IL SOGNO A MATRIOSCA 3

RIASSUNTO DEL SOGNO PRECEDENTE

Saba conclude il secondo sogno a matriosca con la piena consapevolezza delle sue psicodinamiche e precisa anche il metodo psicoterapeutico che segue, quello più antico e vicino al Buddismo, la metodologica socratica. Nella prima parte del sogno Saba elabora il suo distacco sublimato dalle psicodinamiche sessuali della maternità e manifesta una soglia di tolleranza della frustrazione molto alta in grazie alla buona ed esibita auto-consapevolezza.

TRAMA DEL TERZO SOGNO A MATRIOSCA

“Esco di casa e sono nel mio terzo sogno, in giro con mia madre rediviva, tornata dal regno dei morti in splendida forma, vestita di rosso, ma sportiva, pantaloni anziché gonna.

È molto attiva, si muove con sveltezza. Ovviamente ha l’ultima età che le è stata consentita, io non posso sapere come sarebbe diventata, quindi la sogno in un tempo immobile, che ora coincide col mio tempo in corsa: ho la sua età di allora o lei la mia di adesso.

Vuole andare in banca a depositare un assegno e mi chiede se di pomeriggio le banche sono aperte.

“Certo, mamma”, le dico. Mi piace chiamarla mamma, al risveglio è una delle sensazioni più appaganti che mi porto dietro.

Le dico che ci rivediamo la sera stessa e me ne vado.”

Saba

INTERPRETAZIONE DEL TERZO SOGNO A MATRIOSCA

Esco di casa e sono nel mio terzo sogno, in giro con mia madre rediviva, tornata dal regno dei morti in splendida forma, vestita di rosso, ma sportiva, pantaloni anziché gonna.”

“Simile simili cognoscitur” sentenziavano gli antichi Romani, i nostri saggi e valorosi progenitori: “il simile si assimila al simile e riconosce il simile”. I Veneti dicono ancora oggi che “la ghianda caduta non va al di là della chioma della quercia”, resta nel raggio della pianta madre. E così nel terzo sogno Saba esordisce con la figura materna e ci presenta una donna in forma e dalle mille variegate sfumature di rosso, il colore della reattività e della vitalità estrema, nonché della rabbia. Saba esce dalla psicodinamica del sogno precedente, la maternità sublimata e la coscienza di sé, per immettersi nelle acque tempestose della figura materna “rediviva”, morta fuori ma viva dentro di lei, e si porta a spasso una madre riesumata dal dimenticatoio, la difesa della “rimozione”, oltre che dal regno dei morti. Saba in sogno elabora la maternità spostandola e condensandola nella madre.

Quale migliore operazione difensiva poteva fare, se non questa per continuare a dormire e a sognare?

In questo terzo sogno la macchina motrice è sempre la stessa dei primi due, la maternità, sia pur con le sfaccettature necessarie all’evoluzione del conflitto vissuto da Saba, che di getto si proietta nella madre e descrive se stessa nell’essere “sportiva” e giovanile e affermativa, “pantaloni anziché gonna”. Saba descrive una “virago”, una donna di potere che ha risolto i suoi conflitti psichici e relazionali con quell’affermatività e quella petulanza che non guastano nel grembo e nella mente di una donna arzilla. Saba si descrive, si piace e si compiace del suo essere femminile nel corpo e maschile nella psiche. Saba descrive una figura androgina molto brillante e mitica, una donna a cui non si raccontano frottole e che non costruisce castelli in aria. La “splendida forma” si attesta proprio in questa vitalità aggressiva e in questo valido pragmatismo; fatti e non chiacchiere.

È molto attiva, si muove con sveltezza. Ovviamente ha l’ultima età che le è stata consentita, io non posso sapere come sarebbe diventata, quindi la sogno in un tempo immobile, che ora coincide col mio tempo in corsa: ho la sua età di allora o lei la mia di adesso.”

Il quadro psicofisico era stato annunciato ed è stato ampiamente descritto in precedenza: “molto attiva e si muove con sveltezza”. La madre, meglio la stessa Saba si vive in sogno “molto attiva” nel fare e pragmatica più degli Inglesi positivisti in “si muove con sveltezza”. Aggiungo che la “sveltezza” è simbolicamente l’abilità mentale nei processi di intuizione e di sintesi. Corpo e mente sono in buona sintonia. Si tratta di attributi che Saba ha prelevato dalla madre durante il processo di “identificazione” per acquisire la sua “identità” psichica di donna abile e capace, non certo di donnetta lessa nel doppio brodo Star. Di poi, Saba passa a precisare le questioni temporali e in ciò denota che il suo sonno è leggero e agitato, la terza fase REM, dal momento che ragiona con la lucidità di una donna in sul primo mattino o dopo aver sorbito una buon beverone di caffè Lavazza. La madre ha l’età che aveva quando è morta, ma non ha l’età degli ultimi istanti vissuti perché Saba la ringiovanisce e la porta alla sua età e completa l’opera di giocare con il Tempo, possibile solo in sogno o nelle fantasie, invecchiandosi all’età in cui la mamma è morta. E’ la stessa tematica che Edmondo De Amicis tratta nella sua poesia dedicata alla madre, che comincia “Non sempre il tempo la beltà cancella o la sfioran le lacrime e gli affanni” per concludere “Vorrei veder me vecchio e lei dal sacrificio mio ringiovanita”. Mi spiego meglio. La madre è nel “Tempo immobile”, mentre Saba è nel “Tempo in corsa”, condividono due modalità del Tempo, lo scorrere evolutivo e lo stare fermo o il “breve eterno”, il Tempo psichico che riporta in vita le nostre presenze interiori. Quello che sta facendo Saba, dopo essersi identificata nella madre, è proprio questo, la madre “viva” dentro di lei e la madre “morta” fuori di lei. La madre “viva” è nel suo “breve eterno” o “Tempo immobile”, la madre “morta” è nello scorrere temporale o “Tempo in corsa”. Si spiega in tal modo “ho la sua età di allora e lei la mia di adesso”. L’identificazione nella figura materna è particolarmente brillante nel sogno di Saba. La presenza è stata importante e l’assenza altrettanto.

Vuole andare in banca a depositare un assegno e mi chiede se di pomeriggio le banche sono aperte.”

Decodificare “l’assegno” nel suo simbolo è determinante per il prosieguo del sogno e per la sua comprensione. “L’assegno” è la traslazione del denaro, il denaro si traduce in potere sessuale, in capacità d’investimento di “libido”, in affermazione sociale e valore femminile in questo caso. Saba rievoca della madre la sua capacità di essere affermativa e di essere una figura reale e concreta più che astratta e carismatica, un donnone con il libretto degli assegni in tasca e sempre pronta a metterci del suo nella rete delle relazioni che intercorrono nella quotidiana pratica esistenziale. La madre vuole andare in banca a depositare un assegno e non sa se le banche sono aperte di pomeriggio: Saba ha potere, ma dubita sui tempi e sulle modalità d’investimento. Saba si è proiettata nella madre e come lei ritiene di essere una donna di gran valore, un donnone, ma, ancora una volta come lei, non sa trovare le occasioni e le condizioni per esternare e rendere oggettivo quel “ben di dio” che si porta addosso in riguardo al corpo e alla mente, nonché alle sue arti seduttive, erotiche e sessuali. Saba sente di avere dentro una banca, un potenziale esplosivo di capitali e di talenti umani, ma, come il vissuto che lei ha della mamma, si vive come una donna sacrificata che non ha realizzato quel che vale e che si è costretta a non investire i suoi valori mobili.

Viva le banche aperte, viva le donne che spendono tutti i loro quattrini non soltanto in balocchi e profumi, ma anche nella piena convinzione del “sapere di sé”, quell’auto-coscienza salvifica che aiuta a investire quintali di “libido” senza alcuna paura e titubanza.

“Certo, mamma”, le dico. Mi piace chiamarla mamma, al risveglio è una delle sensazioni più appaganti che mi porto dietro.”

Anche qui ci sta bene il solito “come volevasi dimostrare” perché Saba rassicura se stessa tramite la mamma sulla possibilità di versare in banca un assegno anche nelle ore pomeridiane. La banca delle virtù e del potere è aperta anche nell’età matura. Saba si consola con la consapevolezza del valore e della dignità di donna matura. La predilezione di “chiamarla mamma” annuncia il bisogno e desiderio della maternità che Saba si sta portando dietro e dentro i suoi sogni a matriosca. Una donna è completa come la mia mamma quando diventa madre. Questa consapevolezza aiuta a vivere e riempie in questo risveglio psichico quello che è mancato a Saba.

Le dico che ci rivediamo la sera stessa e me ne vado.”

Le dico che le voglio tanto bene e vado avanti nella mia vita. Saba congeda la madre temporaneamente e dice a se stessa che la partita si gioca nella sua interiorità dove la figura materna non mancherà, il suo “breve eterno”, e soprattutto non mancherà la piena coscienza di quanto Saba abbia desiderato la maternità e di come abbia sistemato l’assenza di un figlio che l’avrebbe chiamata mamma o maman alla francese. Degno d’interesse il buon dialogo che Saba ha con se stessa: “le dico che ci rivediamo”.

Il sogno a matriosca numero 3 è dedicato alla madre e si conclude con l’incontro e la testimonianza che restiamo sempre nella psicodinamica della maternità e dell’identificazione al femminile. Persiste pacato il rammarico insieme alla consapevolezza della mancata esperienza e del persistente desiderio.

Il filo conduttore dei tre sogni a matriosca di Saba è la contrastata dimensione materna. Non resta che analizzare il quarto e trarre gli auspici di questa libera e originale associazione onirica.

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