UN’ALTRA VITA DOPO LA MORTE

TRAMA DEL SOGNO – CONTENUTO MANIFESTO

“Ero con mia madre.
C’era anche mio padre che è morto.
“Sei tornato in vita?”, “Ma non eri morto?”, “Esiste un’altra vita dopo la morte?” gli chiedo.
Lui fa silenzio e poi con assoluta calma mi risponde e mi dice che c’è un’altra vita dopo la morte.”

Questo è il lineare sogno di Felix.

DECODIFICAZIONE E CONTENUTO LATENTE

CONSIDERAZIONI

Il sogno di Felix tocca con una semplicità estrema le delicate e sempiterne questioni psichiche della “razionalizzazione del lutto” e della “vita oltre la vita”. Felix ha perso il padre e lo sogna in carne e ossa, con la moglie a fianco e dentro un bel quadretto familiare che ricorda i migliori anni della loro vita umana. Felix lo interroga espressamente su quesiti personali e metafisici e non disdegna di farsi dare, meglio di darsi, la risposta adeguata ai suoi bisogni psichici in atto.
Quello di Felix sembra un sogno pacato e senza angoscia, il classico sogno che dispone verso la “razionalizzazione del lutto”, la consapevolezza della perdita, quando resta soltanto il dolore senza lacrime e il sorriso amaro del sopravvissuto. In effetti, in un primo tempo Felix scarica in sogno il suo “fantasma di morte” destato e riattivato dalla morte del padre, di poi esorcizza la sua “angoscia di morte” sublimandola in un “al di là” consolatorio e confortante.
A proposito di “razionalizzazione del lutto” è opportuno dire che passano minimo ben due anni prima di digerire a livello psichico un trauma di questa portata e che il decorso non è mai spedito anche in quei soggetti apparentemente forti, quelli che non piangono mai.
Il sogno di Felix pone ancora la questione metafisica del “dopo la morte”, la questione naturale su cui la cultura ha costruito e costruisce chiese e religioni, filosofie e teologie, cimiteri e templi.
Il sogno di Felix non è un semplice sogno depressivo di una persona che ha perso il padre e che è in travaglio per accettare la perdita, è un prodotto culturale perché riguarda la soluzione religiosa collettiva del “fantasma di morte”.

SIMBOLI – ARCHETIPI – FANTASMI – INTERAZIONE ANALITICA

“Ero con mia madre.”

Felix esordisce in sogno con la polivalente figura materna: “madre edipica”, “alleata psichica” del sogno e del sonno, moglie del padre defunto.
Analizziamo queste tre posizioni.
La madre è stata a suo tempo oggetto del contendere di Felix bambino durante la “posizione edipica”. In lei aveva investito tanta “libido” nella vana attesa di un riscontro del suo amore possessivo. Ancora oggi si deduce dal semplice “ero con mia madre” il sapore “edipico” del figlio inteso verso una donna sacra ed enigmatica.
La madre funge da “alleata” in sogno per non incorrere nell’incubo e nel risveglio, oltre che per sviluppare temi delicati come la perdita del padre, un lutto che nella realtà condivide dolorosamente con la madre.
La madre viene usata come rafforzamento e sostegno per mantenere negli argini i livelli emotivi senza che tralignino nell’angoscia dell’irreparabile.
La madre è stata la “moglie del padre”, la figura psichica simmetrica nell’evoluzione psichica di Felix, e con il marito ha condiviso il vivere quotidiano e ha costruito i valori della famiglia.
Chi meglio di lei può aiutarlo in questo arduo e semplice sogno?
Il bambino Felix si porta dietro la mamma, la persona e la figura con cui ha un rapporto privilegiato, per affrontare il travaglio del lutto.

“C’era anche mio padre che è morto.”

La famiglia è al completo e la triade si è costituita come nel massimo dei desideri di Felix: il figlio unico che dispone totalmente dell’amore e della cura dei genitori. Il padre è tornato in vita secondo il classico e universale desiderio umano di vincere l’inesorabilità della morte, una magia che soltanto il sogno può fare. Possiamo ricordare e immaginare i defunti, ma non possiamo rivederli e sentirli e toccarli se non in sogno. Soltanto il sogno scatena i sensi meglio di quando si era vivi e ci permette di vivere anche quell’impossibile che non è stato vissuto in vita. Le emozioni sono più intense e sottili nel sogno rispetto alla veglia. Il desiderio di Felix è stato realizzato dal sogno e il padre è tornato in vita. Per la Logica consequenziale vige la contraddizione di un padre vivo in sogno ma morto nella realtà. Quel che conta è la realtà onirica, le modalità del benefico e benemerito “processo primario”, la creatività democraticamente e universalmente depositata in tutti gli uomini al di là delle culture e dei suoi derivati. Da svegli la morte può essere investita dalla memoria, ma il ricordo allevia il dolore e non offre le sensazioni del sogno.
Felix ha il padre vivo dentro, ma ha anche qualche conto sospeso con se stesso, per cui pone delle domande di un certo spessore a testimonianza dei suoi bisogni profondi di “sapere” e di dare respiro ai suoi dubbi metafisici. Il sogno assolve essenzialmente la funzione di alleviare l’angoscia del suo “fantasma di morte”, ma non si esime dal comunicare le verità possibili, pulsioni e desideri di onnipotenza.

“Sei tornato in vita?”

Inizia la sequela delle domande, una maniera interessata di ridurre l’angoscia nel sogno e nella vita vigilante. Un padre defunto e tornato in vita ha da comunicare tante verità perché è più “avanti”, come si suol dire nel gergo giovanile, di chi ancora è rimasto nelle dimensioni spazio-temporali di questo misero mondo. Il “sei tornato in vita” è l’espressione del desiderio profondo e onnipotente di riavere il padre in carne e ossa. Ma purtroppo dall’aldilà sono tornati in pochi a raccontare le verità intorno alla morte: Er l’armeno nel dialogo Repubblica di Platone, Ulisse nell’Odissea di Omero, Dante nella sua Divina commedia e qualcun altro che in questo momento non ricordo.
Esiste in Felix la consapevolezza che il padre è morto e questa presa di coscienza dispone a dire che il processo di “razionalizzazione del lutto” è abbastanza avanti. Più che l’affetto, vige la sorpresa e la curiosità. Si ha la sensazione che il ritorno in vita del padre infastidisca Felix perché ripropone le difficoltà relazionali edipiche del passato.

“Ma non eri morto?”

Dubbio amletico o trionfo della Logica aristotelica!
Felix non proietta aggressività nei confronti del padre augurandogli la morte, ma ha la piena consapevolezza che il padre è partito e non può ritornare. Il sogno, pur tuttavia, gli offre la possibilità di riparare eventuali sensi di colpa e di rivisitare la figura paterna in funzione nostalgica. In ogni caso il rivedere il padre vivo in sogno assolve anche e soprattutto il bisogno di vincere la morte e l’angoscia collegata al non senso di una vita che si conclude nel nulla, anche se eterno.

“Esiste un’altra vita dopo la morte?”

Felix ha risuscitato in sogno il padre per assolvere i suoi dubbi e le sue perplessità. Pone una domanda metafisica sull’aldilà, sulla possibilità che la vita non finisca nella morte e che ci sia una continuazione nella vita terrena: un inferno, un paradiso, un purgatorio, una regione celeste contrassegnata dall’eternità, dall’assenza della morte, dal godimento più godereccio, dalla massima tranquillità dell’anima.

“Lui fa silenzio”

Il “silenzio” è un attributo crudele della morte in vita e forse della morte. Ma essendo vivo, il padre, secondo i bisogni di Felix, è costretto a rispondere e a dare una soluzione ai quesiti psichici e metafisici del figlio. In ogni caso è bene precisare ancora una volta che sono tutti bisogni di Felix quelli che evidenzia il sogno: rivedere il padre, risuscitarlo, risolvere l’angoscia del “nulla eterno” o del dopo la vita.

“e poi con assoluta calma mi risponde e mi dice che c’è un’altra vita dopo la morte.”

La “calma”, specialmente se è “assoluta”, è un altro attributo della morte o quanto meno della caduta della vitalità. Il “nirvana” o “l’atarassia”, assoluta assenza di affanni, sono doti sovrumane proprio nel senso letterale del termine, vanno sopra l’umanità dell’uomo. Felix, per esorcizzare la sua angoscia di morte e del nulla eterno, fa rispondere il padre con la verità allettante che esiste un’altra vita, che non si muore del tutto e che ci si evolve in altre dimensioni. Felix è un praticone e un utilitarista perché approfitta del sogno e della morte del padre per ridurre la sua angoscia di morte e per risolvere i sensi di colpa nei riguardi del padre. Non dimentichiamo che chi muore lascia inevitabilmente in eredità, oltre i beni materiali, i sensi di colpa del “cosa averei potuto fare e non ho fatto per lui o per lei” e similar compagnia cantante.

PSICODINAMICA

Il sogno di Felix svolge la classica psicodinamica in riguardo al senso del vivere e del morire approfittando dell’evento drammatico e luttuoso della morte del padre. Inoltre, esorcizza le angosce depressive della fine e le sublima nell’esistenza di un’altra vita dopo la morte, anzi dopo la vita.
Da rilevare che si tratta anche di una maniera di razionalizzare il lutto.

ISTANZE E POSIZIONI PSICHICHE

L’istanza psichica razionale e basata sul principio di realtà dell’Io” è ben visibile in “mi risponde e mi dice”.
L’Es o istanza pulsionale è presente in “Sei tornato in vita?”, “Ma non eri morto?”, “Esiste un’altra vita dopo la morte?”.
L’istanza Super-Io si manifesta in “c’era anche mio padre”; il padre è il classico simbolo del limite e della censura.
Il sogno di Felix evoca la “posizione psichica edipica” con il suo ricostituire la triade “padre-madre-figlio”.
La “posizione genitale” si evince nelle convinzioni e convenzioni culturali in riguardo alla morte e al “post mortem”.

MECCANISMI E PROCESSI PSICHICI DI DIFESA

Nel sogno di Felix sono presenti i meccanismi psichici di difesa della “condensazione” in “madre” e “padre”, dello “spostamento” in “morto” e “morte”, della “drammatizzazione” in “Lui fa silenzio”.
Il processo psichico di difesa dall’angoscia della “sublimazione” è presente in “c’è un’altra vita dopo la morte.”

ORGANIZZAZIONE PSICHICA REATTIVA

Il sogno di Felix evidenzia un tratto depressivo, sensibilità alla perdita, in una cornice prevalentemente “orale”: bisogno d’affetto e dipendenza psichica.

FIGURE RETORICHE

Il sogno di Felix è discorsivo e contiene pochi simboli e un solo fantasma, per cui le figure retoriche sono usate con parsimonia. La “metafora” si intravede in “madre” e “padre” al posto di affetto e potere, la “metonimia” è presente in “morte” e “vita” e “silenzio” e “calma assoluta”.

DIAGNOSI
Il sogno di Felix manifesta carenze e dipendenze affettive in associazione a una sindrome di angoscia depressiva.

PROGNOSI
La prognosi impone a Felix di acquistare autonomia psichica e di concepire la fine e la perdita come fattori naturali dell’evoluzione biopsichica. E’ necessario che tenga sotto controllo il “fantasma di morte” al fine di vivere la vita con la giusta filosofia: ottimismo e ironia.

RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Il rischio psicopatologico si attesta nella degenerazione del “fantasma di perdita” e nella sindrome depressiva con grave caduta della qualità della vita e pesante pregiudizio delle relazioni significative a causa di ossessioni paranoiche.

GRADO DI PUREZZA ONIRICA

In base a quanto affermato nella decodificazione e in base al contenuto dei “simboli” e dei “fantasmi”, il grado di “purezza onirica” del sogno di Felix è “2” secondo la scala che vuole “1” il massimo dell’ibridismo, “processo secondario>processo primario”, e “5” il massimo della purezza, “processo primario>processo secondario”.

RESTO DIURNO

La causa scatenante del sogno di Felix, “resto diurno”, si attesta nel processo di “razionalizzazione del lutto” che è in corso. Inevitabilmente il ricordo del padre è deputato alla formazione del sogno.

QUALITA’ ONIRICA

La qualità del sogno di Felix è logico-discorsiva. Si nota la scarna simbologia a testimonianza della concretezza pragmatica del sognatore.

RIFLESSIONI METODOLOGICHE

Il sogno di Felix propone il tema della morte e dell’ineludibilità della fine, nonché l’associata soluzione dell’onnipotenza.
Mi pregio di richiamare ancora una volta Epicuro e la sua terapeutica sintesi, “finché c’è la vita, non c’è la morte e quando c’è la morte, non c’è la vita”: la morte non è un’esperienza vissuta di cui poter dire e tanto meno parlare.
Ma la morte si può offrire in metafora, in metonimia, in allegoria…insomma della morte si possono occupare i benefici “processi primari”, quelli del sogno e della poesia.
Alla bisogna offro un mio riattraversamento in parole di “Samarcanda” e, di seguito, la canzone del professore cantautore Roberto Vecchioni nella versione eseguita in compagnia del menestrello Angelo Branduardi.
Ognuno viva, come gli pare e aggrada, la propria Samarcanda, ma… occhio all’onnipotenza!
Sempre!

A sinistra il testo di Vecchioni, a destra la mia versione.

DECODIFICAZIONE IN PAROLE
SAMARCANDA

Ridere, ridere, ridere ancora,                La vitalità era isteria di vivere,
ora la guerra paura non fa                    il conflitto è un buon pane casereccio
condito con le olive.
Brucian le divise nel fuoco, la sera;      Il gioco dei ruoli non funziona più;
tu dimentichi chi sei,
brucia nella gola vino a sazietà;           variando continuamente lo stato di
coscienza e ti frastorni
musica di tamburelli fino all’aurora.      fino a far nascere in te quella parte
che non hai mai recitato.
Il sodato che tutta la notte ballò,          La tua fu la guerra di Piero e a nulla
valse il fanatismo
vide tra la folla quella nera signora,     quando ti accorgesti che la morte
cercava proprio te.
vide che cercava lui e si spaventò.      La paura fu tanta e l’orgoglio quasi
niente.
Salvami, salvami grande sovrano.       Padre mio, aiutami!
Fammi fuggire, fuggire da qua.            Aiutami e non mi abbandonare!
Alla parata lei mi stava vicino              Nella mia vita mi sono sempre
ricordato della morte,
e mi guardava con malignità.              ma lei è stata tanto cattiva con me.
Dategli, dategli un animale,                Voglio la vitalità, tutta la forza dei
miei istinti,
figlio del lampo, degno di un re.          la follia di un uomo unico ed
eccezionale.
Presto, più presto perché possa scappare    Ancora una volta sia pronta la fuga
dategli la bestia più veloce che c’è.               in groppa all’anarchia.
Corri cavallo, corri, ti prego;                          Frastornati ancora, forza!
fino a Samarcanda io ti guiderò, –                 illuditi di avere trovato finalmente
l’amore di una donna,
non ti fermare, vola ti prego,                         buttati a capofitto in una vecchia
avventura
corri come il vento che mi salverò.               per subire nuovamente la vertigine
della vita.
Oh oh cavallo, oh oh cavallo,                      “Avia nu sciccareddru,
ma tantu sapuritu,
a’mia mi l’ammazzaru
poviru sceccu miu.
Chi beddra vuci avia,
paria nu gran tinuri,
sceccu beddru di lu mi cori
comu iu t’aia scurdà.”
Fiumi, poi campi, poi l’alba era viola,         Forza, coraggio e una realtà tutta da
vivere;
bianche le torri che infine toccò                  innocenti ed effimere sono le
conquiste,
ma c’era tra la folla quella nera signora     dal momento che non hai mai
dimenticato quella morte
e stanco di fuggire la sua testa chinò:        a cui indolente ormai ti inchini.
“Eri tra la gente nella capitale;                    Ma tu, o morte, non appartenevi agli
altri?
So che mi guardavi con malignità.             Perché sei stata così cattiva con me?
Son scappato in mezzo ai grilli                  Mi sono perso nell’utopia, nella triste
ricerca di un luogo
e alle cicale,                                              tanto decantato che non esiste;
son scappato via, ma ti ritrovo qua !”        adesso, da fallito, ti ritrovo fuori
dalla porta.
“Sbagli, t’inganni, ti sbagli soldato.           “Ti sei illuso anche in questo,
caro rivoluzionario.
Io non ti guardavo con malvagità;            Io non ho nessun motivo per essere
crudele con te;
era solamente uno sguardo stupito:        ero soltanto meravigliata del fatto
che tu mi cercavi
cosa ci facevi l’altro ieri là ? in ogni luogo e in ogni tempo.
T’aspettavo qui oggi a Samarcanda;       L’appuntamento giusto era proprio
questo
eri lontanissimo due giorni fa.                 e tu stavi quasi per mancarlo.
Ho temuto che per ascoltar la banda     Ho avuto paura che per frastornarti
ancora
non facessi in tempo ad arrivare qua.”  perdessi il tuo luogo e il tuo
momento.”
Non è poi così lontana Samarcanda,    Non è poi così difficile morire,
corri cavallo corri di là;                          la vita stessa ti ci porta naturalmente;
ho cantato insieme a te tutta la notte,  dopo il canto del cigno
corri come il vento che ci arriverà.        troverai la tua vera dimensione vitale.
Oh, oh cavallo, oh, oh cavallo…           “Avia nu scicareddru,
ma tantu sapuritu,
a ‘mia mi l’ammazzaru,
poviru sceccu miu.
Chi beddra vuci avia,
paria nu gran tinuri,
sceccu beddru ri lu mi cori
comu iu t’aia scurdà.”
“Avevo un asinello tanto grazioso,
me l`hanno ucciso,
povero il mio asinello.
Che bella voce aveva,
sembrava un grande tenore,
asinello bello del mio cuore
come posso dimenticarti.”

 

In Pieve di Soligo (TV), nel mese di marzo dell’anno 1987

Salvatore Vallone

 

 

 

 

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