
SALVATORE VALLONE
“LA COSA PARLA”
IL LINGUAGGIO DELL’INCONSCIO
dimensionesogno.com
“Le ca parle.”
“ L’Inconscio è strutturato come un Linguaggio.”
Jacques Lacan
LE PAROLE DI UNA STORIA
Non capisco perché mi salti addosso
appena senti il mio odore nella disadorna stazione di Vicenza.
Ma tu,
tu, se non sbaglio, avevi promesso a te stessa
di non essere più espansiva nei miei confronti.
Da questo punto di vista sei una donna da stimare
anche se gli amici dicono che somigli tanto a mia sorella
e che sei lesbica.
Io ho un’immagine bella di te,
una sola immagine,
uno schizzo che fa parte di me,
di quella parte che ero io
quando frequentavo la gente
e uscivo ogni sera dai miei inesauribili perché
per rientrarvi immancabilmente la mattina successiva sul luogo di lavoro
davanti a quella infida pressa
che aveva appiattito le lucide e bicolori dita di James,
il mio compagno negro.
Tu,
invece,
tu frequentavi già l’avventura
come se fossero i grandi magazzini di Mestre.
Tu andavi da Coin con il tuo solito qualunquismo
e alla Standa ormai eri di casa.
Usi le strutture urbane e i luoghi pubblici
come i tanti uomini che t’inebriano di volta in volta.
L’amore, l’euforia e la trasgressione,
cara la mia tontolona,
sono momenti di poca conoscenza di sé,
di poca profondità di sé,
di poco spessore sempre di sé,
ossia sempre di te.
Io, come sempre, faccio quel che posso
e di osteria in osteria mi trascino un cuore spento
alla ricerca di quella forza antica
che ho smarrito tra le facili donne della Pontebbana.
E tu, adesso, mi vuoi lasciare come un pezzo di merda
in mezzo alle verdi colline di Treviso,
belle quanto vogliamo,
ma sempre e soltanto colline con il valore aggiunto dell’avvelenamento.
Lasciami almeno bere un altro bicchiere di prosecco di Valdobbiadene
senza rompermi le palle,
senza accanirti sui soliti discorsi mancati.
Lasciami bere un litro di quel Cartizze,
buono quanto vogliamo,
ma che é e resta sempre e soltanto un vino velenoso
e non tra i più buoni della Marca gioiosa e inquinata.
Lasciami in questa contraddittoria campagna
a tirare di giorno le bocce e di sera le carte.
Ti senti importante se qualcuno viene in cerca esclusivamente di te?
Questa è civetteria bella e buona.
Tu ribatti che tutte le donne sono civette
e nobili portatrici di faretra per il maschio cacciatore.
Tu,
tu ti rendi vanitosa
solo inventando uno strano spacco sulla gonna.
Ma tutto torna, sai?
Tutto poi ritorna
e io devo fartela pagare.
E allora,
tanto per gradire,
tornami indietro tutto quello che per caso ti ho dato in tanti anni di sofferenza:
la biro a punta fine della Bic,
l’astuccio fouxia,
il piron spuntato,
lo slip di seta nera da nove settimane e mezzo che non ti è mai servito,
il relativo reggipetto a coppe inossidabili
e anche il cornetto d’oro,
il talismano di un’inutile felicità.
Ma tutto questo era già stato detto realmente com’era
e non é più una parte non chiarita di noi due,
un peso talmente sostenibile
da non vedere l’ora che tutto diventi di ieri e di superficie.
Ci sono periodi in cui chiedi di sapere,
sapere di giorno,
sapere di notte.
Ma di quale gusto sei priva?
Non hai capito
che ciò che non è stato vissuto non ritorna
e che non può ritornare?
E, se tu lo chiami, niente dentro di te risponde.
Sono solo affari tuoi.
Io sono la libertà,
non una statua,
ma una persona senza maschera
e non devo rendere conto a nessuno,
neanche a mio padre
che viaggia appollaiato su un robusto camion Iveco
e ha le braccia lunghe come quelle di una ruspa.
Io alzo la voce
se tu osi chiedere ancora spiegazioni.
Cosa vuoi sapere?
Lasciami in pace!
“Omnia munda mundis”!
Io sono un puro.
Non capisci?
E allora fai un corso accelerato di lingua inglese
presso la Oxford School di Conegliano.
E dopo sarai “a la page”,
pronta per l’Europa unita e per la moneta unica.
Ma come puoi sentirti cambiata dopo il sapore di un uomo diverso?
Quale subcosciente vai invocando?
La tua è una logica da mignotta
e non una nobile pulsione sessuale.
Tu avresti deciso tutto per tutti,
al posto mio,
al posto tuo,
al posto suo,
al posto nostro,
al posto vostro,
al posto loro.
Amen e così sia!
Non ho vissuto più di tanto,
ma posso risponderti per le rime.
Mi viene in mente
quando suonavi il pianoforte tutte le domeniche
dalle sette e mezza alle dieci del mattino,
proprio quando arrivavano puntuali i testimoni di Geova
a divulgare la mala novella della fine del sistema delle cose
e del sospirato ritorno al Padre.
Non è civile il tuo comportamento,
per cui io batterò i pugni sul muro
e,
se continui a suonare,
li batterò sino a farmi male,
sino alle stimmate.
Mi sentiranno fino in piazza
e quando il maresciallo dei carabinieri mi chiederà
di giustificare tanto rumore,
risponderò che io non so,
io non so chi fa più rumore tra me e te.
Forse è tutta colpa della mia tromba di Eustachio,
ma tu resti sempre un esemplare di donna da appiccicare al muro
perché tu senti tutto quello che succede dalla tua parte e a tuo favore.
Io non esisto per te
e allora il sangue mi va al cervello
e poi mi scende fino ai peli del pube.
Ma così mi piaci.
E se un giorno mi dichiarerai immorale in pubblico,
beh,
ricordati che per la nostra coppia
sei stata tu a scegliere la lotta come unico schema di vita.
E io oggi sono stanco
e voglio solo sopravvivere,
voglio soltanto andare sopra la vita.
Onnipotenza?
Non lo so.
So che domani ci sarà un altro incontro d’amore tra me e te,
ma non tra noi due.