
Venere,
Venere è morta,
i suoi monti sono crollati con i loro ghiacciai marmoladi,
la nostra Venere non ospita la vita di vital libido,
la culla della vita sulla Terra è un inferno nella via Lattea,
la chimica delle sue nuvole è alterata e zozza,
i biomarcatori segnalano che non metabolizza lo zolfo.
Lo zolfo, accidenti, lo zolfo!
Non metabolizza, accidenti, non metabolizza!
“Cosa mi dici mai?”
Così sentenzia topo Gigio
con la sua accattivante voce da fesso di una volta.
E Afrodite?
Afrodite è morta,
anche Afrodite è morta,
è annegata tra le onde verdastre del mare Ionio
in mezzo a quelle isole che fea feconde
con il solo suo sorriso e senza ormoni aggiunti,
senza extension e senza unghie finte
e colorate al cerume del barbiere di una volta,
senza botulo per i trucchi maldestri e per gli inganni sottili,
senza botole per gli allocchi e grana per i parmigiani.
“Sticazzi!”
Pesco direttamente dal romanesco.
Urano è stato amputato dal figlio Krono,
non ha più i posperi e i coglioni.
Il Cielo, ormai, è senza stelle,
ha perso i suoi teneri gioielli,
morirà in un nobile ostello della trista vecchiaia
nei pressi di una augusta Avola antica,
in collina,
nell’aria fresca della sera
e tra le carezze della notte.
Mecojoni!
Ripesco direttamente dal romanesco.
Krono si trascina il senso di colpa
di aver castrato il bonario padre
e di aver fatto uno scempio del cazzo.
Si sa in giro e da sempre
che il Tempo è un emerito coglione:
non rende mai quel che promette allor,
come la Natura di quel di Recanati,
quella che di tanto inganna i figli suoi.
Sticazzi e mecojoni!
Figuriamoci se non fossero stati figli suoi.
Ho ripescato entrambi direttamente dal romanesco.
Quanno ce vò, ce vò.
E in tutto questo baillamme sotto e sopra le stelle,
Gea che fa?
Gea sta a guardare
tra una tetta e l’altra da far succhiare ai figli e ai finti figli,
la Madre attende il nuovo poderoso membro
per essere ingravidata e far contento Darwin,
mentre il vecchio membro galleggia grigio e inerte,
passivo,
inanimato,
sulle onde del pelago antico tra le terre
in attesa di una porzione di pinna di squalo,
in attesa delle solite comari di Windsor,
delle pulzelle delle case regnanti,
delle soubrettes maritate con i ballisti imbellettati,
della solita e intramontabile Charlene maritata al principe,
della solita e sorridente Meghan maritata al principino,
il figlio di una benemerita, a nostro dire, principessa.
Le cose sono chiare
e i giochi sono ormai fatti.
Fottetevi, se vi pare e se vi garba!
Venere e Afrodite sono morte,
sono morte di vero crepacuore
nella redazione del giornale gaio del momento,
tra maschi & maschi che si cercavano sbavando,
tra femmine & femmine che si cercavano implorando,
tra maschi & femmine che si cercavano sbuffando.
Oh Plato,
maior et minor,
oh Platone,
oh Convivio,
oh Banchetto,
oh Simposio.
oh Aristofane,
oh Socrate,
oh Alcibiade,
oh Agatone,
oh Erissimaco,
oh Pausania,
oh Fedro.
Insomma,
un oh vada a tutta la compagnia cantante,
uomini senza donne in cenacolo gaio.
Deh,
orsù,
oh uomini senza donne
raccontate a Mariaccia la storia dell’Amore,
del Bello,
del Buono,
del Cattivo,
del Giusto,
dell’Infame,
raccontateci la trama di un film di Sergio il leone.
C’era una volta Zeus,
c’era una volta la spiaggia stracolma di cicche,
c’erano Venere,
Afrodite,
Charlene,
Meghan,
Ilary,
Gea
e le allegre comari di Avola e dintorni
distese sulla cenere della spiaggia con il culo di fuori,
con le chiappe divise a metà
da un laccetto per uccellagione,
tutte fumanti perché fumavano,
tutte districanti la cicca là dove c’era la sabbia,
tutte intrise di oli minerali della Exo,
tutte incofanate nei cellulari di alto valore morale.
Era la saga delle tre C:
culi,
cellulari,
cicche,
culi nel senso di chiappe,
cellulari nel senso di solitudine,
cicche nel senso di mozziconi.
E tutti e tutte attendevano il 48 o il 47,
o muorto e il morto che parla,
ciucciando allegramente il veleno di Mitridate,
il re del Ponto e delle mafie locali,
per raggiungere l’immortalità dei sensi e dell’onore
sulla ruota lottuosa di Napoli e Palermo.
Venere è morta ancora una volta
in questa spiaggia di caucciù strano e inverecondo,
in tanta malora politica e democratica.
Non ci resta che Lui.
Viva il duce,
viva il duce
che ci dà l’acqua e la luce!
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere 04, 08, 2022