
TRAMA DEL SOGNO
“Ero in una stanza e vivevo le cose in prima persona.
C’erano i miei vecchi compagni di classe e tutti erano vestiti eleganti per andare in una festa in discoteca alla quale io non ero stato invitato.
Mi sentivo escluso.
A un certo punto al centro della stanza compare un cavallo a dondolo e mi siedo sopra e vengo sbalzato avanti e indietro.
All’inizio mi diverto, poi vedo che tra Matteo e Maura c’era qualcosa e questa tresca mi faceva star male e mi faceva sentire diverso.
Matteo entrava in stanza con una camicia e dei jeans e vedendolo mi sono sentito inadeguato.”
L’autore del sogno è Darius.
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO
“Ero in una stanza e vivevo le cose in prima persona.”
Darius è con se stesso e tra sé e sé. Darius è “in una stanza”, è in fase introspettiva, sta pensando e sta riflettendo sul ruolo che ha nella sua vita, nella vita che sta vivendo, sulla persona che è e sulla maschera che indossa. Darius è nella condizione psichica di operare una buona e proficua auto-coscienza, quanto meno di rendersi consapevole di qualche problematica che l’assilla e dell’importanza di esserci, l’importanza di essere sempre sul pezzo e di socializzare alla grande. Pur tuttavia, il protagonismo è il suo cavallo di battaglia e il suo tallone di Achille: “vivevo le cose in prima persona”. La “stanza” è una parte non meglio precisata della sua “organizzazione psichica reattiva” o “struttura psichica evolutiva”, del suo carattere o della sua personalità. “Vivere le cose in prima persona” significa essere coinvolto a tutti i livelli, emotivo e razionale in primis, e al cento per cento, ma è anche vero che, se Darius sente il bisogno di precisare questa modalità di esserci, vuol dire che sa anche non esserci o si sente di vivere le esperienze in seconda e terza e quarta persona, in maniera distaccata e senza coinvolgimento diretto. E’ sempre Darius che agisce, ma è un Darius che non vive al massimo consentito dalle leggi naturali le esperienze in corso e in atto. Si tratta di un meccanismo psichico di difesa dall’angoscia che si chiama “isolamento” e che consiste nel separare l’emozione dalla rappresentazione e quindi nel vivere freddamente e non appieno, nel non vivere per l’angoscia del vissuto. “L’isolamento” è una forma di “splitting”, una scissione che consiste nel separare il sentimento dalla conoscenza, una sorta di micidiale freddezza che ad esempio viene messa in atto durante i funerali da persone che assumono un contegno non adeguato al luogo, al rito e al ruolo. Ma andare avanti nell’interpretazione del sogno di Darius diventa interessante e aizza la curiosità.
“C’erano i miei vecchi compagni di classe e tutti erano vestiti eleganti per andare in una festa in discoteca alla quale io non ero stato invitato.”
In questa “stanza” della socializzazione, nella panoramica psichica dei ricordi significativi da visionare, Darius trova i suoi “vecchi compagni di classe”, trova la sua dimensione sociale e le modalità relazionali della sua adolescenza, trova i suoi crucci e i suoi conflitti, le sue recriminazioni e le sue difese. La socializzazione è stata per Darius la delizia e la croce della sua età giovanile, la sua spada di Damocle e il suo tallone d’Achille, l’oggetto ambiguo del suo bisogno e del suo desiderio. L’identità sociale deve possibilmente collimare con l’identità psichica individuale, quanto meno avvicinarsi e non divergere. Questa ricerca occupa lo spazio del sogno con picchi drammatici e punti veramente critici. Darius vuole essere del gruppo e della partita, ma non è “vestito elegante” come gli amici e “non è stato invitato alla festa in discoteca”. Darius è stato escluso dagli amici e non è stato invitato a simile consesso di disinibizione e di disimpegno psicofisico. Darius si vive male nel corpo e non trova le modalità di relazione idonee a stare tra la gente e con gli amici, oltretutto questi ultimi sono fatti oggetto del brutto sentimento dell’invidia. Darius non è escluso dagli altri, ma si esclude dagli altri per motivi ben precisi che il sogno enucleerà nel suo svolgimento. Intanto lo lasciamo con questo doloroso senso di esclusione e con l’amarezza di non essere stato invitato alla festa in discoteca, meglio di essersi escluso dalla compagnia e dalla gioia della comitiva.
“Mi sentivo escluso.”
Si era già capito senza bisogno di alcuna interpretazione, ma è apprezzabile la consapevolezza di Darius di questa pulsione a sentirsi diverso e inferiore, soggetto di minor diritto e figlio di un dio minore. L’insistenza su questo tema e la riedizione di questo “fantasma” dispone per una disabilità reale di Darius. Evidentemente non ha ancora accettato e ben assimilato la sua diversità fisica. Quest’ultima l’ha vissuta nel senso letterale del termine come un qualcosa che non lo rende uguale agli altri e non come un attributo personale di cui prendersi amorosa cura. Aggiungo che la realtà di una disabilità fisica facilita la presa di coscienza e l’assimilazione psichica, mentre le disabilità psichiche supposte e oggetto di ossessione sono notevolmente più difficili da risolvere a causa del conflitto nevrotico che si portano dentro e dietro. Un giovane che si sente escluso perché ha una zoppia, ha un cammino psicologico più spedito perché deve razionalizzare una realtà di fatto, rispetto a un giovane affetto da una nevrosi ossessiva o da un disturbo compulsivo. La realtà fisica induce la presa di coscienza e l’accettazione psichica della disabilità, il superamento del complesso d’inferiorità e del senso d’inadeguatezza.
“A un certo punto al centro della stanza compare un cavallo a dondolo e mi siedo sopra e vengo sbalzato avanti e indietro.”
Eccolo la disabilità e il trauma collegato!
Darius regredisce all’infanzia nella ricerca in sogno della causa del suo disagio giovanile, torna indietro dal presente in cui si trova a relazionarsi con i suoi compagni e a sentirsi escluso dalle loro dinamiche, al tempo in cui ha preso coscienza della sua disabilità e diversità, l’infanzia per l’appunto. Il “cavallo a dondolo” magicamente “compare al centro della stanza”, nella sua panoramica psichica. Darius ritorna bambino e “viene sbalzato avanti e indietro” senza riuscire a governare il movimento e il dondolio del classico giocattolo che si regala ai bambini sin dalla tenera età. Darius rievoca le difficoltà deambulatorie della sua prima infanzia, quando non riusciva a camminare bene e si vedeva diverso dagli altri bambini. Darius non governa il suo corpo e le sue gambe nello specifico e non si vede simile agli altri. Il senso della diversità resta anche quando la disabilità viene razionalizzata e il “principio di realtà” induce all’accettazione del proprio destino di vivente con quel corpo che è il tuo corpo. Il “cavallo a dondolo” viene evocato da Darius per attestare il tempo in cui il trauma viene assimilato, la prima infanzia. Inoltre la simbologia vuole che il bambino si equiparasse al “cavallo a dondolo” nel suo camminare ondeggiante.
“All’inizio mi diverto, poi vedo che tra Matteo e Maura c’era qualcosa e questa tresca mi faceva star male e mi faceva sentire diverso.”
L’ambiguità del “cavallo a dondolo” giustifica il divertimento iniziale e il repentino cambio d’umore, “mi faceva star male” subito associato al “mi faceva sentire diverso”. Questo è il motivo per cui Darius si sente escluso dal contesto affettivo e seduttivo che vede protagonisti i suoi amici “abili” e “non disabili” Matteo e Maura. Darius non si sente adeguato e si preclude la possibilità di essere amato più che di amare. Quel “qualcosa” è dentro di Darius ed è la “tresca” che desidererebbe per sé e che nello stesso tempo si preclude perché si sente inadeguato. Ecco il conflitto tra il bisogno di amare e il complesso d’inferiorità, tra il bisogno di essere amato e il fatto di non accettarsi. Si può decisamente affermare che Darius è affetto dalla sindrome maligna dell’indegnità, del “non sum dignus” di religiosa memoria, dell’essere figlio di un dio minore, del senso d’inadeguatezza di fronte a una realtà affettiva che lo vede perdente sin dalla partenza. In effetti Darius è angosciato dall’amare, più che dall’essere amato e di quello che comporta l’amore dal punto di vista fisico, l’esercizio della “libido”, il far sesso e far sesso in due, un maschio e una femmina, Matteo e Maura.
“Matteo entrava in stanza con una camicia e dei jeans e vedendolo mi sono sentito inadeguato.”
L’amico è il suo modello perché ha una ragazza e veste bene perché ha un corpo adeguato. Una semplice camicia e un paio di jeans per l’amico sono da fine del mondo, mentre per Darius, meglio per il corpo di Darius sono capi improponibili. L’inadeguatezza della persona disabile è fondamentalmente attanagliata nel corpo e soltanto di poi nelle facoltà superiori della cosiddetta anima o personalità. “Io sono il mio corpo” recita il primo comandamento di chi ha avuto l’ingiustizia naturale della diversità. Soltanto la “razionalizzazione” arreca sollievo là dove drastica regna la convinzione di aver subito un torto e di essere vittima di una scelta altrui senza essere stato consultato. Il sentirsi “inadeguato” è già un buon punto di partenza per ulteriori razionalizzazioni dello stato della disabilità. Per Darius si prospettano giorni migliori e prese di coscienza più mature. Darius adolescente è ancora tanto incazzato con se stesso, con gli altri e con il destino infame che lo ha voluto mettere alla prova proprio in quel corpo che per lui non può essere oggetto d’amore e che non può essere oggetto di odio.
Rilievi degni di nota sono i seguenti.
“Mi sentivo escluso”, “mi faceva sentire diverso”, “mi sono sentito inadeguato”; in queste tre frasi è presente il sentimento dell’esclusione, della diversità e dell’inadeguatezza e di tutto questo si è detto in abbondanza. Il “sentirsi” è ripetutamente chiamato in causa, la sensazione del disagio posturale e di poi psichico. Il sogno di Darius si può definire “cenestetico”, basato sul sistema dei sensi, un effetto a metà tra il sistema nervoso centrale e neurovegetativo: sento in primo luogo la mia disabilità, di poi ne sono cosciente.
Un altro punto rilevante è il “narcisismo” che vive e accompagna Darius, un “narcisismo” specifico che lo porta a concentrarsi su se stesso e sul suo corpo, a essere al centro dell’attenzione per farsi vedere e a esibirsi in vario modo per farsi accettare: non sono bello e fotomodello come Matteo, ma sono simpatico e faccio tanto ridere con le mie battute e, quindi, voi mi dovete accettare per questo motivo. In questa psicodinamica agisce il “fantasma del corpo” nella sua “parte positiva” e nella sua “parte negativa”. La prima non è considerata, mentre la seconda assorbe tutto il “fantasma del corpo”. Darius non razionalizza che la “parte positiva” del suo corpo si attesta nella vita e nella vitalità, perché domina nella sua psiche la disabilità associata al senso-sentimento del rifiuto. Darius è costretto a vivere con un corpo che non vuole e allora lo offre in pasto agli altri e lo critica prima che lo facciano gli altri. Con questa dinamica gioca d’anticipo e si toglie d’impaccio e agli altri toglie l’impiccio. La “parte negativa” del “fantasma del corpo” è dominante e assillante. Darius non si è evoluto dalla “posizione psichica narcisista” alla “posizione psichica genitale” e come tutti i narcisisti si fa del male da solo e si preclude la possibilità di amare e di essere amato, di far sesso con l’altra e non di continuare a masturbarsi la testa e il pene.
Darius deve recuperare la “parte positiva” del “fantasma del corpo” e deve razionalizzare il corpo vitale con una buona dose di “amor fati” e di amor proprio al posto del narcisismo bieco e che alla fine stufa e allontana coloro che sono sottoposti a spettacoli imbarazzanti e a volte indecenti.
Questa è l’interpretazione ampiamente commentata del drammatico sogno di Darius.