TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO
“Io e mia madre eravamo sedute in giardino a parlare.
Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico. Era morto, sporco, deformato e strano.
Mia madre lo prende in braccio molto tranquillamente e inizia a raccontarmi che quello era un bambino morto molto tempo fa e che la famiglia di origine, non sapendo dove metterlo, lo aveva sepolto nel nostro giardino.
Non riuscivo a toccarlo. Avrei voluto prenderlo in braccio per calmarlo, ma non riuscivo a toccarlo. Invece mia madre lo accudiva tranquillamente.
Mia madre ha chiamato i genitori del bambino ed è arrivata la madre e anche lei, come se nulla fosse, lo ha preso in braccio mentre io ero sempre più scioccata per quello che stava succedendo e per la loro tranquillità inappropriata.
A questo punto iniziano a parlare e ad accordarsi per le onoranze funebri, ma il bambino era sempre più vivo.
Loro parlavano della sua morte e invece a me il neonato sembrava sempre più vivo e questo mi creava angoscia.
Il sogno si conclude con la signora che si porta via il neonato.”
Questo è il sogno di Carla.
DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE
CONSIDERAZIONI
Il sogno di Carla oscilla tra l’angoscia del lutto per la morte di un bambino appena nato e l’onnipotenza di risuscitarlo, si consuma tra la “pietas” del giusto rito funebre e l’istinto femminile di far coincidere gli opposti della Vita e della Morte, possibilmente al fine di far trionfare la Vita.
Quest’ultima è la classica tematica archetipale intorno alle origini della Vita, quella che concilia gli opposti Eros e Thanatos incentrandoli sulla Dea Madre, la Signora della Vita e della Morte, la depositaria della Legge del Sangue. Per dirla in termini mitici il “Principio Femminile” contiene il “Principio Maschile” e lo partorisce relegandolo in posizione subalterna a Signore della Storia e della Cultura.
Ma, al di là degli archetipi, la tematica sulla Vita e sulla Morte è soprattutto la dimensione psicofisica di ogni donna che sin da bambina e da adolescente è chiamata a dare una risposta alle future possibili esperienze della fecondazione, della gravidanza e della maternità, un’evoluzione che inizia a livello psicologico con il “fantasma della maternità” elaborato nell’infanzia e che si attesta nello schema concettuale della maternità e nella disposizione alla possibilità reale di avere figli: “posizione psichica genitale” con investimenti di omonima “libido”.
Conoscere scientificamente il processo della maternità è freddo, ricco di distacco e di razionalità. Sentire e aver sapore della maternità è caldo, ricco di emozioni e di fantasie. La donna arriva all’età matura per diventare madre con un corredo articolato di ibridi vissuti e di ricche conoscenze. Se questo “iter” psichico è consequenziale e ben assimilato, la disposizione alla gravidanza e al parto è lineare e benefica. Se sono intercorsi ostacoli emotivi nella formazione alla maternità, subentrano le resistenze e le difese psichiche, nonché i pregiudizi e le remore culturali fino a sfociare nell’opposizione acritica e nella negazione drastica. Buona parte di questo psicodramma è recitato dall’evoluzione del “fantasma della maternità”, piuttosto che dal “concetto della maternità”. Quest’ultimo viene, più che altro, in soccorso delle donne in crisi e attenua le sferzate nefaste delle energie tralignate in tensioni girovaghe e in cerca di sballo: conversione isterica.
Vengo a spiegarmi ed esemplifico.
La bambina si imbatte prima o poi nella realtà della gravidanza sotto la forma dei discorsi educativi o sotto la forma concreta del pancione, crescente come la luna, della mamma o di un’altra donna. In maniera spontanea la bambina si chiede come farà il bambino a uscire dalla pancia senza lacerarla e quale destino è riservato alla povera madre. La proiezione nel suo futuro di donna è immediato e consequenziale. La bambina valuta la possibilità di essere madre e mette in discussione le precedenti teorie fantasiose che ha ricevuto dagli adulti intorno alla maternità. E allora si rammenta della teoria vegetariana dei cavoli, della teoria aerea della cicogna, delle altre fandonie che da ogni dove le hanno raccontato. Si sente tanto presa in giro dai genitori e dagli adulti a cui si era affidata, per cui matura la decisione di lasciarli nella loro ignoranza, di fare da sé, di istruirsi in proprio e magari con l’aiuto di qualche amichetta più scaltra e bonariamente navigata. E in questa ricerca si forma e si completa il “fantasma della maternità”, la rappresentazione emotiva del diventare madre, un quadro a metà tra il “sentire” e il “sapere”, tra la forza dei sensi e l’esigenza di conoscere, tra la fantasia e la realtà. Il “fantasma della maternità”, come dicevo in precedenza, non riguarda soltanto l’essere madre, ma contiene a suo supporto tutto il trambusto emotivo in riguardo alla sessualità, alla mestruazione, alla deflorazione, alla fecondazione, alla gravidanza e al parto. Il “fantasma della maternità” è continuamente nutrito dai “fantasmi” suddetti, per cui si può considerare la formazione finale come la sintesi emotiva e razionale del completamento dell’essere donna e della possibilità di diventare madre. Del resto, la maternità è l’esperienza naturale che completa le potenzialità psicofisiche dell’universo femminile.
Il discorso sui “fantasmi” si poteva concludere abbondantemente qua, ma non è così perché dalla possibile esperienza della maternità viene richiamato il famigerato “fantasma di morte” con la sua insanabile angoscia. Il parto avviene nel dolore e con il rischio di morire, almeno così scrivono nei libri inoppugnabili sin dall’antichità e così dicono le madri dopo averlo vissuto e inscritto nel loro corpo come il marchio del ranch nelle terga delle mucche argentine. Del resto, tra le fantasie della bambina e della donna incinta troviamo la funesta possibilità di essere lacerata dal feto durante il parto. La bambina si chiedeva tra sé e sé “da dove uscirà il bambino?” e “come farà a uscire?”. La donna, oltre alla paura della lacerazione, aggiunge la costrizione alla gravidanza e l’impossibilità di potersi liberare del feto in maniera accettabile e indolore. Specialmente la costrizione a portare avanti la gravidanza è tormentosa e struggente e produce una tensione costante che non fa di certo bene alla donna e al feto.
Non trascuriamo i fattori culturali in questa breve disamina sulla psicologia profonda della maternità. In passato, secoli che diventano millenni senza colpo ferire, il ruolo della donna era incentrato sulla maternità e sulla soccombenza dell’inferiorità. Nella famiglia patriarcale la donna faceva tutto e di tutto oltre alla figliolanza e qualora aveva la fortuna di sopravvivere alla tante reiterate e puntuali maternità. Gli schemi culturali, sociali, politici e religiosi, relegavano la donna negli angusti recinti della costrizione psicofisica, magari dopo averla esaltata come la depositaria dell’amore e della conservazione della Specie: Ontogenesi e Filogenesi. Era una magrissima consolazione, perché la donna dipendeva dal maschio per l’incremento demografico, per la non fornicazione, per l’amor di patria e per il bisogno di manodopera. L’educazione perpetuava a scuola i vecchi schemi in riguardo al pianeta donna. I grandi sacerdoti, senza saper né leggere e né scrivere su questi temi per ordine acquisito e per voto consacrato, prescrivevano di fare sesso soltanto per fare figli, altrimenti le porte della Geenna, la discarica di Gerusalemme sempre in fiamme, si sarebbero aperte per questa donna disobbediente e sgualdrina, come Lilith, la prima donna del Genesi, l’anti-Eva, quella che voleva stare sopra Adamo durante il coito, quella che simbolicamente competeva con il maschio intorno al tema del primato. Quanto la Religione maschile abbia inciso fino a poco tempo fa sulla soccombenza della donna, si condensa sul rito lustrale della madre dopo la quarantena in tante regioni italiane. La neo-madre era sottoposta alla purificazione per essere riammessa nella comunità cristiana. Ma di cosa doveva purificarsi? La risposta è immediata e apparentemente assurda: la donna doveva far “catarsi” della colpa, meglio del peccato di essere stata dipendente dal desiderio del maschio e doveva sanare le impurità del sangue. Quante madri hanno subito anche il trauma dell’esclusione dal gruppo e dalla comunità! Il dato più impressionante è che erano le stesse donne, le vecchie, a gestire e perpetuare il rito della purificazione e dell’umiliazione della donna dopo la missione felicemente compiuta. Perché se era morta di parto, serviva soltanto il funerale e avanti la prossima e la prossima volta. Impressiona sapere che fino all’altro ieri si viveva con tanta crudeltà e si giustificavano atti infami con un assurdo sentimento religioso.
L’evoluzione degli ultimi cinquant’anni fortunatamente è stata prospera e si profila degna di interesse per la donna e per le sorti dell’umanità, nonostante l’incremento demografico non dia segni di tregua a causa della tribalità libidica e della diseducazione demografica degli abitanti dei continenti meno progrediti e non soltanto a livello economico.
Il titolo del sogno di Carla, “il travaglio dell’istinto materno”, è ampiamente azzeccato e giustificato, oltre che utile a confermare che l’evoluzione verso la realizzazione della maternità è costellata di conflitti e di sofferenze che implicano la formazione psichica in riguardo alla sessualità e alla libera gestione dei diritti del proprio corpo e in barba, possibilmente, alla bacchettoneria religiosa e al sopruso politico.
SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA
“Io e mia madre eravamo sedute in giardino a parlare.”
Due donne significative in primo piano: “Io e mia madre”. En passant, è anche il titolo del mio ultimo libro sullo psicodramma dell’anoressia mentale. Carla esordisce esibendo un buon rapporto con la madre, una relazione matura e “genitale” fatta di scambio di affetti tra le parole. Il “giardino” rappresenta la realtà sociale e civile in una forma ridente e artefatta. Lo stare “sedute” contiene l’istanza riflessiva e la consistenza delle proprie idee. “Parlare” è “libido genitale” in esercizio sotto forma di interesse e di dono, proprio un volersi bene. L’introduzione è accattivante e ottima per svolgere qualsiasi psicodinamica al femminile.
“Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico. Era morto, sporco, deformato e strano.”
Dalla distensione del primo quadretto familiare si passa, anzi si trapassa, direttamente nella dimensione della maternità, la versione esteticamente brutta e fantasiosamente negativa per l’appunto. Si presenta immediatamente assieme al problema anche il “fantasma della maternità” di Carla nella “parte negativa”. Ho sempre spiegato che il “fantasma” è una rappresentazione emotiva sottoposta al meccanismo della “scissione” o “splitting”, per cui ha una valenza “buona” e una valenza “cattiva”, Queste sono tutte scoperte di Melanie Klein nell’esercizio della sua attività clinica con i bambini. La “terra” è un classico simbolo della Madre, un “archetipo” della greca e mitica Gea, a riprova che Carla è tutta presa dalla dimensione psicofisica materna e in particolare dal parto e dalla nascita di un bambino che viene assimilato nel suo muoversi a un “lombrico”, un simbolo dello spermatozoo che in questo caso si estende a “un neonato” proprio per la sua interazione con la “terra”. Vediamo gli attributi di questo strano essere venuto alla luce. L’essere “morto” è in contraddizione con il “si muoveva” di prima, ma simbolicamente equivale una carica aggressiva molto forte, mortifera per l’appunto, scaricata sul feto a valida testimonianza della paura di Carla nei confronti del feto che deve essere partorito: angoscia da parto. L’essere “sporco” si traduce simbolicamente nella mole dei sensi di colpa che Carla vive nei riguardi del suo vissuto negativo e della sua aggressività nei riguardi della maternità e del figlio. L’essere “deformato” condensa ancora simbolicamente la carica aggressiva sullo stesso oggetto di prima, il neonato, il bimbo appena nato, in quanto Carla proietta le sue paure di avere un figlio e di non essere una madre perfetta, quella che non fa le cose per bene. L’essere “strano” traduce simbolicamente l’attrazione e la repulsione nei riguardi non del bambino appena nato, ma della sua possibile esperienza della maternità. Notevole è nell’immediato il conflitto che Carla vive in riguardo alla sua possibilità di diventare madre e all’uopo e per difesa tira fuori tutte le negatività del suo “fantasma”: “morto”, “sporco”, “deformato” e “strano”. Proseguendo nella decodificazione teniamo in considerazione questo esordio ambivalente tra istinto-desiderio ed esperienza-realtà.
“Mia madre lo prende in braccio molto tranquillamente e inizia a raccontarmi che quello era un bambino morto molto tempo fa e che la famiglia di origine, non sapendo dove metterlo, lo aveva sepolto nel nostro giardino.”
Il quadro e lo psicodramma si completano e si spiegano. Carla è brava nel razionalizzare il materiale che sta allucinando in sogno. La comunicazione della madre ha tutta l’evidenza della realtà, come se fosse un fatto veramente successo a cui non si può dare una valenza simbolica anche se la contiene. Carla ha già proiettato sul bambino la sua aggressività mortifera e adesso può soltanto recuperare la “parte positiva” del suo “fantasma”. La madre insegna alla figlia la “pietas” nei riguardi della morte e nello specifico del bambino, l’accettazione e il riconoscimento dell’ineludibile “sora nostra morte corporale” alla Franceso d’Assisi o “Thanatos” alla greca. La sepoltura e il ritorno nel grembo della dea Madre, la terra del giardino della casa, sono il compimento e il culmine di questo rito culturale e civile, indice di evoluzione storica di un popolo e di esorcismo dell’angoscia della fine. “Mater docet”, “mater et magistra”, la madre insegna alla figlia, meglio Carla si fa insegnare dalla madre, donna di esperienza, come si fa a perdere un figlio appena nato e a congedarsi da lui senza angoscia della perdita e razionalizzando il lutto. Ricordo che la psicodinamica del sogno di Carla verte sull’istinto materno e sull’ambivalenza del “fantasma della maternità”, per cui l’insegnamento della madre rappresenta l’identificazione psicofisica che la figlia deve operare per essere a sua volta madre, una “identificazione” contrastata a causa della paura della gravidanza e del parto. Le contraddizioni saranno evidenti nel prosieguo del sogno. Degna di nota è la difesa dall’angoscia operata da Carla nel formulare il bambino come un estraneo e non un suo fratello e nel coinvolgere la madre come aiuto di un’altra madre nell’atto del congedo. Il “nostro giardino” rappresenta la possibilità reale di vivere la stessa esperienza luttuosa. Lo “spostamento” è evidente come “meccanismo di difesa” dall’angoscia.
“Non riuscivo a toccarlo. Avrei voluto prenderlo in braccio per calmarlo, ma non riuscivo a toccarlo. Invece mia madre lo accudiva tranquillamente.”
L’esperienza fa la differenza. L’anelito della figlia si evidenzia nell’incapacità di “toccare” il bambino che per la madre è morto e per la figlia è vivo. L’accudimento della figlia si attesta nel “prenderlo in braccio per calmarlo”, mentre quello della madre nel toccarlo e comporre il piccolo feretro nella tomba. Questo è un altro bel contrasto che ritorna nella psicologia della maternità di Carla. A tutti gli effetti si ripresenta l’istinto materno e l’angoscia di diventare madre. Carla si dice: “mia madre sa di sé, io non so di me semplicemente perché non ho partorito un figlio, ma in compenso ho un bel “fantasma” che si sdoppia nell’istinto-desiderio e nell’angoscia di morte, il parto che mi realizza e il parto che mi uccide”. L’identificazione nella figura materna è andata in porto per quanto riguarda l’esser femmina e la femminilità, ma ancora non si completa nell’esser madre. In questo spaccato domina l’allucinazione del tatto nel reiterato “non riuscivo a toccarlo”. Il sogno di Carla si snoda più sul versante narrativo che sul versante simbolico, svolge la psicodinamica di base in maniera discorsiva.
“Mia madre ha chiamato i genitori del bambino ed è arrivata la madre e anche lei, come se nulla fosse, lo ha preso in braccio mentre io ero sempre più scioccata per quello che stava succedendo e per la loro tranquillità inappropriata.”
Come dicevo, il racconto prevale e si complica con l’inserimento nella scena dei genitori del bambino morto. Continua anche l’equivoco sullo stato biologico di quest’ultimo e si inasprisce nell’angoscia perché si rischia di seppellire un bambino vivo. Carla non sa che pesci pigliare di fronte alla “tranquillità inappropriata” di sua madre e della madre del bambino. La distonia logica ed emotiva è lampante ed è tutta intera dentro la protagonista del sogno. Carla si proietta a destra e a manca per confermare il suo dilemma di donna che desidera un figlio e che teme per la sua incolumità. Carla chiama in causa, dopo sua madre, anche i genitori del bambino per confermare che non è giusto seppellire un bambino vivo: “scioccata per quello che stava succedendo e per la loro tranquillità inappropriata.” In questo capoverso ci sono tutti i richiami alla modalità di essere madre nel bene e nel male.
“A questo punto iniziano a parlare e ad accordarsi per le onoranze funebri, ma il bambino era sempre più vivo.”
E’ pregevole notare come il procedimento del sogno sia segnato dall’opposto e dall’opposizione. Carla stima vivo il bambino all’incontrario di sua madre e dei genitori. Il bambino si vivacizza in maniera direttamente proporzionale all’avvio delle onoranze funebri. Cresce in Carla il bisogno e il desiderio di diventare madre e di dare realtà all’istinto materno. Si attenua l’angoscia di morte nel pensare che “il bambino era sempre più vivo”. Carla si sta chiarendo e sta prendendo posizione sul tema dissociandosi dalle infide madri, dalla “parte negativa” del suo “fantasma della maternità”. Carla vuole chiudere risolvendo il suo conflitto con l’amore della Specie, la Filogenesi.
“Loro parlavano della sua morte e invece a me il neonato sembrava sempre più vivo e questo mi creava angoscia.”
Questo si era già capito e il ridirlo attesta di un rafforzamento della convinzione che la maternità è un’esperienza possibile e passibile di essere vissuta abbandonando l’angoscia di morte legata alla gravidanza e al parto. Loro hanno già superato questa fase evolutiva, loro sono madri, mentre Carla deve ancora fare questa esperienza e disporsi all’esercizio della “libido genitale”. Magari Carla ha un uomo con cui condivide l’esistenza e nel cammino della vita si profila la possibilità di avere un figlio, ma decisamente il sogno dice che ancora non è pronta. L’angoscia della morte del bambino è la “proiezione” della sua angoscia di partorire e di morire. Un neonato vivo sottoterra è l’allegoria della gravidanza e non della morte per soffocamento.
“Il sogno si conclude con la signora che si porta via il neonato.”
Tutti i salmi finiscono in gloria e i sogni spesso seguono questa regola veterotestamentaria. I sogni propongono, indicano, riparano il materiale emerso ed elaborato con i “processi primari”, materiale altamente nobile trattato con gli strumenti della poesia e con le armi della saggezza, dotazione psichica spesso inconsapevole nella veglia e che si manifesta quando la ragione va a dormire. Carla ha vinto la sua battaglia e ha risolto in parte la sua angoscia. La madre si porta via il figlio e giustamente “a ciascuno il suo” parodiando Leonardo Sciascia con il titolo di un suo romanzo. Carla può aspettare e disporsi meglio alla “razionalizzazione” del suo istinto materno e del suo “fantasma” per approdare al momento opportuno nel Regno delle Madri, nella sacra realtà di coloro che hanno formato la vita con il sano orgoglio di chi sa di avere una marcia in più e di essere vicino al cielo di mille spanne rispetto all’universo maschile. Carla potrà dire a se stessa “adesso anch’io so” mostrando al mondo il frutto della sua laboriosa opera e il coraggio del suo viatico di donna amante. Il mistero si è dischiuso e si può andare in pace.
Questo è quanto dovevo a Carla.
PSICODINAMICA
Il sogno di Carla svolge e sviluppa, portandola a buon fine, la psicodinamica conflittuale dell’esperienza psicofisica della maternità. Nello specifico porta in parziale risoluzione la “parte positiva” del “fantasma” attraverso il superamento dell’angoscia di morte legata al parto. Inoltre, il sogno di Carla sviluppa ampiamente il conflitto conclamato con le madri sull’ambigua valutazione della vita e della morte, dissidio in gran parte dovuto all’esperienza non ancora vissuta. L’istinto materno di Carla è incarnato e rappresentato emotivamente nel dritto e nel rovescio della medaglia, i “pro” e i “contro”, in attesa di essere ben considerato e valutato dalla ragione.
ULTERIORI RILIEVI METODOLOGICI
Il sogno di Carla presenta la simbologia ricorrente della madre e della figlia, della gravidanza e della maternità, della vita e della morte: “giardino”, “sedute”, “parlare”, “terra”, “lombrico”, “morto”, “sporco”, “deformato”, “strano”.
Sono presenti gli “archetipi” della Madre, della Vita e della Morte: ”Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico. Era morto, sporco, deformato e strano.”
Il “fantasma della maternità” domina il sogno insieme al “fantasma di morte”: “Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico. Era morto, sporco, deformato e strano.”
L’istanza psichica “Io” è presente in “Non riuscivo a toccarlo. Avrei voluto prenderlo in braccio per calmarlo, ma non riuscivo a toccarlo.”
L’istanza psichica “Es” è presente in “Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico. Era morto, sporco, deformato e strano.”
L’istanza psichica “Super-Io” è presente in “A questo punto iniziano a parlare e ad accordarsi per le onoranze funebri,”.
Il sogno di Carla svolge la “posizione psichica genitale”: “Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico.”
I “meccanismi di difesa” presenti nel sogno di Carla sono la “condensazione” in “terra” e in “lombrico” e in altro, lo “spostamento” in “la famiglia di origine, non sapendo dove metterlo, lo aveva sepolto nel nostro giardino.”, la “drammatizzazione” in “io ero sempre più scioccata per quello che stava succedendo e per la loro tranquillità inappropriata.”, la “proiezione” in “Loro parlavano della sua morte”, la “figurabilità” in “Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico. Era morto, sporco, deformato e strano.”, la “conversione nell’opposto” in “lo ha preso in braccio mentre io ero sempre più scioccata”.
Il processo psichico di difesa della “regressione” è presente nei termini funzionali del sogno. Non compare la “sublimazione”.
Il sogno di Carla presenta un tratto marcatamente “genitale” all’interno di una “organizzazione psichica reattiva genitale”. Il sogno tratta della maternità anche se nella versione conflittuale.
Le “figure retoriche” formate da Carla nel sogno sono la “metafora” o relazione di somiglianza in “terra” e in “lombrico”, la “metonimia” o nesso logico in “parlare” e in “toccarlo” e in “accudirlo” la “enfasi o forza espressiva in “scioccata”. L’allegoria del parto si trova in “Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico.”
La “diagnosi” dice semplicemente di un conflitto psichico tra l’istinto materno e la realizzazione dell’esperienza della maternità.
La “prognosi” impone Carla di “razionalizzare” la sua angoscia di morire durante il parto attraverso una migliore consapevolezza dei “fantasmi” e un approccio umile verso una delle tante esperienze naturali a cui l’universo femminile va incontro: vedi le mestruazioni, la deflorazione, la gravidanza e il parto. La riduzione e l’abbandono dell’onnipotenza porta all’accettazione di quella normalità biologica tanto temuta e contrastata.
Il “rischio psicopatologico” si attesta nel persistere dell’angoscia della gravidanza e del parto. Il conflitto psiconevrotico tra il desiderio di maternità e il “fantasma di morte” può portare alla caduta della relazione con se stessa e con gli altri, nonché della qualità della vita.
Il “grado di purezza onirica” è “buono” perché il sogno è narrativo e la trama è stata accomodata consequenzialmente come era stata elaborata in uno stato di sonno REM e in uno stato di ansia.
La causa scatenante, “resto diurno”, del sogno, “resto notturno”, è dichiarata dalla stessa Carla: “inizia a raccontarmi che quello era un bambino morto molto tempo fa e che la famiglia di origine, non sapendo dove metterlo, lo aveva sepolto nel nostro giardino.”: non certo nel giardino, ma nella tomba di famiglia. La notizia è emersa e il sogno si è composto sulle spalle della protagonista.
La “qualità” del sogno di Carla è “ansiogena” e “surreale”.
Il sogno di Carla può essere stato effettuato nella “seconda fase del sonno REM”, alla luce della tensione vissuta dalla protagonista nonostante la placida versione narrativa che ha dato da sveglia al suo istinto materno.
Il fattore allucinatorio vede coinvolti i seguenti sensi: il “tatto” in “non riuscivo a toccarlo”, la “vista” è dominante e intensa in “Viene fuori dalla terra un neonato che si muove come un lombrico.”, “l’udito” in inizia a raccontarmi” e in “iniziano a parlare”, la globalità sensoriale in “scioccata”.
Il “grado di attendibilità” della decodificazione del sogno di Carla è “buono”, per cui la fallacia è “minima”. La chiarezza della simbologia e la discorsività hanno reso agevole l’interpretazione.
DOMANDE & RISPOSTE
La decodificazione del sogno di Carla è stata analizzata da una lettrice anonima che di mestiere fa la cassiera. Sono emerse le seguenti domande.
Domanda
Una donna che non diventa madre è incompleta nella sua formazione psichica?
Risposta
Nessuno è completo o incompleto a livello psichico. Ogni persona è il risultato o il precipitato dei “meccanismi e dei processi psichici di difesa” dall’angoscia che ha istruito e istruisce in riguardo ai “fantasmi” e alle esperienze vissute nel momento storico considerato. Ogni persona è la sua “organizzazione psichica reattiva” in atto e nell’equilibrio migliore possibile delle cariche nervose. Una donna che non ha vissuto l’esperienza psicofisica della maternità, gravidanza e parto, ha risolto l’istinto materno con altre modalità reattive servendosi naturalmente e sempre dei “meccanismi e dei processi psichici di difesa”. Esempio classico, sublima la “libido genitale” dedicandosi al servizio del prossimo, sposta la “libido genitale” crescendo un nipotino, rimuove la “libido genitale” annegando nel lavoro o in altri modi e secondo altri meccanismi. Chiediti: perché le suore si chiamano madri? La madre ha investito la sua “libido genitale” direttamente nella procreazione. In ogni caso la maternità chiude il cerchio delle possibilità psico-biologiche di una donna.
Domanda
Ma i fantasmi sono necessari? Non se ne potrebbe fare a meno visto che fanno tanto soffrire? E, una volta capiti, si possono abbandonare?
Risposta
I “fantasmi” sono i prodotti necessari della modalità psichica infantile di pensare e rappresentare la realtà interna ed esterna, i “vissuti”. Questi ultimi sono esperienze e si attestano nelle sensazioni, nelle percezioni, nelle fantasie, nei pensieri, nelle emozioni, nelle paure, nelle fobie, nelle angosce, in tutto il materiale psicofisico che comporta la relazione con il “sé” del “corpo-mente” e con oggetti esterni e persone. I “fantasmi” sono la nostra vita e la nostra vitalità dalla nascita alla morte. Anche se la loro elaborazione si attenua con l’esercizio della ragione, l’uomo non cessa di produrre fantasmi e di usare la fantasia. Durante la vecchiaia si ha un ritorno all’elaborazione di “fantasmi”. La loro esasperazione o la loro mancata “razionalizzazione” può indurre una forma di distacco dalla realtà dovuto alla caduta, per l’appunto, dell’esercizio del “principio di realtà” da parte dell’Io della persona anziana. Se succede che un vecchio è sovrastato dai suoi “fantasmi” si può anche diagnosticare una forma di demenza senile.
Domanda
Allora, se uno come lei interpreta i “fantasmi”, può aiutare il vecchio a stare meglio?
Risposta
Proprio così, ma bisogna evitare che il vecchio si lasci andare ai propri “fantasmi” tenendolo occupato nella realtà di tutti i giorni e non abbandonandolo al proprio destino di solitudine e magari in un albergo della morte a cinque stelle.
Domanda
Torniamo al sogno di Carla. Cosa significa la paura della donna incinta che il bambino sia morto o deforme?
Risposta
Si tratta di una “proiezione” d’aggressività nei riguardi del feto. Mi spiego meglio. La futura madre è incalzata dall’angoscia della sua morte e, non potendola verbalizzare per vari e ovvi motivi culturali, la colloca nel bambino immaginandolo in qualche modo malato o disabile, quando addirittura morto. Questa paura è indice della sofferenza occulta o manifesta della donna in riguardo al parto.
Domanda
Si poteva interpretare in altro modo questo sogno. Ad esempio, chi mi dice che il bambino morto non sia un aborto?
Risposta
Il trauma da aborto si evidenzia in sogno con simboli nettamente diversi da quelli che ha usato Carla.
Domanda
Mi può dire quali?
Risposta
In linea con i tempi moderni è classico il sogno di tirare fuori un pezzo di carne dal congelatore.
Domanda
Quello di Carla è un sogno personale o comune?
Risposta
Carla ha evoluto un suo “fantasma” estendendolo naturalmente a tutte le donne e trovando eco nelle lettrici di questo articolo. Si tratta di una tematica universale, archetipica, che si esprime in un breve sogno di una giovane donna della provincia di Treviso.
Domanda
Ho sentito spesso le mie amiche dire che la maternità rovina la coppia e soprattutto la sessualità. Cosa mi dice lei?
Risposta
Il parto è spesso vissuto dalla donna come un morire e le sale travaglio sono piene di lamenti e di grida, piuttosto che di sorrisi e di giovialità. L’intensità dell’angoscia di morte è direttamente proporzionale all’intensità e alla durata della perdita di contatto con la realtà durante il travaglio e dopo il parto: trauma puerperale e “psicosi post partum”. Si dice erroneamente che dopo tutto passa anche alla vista miracolosa del figlio. E’ un antico e poetico schema culturale sulla maternità. La realtà è più prosaica e drammatica a volte. Gli esiti del trauma del parto, perché sempre di trauma si tratta, si inscrivono nella donna e si riverberano nella sua sessualità e nella vita di coppia, oltre che nella sua filosofia di vita. A livello profondo la donna matura paura verso la vita sessuale e verso colui che l’ha messa nella condizione di tanta sofferenza, l’uomo a cui si è sessualmente accompagnata per la gravidanza. Si scatenano i “meccanismi di difesa” per alleviare l’angoscia e il primo e il più sicuro è quello di astenersi dalla vita sessuale. La coppia risente di questa forzata innaturale astinenza ed entra in crisi fino allo smaltimento dell’angoscia da parte della donna. La gente usa dire che il matrimonio è la tomba dell’amore e della sessualità. Il popolo non ha fortunatamente sempre ragione, ma un fondo di verità esiste nel rilevare la crisi che subentra nella coppia genitoriale.
Domanda
Da quello che dice mi sembra che lei non è favorevole alla presenza del compagno nella sala del travaglio e del parto.
Risposta
Non è rassicurante e consolatorio per la donna avere davanti nel massimo imprevisto della sofferenza la causa di tanto drammatico evento. Oltretutto è traumatico anche per l’uomo assistere a tanta scena cruenta e non è proficuo per la sua sessualità. Tanti uomini hanno accusato un trauma che ha ridestato traumi pregressi e ha prodotto disturbi della sessualità e non soltanto.
Domanda
Ho capito e non vorrei sbagliare di aver capito. Mi spiega meglio?
Risposta
E’ sempre una questione di “fantasmi”. Se l’uomo ha un “fantasma depressivo di perdita” abbastanza nutrito, questa è l’occasione giusta perché venga fuori. Se ha un trauma che riguarda la morte, l’equilibrio psicofisico va in crisi e dopo qualche tempo si manifestano le prime psicosomatizzazioni. Anche in questo caso bisogna conoscersi bene e volersi bene.
Domanda
Più che una domanda vorrei dirle che io sono stata madre due volte e sottoscrivo tutto quello che lei ha detto, anzi aggiungerei di più. Grazie per avermi dato questa possibilità di parlare con lei di argomenti così importanti.
Risposta
Ci saranno tante prossime volte, intendo le possibilità di parlare di Psicoanalisi. Grazie a te e alla tua concretezza.
A questo punto inizia la ricerca nel vasto e ricco panorama della musica leggera del prodotto culturale “pop” riguardante il tema del sogno di Carla, il “travaglio dell’istinto materno”. Tre canzoni sono papabili. La prima è “Viva la mamma” di Edoardo Bennato perché elabora e riassume la “parte positiva” del “fantasma della madre”. La seconda è “Balocchi e profumi” perché elabora e riassume la “parte negativa” del “fantasma della madre”. La terza è “Mamma” perché esalta la figura archetipale della Madre. Si riscontra facilmente la “mamma buona” nella prima canzone, la “mamma cattiva” nella seconda e la “Mamma” per eccellenza nella terza. Si capisce concretamente l’essenza psichica del “fantasma” nelle elaborazioni vigili degli autori che scrivono le canzoni rivolgendosi a un pop-olo che li capisce e li osanna. Le propongo tutte e tre. Buon ascolto e buona meditazione.