IL SOGNO A MATRIOSCA 1

IL QUESITO

Uno dei miei sogni senza soluzione di continuità. Io sogno a matriosca, la fine del primo contesto onirico coincide con l’inizio del secondo e così per tre, quattro volte successive, ma questo guazzabuglio al risveglio si palesa come un unicum.”

La domanda sorge spontanea: è possibile sognare a matriosca?

Il sogno è una matriosca in quanto “unicum”, ma viaggia per libere associazioni come una seduta psicoanalitica.

“Vada a ruota libera con i suoi pensieri e non curi la logica di quello che dice”: questo era il nuovo invito metodologico di Freud alla sua paziente dopo aver abbandonato la pratica ipno-terapeutica.

Non sogniamo a matriosca, sogniamo in fila indiana intessendo i nostri “fantasmi” nel campo di battaglia come tanti bei soldatini di latta nei giochi dei bambini di un tempo. Il sogno è una “unica”, un insieme di “unici” che costituiscono il nostro “unicum”, la nostra irripetibilità psichica. La clonazione non abita nella nostra psiche anche quando la Psicologia delle masse sembra dire il contrario e la Storia presenta pagine scritte da pochi personaggi. E’ impossibile suggestionare un insieme di persone nella stessa misura e con gli stessi contenuti, perché ogni componente del gruppo rivisita il messaggio in base alla sua formazione e ai meccanismi psichici di difesa che usa in prevalenza nel suo quotidiano vivere. La Storia è ricca di epoche di alta suggestionabilità e di incantatori di serpenti, ma la Storia è maestra di vita soltanto quando diventa Poesia, quando ogni uomo filtra il fatto oggettivo anche con l’acutezza della sua sensibilità, altrimenti è destinata a essere l’elenco telefonico del buon tempo antico. In questo malaugurato caso la Storia è pericolosa, perché si riempie delle suggestioni di abili illusionisti e fantasiosi malati mentali.

Questo preambolo per confermare che la matriosca è una bella bamboletta russa che è rimasta incinta di tante piccole sorelle tutte uguali e sempre più piccole, così come i nostri sogni sono talmente personali e originali che non possiamo mai ripeterli anche se trattano gli stessi “fantasmi”. In questa naturale e involontaria operazione psichica notturna si attesta la nostra irripetibilità e la nostra ignorata carica creativa, una dote non piovuta dal cielo, ma una modalità di elaborazione insita nella materia vivente. Anche i miei gatti sognano e alla grande.

Il sogno di Saba attende di essere denocciolato come le famose olive o le altrettanto famose prugne secche della California, quelle che consentono il noto benessere psicofisico del mattino.

LA TRAMA DEL PRIMO SOGNO DELLA MATRIOSCA

“Mi sveglio e chiedo al mio compagno se mi porta un caffè a letto, ma in breve mi trovo catapultata ad attendere la colazione in cucina, dove sua figlia ha messo sul fornello, per sé, una piccola caffettiera da due.

Io invece voglio la caffettiera da tre, ma non la vedo in giro. Mi sto spazientendo, quando arriva il mio compagno col caffè e con un bicchiere vuoto, pulito, trasparente.

Metto dell’acqua nel bicchiere e il vetro diventa immediatamente opaco; sul fondo vedo un residuo bianco, denso e spesso, sembra bicarbonato bagnato. Sciacquo il bicchiere, ma questo residuo non se ne va.

Chiedo al mio compagno se ha lavato la caffettiera col bicarbonato e lui mi risponde che ha usato un detersivo che io so essere velenoso e mi spavento, perché non riesco a ricordare se ho già bevuto il caffè uscito da quella caffettiera.

Mi rendo conto di non averlo fatto e di star ancora aspettando. Nel frattempo, in cucina è apparsa mia sorella e si prepara il caffè. Sia lei che la figlia del mio compagno riescono a berlo, mentre il mio, l’unica volta che finalmente gorgoglia nella caffettiera per avvertire che è pronto, si rovescia sul ripiano della credenza, forse anche per la mia maldestraggine.

Cerco di trattenerne un po’ per versarlo nella tazza, ma è proprio solo un goccio e purtroppo lo devo buttare via.”

Saba

L’INTERPRETAZIONE DEL PRIMO SOGNO DELLA MATRIOSCA

Mi sveglio e chiedo al mio compagno se mi porta un caffè a letto, ma in breve mi trovo catapultata ad attendere la colazione in cucina, dove sua figlia ha messo sul fornello, per sé, una piccola caffettiera da due.”

Saba è nel gruppo, ma si sente estromessa dal gruppo, è ben consapevole dei suoi bisogni di capire pienamente la sua situazione esistenziale e il suo status psichico, ma spesso è presa alla sprovvista da quegli eventi che non dipendono da lei e che non può controllare. Spesso si trova e si sente “catapultata” nella ricerca e nella condivisione degli affetti e il sentimento della rivalità non è assente, anzi fa sentire la sua autorevole voce. Saba chiede al suo compagno un’eccitazione sessuale che si fonde e confonde con la sfera affettiva, “la colazione in cucina”, per cui resta inappagata e alla ricerca di una soddisfazione sostitutiva. Con “una piccola caffettiera da due” non si può sorbire un buon caffè se siamo in tre. L’elettroencefalogramma di Saba ha poca corrente, ma ancora non è piatto. Finché c’è vita, c’è “libido”.

Io invece voglio la caffettiera da tre, ma non la vedo in giro. Mi sto spazientendo, quando arriva il mio compagno col caffè e con un bicchiere vuoto, pulito, trasparente.”

Saba avanza le sue giuste richieste affettive, anche lei è della compagnia e della partita, è consapevole di trovarsi in una famiglia allargata e di avere delle carenze affettive, erotiche e sessuali. Nell’economia psichica del gruppo non circola buon sangue e qualche screzio si palesa e si sistema con la buona volontà. Saba si fa portare il caffè, l’eccitazione che serve, dal suo compagno e stranamente anche “un bicchiere vuoto, pulito e trasparente.” Quest’ultimo è un simbolo femminile di recettività sessuale e si avvicina al grembo più che alla vagina, ha una valenza di gravidanza più che di una sfrenata eccitazione erotica e sessuale, è finalizzato alla maternità piuttosto che alla vita e alla vitalità di coppia. Saba in sogno sta riesumando i suoi “fantasmi” in riguardo alla maternità e al suo istinto materno. La simbologia del bicchiere “vuoto” attesta della necessità di riempirlo, il grembo attende il seme ed è pronto alla sua funzione procreativa. Il “bicchiere” è “pulito” ossia il grembo è sano ed esente da sensi di colpa, la dimensione materna di Saba non ha elaborato “fantasmi” tali da indurre sensi di colpa. Saba non ha mai colpevolizzato la sua possibilità di diventare madre. Il “bicchiere” è “trasparente” per rafforzare quanto si diceva prima, l’esenzione da pulsioni di colpa e da bisogni di espiazione. Questa convinzione è ben chiara nella mente della protagonista. Saba ha ben valutato i suoi bisogni e le sue progettualità in quanto alla possibilità di diventare madre.

Metto dell’acqua nel bicchiere e il vetro diventa immediatamente opaco; sul fondo vedo un residuo bianco, denso e spesso, sembra bicarbonato bagnato. Sciacquo il bicchiere, ma questo residuo non se ne va.”

Accidenti, cosa succede?

Come non detto, si presenta il trauma senza preavviso e all’improvviso. “Il vetro del bicchiere” diventa “opaco” appena “l’acqua” lo riempie. Nell’edizione del trauma della frustrazione della maternità Saba in sogno formula un’allegoria di valore, il capoverso suddetto definisce in sintesi il tentativo, la cura e la frustrazione della capacità procreativa. Il “residuo”, che “non se ne va” nella pulizia del bicchiere, attesta di un persistere degli agenti nocivi alla maternità. Il capoverso è pieno di simboli: “l’acqua” rappresenta la prerogativa materna dell’universo femminile, il “bicchiere” condensa il grembo e la recettività materna, il “vetro opaco” si traduce in una degenerazione dell’utero, la consapevolezza del quadro clinico traspare in “sul fondo vedo un residuo bianco, denso e spesso, sembra bicarbonato stagnato.”, il tentativo di una terapia emerge in “sciacquo il bicchiere”, così come la constatazione dell’esito negativo si camuffa in “questo residuo non se ne va”. Il seme e l’utero sono incompatibili, qualcosa non va in entrambi.

Una serie di domande nasce naturale e con la giustificazione del genitore e del sottoscritto.

Perché l’acqua e il pulire e lo sporco non sono interpretati come sensi di colpa?

Perché l’interpretazione verte sulla rappresentazione, “figurabilità”, del trauma e del prosieguo del trauma e non sui sensi di colpa legati all’apparato genitale e di cui Saba non riesce a liberarsi pur sciacquandoli ben bene?

Perché non parlare di un organo inquisito e di una funzione colpevolizzata?

A domande legittime mi rispondo procedendo con l’interpretazione.

Chiedo al mio compagno se ha lavato la caffettiera col bicarbonato e lui mi risponde che ha usato un detersivo che io so essere velenoso e mi spavento, perché non riesco a ricordare se ho già bevuto il caffè uscito da quella caffettiera.”

Saba si rivolge al partner sessuale e gli chiede se ha fatto le cure giuste per l’eccitazione e la fertilità. A questo punto vengono fuori le paure di Saba di restare incinta, “ho già bevuto il caffè velenoso uscito da quella caffettiera.” Il “bicarbonato” rappresenta un agente anestetico e disinfettante, un farmaco, così come la caffettiera condensa la varia gamma dell’eccitazione maschile e femminile per il contenuto nervino che alla fine sputa fuori dalla bocchetta. Saba dice che il seme del compagno non è funzionale alla sua possibilità di diventare madre, fermo restando che “l’essere velenoso” contiene la sue normali paure di imbattersi in una gravidanza. Più che sensi di colpa, “lavato” e “detersivo”, si tratta di interventi concreti finalizzati al ripristino di una funzione, quella maschile in questo caso. Si profila la difficoltà del partner a ingravidare Saba e l’averla fecondata con un eiaculato inefficace. Saba ha bevuto quel caffè e si appresta a confermare la sua naturale paura di restare incinta.

Mi rendo conto di non averlo fatto e di star ancora aspettando. Nel frattempo, in cucina è apparsa mia sorella e si prepara il caffè. Sia lei che la figlia del mio compagno riescono a berlo, mentre il mio, l’unica volta che finalmente gorgoglia nella caffettiera per avvertire che è pronto, si rovescia sul ripiano della credenza, forse anche per la mia maldestraggine.”

Saba è consapevole della sua attesa della volta giusta e buona per realizzare la sua maternità. A conferma di quanto affermato Saba introduce un’altra donna, la sorella, su cui proietta il suo bisogno di avere il “caffè” giusto proveniente da una caffettiera funzionante. Anche “la figlia del compagno” conferma che si tratta di una psico-dialettica tra donne in riguardo alla fecondazione e alla maternità. Tutte bevono, compreso il compagno, soltanto Saba non riesce a bere il suo caffè e addirittura lo rovescia sul ripiano della credenza. Quest’ultima è l’allegoria del “coitus interruptus”, il maschio che si astiene dall’eiaculazione “intra portas” per depositare lo sperma sul pube e sul ventre della donna. Saba si assume la responsabilità di questa svista e di questo costume perché vuol comunicare che in qualche modo anche lei è responsabile di questa dialettica genitale della coppia.

Cosa sarà successo a Saba?

Ha avuto un aborto o ha avuto un intervento chirurgico?

Cerco di trattenerne un po’ per versarlo nella tazza, ma è proprio solo un goccio e purtroppo lo devo buttare via.”

Saba ha tentato di avere un figlio, ma la gravidanza non è andata a buon fine per una oligospermia e necrospermia del suo compagno. Così si traduce lo sforzo di trattenerlo nel grembo o “versarlo nella tazza”, “proprio solo un goccio”, “devo buttare via”. In precedenza il sogno aveva evidenziato le difficoltà di Saba. Con questa immagine onirica, connotata dal “purtroppo” e dal “devo buttarlo via”, si conclude il contenuto della prima matriosca, una psicodinamica di alta sensibilità che Saba snoda con l’abilità simbolica di una persona che ha una buon “sapere di sé”

LE ALLEGORIE

Il tentativo, la cura e la frustrazione della capacità procreativa si condensano in “Metto dell’acqua nel bicchiere e il vetro diventa immediatamente opaco; sul fondo vedo un residuo bianco, denso e spesso, sembra bicarbonato bagnato. Sciacquo il bicchiere, ma questo residuo non se ne va.”

Il “coitus interruptus” con l’eiaculato “extra portas” è condensato in “l’unica volta che finalmente gorgoglia nella caffettiera per avvertire che è pronto, si rovescia sul ripiano della credenza, forse anche per la mia maldestraggine.”

Ricordo che le figure retoriche costituiscono la gran parte dei nostri sogni e che in questa elaborazione tramite i “processi primari” siamo creatori, nostro bengrado e nostro malgrado, poeti senza aver alcuna consapevolezza e senza addurre alcuna libera volontà. Subiamo il sogno e la sua formulazione. Niente di magico in tutto questo, perché si tratta soltanto di una mancata consapevolezza. Per quanto riguarda il contenuto che immettiamo nel sogno sappiamo che si tratta del nostro materiale psichico sedimentato nel corso dell’esistenza, così come dei “meccanismi” e dei “processi” possiamo anche essere consapevoli di questa attività psicodinamica, così come delle energie immesse e agite sappiamo dalle fasi REM e nonREM. Esiste una Topica ossia un sistema psichico onirico, una Dinamica ossia come si forma il sogno, una Economia ossia quali energie si muovono e si consumano in sogno.

Quanto dovuto a Saba si può fermare con abbondanza qui.

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