
TRAMA DEL SOGNO
“Ero in viaggio.
Prendo una camera. Nel posto ce ne sono tante con porte una dietro l’altra, porticine tipo cabine e, infatti, il posto dà sul mare.
Poso le mie cose. Nella stanza ci sono molte cose. Dà un’idea di vissuta, non quella di anonimato solita degli alberghi.
Faccio una passeggiata verso il mare in una striscia di terra. Ci sono onde molto lunghe anche se il tempo è bello.
Mi avvicino e mi faccio bagnare dagli spruzzi e penso, mentre lecco il sale: “bello farsi bagnare da un altro mare”.
Dopo essermi cosparso ben bene, penso: “ora faccio una foto e lo racconto”. Ma non ho il cell che ho lasciato in camera.
Penso: “vabbè, poi, quando torno, faccio la foto.”
Penso, però, che in realtà ho lasciato il cellulare, i documenti (strano perché ho la sindrome del “Fu Mattia Pascal” e non giro mai senza), i soldi.
Mi avvio verso la camera non preoccupato, ma faccio una bella corsetta: (sto in piedi, eh!).
Non trovo la camera. Allora dopo aver bussato a varie porticine, vado verso la reception per chiedere il numero di stanza.
Ci sono due signore e una mi dice: “Oui, oui, monsieur Margaritò (quindi sono in Francia), il numero è questo e mi avvio verso la stanza.”
Margarito
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Ero in viaggio.”
Margarito sta vivendo. E’ un uomo che cerca e che spera di trovare, ma dentro di lui è in movimento e non si vuole acquietare. La vita è un “viaggio”. La metafora della vita è il “viaggio”. Il “viaggio” è l’allegoria del vivere. Mettila come vuoi, ma Margarito ha tanto viaggiato e ha tanto vissuto al di là della sua età anagrafica. Adesso sogna di essere nuovamente in corsa e in giro per il mondo, sempre dentro di lui s’intende. Margarito ha una buona confidenza con se stesso e può permettersi di viaggiare nella sua interiorità, nei meandri della sua psiche, nei recessi del suo “psicosoma”, negli anfratti della sua “persona”, maschera s’intende. E il sogno ne manifesta alcuni, i più tosti e delicati. Procedere urge e giova.
“Prendo una camera. Nel posto ce ne sono tante con porte una dietro l’altra, porticine tipo cabine e, infatti, il posto dà sul mare.”
E, infatti, Margarito va alla ricerca delle “parti psichiche di sé” che vuole disbrigare in questo sogno. Intanto prende “una camera”, intanto si addentra in un luogo tutto suo che ancora non si palesa nella sua identità e nella sua qualità. La “camera”, ormai, si sa che nel linguaggio dei simboli rappresenta ed è una “parte psichica di sé”, una “parte” a cui accostarsi in maniera delicata e senza forzature, senza grimaldelli da ladro di periferia. Non si sa mai quale porta si apre e dove ci si imbatte, specialmente quando si va in hotel, in un luogo di tutti e necessariamente anonimo nella popolare visione, in un luogo così vario e così variamente vissuto da tanta gente e da tante dialettiche psico-esistenziali. Margarito ha tante camere dentro di lui, nel suo sito psichico, nella sua “organizzazione psichica reattiva”, nella sua “struttura evolutiva”, insomma, Margarito non è un uomo da poco e poco considerato “in primis” ai suoi stessi occhi, è un uomo complesso e complicato e specialmente dentro: “Nel posto ce ne sono tante con porte una dietro l’altra, porticine tipo cabine”. Si è capito che il sogno non appartiene a un pincopallo qualsiasi o a un Giobatta da Cefalù. Questo prodotto psichico è di un uomo che inizialmente si sta giustamente difendendo dietro l’anonimato e la genericità. Si sa che il sogno tratta di lui, ma questo lui non si appalesa nella sua evidenza sostanziale come un ente toccato dallo spirito santo, questo lui è in pieno qualunquistico anonimato. Di solito questa è la manovra difensiva degli introversi, coloro che hanno tanto vissuto dentro prima che fuori. Tutti abbiamo elaborato un patrimonio notevole di vissuti, ma le persone che propendono all’uso del meccanismo di difesa della “introversione” hanno accumulato tanti tesori presso i castelli medioevali sulla Loira, in Francia guardacaso. Le “porte”, le “porticine”, le “tipo cabine” sono il patrimonio psichico che Margarito sta investendo in questo sogno e trattasi di materiale, “fantasmi” e “vissuti” sotto forma di esperienze o di “erlebnis” alla tedesca, molto coperto perché intensamente pensato ed elaborato. Viene fuori una ricchezza interiore assoggettata a una gamma di difese che la rendono fascinosa per il portatore e gestore, Margarito per l’appunto, e per gli altri, quelle persone che aspirano a intrufolarsi in queste “stanze” e in questi abbozzi di “stanze”, di “parti psichiche” di Margarito.
Perché queste “porte”, “porticine” e queste “tipo cabine” sono fascinose?
Semplice, lo dice lo stesso interessato: “il posto dà sul mare”. Margarito sogna di affacciarsi sul “mare” con i piedi ben saldi sulla terra, sulle sue “stanze” e sui segreti pensieri che vengono dalla profondità psichica ed esulano verso la stessa profondità psichica in cui risiedono. Il “mare” rappresenta simbolicamente il “principio femminile”, la dimensione psichica inconscia, l’esistere e il vivere. Margarito si prospetta alla grande Madre, alla “rimozione” per fomentare un consistente Inconscio, all’essere gettato nel mondo con la sua individualità e la sua libertà, a operare i suoi investimenti di “libido”, a fare le sue scelte, a deliberare e a decidere.
Questo è “il posto sul mare” che Margarito ha tanto bramato, un altro “mare”, il suo “mare”.
“Poso le mie cose. Nella stanza ci sono molte cose. Dà un’idea di vissuta, non quella di anonimato solita degli alberghi.”
“Poso le mie cose”: pondero bene i miei vissuti e li razionalizzo al meglio in questa situazione quasi magica in cui mi trovo, uno “status” psichico che soltanto il sogno può dare naturalmente. Margarito sa prendere e sa soprattutto lasciare. Dentro ha una ricchezza consistente e un patrimonio psichico fatto di “molte cose”. Ancora non si capisce bene di quale “stanza” si tratta, ma si è detto in precedenza che Margarito è un uomo coperto e difeso, strutturato e coriaceo che sa dispensarsi al momento giusto come un buon vino d’annata. Del resto, è assolutamente naturale mantenere nell’età matura, quando si ha “l’idea di vissuta”, le “stanze” in ordine, è importante per l’equilibrio psicofisico mettere ogni cosa al posto giusto e dare il posto giusto a ogni cosa. Margarito lo sa e lo ha fatto regolarmente perché non ha potuto concedersi il disordine mentale e l’agitazione nervosa. Ha dovuto organizzare e organizzarsi nel corso del cammin di sua vita e in tal modo ha potuto assaporare nel bene e nel male i frutti delle sue esperienze e i vissuti delle sue modalità cognitive ed emotive, i suoi pensieri e le sue azioni, le sue emozioni e i suoi affetti, i suoi investimenti di “libido” per dirla in gergo psicoanalitico. Ha vissuto e si è contraddistinto secondo le note caratteristiche che ha maturato seguendo il ritmo del coinvolgimento psicofisico che di volta in volta ha dettato in prima persona e secondo le sue valenze. Non si può di certo dire che Margarito è un uomo anonimo e convenzionale, un uomo per tutte le stagioni: tutt’altro! Margarito non ha niente di anonimo e di obsoleto nelle sue “stanze”. Anche il suo albergo ha una tonalità individuale che va dal distacco alla condivisione, dal silenzio al rumore, dall’isolamento al coinvolgimento. Il sogno dice che Margarito si sta ben difendendo con l’uso dei “processi primari” e che si sta aprendo progressivamente alla verità psichica concreta che vuole emergere: “adelante cum iudicio”. Nonostante queste benefiche cautele, Margarito non si esime dal descriversi nei tratti caratteristici della sua formazione evolutiva e dei suoi modi di essere e di esistere.
“Faccio una passeggiata verso il mare in una striscia di terra. Ci sono onde molto lunghe anche se il tempo è bello.”
L’attrazione verso l’imponderabile e l’evanescente è irresistibile. Margarito è intenzionato con la sua coscienza “verso il mare” curando di tenere i piedi ben saldi sulla terra. All’uopo è buona anche “una striscia di terra”, un aggancio alla coscienza dell’Io, in una incursione verso il crepuscolo e l’obnubilato, il materiale psichico “rimosso” che non vede la luce della consapevolezza e che fa da sostegno al sistema psichico, alla “organizzazione psichica reattiva” di Margarito. Le sue introspezioni sono incursioni ben ponderate verso il “non vissuto” e il “non detto”, verso tutto quello che poteva nascere e che non ha visto la luce. Il senso della potenza è ben visibile in questo “fallo” di terra, questa “striscia” che s’insinua e s’incunea nell’elemento femminile rappresentato simbolicamente dal “mare”. In linea e in sintonia con il quadro sornione e attendista sono le “onde molto lunghe”, quasi un mare di scirocco, che contrastano con “il tempo bello” a conferma che i simboli parlano un loro linguaggio e non si riducono alla Logica consequenziale di Aristotele. Il mare di scirocco, con il suo moto ondoso di culla, favorisce il rilassamento e la distensione, l’abbandono dei sensi, la “reverie”. Il quadro psicofisico è in sintonia e in sincronia con lo stato d’animo di Margarito, un uomo che cerca e ricerca se stesso nel crepuscolo della sua coscienza e di fronte a “un altro mare”, in una nuova e diversa circostanza esistenziale ovviamente congrua con il momento psicofisico che il Tempo segna scorrendo inesorabile verso il bisogno d’ignoto e la speranza di quiete. “Il tempo è bello” quando è riservato all’abbandono psicosensoriale e alla ricerca di quel “se stesso” diverso e nuovo che non è mai andato al di là del “mare” in cui è nato e cresciuto. La “passeggiata”, il “mare”, la “striscia di terra”, le “onde lunghe”, il “tempo bello” sono gemme che incastonano il gioiello allegorico di un uomo che cerca la sua “atarassia”, la tranquillità del suo animo alla greca. Vediamo dove va a parare la tanta bellezza degli elementi in ballo.
“Mi avvicino e mi faccio bagnare dagli spruzzi e penso, mentre lecco il sale: “bello farsi bagnare da un altro mare”.
Leccare il sale di un altro mare, di cui mi lascio “bagnare dagli spruzzi” e intanto “penso”: variando l’ordine delle parole il senso e il significato non cambiano. Margarito è un uomo che cerca una sua nuova dimensione psicofisica, una migliore e rinnovata “coscienza di sé”, proprio in questa allegoria sessuale della ricerca di “un altro mare” salato da leccare e in cui immergersi.
E’ proprio vero che Eros e Thanatos sono fratelli gemelli e marrani!
Il gusto del sale ricorda una canzone d’amore “anni sessanta” dell’ombroso Gino Paoli, un testo e una musica di una semplicità estrema e di un coinvolgimento pop che scende dai sensi per arrivare al cervello soltanto se è necessario. Per il resto è tutta un’emozione gustosa di calore sulla pelle e di sale sul palato. Margarito si smarrisce consapevolmente in questo “altro mare” e si abbandona al gusto di una sapienza che aspira a sublimarsi in saggezza, come in una fase di passaggio da un’età a un’altra, come in una “età” storica di Giambattista Vico, come in un’evoluzione psicofisica del collaudato duo Darwin-Freud. Il “sale” è un simbolo sacro, possiede un carisma e un valore. Quest’ultimo è culturale e ampiamente mercenario. Il “sale” sala e accresce la durata delle sensazioni, delle emozioni e delle certezze consapevolmente razionali, oltre che conservare il pesce e la carne sin dai tempi dei Romani, oltre che fare la fortuna dei primi veneziani della laguna. Il “sale” è come il “mare” un simbolo complesso e atavico, talmente antico che affonda le sue braccia negli albori del “pitecantropo” per la sua naturale gratuità e innata generosità. Il “sale” lo trovi bello e servito sugli anfratti delle scogliere in riva al mare, esige le giuste dosi per essere prezioso al corpo e alla mente, alle ghiandole endocrine e all’eccitazione logica e consequenziale delle libere associazioni e del discorso dialettico. Il “sale” di un “altro mare” è simbolicamente sempre lo stesso, anche se in natura è più o meno saturo e più meno salato. Margarito è eroticamente preso dalla ricerca di una nuova dimensione della sua consapevolezza e non sa fare a meno della parte gustosa ed eccitante della sua unità psicosomatica, del suo bisogno del Femminile, della sua propensione al crepuscolo della coscienza e dei frutti creativi della Fantasia. Ribadisco la coalizione cospiratoria di Eros e Thanatos in questo capoverso fortemente allegorico nell’interazione delle sue dinamiche simboliche. Aggiungo che il richiamo alla modalità cenestetica di scrivere del grande Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, nel suo “Gattopardo”: sensualità e sensorialità nelle parole e nelle loro combinazioni tramite l’uso di figure retoriche altamente cariche di sensi e di significati. Leggete il libro per confermare, più che per credere, anche perché ancora l’effetto contaminazione dei sensi e delle parole non è finito.
“Dopo essermi cosparso ben bene, penso: “ora faccio una foto e lo racconto”. Ma non ho il cell che ho lasciato in camera.”
Margarito si è “cosparso” di acqua salata, del “sale di un altro mare”, si è cosparso “ben bene” e in questa operazione auto-erotica di qualità sensoriale sente il bisogno di tradurre in parole e in immagini il film che sta vivendo già in sogno. Al normale processo onirico Margarito aggiunge il processo grafico e fotografico. Entrambe le modalità descrittive sono funzionali all’appagamento narcisistico ed esibizionistico, compiacciono la “posizione psichica narcisistica” del protagonista, quella tutta incentrata sull’auto-compiacimento e sull’auto-gratificazione, sulla propria persona e sul gusto della stessa con l’aggiunta del dovuto retrogusto, come nelle migliori degustazione di whisky scozzese in quel di Castelfranco veneto durante le notti nebbiose. Margarito è in debito di offerte di sé ed è in credito di mancate offerte di sé. Si profila un tumulto psicofisico in questa dialettica narcisistica di Margarito con se stesso e con gli altri nel dire e far vedere quel se stesso con il gusto del sale addosso, quel se stesso brillante e saporito come un salmone affumicato norvegese. E’ questo il problema di Margarito, l’offerta di sé al migliore offerente e nelle condizioni prospere di parola e immagine. La rappresentazione “di sé” si associa alla narrazione “di sé” ed entrambe si squadernano verso un prossimo che attende l’epifania del sacro oggetto e del carismatico evangelo. Margarito aspira a raccontarsi e a farsi vedere nelle condizioni migliori del suo essere e del suo esistere lontano dal suo “mare” e in un altro “mare”. E’ presente una vena di fuga e di ritrovamento, fuga dal suo ambiente e da se stesso, ritrovamento di nuovi modi e di nuove forme, sempre di sé, della sua persona che aspira a manifestazioni congrue e congeniali, quasi desiderate con devozione e auspicate a mani giunte. Ma tutto questo processo evangelico ed epifanico è vanificato dalla negligenza, “non ho il cellulare che ho lasciato in camera”. Margarito ha dimenticato dentro se stesso, per la precisione in una “camera” della sua casa psichica, il prezioso strumento di comunicazione che avrebbe permesso l’appagamento di un desiderio e di un bisogno, quello che consentiva il passaggio dal “narcisismo” alla “genitalità”, dall’autocompiacimento gratificante alla condivisione di “parti psichiche di sé” che non trovano la strada giusta per esprimersi in mezzo alla gente. Si precisa sempre meglio la psico-dialettica di Margarito: passare da se stesso agli altri con tutto il carico di “sale” e di sapori “di sé” che si porta addosso e dietro. Per questo progetto è opportuno “un altro mare”, una diversa dimensione della “coscienza di sé” e opportunamente legata a una diversa esibizione di sé: epifania psicofisica. Lo strumento fallico del “cellulare”, che consentiva tale manifestazione, è stato “rimosso”, è stato lasciato dentro di sé, si è inceppato in prigione, si è rotto nei suoi ingranaggi, per cui a Margarito non resta altro che l’appagamento narcisistico e viene a mancare la condivisione, la “genitalità” del dare e del comunicare semplicemente perché ciò che sente “dentro” non riesce a tradurre “fuori”. Questo è lo psicodramma di Margarito: la distonia tra l’interiorità e l’esteriorità, la mancata collusione tra quel che c’è “dentro” e quel che si tira “fuori”.
“Penso: “vabbè, poi, quando torno, faccio la foto.”
La “compensazione” val bene una Messa!
Come re Enrico di Borbone in piena guerra di religione nella Francia del sedicesimo secolo.
Margarito usa questo processo di difesa dall’angoscia, la “compensazione” per la precisione, con disinvoltura e perizia. Oltretutto alla fine del sogno si scoprirà che si trova in Francia. Non si perde d’animo semplicemente perché nella sua vita ha imparato a “far di necessità virtù”, seguendo la sapienza antica e assecondando le emergenze moderne. Margarito sa molto bene che non serve opporsi alle forze del destino e tanto meno alla forza dei fatti, per cui la “compensazione” cade a fagiolo nel suo piatto quotidiano di lenticchie. “Nondum matura est”, disse la volpe a se stessa guardando l’appetito e l’inarrivabile grappolo d’uva ancora appeso al suo tralcio. Volgarmente si tratta del meccanismo principe di difesa della “razionalizzazione”, quello che non traligna nel delirio paranoico e che si ferma alla constatazione intelligente dei fatti e della realtà in atto. Così, in un batter d’occhio, l’angoscia che bussava alla porta si risolve in un accorato appello a non lasciarsi prendere dal panico e a ragionare su qualsiasi evento per ricondurlo alle sue coordinate logiche e concettuali. Questo è quanto si può tirare fuori da un semplice e sintetico “vabbè”, nonché fatalistico e di siculo-araba estrazione culturale. Margarito esterna un “amor fati” più nietzschiano di quello di Nietzsche, anzi e meglio, più greco di quello di Zenone. La teoria filosofica dello “eterno ritorno” degli Stoici si riverbera nel suo piccolo nel “quando torno” del semplice Margarito, un uomo che ripete, senza averne coscienza, tragitti psichici già effettuati e già vissuti, il “dejà vu” e il “dejà vecu”, percorsi universali che corrispondono alle modalità dell’Uomo di porsi di fronte alle proprie evenienze contingenti senza avere la consapevolezza che si tratta di posizioni universali di affrontare l’angoscia del vuoto e della perdita. “Quando torno” si traduce in “quando riattraverso”, così come “faccio la foto” si traduce papale papale in “prendo coscienza” in maniera diretta e traslata, razionalizzo secondo immagini, decodifico i simboli. Margarito si dispone alla presa di coscienza che ha posposto in precedenza dimenticando il cellulare in camera. La disposizione psichica di Margarito è buona e tende a disoccultare il materiale psichico rimosso nel mare profondo, a far emergere le sue angosce in riguardo ad eventi drammatici e traumatici. La “razionalizzazione” è da rimandare nel suo quotidiano esercizio. Meglio: Margarito ricorre quotidianamente alla “razionalizzazione”, a farsi una ragione del suo “mare” e del suo nuotare in un “altro mare”, ma il “sale” carismatico della verità non è mai abbastanza da spalmare sul suo corpo.
“Penso, però, che in realtà ho lasciato il cellulare, i documenti (strano perché ho la sindrome del “Fu Mattia Pascal” e non giro mai senza), i soldi.”
Il “vabbè” non va più tanto bene al nostro eroe protagonista. Il processo psichico di difesa dall’angoscia della “compensazione” non funziona come nei tempi migliori, quelli che furono come fu il nostro, immancabilmente siculo, Mattia Pascal e nonostante il nome decisamente francese o francesizzante e la sua residenza ligure. Anche la “razionalizzazione” lascia sul terreno qualche morto da sindrome strana. Il povero meccanismo di difesa e di salute, detto tra noi povera gente del popolo, è stato consumato da un male incurabile: il dubbio francese, la “scepsi” greca. Ma non si tratta del dubbio metodico di Renato delle Carte o della drastica “scepsi” di Pirrone di Elide. Margarito mette in serio e complesso dubbio la sua identità psichica, maturata oltretutto in tanti anni di esercizio del vivere e in tante vicissitudini esistenziali, nonché diffida del suo potere di uomo, maschilità compresa. E’ uscito senza cellulare, senza soldi e senza documenti ed è grande amico e ammiratore di Mattia Pascal e di Adriano Meis. Margarito si trova in “un altro mare”, possibilmente in Francia, per rievocare e mettere in discussione la sua identità psicofisica, la sua parte antica e la sua parte moderna, il suo Mattia e il suo Adriano. L’identità auspicata lo vuole libero dal potere fallico della rete di relazioni, il “cellulare”, lo vuole libero dai suoi connotati psicofisici, “i documenti”, lo vuole libero dal potere maschile d’investimento della “libido”, “i soldi”. Questo è il nuovo Margarito, l’Adriano Meis della situazione, un uomo che ha seppellito i suoi vecchi modi di essere e di esistere e che ha scelto “un altro mare” di cui intingere le membra con il nuovo “sale” dell’autocoscienza, la conoscenza di sé e del suo mondo diametralmente opposta alla vecchia e obsoleta identità alla Mattia Pascal. Margarito in sogno sta istruendo un conflitto sulla sua identità psicofisica e sta cercando una nuova dimensione del suo essere e del suo esistere. Pirandello insegna non a caso. Freud suggerisce il conflitto tra l’ideale dell’Io e l’Io ideale, una dialettica tormentata e ispirata da una forte insoddisfazione e dalla ricerca di una fuga dalla realtà in atto, una contingenza troppo avara e severa nei vissuti di Margarito.
“Mi avvio verso la camera non preoccupato, ma faccio una bella corsetta: (sto in piedi, eh!).”
L’affanno non è alleato di Margarito anche nelle questioni importanti. Abituato ai tormenti dell’anima e dell’animo in riguardo alla sua “organizzazione psichica reattiva”, alla sua struttura psichica evolutiva e alla sua identità reale e ideale, Margarito entra in se stesso con la stessa facilità con cui i Greci antichi facevano dire a Socrate “rientra in te stesso” o “conosci te stesso”. L’introspezione non ha fatto difetto nello svolgimento della sua vita, così come la riflessione ha messo a posto i dilemmi più acuti e le disavventure più intrigate, per cui Margarito può avviarsi “verso la camera” “sine cura”, quella camera che lo riguarda in prima persona e tanto da vicino, la camera della sua identità psichica, la camera degli “uno, nessuno e centomila”, la camera di Pirandello e di Kafka.
Chi sono Io?
Quanti Io albergano in me?
Quante immagini di me stesso mi trascino da un mare all’altro?
Quante carte d’identità mi porto in tasca ed esibisco al pubblico ufficioso e ufficiale?
Margarito è abituato alle tante immagini di sé e ha confidenza con le sfaccettature del suo poliedrico e intraprendente “Io”: “faccio una bella corsetta”. E’ questo il senso del muoversi con la Mente, più che con il Corpo, nel mare delle pulsioni, dei desideri, delle aspettative, delle riflessioni, dei ragionamenti. Margarito introduce due piani di realtà, quella onirica che si sta considerando e quella reale che viene commentata da sveglio: “sto in piedi, eh!” Margarito in sogno può correre, nella veglia non può farlo.
Perché e cosa significa questo apparente contrasto?
Nella vita Margarito è andato avanti con le sue abilità psicofisiche che non coincidono con le sue gambe fisiche e a esse non si riducono. “Camminare” in sogno si traduce nel procedere passo dopo passo nelle strade della vita e nella possibilità di riflettere: “mi avvio verso la camera”. La “bella corsetta” equivale al fascino dei processi psichici creativi e nello specifico alla fertilità delle fantasie e dei pensieri, nonché al saltar di palo in frasca o nel procedere per via associativa nella gestione dei tanti vissuti che si affacciano e affollano la sua psiche, di questa sua capacità di movimento nelle stanze dell’Io e nelle camere della Mente. Margarito si mostra compiaciuto e orgoglioso di questa sua abilità nel procedere e nel sostare, di questa sua capacità di movimento tra i meandri della sua vitalità psichica. Ha tanto camminato e corso dentro di lui rispetto allo spazio esterno. Il dilemma dell’identità psichica resta aperto e affidato al miglior offerente. Vediamo chi arriva primo e cosa profetizza.
“Non trovo la camera. Allora dopo aver bussato a varie porticine, vado verso la reception per chiedere il numero di stanza.”
Margarito si difende con le sue “resistenze” a riesumare traumi rimossi in riguardo alla sua evoluzione psicofisica e al fine di migliorare la “coscienza di sé”: “non trovo la camera”. Eppure la “camera” c’è, eppure esiste il materiale psichico inquisito e con cautela ricercato, ma la sopravvivenza induce alla prudenza. Quest’ultima in Psicoanalisi si definisce “difesa” e serve a impedire all’angoscia di affiorare e di scaricare la sua connaturata carica nervosa. Quest’ultima è destabilizzante e pericolosa, per cui anche la funzione onirica fa in modo che il “contenuto latente” non coincida con il “contenuto manifesto” per non fare scattare l’incubo e il risveglio immediato. Margarito “non trova la camera”, la sua camera, da sé e abbisogna di progressione e di tutela con l’atto vario di bussare “a varie porticine” che aprono varie stanzette. Margarito non vuole “sapere di sé” nella sua autenticità e si crogiola cazzeggiando su false immagini di sé o su parziali rendiconti della consapevolezza del suo Io. Le “porticine” chiudono accessori psichici e non essenze e sostanze di buona qualità, le “porticine” appartengono a quelle stanzette in cui si occulta in maniera disordinata il materiale che apparentemente non serve nella vita corrente anche se ha una buona importanza formativa. Margarito ricorre alla “reception” per “sapere di sé”, ricorre al riconoscimento che riceve dall’esterno, dalle sue capacità relazionali e dall’offerta sociale di “parti psichiche di sé”. Margarito si commisura agli altri per avere il suo “numero di stanza”. Mi spiego meglio: se chiedete a Margarito “chi sei?”, vi risponderà “io sono quello che gli altri rimandano dal mio dare loro”, ribatterà che la sua identità prevalente è collocata nei dati e nei riscontri che la sua persona riceve dai suoi investimenti sociali. E’ come se il “narcisismo” si sposasse con la “genitalità”, l’Io si rinforzasse continuamente dal riconoscimento degli altri, l’uomo si nutrisse del bene che opera e del come opera bene nei riguardi della gente che lo circonda e che riconosce e apprezza il suo operato. Importante è per Margarito quello che viene a lui dall’ambiente sociale, dagli altri a cui non fa mancare i suoi investimenti. Narciso si sposa con il buon uomo e coltiva di sé questo bisogno di riconoscimento. Margarito è socialmente un buon padre, appartiene alla comunità e predilige i centri sociali. Da questa azione trova forza il suo Io. Questa è la “reception” dell’hotel di Margarito, nonché il suo numero di stanza che si andrà a precisare nel prosieguo. La dialettica tra Margarito e la gente è intensa e determina in gran parte l’identità psichica. Margarito è decisamente un “animale sociale”, uno “zoon polithicon”, secondo i dettami filosofici del buon Aristotele.
“Ci sono due signore e una mi dice: “Oui, oui, monsieur Margaritò, (quindi sono in Francia), il numero è questo e mi avvio verso la stanza.”
Le donne, le “signore” sono maieutiche nel sogno di Margarito, sono “due” e sono francesi. Queste due figure femminili detengono il potere, sempre secondo il vangelo psichico e onirico, di avere in deposito l’identità psichica di Margarito, meglio di Margaritò. Dire che sono due donne della sua vita è troppo semplice e quasi banale, dire che sono due “parti psichiche” del nostro eroe protagonista è prossimo alla verità, dire che sono introiezioni di figure psichiche che hanno contribuito alla formazione psichica di Margarito è giusto e al di là del loro sesso fisiologico. Queste “due signore” detengono “il numero” di accesso alla “stanza”, sono figure che hanno consentito a Margarito l’ingravidamento e il parto progressivo di se stesso: socraticamente “maieutiche”. Nella realtà possono essere due donne, così come possono essere due figure maschili nelle quali Margarito ha investito gran parte della sua “libido” nel processo psicofisico evolutivo. In “un altro mare” Margarito alla fine ha fatto sempre i conti con la sua identità psichica, “il numero della stanza”, un dato e un vissuto che trovano riscontro in figure protettive e affidabili, carismatiche e “genitali” che hanno rinforzato e sostenuto l’evoluzione dell’Io con la giusta dose di narcisismo. Il “mare francese” è “l’altro mare” di Margarito e in questa scelta si coglie la predilezione verso culture mediterranee neolatine, nonché verso una tipologia di femminilità sofisticata e fascinosa, “charmant”. Non dimentichiamo che le due donne sono salvifiche, soteriologiche alla greca e non alla francese, perché l’identità psicofisica di Margarito passa attraverso queste due figure formative.
Altro non so aggiungere a questa lunga disamina del sogno di Margarito, per cui l’analisi si può chiudere qui.
Anzi, ricordo che la lingua francese è la più sensuale dell’universo.
Adesso il sogno di Margarito ha trovato il suo fine e la sua fine.