacciamento rendono il messaggio estremamente maldestro nelle sue psicodinamiche divulgative per eccesso di enfasi macabra; il prodotto incorre immediatamente in un drastico rifiuto.
Un impianto tanatocratico emotivamente molto pesante, denso di sensazioni e significati di forte spessore.
Consideriamo alcune interazioni di supporto al fantasma dominante.
Esiste nel quadro il tentativo di compensare tanta carica d’angoscia sublimandola in una satira ad ampio raggio: la musica in distonia con la falsa drammaticità della trama, la risibilità del personaggio, l’animazione della frutta, la probabile parodia della colonna sonora e della trama del film di Quentin Tarantino “Le iene” per quanto riguarda la scena della piscina e della figura di Frankenstein per quanto riguarda la sagoma del torturatore delle fragole.
Questo materiale concettuale, pur tuttavia, non é sufficiente a lenire la dolorosa sensazione indotta nell’osservatore da un quadro ad alta valenza cenestetica.
Affrontiamo la decodificazione e l’analisi dei valori culturali e sociali.
Si afferma chiaramente nello spot in via traslata lo schema omicida della tortura, praticato da sempre nel mondo più di quanto si possa pensare, presente sotto forma di pulsione sadica nella dimensione psichica dell’uomo e come segno simbolico nel suo Immaginario.
L’eventuale giustificazione del tema con l’umanitaria tesi della nobile denuncia della tortura attraverso il canale pubblicitario, tigre a suo tempo cavalcata dalla Benetton e da Oliviero Toscani in diverse occasioni e non sempre in maniera convincente ed economicamente proficua, non può essere sostenuta a causa della forte ridicolizzazione dei contenuti; oltretutto si ribadisce che il fattore cenestetico é costruito maldestramente e che le dolorose sensazioni, indotte forzatamente nell’osservatore, rovinano l’effetto pubblicitario e non consentono pezze giustificative, tanto meno assolutorie, dell’impianto nei suoi diversi registri.
Si può proporre, ancora a sostegno e discolpa, la tesi della denuncia sociale instruita con il meccanismo della “conversione nell’opposto”, in base al quale si fa vedere in maniera traslata e risibile il tragicamente serio problema della tortura; anche in questo caso la prevalente ridicolezza dell’impianto vanifica il tentativo e la tesi.
La simbologia fantasmica e culturale dello spot é eccessiva ed ingombrante nelle forme risibili in cui viene offerta; risulta, inoltre, pesante il fardello delle emozioni inscritte nelle linee di una effimera originalità dei contenuti.
Si riafferma, invece, la tendenza provocatoria a tutti i costi, priva, oltretutto, dell’ausilio di una semplice vena trasgressiva a cui l’osservatore avrebbe potuto liberamente aderire senza necessariamente condividere e che lo avrebbe sollevato dalla costrizione sensoriale.
Lo spot é una pessima camicia di forza di sensazioni negative e si risolve a netto danno della Perfetti.
L’introduzione di uno schema trasgressivo poteva salvare lo spot dal completo naufragio, per cui i consumatori delle Morositas sicuramente privilegeranno ancora il gusto e la bontà del prodotto in memoria delle sode natiche della giovane donna mulatta che sculettava nei precedenti spot.
E’opportuno rilevare, inoltre, che l’impianto si può interpretare come eco e parodia di altro materiale pubblicitario e di effetti a suo tempo discussi ed efficaci in diversa misura: la macchia del succo di limone o fragola rievoca la pozza di sangue dell’immagine Benetton del “morto ammazzato” con tutto il suo macabro corredo sensoriale e la mazza di Frankenstein richiama la mazza da baseball usata dal fratello della sposa nello spot Campari del “matrimonio mancato e benvenuto in paradiso”.
L’affinità e la compatibilità dei significati esistono in maniera spudorata, anche se non sono colte dall’osservatore; si spera, almeno, che ne siano stati consapevoli i “concept” dello spot.
Si pone, a questo punto, il problema della relazione di senso tra la morte in versione sadica, “morte-tortura”, e le morbide caramelle Morositas.
Essa si attesta inequivocabilmente nel piacere sadico di torturare la frutta e nel piacere altrettanto sadico di gustare il frutto di tale perversa psicodinamica; in tal modo recita anche il registro verbale dello spot.
La figura retorica é la metonimia, una relazione di significato originale, che ferma, pur tuttavia, il messaggio nell’”Immaginario culturale collettivo”e favorisce il rifiuto del prodotto.
Uno spot scompensato in ogni parte, che non muove il riso o il sorriso dell’osservatore, ma sicuramente il pianto per la fatuità di cui é pregno.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “DIESEL”               “LA GUERRA, LA MORTE E LA FOLLIA”

L’articolazione del titolo attesta la complessità concettuale dello spot in esame e la conseguente difficoltà a decodificare una serie di immagini collocabili tra fantasia e paradosso, creatività e “senso del non senso”.
Quest’ultima caratteristica, apparentemente demenziale, rende ragione di un’operazione pubblicitaria buona ed efficace a condizione che essa non superi la soglia di tolleranza illogica dell’osservatore, perché l’inafferrabilità del messaggio può tralignare in un inutile veicolo di tensione.
Si evince con chiarezza che l’eventuale uso del “senso del non senso”, il paradosso, associato al fantasma di morte comporta un cumulo emotivo che impone la ricerca di una difficile armonia tra contenuti concettuali e simbolici, una ponderata valutazione delle psicodinamiche innescate ed una adeguata compensazione tra le pulsioni di attrazione e repulsione.
E’ sicuramente più facile nel sistema pubblicitario escogitare un impianto persuasivo ed equilibrato che fa perno sulla fantasia e sui processi primari senza creare ulteriori tensioni da carenza e difficoltà logiche, ma é sicuramente improbo associare fantasma di morte, di per se stesso emotivamente pesante, schema culturale della guerra, di per se stesso emotivamente altrettanto pesante, ed il “senso del non senso”, di per se stesso ansiogeno per un bisogno dell’osservatore di reperire significati e nessi onde evitare l’angoscia di una caduta nell’indeterminato psico-cognitivo.
Non tutti i prodotti della fantasia sono figli prediletti dell’”Inconscio archetipico collettivo”, non tutte le fiabe sono capolavori d’armonia e strumenti di benessere psicofisico, non tutti gli spot riescono a navigare nelle tempestose acque delle istanze psichiche e delle necessità divulgative.
Per ragioni in ogni senso economiche é preferibile affidarsi ai meccanismi psicodinamici più duttili dell’”Immaginario culturale collettivo”senza drastiche forzature e selvagge incursioni nel delicato apparato dell’”Inconscio archetipico”.
Dopo questo preambolo metodologico procediamo con l’analisi e la decodificazione dello spot pubblicitario Diesel “la guerra, la morte e la follia”: tanto titolo e tanta sintesi per un capo d’abbigliamento jeans.
Il lavoro è di elaborazione recente, contiene un ricco registro verbale in lingua inglese e si sviluppa nelle seguenti immagini:
– é in atto un bombardamento, alcuni soldati si trovano al riparo di una trincea e viene mostrato in primo piano un uomo ferito e senza una gamba;
– compare in sovrimpressione la scritta “Christmas day 1917” ed un soldato che in tanto inferno consegna la posta ai commilitoni;
– il protagonista riceve un pacchettino e scopre con sorpresa un paio di jeans Diesel;
– meravigliato il soldato si estrania dalla tragica situazione e si rivolge ad un compagno di trincea, giustamente occupato a difendersi dalle varie schegge del bombardamento, con la seguente espressione : ”Fantastico, un paio di jeans. Hei Nigh, guarda, scommetto che non hai mai visto un paio di jeans così !”;
– mentre parla, li indossa, sculetta con soddisfazione e l’amico irritato risponde: “Sei completamente pazzo, stai zitto soldato!”;
– il protagonista, esaltando con civetteria le qualità dei suoi pantaloni, si rivolge, allora, ad un altro commilitone ed insiste: “Guarda Joe che bei jeans, guarda che fantastiche queste tasche !”;
– a questo punto Nigh si alza in piedi al di sopra della linea di tiro della trincea, esponendo ingenuamente le spalle al nemico, e grida al soldato ormai chiaramente alienato: “Basta! Zitto!”;
– in primo piano appaiono dalle trincee nemiche le canne di un fucile, probabilmente un “Garant”, ed il conseguente sparo uccide l’incauto Nigh;
– il “cecchino” é soddisfatto di aver fatto centro, come ad un tirassegno di un “luna park” durante una festa paesana;
– il protagonista ha del tutto smarrito la coscienza della realtà e si rivolge al povero commilitone morto, rimproverandolo: “Sai, Nigh, che sei veramente una lagna.”e, di poi, girandosi verso gli altri compagni di trincea ormai in fuga, insiste ancora: ” Hey ragazzi, questi jeans me li ha mandati mia madre, guardate!”;
– i soldati evacuano la trincea ed il protagonista impazzito resta solo con i suoi jeans calzati a pennello, mentre i nemici vanno all’assalto tra i sibili delle bombe e la classica musichetta natalizia ”Jingle bells”.
– nell’immagine finale appare la scritta, sempre in lingua inglese, ”Diesel, per una vita di successo”.
Alcune precisazioni storiche sono d’obbligo.
La trama si svolge durante la prima guerra mondiale, le truppe americane si riconoscono dalla lingua, mentre i nemici non si lasciano individuare dalla divisa o altro, la guerra é di posizione e le trincee sono vicine.
Si apprezza sin dall’esordio la bontà del registro sonoro.
Lo spot esibisce il valore culturale della guerra, l’archetipo della morte in forma diretta ed indiretta, lo schema culturale della follia.
Il primo domina tutte le scene nelle seguenti versioni: bombardamenti, soldati, armi, trincee e con l’inutile rafforzamento cruento iniziale del soldato ferito e trasportato in barella con la gamba spappolata.
Il valore culturale della guerra non solo evoca un fantasma di morte, ma non è compensato da alcun nobile supporto ideologico, perché viene costantemente mostrato senza offrire all’osservatore la possibilità di giustificare il tragico evento e di lenire l’emozione di base.
Oltretutto la guerra rappresentata non é quella dei “bottoni”, combattuta da ragazzini di periferia, ma è particolarmente drastica nella sua finzione scenografica e drammatica nella sua strana enfasi.
Sull’uso del tema della guerra in pubblicità l’osservatore non é mai tenero con il marchio che lo rappresenta, specialmente se non é compensato da altri fattori beneficamente emotivi.
Non si può affermare, ad esempio, che l’impianto pubblicitario abbia una valenza di denuncia della guerra, perché non esiste alcun elemento che possa disporre l’interpretazione in tal senso.
Il fantasma di morte viene esibito indirettamente nella visione del fucile e direttamente nell’uccisione dell’imprudente ed ingenuo Nigh.
La tensione non é compensata o ridotta dall’artefatta stupidità con la quale il soldato offre le spalle ai fucili del nemico, né scema alla chiara soddisfazione del “cecchino” di aver fatto centro; quest’ultima, anzi, é un’aggravante, in quanto viene vissuta dall’osservatore come assenza di “pietas” di fronte alla morte sia pur del nemico.
Lo schema culturale della follia contraddistingue tutto l’impianto nel contenuto, la pazzia del protagonista, e nel procedimento logico del “senso del non senso”, il paradosso dell’impianto.
Il protagonista perde il contatto con la realtà sin dal momento in cui si imbatte nei meravigliosi jeans Diesel, che gli ha spedito la mamma come regalo di Natale, e la sua coscienza vigilante risulta compromessa in tutto lo sviluppo della trama.
L’impianto é “folle” nei seguenti punti: la distribuzione della posta durante un bombardamento,
l’improvvida esposizione di Nigh al tiro dei nemici in contrapposizione alla precedente paura espressa nel coprirsi dalle schegge e nel rimproverare il commilitone, il fatto che il protagonista resta solo alla mercé del nemico e gli altri soldati battono in ritirata, il miscuglio sonoro finale di fischi da bombardamento e musica natalizia da buoni auspici.
Altri elementi della trama sono contraddittori con picchi più o meno alti di demenza semantica: un paio di jeans come regalo natalizio della mamma induce a perdere la testa proprio quando si é costretti a tenerla più che mai ben attaccata alle spalle ed a ben usarla come in guerra e sotto un bombardamento.
Ancora: nel giorno di Natale, simbolo dell’amore e della pace tra gli uomini, lo spot apre con l’odio bellico ed una scena di guerra; se si giustifica culturalmente il dono dei jeans, non altrettanto si può fare per il suddetto contrasto e per la mistificazione musicale del finale dove al rumore classico di un mortifero bombardamento si accavallano le note di una canzoncina ben augurale.
Si può rilevare un inutile approccio tra profano e sacro, un’irrisione della festa natalizia nel suo significato religioso.
Permane, pur tuttavia, nell’osservatore l’angoscia dell’incompiuta e la necessità di definire il senso della trama: quale fine farà il povero soldato impazzito?
E’ proficuo in termini divulgativi e sicuramente affascinante per l’osservatore essere chiamato in causa per chiudere logicamente uno spot, ma in questo caso il meccanismo é usato maldestramente, perché permane l’angoscia abbandonica indotta dalle immagini di un soldato impazzito per i suoi jeans, segno d’amore della sua mamma, e lasciato solo con se stesso come un bambino indifeso ed ingenuo.
Si può solo sperare che i nemici saranno teneri con la sua psiche e con i suoi jeans.
Il richiamo alla figura materna comporta un delicato sentimento affettivo, che non compensa le cariche emotive di ben altra qualità dell’impianto.
Si può anche addurre giustamente la tesi che la cultura della trincea é prossima alla follia, perché ha come assunto di base la sopravvivenza e come sindrome il delirio di onnipotenza legato alla vittoria sulla morte in un duro e costante contesto di pericolo per la propria vita.
Il nostro soldato impazzisce per i jeans della mamma o per la saturazione psichica della sua vita in trincea?
In ogni modo i nessi esistono e sono convenzionalmente sconnessi.
In ultima istanza ricerchiamo la figura retorica che giustifica la relazione tra il fantasma di morte e la scritta conclusiva “Diesel, per una vita di successo”.
Il protagonista non vince la guerra e non si può affermare che viva o muoia; sicuramente possiede i jeans vincenti che lo hanno indotto alla follia.
Le relazioni retoriche di significato sono affidate all’individuale “senso del non senso”.
L’uso della lingua inglese non migliora la precaria qualità dello spot.

ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “REEBOK”              “LA VERA UNICITA’ DELL’IMMAGINE DI SE’ “

“Quando scende la notte,
il silenzio pervade tutto improvvisamente
ed è sconvolgente.
Non è come il crepuscolo,
quando si riesce a cogliere un cambiamento,
per quanto impercettibile,
nell’aria.
Poi diventiamo vittime del buio.”
In lingua inglese e recitati da una suadente voce maschile, questi versi costituiscono il registro verbale ed accompagnano lo sviluppo delle immagini nello spot in esame; il quadro si chiude con lo slogan, sempre in lingua inglese, “ Reebok – Non ti sentirai più lo stesso”.
Analizziamo il contenuto simbolico del recitativo poetico e l’interazione concettuale dei significati.
I simboli sono i seguenti: la notte, il silenzio, lo sconvolgimento, il crepuscolo, il cambiamento, la vita, la vittima, il buio.
La notte equivale ad un’assenza di coscienza vigilante e di razionalità: una morte psichica reversibile.
Il silenzio è simbolo della morte espressiva del proprio Io.
Lo sconvolgimento equivale al travaglio psichico che si instaura all’interno di un conflitto.
Il crepuscolo è simbolo di uno stato di coscienza sub-liminare.
Il cambiamento rappresenta la norma psico-evolutiva ed il processo di emancipazione dalle dipendenze.
La vita é simbolo di attività psicofisica finalizzata alla modificazione.
La vittima esprime la componente profonda di natura masochistica, che trova piacere nel proprio danno; essa tollera, quindi, la stasi ed impedisce il cambiamento.
Il buio è il simbolo della morte della coscienza.
I significati, interagendo, forniscono la seguente parafrasi.
“Quando sei privo della coscienza di te stesso e ti senti uguale dentro e fuori, ti struggi in questo anonimo conflitto senza trovare energie per cambiare.
E’ sempre meglio percepire una minima modificazione in te stesso per sentirti vivo.
Ma inesorabilmente, dopo, tutti ritorniamo ad essere identici come da morti.”
A questo punto convergiamo dai versi sulle immagini per reperire l’eventuale identità di messaggio o la possibile affinità semantica.
L’impianto si snoda nelle seguenti scene:
– una massa uniforme di atleti corre la maratona nelle strade di una città degli Stati Uniti tra un fiume, uno stadio, un monumento e qualche grattacielo;
– la tenuta sportiva è identica, pantaloncini neri e maglietta verde con scarpe nere, così come sono identici il viso ed il corpo degli atleti;
– la massa si riversa in un’ampia strada e l’atleta in primo piano, correndo, comincia a cambiar pelle ed immagine, partendo in questa alienante metamorfosi dai piedi al torace per arrivare al viso, e si trasforma in una persona diversa anche nell’abbigliamento sportivo, maglietta gialla a marchio Reebok e pantaloncini bianchi con scarpe bianche;
– appare il registro verbale “Reebok, non ti sentirai più lo stesso” e l’atleta unico e nuovo, uscito dalla sua scorza o che ha perduto la sua corazza, con una scarpa Reebok schiaccia il suo precedente viso-maschera, riducendolo in frantumi.
Questo è il registro delle immagini e si evince con chiarezza la sintonia semantica con il poetico registro verbale.
E’ da sottolineare l’armonia dei registri proprio perché rende lo spot originale ed equilibrato nell’equipollenza dei contenuti, delle interazioni simboliche e delle psicodinamiche instruite.
L’essere recitato in lingua inglese aumenta il fascino e la bellezza dell’impianto pubblicitario: una componente estetica, che é il risultato di una difficile combinazione tra suoni, immagini, parole, sensi e significati.
Si tratta di un “insieme” veramente dosato, che, trattando oltretutto un fantasma di morte, si avvicina alla soglia del capolavoro, un’opera d’arte che il sistema pubblicitario può produrre ed è difficile reperire su questi livelli.
Procediamo nell’analisi e nella decodificazione degli archetipi, dei simboli, dei valori culturali e delle interazioni.
L’impianto può esser definito tanatocratico per via traslata; esso mostra, infatti, la morte traumatica per squarcio o per frantumazione di un uomo, un impressionante evento ampiamente compensato dalla combinazione con la rinascita dello stesso uomo in una nuova pelle, in un’evoluta coscienza di sé ed in una differenziata identità psichica.
L’archetipo della Morte é indiretto e si combina con gli archetipi della Vita e della Madre nel tema dinamico della “Rinascita”; il Principio femminile é rappresentato simbolicamente dalla scarpa, che condensa il vitale utero materno.
Il fantasma della brutta morte per frantumazione poteva scatenare angoscia nell’osservatore, ma, essendo in funzione di una rinascita, si lascia psicologicamente assorbire e sublima la sua valenza traumatica nell’emancipazione dalle dipendenze e nella conquistata originalità del proprio ”Io”.
E’ pur vero che il tipo di morte é prossimo agli alieni piuttosto che agli uomini della terra, ma la combinazione degli archetipi Morte-Vita e Madre-Rinascita innesca una dinamica evolutiva armonica, che arriva nelle sfere subliminali e si deposita senza resistenze nell’”Inconscio archetipico” con l’effetto proficuo di fissare il marchio in maniera indelebile.
E questa non é un’operazione da poco e da tutti.
L’”Immaginario culturale collettivo” viene coinvolto dagli schemi della massificazione psicosociale e della convenzionalità dell’immagine di sé, desumibili dall’iniziale identità degli atleti.
La rottura con l’ordinario e l’approccio con l’originalità creativa procedono dal basso verso l’alto e con la distruzione finale della vecchia maschera, la convenzionale immagine di sé data dalla cultura ed attribuita dalla società.
I temi hanno una buona valenza filosofica nel loro specifico contesto
psico-sociologico.
Non é da escludere la critica politica ai sistemi totalitari a favore delle istituzioni democratiche all’interno della chiara denuncia della massificazione degli uomini.
Si coglie, in ogni caso, la contestazione alla civiltà dell’uguale e dell’uniforme, del conformismo borghese e della maniera grigia di pensare e di vivere.
Gli uomini saranno uguali di fronte alla legge, ma in tutto il resto vige il principio della libertà e dell’autogestione.
Il miracolo di questa “pubblicità progresso” é fatto da un paio di scarpe Reebok, che servono a distruggere l’immagine convenzionale di sé ed a far emergere la propria originalità evolutiva e la propria unicità.
Analizziamo la dinamica simbolica dell’impianto.
La maratona dà il senso del progredire contro i rischi di una statica massificazione ed instruisce una pulsione selettiva dei caratteri forti secondo i dettami di un giustificato individualismo.
La parte finale dello spot con le sue surreali immagini innesca il senso della riparazione benefica del vissuto, costantemente lenito ed addolcito dal testo poetico, che senza paradosso é proficuo in lingua inglese perché lascia all’osservatore straniero la possibilità di interpretare il quadro in maniera autonoma.
Importante la suadenza sensoriale della voce recitante, che compensa ampiamente le sensazioni più crude.
Le scarpe, simbolo femminile della rinascita, la maschera, simbolo della falsificazione culturale, la libera ricerca della vera essenza si coniugano con il messaggio finale”non ti sentirai più lo stesso” secondo una retorica condivisione di significati complessi e di nessi profondi.
Lo spot è un inno al Principio femminile che consente la rinascita ed uno sberleffo al Principio maschile che costringe alla massificazione con il suo potere culturale.
In ogni senso si tratta di un capolavoro.

ANALISI E DECODI FICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO “BERTOLLI“              “LA PARTITA DI CALCIO E LA GIOIA DI VIVERE”

E’ gradevole chiudere questo lavoro sulla relazione tra il fantasma di morte ed il sistema pubblicitario con lo spot Bertolli “la partita di calcio e la gioia di vivere” per l’equilibrio e la serenità con cui viene usato il fantasma, limitrofo alla morte, della vecchiaia, un condensato psichico già analizzato e decodificato in altri quadri divulgativi sia nella versione diretta e sia nella versione traslata.
L’impianto concettuale non é originale, ma è elaborato in riferimento allo spot della Nike che dava immagine alle rocambolesche e pregiate acrobazie calcistiche, all’interno di un aeroporto o su una spiaggia, del campione Ronaldo e di alcuni suoi compagni della squadra nazionale brasiliana o di altri giocatori famosi.
La Bertolli ha pensato bene di far scendere in campo dalle verdi e fertili colline toscane, ricolme di miti ulivi e di antichi sapori, i suoi vecchi contadini e la trovata pubblicitaria nella sua semplicità é riuscita alla perfezione, al di là del suo essere un’imitazione all’italiana di una squadra di calcio blasonata o una versione calcistica all’olio extravergine d’oliva in sostituzione delle scarpe da calcio e dell’abbigliamento sportivo Nike.
Lo spot Bertolli non è privo di originalità, nonostante l’imitazione della struttura di base, per il modo di elaborare il canovaccio in maniera accattivante e paradossalmente nuova.
Ecco i principali protagonisti dell’impianto pubblicitario, fissati in primo piano ed in fermo immagine durante alcune fasi della partitella di calcio giocata su un verde prato con ai bordi una larga tavola ridondante di ogni ben di Dio:
– Antonio, attaccante, 82 anni, colto mentre colpisce di testa il pallone;
– Anselmo, portiere, 79 anni, beccato in pieno mentre abbranca la sfera in una difficile parata;
– Mimmo, stopper, 78 anni, autore di un brutto fallo di gioco e fissato mentre si assolve, dicendo la fatidica frase di chi pratica l’agonismo, “io non ho fatto niente!”;
– con Antonio, Anselmo e Mimmo compaiono in varie sequenze gli altri giocatori, tutti arzilli vecchietti dal viso caratteristico che emana simpatia a iosa;
– una tavola imbandita con le prelibate pietanze della terra e della gente di Toscana – caciotta, sardine, pizza, pomodoro, mozzarella, olive, insalata, prezzemolo, sedano, minestrone di fagioli ed insalate tutte da condire con olio extravergine Bertolli, così come mostra ed insegna una giovane e bella donna;
– il registro verbale professa giustamente, a questo punto, che “la gioia di vivere è fatta di piaceri semplici, di passioni autentiche che durano tutta la vita” come l’olio extravergine Bertolli;
– un “giovane” vecchio, dopo la partita, fruga con le mani nella zuppiera prelevando un assaggio ed alcune donne anziane, caratteristiche nelle rughe da contadine e nella semplicità del sorriso, lo scoprono, per cui al nostro birichino personaggio non resta altro che sculettare in segno di dispetto, inducendo un ulteriore ammiccante sorriso nella vecchietta che si suppone sia la sua compagna di vita.
Niente di tanatocratico in questo impianto pubblicitario, al di là del fantasma indiretto della vecchiaia intesa come anticamera della morte; lo stato senile é offerto dalle immagini in maniera accattivante e non induce nell’osservatore sensazioni sgradevoli.
Anzi, tutt’altro !
La carica di simpatia, la giovanilità goliardica e la voglia di vivere, incarnate ed espresse dai protagonisti, inducono un benefico vissuto ed una conversione fantasmica sublimata della “morte-vecchiaia” nella “parte positiva della vecchiaia”; le immagini seducono l’osservatore verso il riconoscimento e l’apprezzamento di uno spirito giovanile congruo con la voglia di comunicare, di socializzare e di condividere il cibo dei vecchi.
Il tutto si traduce nella voglia di vivere, associata e favorita dal buon gusto di un autentico olio extravergine d’oliva.
L’impianto pubblicitario é decisamente antidepressivo nel suo inneggiare alla giovinezza senza rimpianto ed alla vita senza rancore.
Si rileva che l’associazione del “cibo” alla “vecchiaia” rafforza lo schema della “voglia di vivere”, in quanto simbolo dell’amore e degli affetti in base alla “logica primaria” del bambino che esige la verità del principio”chi mi ama, mi nutre”.
I nostri simpatici vecchietti non sono malati e non tralignano nell’onnipotenza delirante che nega la senilità, anzi esaltano la loro condizione proprio mostrando di aver mantenuto lo spirito migliore della giovinezza.
I nostri simpatici vecchietti non incorrono nella derisione dell’osservatore, perché la costruzione dell’impianto pubblicitario non é enfatica nel trasmettere il contenuto fantasmico ed il valore culturale.
Lo spot risulta semplice e ben articolato nelle psicodinamiche, per cui il messaggio, pilotato dal simbolo del cibo-affetto, scende senza resistenza a livello subliminale ed oscilla tra l’”Inconscio archetipico” e l’”Immaginario culturale”.
Nell’accettazione gioiosa di sé e dello stato senile si colloca la relazione semantica tra vecchiaia e olio extravergine d’oliva: una metonimia.
La presenza delle vecchie contadine nel quadro finale funge da rafforzamento del messaggio attraverso un’esaltazione coreografica del contesto.
Poche idee, buone e ben applicate, formano uno spot efficace a livello persuasivo e proficuo in termini economici.

I N D I C E

CULTURA IMMAGINE E PUBBLICITA’

IL CONCETTO DI CULTURA
IL CONCETTO DI IMMAGINE.
CULTURA E IMMAGINE
IL CONCETTO DI PUBBLICITA’
L’IMMAGINE PUBBLICITARIA
I LIVELLI DELL’IMMAGINE
CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’USO PUBBLICITARIO
DEL FANTASMA DI MORTE NELLA CULTURA CONTEMPORANEA
ITINERARIO BIBLIOGRAFICO ALLARGATO E RAGIONATO
ANALISI E DECODIFICAZIONE DELL’IMMAGINE PUBBLICITARIA BENETTON “IL MORTO AMMAZZATO”
“LA MORTE DI DAVID”
“IL GUERRIGLIERO”
“IL CIMITERO DI GUERRA”
“I PINOCCHI”
“LE FOGLIE MORTE SOSPESE SUL PETROLIO”
DALL’IMMAGINE PUBBLICITARIA ALLO “SPOT”
ANALISI E DECODIFICAZIONE DELLO SPOT PUBBLICITARIO
CAMPARI” “IL MATRIMONIO MANCATO E BENVENUTO IN PARADISO”    VIGORSOL – “LA TRAGICA VINCITA ALLA LOTTERIA”
LAVAZZA – “IL CAFFE’ IN PARADISO”
SEGAFREDO – “IL CAFFE’ ALL’INFERNO”
PARMIGIANO REGGIANO – “L’ANIMA CONTESA ED IL TRIONFO DELLA VITA”
COCA COLA – “I CUBETTI DI GHIACCIO”
TRONY – “LA MORTE DISOCCUPATA”
RIFLE – “LA TERZA ETA’ E LA SECONDA GIOVINEZZA”
BROOKLYN – “LA VECCHIAIA IMPERFETTA E IL CARPE DIEM”
MOROSITAS – “IL PIACERE DI TORTURARE LA FRUTTA”
DIESEL – “LA GUERRA LA MORTE E LA FOLLIA”
REEBOK – “LA VERA UNICITA’ DELL’IMMAGINE DI SE’ ”
BERTOLLI – “LA PARTITA DI CALCIO E LA GIOIA DI VIVERE”