
Tu mi ricordi la nostra casa,
il nostro nonsochè,
la materia prima e primordiale dei filosofi
nel sempre verde trattato di Emilio Paolo Lamanna,
quel qualcosa di modica qualità
che si sente nel nostro quotidiano andare verso la Vita.
Tu mi ricordi le nostre poche semplici cose
che non si lasciano appassire nella superbia di un bel corpo
come le pansè di Renato Carosone,
che non si lasciano smarrire sul sedile del metrò di Parigi
insieme a le Figaro e alla baguette,
che non si lasciano ingannare dagli orpelli del savoir faire
in un ristorante di lusso con tanto di carta dei vini e di menù.
Le nostre poche semplici cose
non ascoltano la voce ingannevole del domani,
si nutrono di un sobrio e tenero presente
che riversa sulla tavola di legno antico fiori variopinti di campo
e grappoli maturi di sole che inebria il corpo e la mente,
gladioli naturali granata e miele di Sortino negli Iblei,
cardi mariano spinosi e imbellettati a ricamo certosino,
tenere olive argentate di pace e citrigne al punto giusto per il palato,
neri mirtilli di piante perenni e amarognole con retrogusto lento,
e poi carciofi,
cicorie,
tenerumi,
spinaci,
radicchi,
patate,
cipolle,
peperoni,
origano,
timo,
peperoncino,
borragine,
tarassachi,
senape,
pagnotte di pane come seni intonsi di donne devote ai santi,
fragoline di bosco arrossate e antiche come le favole
di Esopo,
di Fedro,
di Hans Christian,
di Gianni.
Così ho sognato la nostra dispensa.
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere, 10, 01, 2021