“Betty sogna di trovarsi in collina su una strada sterrata che non vede. Ci sono molte persone che non conosce e che non vede. La colpisce il fatto che sia una bellissima e splendente giornata primaverile, l’erba è di un verde brillante riflessa dal sole e c’è qua e là qualche tarassaco giallo. C’è chi passeggia e chi è seduto lungo la strada. Betty non sa se sta camminando o è ferma, ma è in pace e serena.
C’è qualcuno che Betty non vede e non sente, ma sa che ha detto che ci si doveva spostare dalla strada per l’arrivo di un uomo. Così tutti quanti sorridenti e gioiosi si apprestano a sedersi lungo la parte destra della strada e sono tutti molto vicini.
Una bella signora sorridente e riccia che non conosce, la invita a prendere posto vicino a lei tra l’erba verde, abbastanza alta e sotto un filare di viti. Betty si siede, guarda di fronte a lei e da in fondo alla collina, ma non molto distante, sta salendo verso di loro uno scimpanzé eretto sulle due zampe posteriori e cammina come un uomo. Betty ha un primo piano del suo muso.
Inizialmente Betty pensa che deve aver paura e scappare, invece decide di non averne, di tranquillizzarsi, di aspettare osservandolo mentre avanza per capire se è buono o cattivo. A questo punto si sveglia.”
Il problema che il sogno di Betty offre immediatamente è il seguente: “non vede”, “non conosce”, “non so”. Le tre scimmiette di Betty sono il “non vedere”, il “non conoscere”, il “non sapere”. Chi meglio del siciliano sottoscritto poteva analizzare la sindrome mafiosa delle tre scimmiette? Parto subito con l’analisi delle simbologie al positivo e poi le volgerò al negativo.
Il “vedere” condensa la razionalità e l’esercizio logico-consequenziale, il principio di realtà e lo spirito critico, il collegamento tra interno ed esterno, la consapevolezza e le funzioni dell’Io. Il “vedere” è collegato strettamente al “sapere”.
Il “conoscere” condensa il processo di acquisizione e di sistemazione delle esperienze in un sistema organizzato di cui usufruire nel quotidiano vivere e soprattutto nel quotidiano relazionarsi. Il “conoscere” è collegato strettamente alla “cultura” intesa come apprendimento di schemi che permettono di capire la realtà e di agire in essa.
Il “sapere” condensa il gusto di sé, la soddisfazione di avere il sapore di se stessi e del patrimonio psichico acquisito, esprime la concretezza fisiologica del senso e del gusto, la consapevolezza dell’autostima e dell’amor proprio. Il “sapere” è collegato al “vedere” e al “conoscere” perché non esiste conoscenza che non si traduca correttamente nel gusto e nel senso di sé, piacevoli o dolorosi che siano.
Fin qui le interpretazioni al positivo. Convertiamole al negativo per il caso di Betty.
Betty non vive la consapevolezza di sé, non usa le sue conoscenze, non gusta se stessa. “Io non so se sto camminando o sono ferma, ma sono in pace e serena.” Eppure, la sua vita scorre in una realtà personale e sociale gratificante se guardiamo la coreografia in cui Betty è inserita e in cui la psicodinamica si svolge: “una bellissima e splendente giornata primaverile, l’erba è di un verde brillante riflessa dal sole e c’è qua e là qualche tarassaco giallo. C’è chi passeggia e chi è seduto lungo la strada.”
Betty ha detto all’inizio “di trovarsi in collina su una strada sterrata che non vede”.
La sua realtà psichica in atto è particolarmente difficile, ma è compensata da una forte sensibilità estetica, “tarassaco giallo”, e da una vita sociale gratificante,”chi passeggia e chi è seduto”. Aggiunge anche: “Io non so se sto camminando o sono ferma, ma sono in pace e serena.” Betty si lascia vivere dalla vita e con una sapienza orientale preferisce la “atarassia”, assenza di affanni, all’ambizione e all’arroganza della consapevolezza di sé. Anche in questo caso non sa, non ha sapore di sé.
Le difese dal coinvolgimento emotivo e affettivo continuano a presentarsi ed ecco che il sogno si dirige verso il disvelamento della verità, quello che c’è sotto il velo difensivo dell’apparenza.
“C’è qualcuno che Betty non vede e non sente, ma sa che ha detto”: continua a non vedere e a non sentire, a sentirsi vivere e a non vivere, ma sa che qualcuno ha detto. Chi è questo qualcuno? Si tratta di una persona direttiva e affidabile, una figura carismatica e importante nell’evoluzione psichica di Betty, una figura genitoriale. E tutti ubbidiscono volentieri: i figli che seguono i consigli della mamma o del papà. Sta per arrivare un uomo e “così tutti quanti sorridenti e gioiosi si apprestano a sedersi lungo la parte destra della strada e sono tutti molto vicini.” La parte destra della strada attesta di un qualcosa di razionale e progettuale, qualcosa di organizzato e comprensibile che s’innesta nel futuro, una presa di coscienza da fare perché quasi necessaria: “sorridenti e gioiosi”. La solidarietà non manca nell’essere “tutti molto vicini”: un quadro familiare.
Si tratta di una famiglia, la famiglia di Betty che aspetta un uomo che dovrebbe essere il padre.
Procediamo nel chiarimento dell’arcano.
“Una bella signora sorridente e riccia che non conosco” rappresenta l’alleato affettivo che consente il prosieguo del sogno e del sonno, ma anche una figura femminile gradevole e ideale, una figura solare e rassicurante per una Betty crepuscolare che non conosce, non sente e non sa: un surrogato della figura materna.
A questo punto tutti sono pronti a vedere l’uomo del mistero: “uno scimpanzé eretto sulle due zampe posteriori e cammina come un uomo”. Razionalmente è una delusione, emotivamente è un colpo gobbo, uno scherzo da prete, un inganno del potere. Si aspettava un piccolo dio e compare una scimmia.
Quest’ultima è la vergogna dell’uomo, “qualcosa che fa ridere oppure suscita un doloroso senso di vergogna”, secondo Nietzsche. La scimmia è l’antenato biologico dell’uomo, secondo le teorie evoluzionistiche di Darwin e, per la precisione, un “gradino inferiore rispetto all’uomo”. Simbolicamente la “scimmia” rappresenta il sistema neurovegetativo, la parte animale e istintiva, la pulsione e la caduta della ragione: un uomo inferiore, un uomo inteso come istinto e pulsione o come “forza lavoro”. Betty “ha un primo piano del suo muso”: muso, non viso, a testimoniare la valenza animale dell’olfatto e del gusto che Betty giustamente dà allo scimpanzé.
La scimmia, essendo ai limiti della parte razionale e della coscienza, sembra essere come Betty che “non sa”, “non conosce”, “non vede”, che si lascia vivere, ma può essere anche la figura paterna vissuta dalla bambina e in seguito offerta dalla madre come la figura di un uomo che lavora e che non è valutato a livello psicoaffettivo. Della serie: “bambini fate i bravi, adesso arriva il papà che è stanco perché ha lavorato tanto” e non invece “battiam battiam le mani che arriva il vostro caro papà”. Il sogno risolve decisamente il dubbio: non si tratta della parte neurovegetativa di Betty, ma della figura paterna semplicemente perché Betty dice” per capire se era buono o cattivo”. Betty inconsapevolmente usa il meccanismo di difesa dall’angoscia classico dei bambini, lo “splitting”, la scissione del “fantasma del padre” in buono e cattivo che consegue al “fantasma della madre” elaborato e scisso sin dai primi mesi di vita in parte buona e parte cattiva. Il sogno rievoca la primissima infanzia, quando Betty si approcciava al padre e si apprestava a sentirlo come presenza affettiva e protettiva. E’ sorprendente e meraviglioso come nel nostro “profondo” tutto si conserva e il sogno lo tira fuori a modo suo e al momento opportuno dietro lo stimolo giusto.
Il sogno di Betty rievoca una bambina che si affida alla figura materna e che si accosta al padre con cautela vivendolo in primo luogo come una figura neurovegetativa e non affettiva, istintiva e non razionale, colui che con il suo lavoro ci dà da mangiare. La bimba non ha avuto confidenza con il padre e si è costretta a tenerlo ai margini della sua affettività legandosi in silenzio e temendolo sempre in silenzio, una bambina che non si è saputa districare tra una madre ingombrante e direttiva e un padre minimizzato e ridotto al suo essere vivente. E’ consequenziale che questa situazione psichica e relazionale ha impedito a Betty la corretta evoluzione della posizione edipica. Lascia ben sperare in una riappropriazione progressiva dell’alienato e in una ripresa psichica di Betty il “doveva aver paura” e il “decide di non averla”, la volitività del fare e la volontà di affermazione, al di là delle titubanze e delle attese.
La prognosi impone a Betty di recuperare la sua autoconsapevolezza e la sua sicurezza riconoscendo le figure genitoriali, non soltanto come si sono manifestate, ma anche come le emergenze di allora le hanno offerte. Betty si è evoluta con la figura incompleta del padre e con la figura “XXL” della madre. Lo spazio occupato dalla madre è indotto anche da circostanze storiche e culturali che hanno contraddistinto la famiglia borghese al suo primo formarsi. Di poi, quando anche la madre è andata al servizio del sistema produttivo emancipandosi, la famiglia ha conosciuto problematiche di grande spessore e conflitti di sottile qualità.
Il rischio psicopatologico si attesta nel persistere della disistima e nell’evitare il coinvolgimento affettivo. Inoltre il rischio comporta la caduta della qualità della vita e delle relazioni affettive secondo una deleteria filosofia della modestia e dell’accontentarsi. E’ da dire che conseguirebbe un’infausta sindrome depressiva.
Riflessioni metodologiche: ancora a proposito della teoria sul sogno si può definire quest’ultimo “resto notturno”. In base a quanto ho affermato nell’interpretazione del sogno di Gregorio, titolato “il travaglio della rinascita”, e nello specifico sul dato di fatto che i sogni al risveglio passano dal parrucchiere per essere acconciati e sul dato di fatto che è quasi impossibile avere il prodotto onirico nella sua integrità e purezza, aggiungo che il sogno si può definire “resto notturno”. In base a questa riflessione si possono anche analizzare le fantasticherie e le fantasie da svegli elaborate. Freud aveva attribuito la causa del sogno ai “resti diurni”, agli stimoli del giorno precedente non adeguatamente indagati che agganciano materiale psichico rimosso ed elaborano di notte il sogno. Alla luce di quanto risulta su quello che ricordiamo nelle fasi R.E.M. del sonno, quando il sogno si elabora e prende consistenza perché nelle fasi NON R.E.M. non si sogna perché è labile la memoria, si può definire il sogno “resto notturno” con due finalità importanti. La prima consente di analizzare i prodotti psichici elaborati nella veglia come le fantasticherie e le fantasie e le opere artistiche e culturali come la pubblicità e come altre espressioni del polivalente animale vivente chiamato uomo. La seconda consente d’interpretare i sintomi delle problematiche psichiche come le psiconevrosi e le psicosi e le fenomenologie dei disturbi psicosomatici e di tutto quell’altro che rientra nella fenomenologia dello strano animale chiamato uomo e che lo contraddistingue dalla scimmia, per restare in tema con il sogno di Betty. In sintesi: il sogno è un resto notturno e si possono decodificare i prodotti psichici e culturali.