“Caro dottor Vallone,
come vede sono nuovamente qua a scriverle. Sono una persona che sogna molto: il fatto di raccontarle i miei sogni è che non sogno mai i prati verdi e cose gioiose, ma sempre cose tristi e che mi spaventano.
Dunque per prima cosa vorrei chiederle, se riesce a dare una risposta, perché?! Perché sogno spesso avvenimenti spiacevoli?
Nello specifico questa notte ho sognato di essere andata in bagno e di vedere un molare destro muoversi, così ho chiamato mia mamma per farmi vedere. Mi guarda e non parla. Poi ad un tratto richiudo la bocca e iniziano a cadermi 1, 2, 3, 4, 5 denti che raccolgo nella mia mano. Piangevo dicendo “mamma aiutami, mamma, cosa mi succede, ho paura !” Ma, stranamente mia mamma non ha risposto una parola.
Mi sono svegliata impaurita e non ho più dormito.
Tanti credono in un brutto presagio, quale idee di superstizioni. Io confido in lei, in un’interpretazione più coerente. La ringrazio nuovamente per la gentile risposta.
Wendy “
Ho voluto pubblicare la lettera per ribadire che nel mio “blog” potete usufruire anche di consulenze cliniche e di consigli specifici e compatibili con le mie competenze di psicologo psicoterapeuta.
Non sognare “mai i prati verdi e cose gioiose, ma sempre cose tristi che mi spaventano”, non significa essere oniricamente monotona e tendenzialmente tragica, addolorata nel midollo e impaurita all’osso. Il sogno usa i meccanismi del “processo primario” (a tal proposito è importante leggere i “lineamenti teorici sul sogno” presenti nel blog), per cui non riusciamo a cogliere i sogni di gioia e di pienezza psichica perché non conosciamo il linguaggio dei simboli. Magari sogniamo una grande gioia che condensa un grande dolore per il meccanismo della “conversione e rappresentazione nell’opposto” o viceversa. Quindi Wendy può sognare una gioia intensa o un dolore immenso e non esserne consapevole. Ancora Wendy vuol significare con la sua domanda che si è rassegnata a sogni tristi e che fondamentalmente si è autodiagnosticata come una persona triste o tendente tale. In effetti la verità ci suggerisce che del sogno non conosciamo il “contenuto latente”, ma possiamo raccontare il “contenuto manifesto”.
“Perché sogno spesso avvenimenti spiacevoli?” La domanda è interessante. Esiste un fondo di verità in quello che Wendy chiede, perché il sogno proviene dalla dimensione profonda che io, seguendo la tesi filosofica, non chiamo “Inconscio” semplicemente perché ciò che non è cosciente non sta né in cielo, né in terra, né in ogni luogo perché per definizione non è consapevole e quindi non se ne può parlare e quindi attualmente non esiste. Io definisco questa dimensione profonda “Rimosso”, “Oscuro”, perché contiene materiale psichico pronto a prendere luce, ad “allucinarsi” dormendo nel sogno, da svegli con la fantasia, da psicopatici con i sintomi. La “rimozione” è il meccanismo di difesa principe e consiste nel dimenticare il materiale psichico angosciante e non gestibile dall’Io cosciente. E allora può succedere che gli stimoli del giorno precedente associano ed evocano materiale conflittuale e traumatico rimosso e di notte, durante il sonno, questo magma si presenta sulla scena onirica e viene gestito e ordinato dai meccanismi del “processo primario”. Tutti usiamo la “rimozione” e gli altri meccanismi di difesa per continuare a vivere con il migliore equilibrio possibile e tutti abbiamo pendenze psichiche importanti e conflitti interiori utilissimi, perché attraverso questi elementi reagiamo formando il nostro cosiddetto carattere: quest’ultimo si può tecnicamente definire “formazione reattiva”. Tutti siamo sensibili alla tristezza e al dolore, ma questa non è una disgrazia. Ma come abbiamo risolto le nostre angosce e razionalizzato i nostri conflitti? Il grado di consapevolezza e l’autocoscienza riducono il materiale rimosso e, di conseguenza, si riducono le angosce nel sogno e si dorme meglio. Se io non ho ben razionalizzato un lutto importante, è ovvio che mi tornerà fuori in sogno l’angoscia della perdita sotto forme varie e magari non so collegarle a quel lutto. Meglio essere padroni in casa propria per quanto è possibile.
Andiamo al sogno.
“Ho sognato di essere andata in bagno e di aver visto un molare destro muoversi”. Analizziamo subito i simboli di questo sogno che tutti immancabilmente abbiamo fatto e continuiamo a sviluppare: il bagno è il luogo dell’intimità e racchiude i sentimenti, le pulsioni, i desideri. Il molare condensa il potere e l’aggressività, tecnicamente un potere fallico, non come un simbolo sessuale maschile, ma come forza gestionale. Wendy ha una perdita di potere in riguardo al suo futuro e alla sua sicurezza: il molare destro traballa.
“Così ho chiamato mia mamma per farmi vedere”. E’ classico il ricorso alla mamma come aiuto e consolazione per il semplice fatto che per diventare grandi siamo stati piccoli. Chissà quante volte abbiamo fatto ricorso alla mamma buona per avere un consiglio, una cura e una premura. Bisogna precisare che prima del “concetto” mamma abbiamo formato il “fantasma” mamma. Mi spiego: il concetto logico dice che mamma è colei che mi ha generato, il fantasma prelogico dice che mamma è colei a cui mi affido per alleviare l’angoscia. Il concetto è freddo, il fantasma è caldo.
“Mi guarda e non parla.” Sembra una madre ingrata e anaffettiva, ma il sogno è di Wendy e ci sta dicendo come Wendy vive la mamma, aldilà di come la mamma è in realtà. Wendy vive la mamma inadeguata ai suoi bisogni di protezione e di accudimento, Wendy è ancora dipendente da questa importante figura, ma è tempo di razionalizzarla e salutare il mondo incantato dell’infanzia per riconoscerla come la “madre” e senza dimenticare che si tratta di una figura sacra. Aggiungo che da adulti i figli devono accudire i genitori e non spedirli a morire anticipatamente nelle migliori case di riposo o nei peggiori ospizi per vecchi, accorciando loro la vita di un buon cinquanta per cento di quel tempo che la buona madre natura aveva geneticamente programmato per loro. Ma questo soltanto en passant. La mamma nel sogno di Wendy non parla e non è generosa, non regala le parole rassicuranti, ma soltanto la sua muta presenza ed è emotivamente glaciale. Questo è il fantasma della “parte negativa della madre” di Wendy. Ma i guai non vengono mai da soli.
“Poi richiudo la bocca e iniziano a cadermi uno, due, tre, quattro, cinque denti che raccolgo nella mia mano.” La perdita di potere è notevole, la “castrazione” è imponente; Wendy li raccoglie pietosamente nella mano per ammirare l’aggressività che non c’è più, i resti del suo potere.
Questa immagine si poteva anche spiegare con la valenza sessuale del coito o come la perdita della verginità o come qualche trauma di questo genere, una violenza sessuale subita a causa della presenza delle “labbra”, della “bocca” come simboli vaginali e del “dente” come simbolo fallico, ma in questo caso prevale la versione della “castrazione” nei riguardi della madre e la competizione al femminile con annessa lotta per la femminilità, nonché la dipendenza psichica di natura edipica.
“Mamma aiutami, mamma, cosa mi succede, ho paura.” Quante volte, tante volte, abbiamo formulato questa invocazione alla santa mamma con grande dolore e sofferenza come nel sogno da parte di Wendy. Quella richiesta di aiuto che da svegli ci sembra superata o ridicola, in sogno è intensa e fortemente vibrata come da bambini. Wendy è legata alla madre in maniera forte come da bambina e non ha risolto il complesso di Edipo o meglio non ha concluso l a fase edipica di maturazione del carattere; Wendy non si è identificata nella madre o per rifiuto o per inferiorità o semplicemente per i suoi bisogni di dipendenza.
“Cosa mi succede, ho paura!” grida Wendy, come se fosse successo un evento che va oltre il suo controllo, un grido di dolore e d’angoscia in sogno, un’invocazione disperata tra il sonno e la veglia. Questa è la vera riedizione della dipendenza dall’amore materno e la “regressione” difensiva a bambina: una scena già vista e già vissuta. La mamma stranamente non risponde; meglio, Wendy non fa rispondere la mamma. Ecco la terapia di Wendy, da lei offerta a se stessa in un piatto d’argento, a conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che i sogni non soltanto diagnosticano, ma prescrivono la terapia. Sono cresciuta e non posso fare rispondere la mamma come se fossi infante,”senza parola”. La mamma non è cattiva e io devo sbrigarmela da sola: l’emancipazione finale dalla madre e la conquista dell’autonomia attraverso il semplice “riconoscimento” e l’identificazione al femminile. La mamma non regala parole, non è generosa, tanto meno affettuosa: Wendy non ha più bisogno delle parole della mamma. La figlia adulta deve voler bene alla mamma e ribaltare il suo vissuto e il suo comportamento. Eppure Wendy, come tutti, continuerà a fare di questi sogni semplicemente perché è stata figlia e volentieri regredirà, soltanto in sogno, alla fusione con la mamma e alla dipendenza dalla figura materna anche quando sarà possibilmente mamma e nei momenti di difficoltà e da sveglia invocherà come allora, “mamma, mamma, aiutami!” Recupererà il caldo “fantasma mamma”, non sapendo cosa fare in situazioni di emergenza e d’angoscia del freddo “concetto mamma”. Ecco a cosa servono i nostri fantasmi, a tenere al caldo le nostre emozioni, ad amare la nostra storia, a voler bene alle figure più care, a tenerci vivi, a darci personalità. I fantasmi sono i nostri naturali antidepressivi e ci conciliano fortemente con la vita: le endorfine psichiche.
La prognosi impone a Wendy di risolvere il conflitto edipico e la dipendenza dalla figura materna, operando identificazione al femminile per acquisire una migliore identità al fine di migliorare i rapporti senza incertezze e paure.
Il rischio psicopatologico si attesta nella psiconevrosi fobico ossessiva e nei rituali nevrotici per acquisire sicurezza avendo abdicato allo spirito critico.
Riflessione metodologica: i sogni hanno una capacità diagnostica e terapeutica. Trattano di noi e noi siamo direttamente responsabili dei nostri sogni perché li facciamo in maniera naturalmente coatta. Ancora senza volerlo subiamo il loro contenuto, non conosciamo la verità oggettiva ma la trama manifesta, ci inquietano e ci disturbano il sonno, ci spaventano perché possono tralignare in incubi, ci fanno vedere o sentire cose da pazzi, non ci portano fortuna, non ci aiutano in alcun modo, sono fastidiosi come le zanzare, sono inutili come le mosche, et cetera, et cetera, et cetera. Quante ne ho sentite sui sogni! Queste sono alcune valutazioni negative, ma ce ne sono tante altre positive e simpatiche: “i sogni nel cassetto ammuffiscono”. I sogni sono stimolati dai “resti diurni”, da quelle emozioni o libere associazioni o stimoli del giorno precedente, e vanno a pescare nella nostra “dimensione profonda”, che non è l’ ”Inconscio” di Sigmund Freud, ma è prevalentemente il “Rimosso”, tutto quel materiale oscuro che è stato archiviato o dimenticato perché ingestibile dall’”Io” e dalla “Coscienza” sia per la qualità angosciante e sia per la quantità pesante. Non possiamo star dietro a tutte le emergenze fisiche e psichiche, esistenziali e fattuali,lavorative e relazionali, et cetera, et cetera, et cetera. E allora ci riempiamo oltremisura di questo materiale ingombrante ma importantissimo perché “psicofisiologicamente” vitale. Ripeto, trattasi di materiale che fa bene al corpo e alla mente, lo “psicosoma”, benessere che gestiamo costituendo i “fantasmi” e sognando per dormire o dormendo per sognare, ricostituendo l’energia nervosa utile per vivere. Bisogna, pur tuttavia, non riempirci troppo, rimuovere meno possibile, riflettere di più sulle evenienze ed emergenze del vivere quotidiano, quindi razionalizzare più che si può, capire ciò che ci succede il più possibile. La ragione è vincente e non è arida, non inaridisce le emozioni, come si dice in giro, anzi le fa vivere meglio. Il “rimosso” va sempre ridotto e tenuto sotto controllo nella quantità e nella qualità. Ritornerò con chiarezza e cautela su questi argomenti così importanti. Intanto, buon sogno e buon sonno a tutti!