
Oggi nel cielo c’è qualcosa di nuovo,
anzi d’antico,
piena è la luce in questo austero rimasuglio siracusano di Aretusa,
dentro la sua fonte invasa dai morbidi ratti di Persefone,
in questo soggiorno coatto e di color amaranto
come la topolino di Paolo nel quarantasei.
Stanotte nel cielo spicca qualcosa di latteo,
splende il biancore tra le onde spumose di una Afrodite smaniosa,
brilla la costellazione di Orione con la sua clessidra di traverso,
illumina i desideri di Alfeo infranti come specchi ustori,
mostra le sue tre stelle lungo la linea retta
che da casa mia porta a casa tua,
di notte,
come la befana con le scarpe tutte rotte,
per ricordarti che il tempo è sabbia
che scivola e poi torna,
che tempus fugit
e non si arresta mai,
neanche per fare la pipì
come le donne di Ginettaggio,
il Bartali,
come le donne ancora di Paolo,
il Conte delle canzoni ardite e apparentemente jazz,
quelle che vanno liberamente a farsi fottere
tra grammatiche evanescenti e vocabolari inesistenti,
in mezzo al mar,
dove ci sono camin che fumano
o in Sud America
dove il divorzio si compra fuori dal motel
tra l’azzurro di un cielo sopra i piedi di un seminarista
in attesa di diventare papa,
non papà,
senza cadere nelle tentazioni della carne,
pascolo delle carni sublimate di maschi e femmine
nei corpi spirituali e androgini di gente votata all’inumano,
a varcare il confine che dall’Ucraina porta in Russia
in questo rimando guerresco di barbariche invasioni.
Ah, questi preti non sposati!
Vade retro Satana,
non tentare e non tentarmi!
Ah Martin Lutero,
monaco fratacchione di Agostino,
tu prete e lei preta,
insieme una splendida costellazione dentro la clessidra del solito Orione.
Volevo dirti
che confido nella suggestione delle stelle,
lontane come la casa avita lasciata in giovinezza
dietro la valigia in pelle della premiata ditta “bridge”
e a cui si torna per sentirsi quieti dopo la tempesta della Lega,
dopo aver portato il vocabolario e la grammatica
ai servi della gleba del conte di Collalto e di Brandolini.
Sei quieto?
Sei felice?
Lo spero ed è il mio augurio.
Non sono quieto,
non sono felice.
Da un mese ormai il vecchio Pietro non sculetta i suoi cingotti
agli occhi attenti delle signore e delle signorine.
Aveva un milione di globuli rossi,
gli altri cinque li aveva regalati alla sfiga
con la sua esistenza felice consumata nel vallone ameno
dove Anapo si intrattiene con Aretusa
lasciando i fazzolettini bagnati di sperma
nella stradina del signor Vallone
che tanto s’incazza di fronte a tanta vanagloria,
a tanta cornucopia del Genio della Specie.
C’est la vie,
mi dice al cellulare Juliette
con il suo canzonare nel solfeggio di un cazzeggio.
E poi la terra è fertile,
il pane è quotidiano,
qualche buon libro prima di dormire non serve,
gli amici non sono fidati,
le allegre compagnie si svendono con una bottiglia di Nero d’Avola,
la famiglia riscalda il cuore di chi non c’è.
La mia esistenza mi è cara e,
sebbene non conosco dei miei giorni futuri,
so che dove vivo il vento profuma,
sconvolge i capelli acuminati di idee della mia donna.
Occupo pienamente lo spazio dell’eterno presente,
mi chiamo Salvatore,
faccio sentire la mia voce in mezzo alla grassa folla,
scarna di progetti in questi anni nuovi
piegati dall’arbitrarietà della Natura.
Io sono un grillo parlante,
non importa se qualcuno lancerà il suo martello,
racconto sempre per il mio conforto,
scrivo per virtù,
riscrivo per metodo.
In questo mondo rurale niente sembra vero,
tranne me.
Alzo il calice,
bevo con me,
ai miei 75 anni.
Sava
Carancino di Belvedere, 19, 01, 2022