
Poeta,
porti sulle spalle la tua Siracusa e il tuo Veneto,
la tua Milano grigia e sputtanata,
la storia di Lucia e della Pia
in questo purgatorio senza uscita.
Io leggo
ed è come se fossi seduta in un museo
ad osservare un incanto appeso al muro.
Ho detto al custode di lasciarmi stare,
di chiudere
e farmi rimanere,
perché avevo una lama conficcata
tra il cuore e la panca di pietra.
Mi piace tanto quello che scrivi
e mi piaci tantissimo quando scrivi,
aggraziato e rude come il nostro Novecento.
Tutto è così acceso e moderno,
oggi,
luci nuove e nuovi argomenti.
Io ascolto con attenzione
e distrattamente attendo
che si allunghino le giornate,
senza credere fino in fondo
che basti ad una vera comprensione.
La mia natura sarà sempre legata a ricordi di stagioni
che nascono nel freddo e nel buio delle mie latitudini.
Nascevo nell’approssimarsi dell’inverno,
neve bianca frammista al latte del mio nutrimento:
non si dimentica la cornice
che inquadra il seno di una madre.
E tu,
tu che mi abiti nel cappotto di astrakan,
caldo collo,
abbraccio.
Mi scrivi nell’ora della noia,
so anche questo.
Io non temo le intemperie del tuo carattere incostante;
la tua voce argentina nella corte di uno sgangherato palazzo
mi arriva come un vento,
a volte una folata,
altre un alito così lento
che basterebbe mettere le mani a conchiglia
per tenerlo dentro.
Siamo tre giorni in un inverno
e per me il futuro esiste sempre.
Carpe diem,
ogni domani sa diventare un oggi.
Sabina
Trento, 13, 12, 2021