DEDICATO A FLAVIA

Oggi siamo tutti più soli.

Si dice così,

si dice sempre così anche nelle migliori famiglie,

anche nelle migliori parrocchie.

Flavia è partita per il chissàdove

lasciandoci imbambolati e di stucco

con il ricordo del miglior sorriso

aperto sul suo davanzale fiorito,

un sorriso lasciato in eredità come un dono dei nonni,

rivolto agli altri come la quotidiana offerta araba,

a quelli che l’elemosina di un piatto di lenticchie

la gustano con un cucchiaio dell’olio di un buon ulivo,

un sorriso dedicato a tutti quelli che non l’hanno conosciuta

e hanno potuto soltanto immaginarla.

Flavia non dilaterà le pupille dei nostri occhi

con la meraviglia del suo splendido splendente,

non rifletterà sui nostri visi il suo femminile ovale,

non ci regalerà le onorate parole

che protendeva con i suoi gesti

su un pubblico attonito al messaggio di mirabili virtù.

I suoi lineamenti di donna zampillano

dai valori della madre e della maestra,

come le verità tracciate

e nobilmente smerciate ai quattro cantoni

della vita che scorre,

sale,

s’inarca,

procede,

s’abbassa,

si compiace,

si bea,

si contorce,

finisce.

C’è qualcosa di stanco oggi nel sole,

nulla d’antico.

Tutto è come prima,

tutto è come la gioia e il dolore,

tutto è come il pane quotidiano del buon fornaio,

tutto è come i versi sgangherati del buon poeta,

tutto è come il padre e la madre

et in saecula saeculorum, amen.

In quest’oggi oscuro di un tempo inferiore e infame,

in cui la morte trionfa sui miseri trofei dell’uomo sapiente

annerendo la felicità di membra esauste

dal color della miniera e dal sorriso volgare di rame,

oggi,

in quest’oggi escono tentennando le poche risorse

che la Necessità ci lascia in forma di testamento

dopo che Ella fu per una vita al servizio della gente,

oggi,

in quest’oggi di elogio memore e duraturo

si celebra più che mai la lingua di un popolo infelice

che la sensibilità di Flavia nobilitava

con amorosi accenti e senza portenti.

Oggi la mia compagna è morta,

il Socialismo ringrazia la sua devota figlia,

la sua perspicace allieva,

mentre i soviet di Varese intonano l’Internazionale

alla diletta del cuore e alla prediletta della mente:

“Noi siamo dei lavoratori

e un rosso fiore è sfiorito nel nostro petto,

il fiore scarlatto di una donna onesta e giusta

allegra e impenitente,

gustosa e sapiente.”

L’aspro stendardo della libertà

ricopra con falce e martello le membra

di colei che tanto amò se stessa e il suo valore

per poter essere generosa con chi la conobbe

e gustò il nettare deposto sul suo vorace labbro.

Cura ut valeas, ignota compagna mia!

Salvatore

Pieve di Soligo (TV), mercoledì 25 del mese di Marzo dell’anno 2020

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