
Tres cher la mon chere,
helpmy,
ti prego.
Go bisogno de ti,
tanto bisogno di Gloria.
Da tempo non ti scrivo,
da tempo mi sono innamorato di Gianna,
da tempo non mi scrivo e non mi diverto,
da tempo non m’importa
dove sto andando con la poesia e la magia,
cosa mi rende glaciale come un pinguino
in questa terra così bella e così cara.
Se il vento fischia o nevica la frasca,
io non voglio tornare in quel paese
dove Ercole pose li suoi riguardi a Odisseo
a che più oltre il codardo mentitore non si metta.
L’amor del qual Penelopè dovea far lieta
lo sparava tra Scilla e Cariddi con le sirene della tivvù,
con i sireni e i sirenetti del festival fiorito del santo Remo
ai bordi insani dell’eterna menzogna del quasi nulla,
prope nihil per gli istruiti.
Resto libenter in questa meravigliosa isola
invidiata anche dal suo artefice criatore,
quel buon dio degli Ebrei
che anche Federico lo svevo irrideva blasfemo
quando non aveva le quattro paghe per il lesso e per l’arrosto,
quando soggiornava concupiscente nel castello di Ortigia
tra spifferi e bagasce,
tra odalische e odalischi ensemble,
quando il guerriero riposava il martello come re Carlo
senza pagare il prezzo del sudario preso in affitto.
Sai,
ancora ho seme,
poco ma buono per seminare a novembre,
quando la nera terra ti sorride e t’incanta,
semenze di zucoi e talleri,
semenze di cucumeri e kartofen,
semenze di bietole e favette,
semenze di bisi senza i risi,
ancora ho seme
tra le pieghe dell’anima defunta,
tra i meandri dei testicoli erniosi.
Vivo,
vivo sotto le stelle di Orione
con la sua clessidra sulla testa,
ancora vivo su questa terra
da libero schiavo d’amore,
un trovatore della scuola poetica di Panormo,
perché Gianna mi ama e non mi ama,
è riottosa e fa la chantosa.
Tres cher e mon chery,
dimmi orsù e immantinente,
ti piace ancora la mia poesia?
Indicami la strada,
tu che hai capito dove sono pervenuto,
proprio tu che sai di tutto e di niente,
che prosperi in lungo e in largo tra le tivvù e i giornali.
Non importa il resto e il permanente.
Tendi sempre al Sublime,
l’intreccio tra l’immensamente grande
e l’immensamente dinamico: Immanuel.
Sempre tuo
e tutto tuo mi firmo:
Salvuccio Lagrange Sinagra,
detto Totuccio o Totonno
e ancora in latitanza.
Post scriptum: avrei voluto essere una rima,
ma solo Gianna fa rima con manna
e non può essere una mamma
perché qualcuno volò violentemente sul nido del suo cuculo.
Che gli venga un accidente e peste lo colga!
Salvatore Vallone
Karancino di Belvedere, 25, 02, 2023