LA LEZIONE DI CLAUDIO

Il video, doppiamente “virale” in tempo di “coronavirus”, presenta il bambino Claudio che si lamenta in maniera accorata e dolente con la mamma della sua condizione psicofisica. Questa reazione è da inserire tra le lezioni più belle e interessanti della Psicologia dell’età evolutiva e della Psicoanalisi dell’infanzia. Più che mai degna di nota è la fenomenologia di Claudio, come si mostra e cosa dice questo prodigioso bambino con le sue genuine rimostranze in questa drammatica contingenza epidemiologica. Claudio ha dato parola a milioni di bambini che in questo momento stanno vivendo la medesima esperienza psicofisica.

Il video è stato eseguito dalla madre e sicuramente non soltanto per mostrare la condizione psicologica del figlio, ma per dare un riscontro alla condizione dell’infanzia tutta, per essere un punto di riferimento per tutti quei bambini che da un giorno all’altro si sono trovati chiusi in casa con la famiglia e privati delle relazioni sociali e delle strutture educative e ludiche. La madre di Claudio ha voluto mostrare il figlio per denunciare il disagio psichico dei bambini e il suo atto coraggioso e malinconico ha avuto l’effetto di destare una buona sensibilità sociale verso l’universo infantile. Il video è benemerito perché denuncia e insegna, denuncia alle autorità costituite a vari livelli che i bambini esistono e non sono imbecilli, insegna concretamente ai genitori come valutare il disagio inevitabile dei figli e come comportarsi di conseguenza.

Vediamo cosa ci insegna Claudio con la sua reazione da bambino equilibrato e armonico.

Ho estrapolato le frasi salienti per analizzarle e per indicare un paradigma psichico ottimale di un bambino in salute e non certo sull’orlo di una crisi di nervi. Questo paradigma vale anche per il bambino che ogni adulto sente scalpitare dentro.

Io non posso vivere tutta la giornata chiuso in casa.”

E’ la coscienza vigilante di Claudio, il suo “Io”, a dare parola e senso alla costrizione della sua bella persona al chiuso della casa. La reazione avviene dopo un mese, per cui è assolutamente giusto che l’Io di Claudio esprima e denunci la sua incapacità di vivere tra le quattro mura domestiche, protettive quanto vuoi, ma ormai degenerate in prigione. E vero che ci sono stati i vantaggi iniziali, tutti “secondari”, di vivere la novità di non andare a scuola e di avere la mamma a portata di mano. E’ vero che sono stati accantonati i vantaggi “primari” di una vita attiva e costruttiva, piena di vitalità e di stimoli, di scambi e di novità. Adesso Claudio non riesce più a nobilitare la clausura in un sistema protettivo e affettivo, non riesce più a sublimare i suoi conflitti e i suoi tormenti in una logica necessità di sopravvivenza, non gli basta la mamma e i suoi modi di essere maestra di una innaturale e drammatica evenienza. La claustrofilia, l’amore coatto per lo spazio angusto, ha fatto il suo tempo e dopo un mese Claudio comunica alla madre e a tutto il mondo che il tempo è scaduto, non soltanto il suo tempo, ma anche quello di tutti i bambini. Ed è scaduto ampiamente. Adesso si corre il rischio di ammalarsi, ma non di “coronavirus”, di nevrosi fobica, di mettere a dura prova la propria “organizzazione psichica”, di mettere le basi dell’angoscia da panico, di ingrossare il nucleo psichico dell’aggressività e del senso di colpa.

Chiede Claudio: “frega a qualcuno tutto questo o mi devo arrangiare da solo?”

Tu mi accompagni dal nonno.”

Claudio ha pronta la soluzione umana e clinica: il nonno, la figura sacra e giusta, l’uomo veramente salvifico, colui che capisce e protegge con la sua veste austera e bambina. Claudio è perentorio, “tu mi accompagni dal nonno” e così ho e abbiamo risolto il problema. Claudio ha perso fiducia non nella mamma, ma nel suo costante richiamo al dovere. Stenta ad affidarsi alla sua figura dopo tanta sofferenza sublimata, non vuole regredire a stati precedenti del suo sviluppo psichico, non vuole ricorrere alla somatizzazione dei suoi blocchi. Claudio sa dare parola al suo disagio e sa proporre anche la soluzione: il nonno, il padre saggio e comprensivo, la tradizione e il valore culturale, colui che sa e sa insegnare. Questo è l’uomo giusto in tanto trambusto dei sensi e dei sentimenti. Claudio ha le idee molto chiare e si sa voler bene da solo. La mamma fa perno sul “Super-Io” del figlio, “bisogna” e “si deve” e “dobbiamo” e “devi”, e necessariamente si rivolge al suo “Io” con i suoi giusti ragionamenti perché trasmetta all’istanza del dovere quanto necessario per sopravvivere, prima che per legge. Ma Claudio non può allargare il suo “Super-Io” all’infinito, è innaturale, ci ha provato, è un bambino e la misura è colma. Claudio conosce bene il “principio del piacere” e il “principio di realtà”. Il “principio del dovere” ha cominciato a concepirlo e adesso si trova a subirlo. Il bambino sta dicendo alla madre: “o mi fai uscire o io mi ammalo.” Il dilemma non è esistenziale e filosofico, il dilemma è clinico. La reazione del bambino è sana, così come la sua auto-terapia.

Mi prepari la valigia e io vado dal nonno.”

Claudio ha le idee veramente chiare e ci tiene alla sua salute psicofisica. Il nonno è la via di fuga dal dolore e dalla malattia, la salvezza per un bambino che usa le parole come frecce acuminate per la drastica chiarezza e per il sodo contenuto. Claudio è pronto a partire e a lasciare la mamma senza rancore. Chissà quante volte è andato dal nonno e ha vissuto con lui. Del resto, si tratta di una notevole figura costruttiva di riferimento e oltretutto prospera per la sua evoluzione. Il nonno è una ricchezza, un patrimonio dell’umanità e un valore aggiunto. Claudio non sta chiedendo niente di eccezionale e di straordinario. La sua richiesta rientra nella normale politica della famiglia e non trasgredisce nessuna legge psichica e sociale. Adesso bisogna uscire da quello spazio chiuso che opprime e blocca le migliori energie. Claudio vive sensazioni bruttissime di inanimazione depressiva. La sua auto-terapia è andare dal nonno.

Non ce la faccio a stare dentro casa, voglio un pochino uscire.”

Claudio è stato deciso e perentorio. A questo punto si ricrede e si chiede se è proprio sicuro di poter fare a meno della mamma. Ragiona e riflette con il suo “Io” e capisce che i suoi bisogni affettivi risiedono in lei. Lui è soltanto allergico alle imposizioni del “Super-Io” sociale, ai drastici divieti e alle inumane costrizioni. Del resto, Claudio chiede di voler uscire “un pochino”, la dose giusta per ripartire verso i nuovi tormenti. Il passaggio dallo spazio chiuso della sua casa allo spazio aperto della strada gli consentirà di prendere aria psichica e di vivere un po’ di libertà. La claustrofilia non funziona più e sta tralignando nella claustrofobia. Tra rabbia e pianto viene fuori il “non ce la faccio a stare dentro casa”, la diagnosi giusta. Tra rabbia e pianto viene fuori “voglio un pochino uscire”, la terapia giusta. Il resto va da sé e si porta dietro tutto il carico dello slancio vitale e delle relazioni benefiche con le persone e con gli oggetti. Il culmine è raggiunto nel desiderio di andare a scuola.

Sono stanco, me ne voglio andare via da qua.”

Non è una fuga dal problema, non è un sotterfugio furbetto per esimersi dal suo dovere, è la soluzione al suo malessere. La stanchezza paradossalmente attesta della classica “psicoastenia”, la stanchezza appartiene al sistema psichico che non è più in grado di desiderare e di tollerare lo stato d’inerzia del corpo e del pensiero.

Non voglio, non ce la faccio più.”

Il “non voglio” non è un capriccio, è proprio la malattia del desiderio, non ho voglie, non riesco a volere nient’altro che la fine di queste drammatiche ristrettezze. Non ho più energie per tirare avanti, per trascinarmi in questo doloroso calvario.

Voglio andare in piscina.”

Voglio cimentarmi con me stesso e con gli altri, voglio mettermi alla prova, voglio ritornare alle mie rassicuranti abitudini e ai miei riti pomeridiani.

Voglio andare nel campo a giocare.”

Voglio relazionarmi nel gioco, voglio essere libero di esprimermi e di muovermi, voglio sprizzare energia da tutti i pori, voglio essere creativo e geniale.

Voglio andare a scuola.”

Voglio condividere con i miei compagni e le mie maestre i doni dell’educazione e dell’istruzione. La scuola è palestra di vita più che mai.

Voglio andare in giro e vedere gli altri.”

“Voglio”, “voglio”, “voglio”, la restrizione ha bloccato le energie genuine della volitività, un “voglio” che si traduce ho bisogno e collima con la necessità di vivere in maniera naturale. Dopo i tanti “voglio” Claudio avverte la pesante frustrazione del suo corredo psichico e si trova a vivere un “tratto depressivo” che emerge proprio quando prende coscienza dell’impossibilità di realizzare i suoi desideri e di appagare i suoi bisogni. A questo punto può scaricare l’aggressività collegata alla frustrazione magari rompendo un giocattolo, ma Claudio si rende contro che può aggredire soltanto se stesso e che può farsi male. Si congeda dalla madre e si ritira nella sua stanza dicendo:

Voglio stare un pochino da solo.”

Claudio non ha manifestato in maniera indiretta il suo “fantasma di morte”, non ha parlato della possibilità della morte, non ha seguito il discorso della madre sulla forza maggiore che costringe a stare chiusi in casa e a non incontrare nessuno, neanche il nonno, pena il pericolo del contagio e della malattia. Il bambino rimuove l’angoscia di morte e la sposta nella casa e nella costrizione al chiuso e all’inanimato. La casa è la tomba di chi vuol restare vivo.

LA LEZIONE DI CLAUDIO

Cosa ci ha insegnato Claudio, un bambino come altri milioni di bambini che sono stati e sono costretti, per non ammalarsi e per continuare a vivere, nelle pareti domestiche più o meno sicure, più o meno protettive, più o meno familiari. Claudio ci ha offerto il parametro ottimale della salute mentale in tanta disgrazia, una situazione psichica individuale e collettiva di cui ancora non possiamo essere del tutto consapevoli. Claudio è un bambino sano perché si emoziona, parla, sa, si conosce e reagisce, percorre tutte le tappe del suo psicodramma. La rabbia si interseca con le parole, mentre la consapevolezza del dovere si espia con la leggera depressione del “voglio stare un pochino solo”. Claudio deve essere assunto a modello delle nostre reazioni a siffatte reclusione e frustrazione. Se noi adulti abbiamo mantenuto il nostro Claudio dentro, possiamo essere sicuri che stiamo reagendo bene a tanta malora e con il minor danno futuro possibile. Dobbiamo vivere le emozioni, il dolore, il pianto, dobbiamo tradurli in parole con piena consapevolezza, dobbiamo riflettere sulla necessità di così grande perdita di vita da vivere e di relazioni da gustare. Dobbiamo arrabbiarci senza vergogna, dobbiamo avere una mamma da amare anche senza condividerla, dobbiamo avere un nonno come il nostro rifugio, dobbiamo conoscere i nostri desideri, dobbiamo riflettere su quale vita ci piace fare, dobbiamo accettare e assecondare l’isolamento depressivo per rafforzare le nostre riflessioni e tornare fuori dalla stanza più forti di prima e convinti che a tanto male stiamo reagendo senza farci tanto male.

GRAZIE CLAUDIO !

E A BUON RENDERE

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