
Tra il Tigri e l’Eufrate,
tra il Manzanarre e il Reno,
colui che sapeva e sapeva parlare,
il Verbo,
disse “Eden”
ed Eden fu.
Con nobile noncuranza,
degna di un dio,
vi pose Adamo e Lilith
a che spargessero il loro seme
nelle pianure di via col vento,
a che domani fosse un altro giorno
e sempre con una serva nera migrante al servizio.
E fu subito sera
e fu che ognuno si sentì solo nel cuore della terra
e fu subito guerra,
con e senza il Corso,
con e senza i matti dei Mattei,
con e senza i senatori a vita
che non muoiono mai.
Dammi la contezza della contentezza della vecchiezza,
gridava Orlando a Rinaldo,
mentre Gano di Magonza ammazzava Guerin,
detto il meschino,
un pezzo di carne intonsa con due occhi di bambolotto
sopra le ciglia finte
e messe su dalla Chiara in quel di Cessalto
sotto l’albero fiorito di giallo della mimosa
che Salvatore le ha regalato in una notte di piena estate
tra batuffoli morbidi e preghiere al vento.
Ma Gano di Magonza era tenuto in piedi dalla lega d’acciaio
e dal patto dei due imperatori,
lui e le rose,
per cui a Firenze e a Milano
di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno.
E fu così che la guerra scoppiò da Scilla al Tanai,
nella camera da letto di coniugale virtù,
dall’uno all’altro mar
sulla rotta di Magellano e del virus a corona.
Fu vera gloria?
Ai Mattei va l’ardua sentenza.
Tutti li vogliono,
tutti li cercano,
come i barbieri di qualità,
di qualità,
di qualità.
Ma la miscellanea ancora non basta,
tanta fu l’offesa
che la minestra non fu servita a puntino
dai camerieri degli alberghi a cinque stelle
con il pagliaccio in prima fila e il buffone in curva.
La contaminazione continua
e persiste nelle zone rosse e verdi
di questa terra malfamata
e divorata dagli scandali edilizi
e massonici della borghesia mafiosa.
O Licio, o Licio,
lama sabactani!
Una donna matura a Firenze canta a una donna giovane.
“C’è la luna in mezzo al mare,
figlia mia chi ti devo dare?”
E la medesima incalza alla madama.
“Mamma mia pensaci tu.”
E la suddetta ribatte imperterrita e in vernacolo lombardo.
“Se ti do il barbiere,
lui va e lui viene
e il rasoio in mano tiene,
se c’iacchiappa a fantasia
mi fiddria a figghia mia.”
E il coro dei popolani entra
e battezza con la merda
la schiera degli eletti in Parlamento,
proprio sotto il Campidoglio.
“O mamma,
zumme zumme e baccalà,
o mamma,
zumme zumme e baccalà,
ohi mammà,
ohi mammà,
zumme zumme e baccalà.”
Eppure l’Eden esiste
ed esiste ancora
con le sue immagini imbalsamate dentro il sussidiario colorato
della benemerita scuola elementare.
Un bambino e una bambina hanno conservato nel giardino
il ricordo di un legame fatto per loro,
una figurina di Biancaneve fatta per lei,
una figurina del principe azzurro fatta per lui.
E se a Natale desideri un regalo
per un corpo che cerca ancora guai,
la perfida fatina manderà a iosa le figurine
della premiata ditta Panini,
i fotoromanzi del settimanale Grand Hotel.
In questo mondo imbelle la poesia abita dove vuole,
il tempo delle mele è lontano
e asciutto è il pantano della pruderie.
Se rinasco in altra patria,
ti vengo a cercare con la lanterna di Diogene,
ti riconoscerò dal profumo di rosmarino del tuo pollo arrosto,
ti bacerò con i pizzilli le labbra e i capelli,
ti sussurrerò bonjour avec le charme de Juliette,
ti porterò dove son tornato ad abitare dopo lunga agonia.
Salvatore Vallone
Carancino di Belvedere, 31, 01, 2021