
Non essere schiavo dell’abitudine,
cambia sempre strada,
usa marche diverse e scandalose,
rischia colori nuovi nei tuoi abiti frufrù,
non stare muto come un boccalone,
impara,
regala le tue parole e le tue conoscenze,
concediti le passioni,
affidati,
lascia il nero sul bianco,
metti i puntini sulle i,
non essere palloso,
privilegia le emozioni nel cumulo e nel monte dei pegni.
Brillano gli occhi,
sbadigliano,
un sorriso balena,
il cuore sbatte su un errore del sentimento.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
la posologia è a rischio,
l’ardente pazienza attende lo zio Michelino dalla triste Libia.
Naviga marinaio
e lasciati le sirene sempre sulla poppa.
Nonostante tu sia la mia rondine,
sei volata nel cielo sbagliato
dove i sogni capovolti inseguono il lavoro,
le travail melheureux,
putain de boulot.
Lentamente il tavolo si distrae
e rien ne va plus.
Maintenent non puoi neanche inseguire un merlo innamorato,
un tram in calore,
una caliera lucente al sidol,
una pignatta lucidata con la pomice di nonna Lucy.
I consigli sono sempre sensati e soppesati.
Ti vorrei, come le note del pentagramma,
sopra il tavolino sgangherato della taberna di Pompei.
Ogni sera mi penserai
anche se non sai alcunché dei sogni,
quelli che io non vendo e svendo,
le fantasie schizzate che porto con me,
nel borsellino dentro la tasca dei nuovi jeans
comprati nella torre d’avorio di questa scacchiera lucida.
Se non sai,
cosa vuoi sapere?
Cosa scriverai al migrante dal colore olivastro
che insegnava a Salgareda,
nel Veneto antico dei servi della gleba,
del conte di Collalto,
del marchese Brandolino d’Adda?
Mi dirai addio o forse no,
mi dirai semplicemente dei tuoi sogni:
finalmente non so di letame
dentro questa stalla della bassa Marca,
finalmente so di italiano e di inglese
e anca una scianta di latino, per gradire.
Per sempre tua, Caterina.
Salvatore Vallone
Karancino di Belvedere, 01, 04, 2023