“Ero in una strada di campagna … di sassi … molto stretta … in macchina con mio figlio a fianco …
C’erano molti cavalli … liberi … impazziti …
Io correvo … e cercavo di schivarli …
Ne ricordo uno … magro nero … in mezzo all’erba …
Poi sono arrivata in una casa …
Il padrone era li … noncurante …
Io mi sono fermata … l’ho avvisato …
Lui quasi noncurante … ha chiuso il cancello … e io ho pensato … quei cavalli hanno bisogno di libertà…
Nel sogno io non avevo paura.”
Questo è il sogno di Annalisa: una poesia naturale, una lirica veramente bella che mi piace definire “quando il sogno diventa poesia”.
Il “contenuto manifesto” è talmente incalzante che ho voluto trascriverlo così come Annalisa l’ha formulato, scena dopo scena, sequenza dopo sequenza, puntini di reticenza dopo puntini di reticenza. Questi ultimi lasciano tanto spazio al non detto, a ciò che non è possibile dire ma si può soltanto liberamente immaginare.
Andiamo alla ricerca del “contenuto latente” decodificando i simboli, per poi evincere la psicodinamica implicita.
La “strada di campagna” rappresenta la ricerca di una soluzione a un arduo problema o a un delicato conflitto: ”sassi”, “molto stretta”. Annalisa ha una realtà particolare e una funzione importante in atto, è mamma premurosa e protegge suo figlio: “in macchina con mio figlio”, “a fianco”, una relazione speciale, quasi una naturale simbiosi alla luce del significato neurovegetativo della “macchina”, il grembo materno e la funzione genitale.
Il “cavallo” è simbolo classico del padre, vedi “il caso clinico del piccolo Hans” di Freud, sia nelle nevrosi fobiche e sia nei sogni, sia da svegli e sia da dormienti. In ogni caso il cavallo evoca e racchiude l’universo maschile, la forza e l’eleganza della persona e del personaggio specifico, il padre. Annalisa si sta approcciando con cautela e delicatezza alla figura paterna e ne vede “molti” di “cavalli-padri”, li vede “liberi” nella loro espressione, li vede “impazziti” nel loro derogare dalle regole, direi quasi nella loro sacralità e nella loro genialità creativa. Ammirazione e fascino contraddistinguono questo approccio di Annalisa con la figura paterna, un approccio che non deve essere stato sempre lineare e privo di conflitti, ma un rapporto che si è amorevolmente composto come nelle migliori combinazioni affettive.
Annalisa ammira e teme questi “molti cavalli liberi e impazziti”, ha un vissuto ambivalente d’amore e odio nei confronti dei padri così liberi, così folli, così fascinosi; il “cercavo di schivarli” esprime il suo bisogno di un rapporto esclusivo di ammirazione e di contemplazione senza lasciarsi coinvolgere in prigioni ambigue e in catene dorate come nelle migliori sceneggiate napoletane.
Ecco l’uscita dal generico e il profilarsi del padre di Annalisa: “ne ricordo uno”, “magro nero”, “in mezzo l’erba”. Nella realtà in atto,“in mezzo l’erba” esiste il ricordo di un bel padre, fisicamente caratterizzato: suo padre in carne e ossa.
Ecco che, dopo averlo riportato alla memoria, Annalisa lo riporta al presente, il presente come presenza nella psiche di Annalisa: “sono arrivata in una casa”. Il padre è nella sua interiorità, nella sua storia esistenziale, nella sua evoluzione di donna e di madre: l’immagine, resa con poche parole, ha il senso del “sublime” matematico e astronomico di kantiana memoria.
Il padre interiorizzato è un padrone. Dopo la bellezza e la fierezza emerge il vissuto di un uomo duro e forte, un uomo di potere, un’autorità autoritaria e non autorevole; l’altra caratteristica del padre di Annalisa è la “noncuranza”, un attributo anaffettivo, fatto di distacco e di freddezza. Così si è difesa Annalisa dal fascino paterno, attribuendo al padre i tratti che ha usato lei per non restare coinvolta in un amore impossibile e innaturale, la “noncuranza”. Trattasi del solito, quasi famigerato, complesso di Edipo e nello specifico la relazione con il padre, dal momento che non si affianca nel sogno alcuna figura femminile al di là di quella della protagonista.
Annalisa sa del suo trasporto pericoloso nei confronti del padre e si è “avvisata avvisandolo”, non ha esternato il grande amore, ma lo ha ricambiato con la stessa freddezza di quel padre padrone che occupa un posto importante nella sua formazione psichica e nel suo modo di relazionarsi con i suoi uomini, in questo caso suo figlio e suo padre. Con il primo un attaccamento materno fortissimo e con il secondo un distacco affettivo per paura di essere coinvolta in un malessere senza fine e senza fini. Il “padre-cavallo”, avvisato dalla figlia della presenza di cavalli folli e liberi in mezzo ai prati, è mezzo salvato, recita un proverbio che tanto si addice al caso di Annalisa. E’ soprattutto il padre di Annalisa a incarnare gli attributi della bellezza, della libertà e della creatività.
Annalisa proietta nel padre la sua noncuranza, la sua risoluzione del complesso di Edipo e ha “chiuso il cancello”, ha definito gli ambiti del riconoscimento del padre come un uomo libero, felice e folle: ”quei cavalli hanno bisogno di libertà”. La legge del padre buono e migliore, quello di Annalisa, è quella che lei ha introiettato. Il padre e anche gli uomini hanno bisogno di libertà, visto che manca la mamma. Annalisa si è identificata nel padre più che nella madre: “ubi maior, minor cessat” dicevano i nostri progenitori latini, “dove c’è il maggiore, il minore decade”. Questa identificazione contrastata ha portato Annalisa a incarnare la figura mitologica di Afrodite, la dea dell’erotismo nata dalla fusione dello sperma di Urano con la schiuma dell’onda del mar Egeo dopo che il figlio Crono aveva evirato, per l’appunto, il padre. Annalisa ha maturato dalla sua relazione con il padre e dalla prevalente identificazione nei suoi tratti una collocazione di potere verso il maschio e verso il maschile. Lo vuole maschio e bello come il padre, autorevole all’incontrario del padre.
Nel sogno non c’era paura, a conferma che Annalisa ha parlato di sé tirando fuori le sequenze ben conosciute del suo film interiore in riguardo al suo rapporto con il padre e al fantasma psichico collegato.
La prognosi impone di mantenere questa buona risoluzione del complesso di Edipo, fatta del riconoscimento del padre e della madre e nel caso specifico d’identificazione nelle parti migliori del padre e della madre. Annalisa, in tal modo, ha usato la libertà consentita dalla situazione di figlia. Non poteva identificarsi totalmente nel padre e negare la madre, pena la negazione del suo essere femminile.
Il rischio psicopatologico si attesta nella conflittualità con i maschi e nelle difficoltà relazionali, affettive e sessuali: la sindrome della “virago” o di Afrodite può degenerare nella solitudine anche se crea fascino e paura nell’universo maschile.
Riflessione metodologica: “quando il sogno diventa poesia”. Non dimentichiamo che la funzione onirica condivide con l’arte, gran parte dell’attività estetica, l’uso dei meccanismi del “processo primario” e l’effetto catartico: purificazione dall’angoscia. Poeta deriva dal greco e significa “creatore”, una creazione non dal nulla ma da un fare, “poiein”, e da un qualcosa, a testimonianza che l’essere vivente uomo può elaborare vissuto su vissuto, intessendoli in oggetti estetici attraverso un fare prevalentemente a imitazione della Natura come volevano i filosofi greci. Il sogno è la massima democrazia in riguardo alla poesia, perché tutti siamo artefici inconsapevoli o coatti dei nostri sogni. Tutti sogniamo, anche quelle persone che dicono di non sognare soltanto perché non ricordano i loro sogni. Il sogno è l’attività mentale del cervello durante il sonno. Soltanto la morte cerebrale conclude il nostro pensare e il nostro sognare. Ma sarà proprio così? Anche lo stato di coma è una forma di sonno e di sogno. O forse è una nuova dimensione del percepire, una nuova forma del sognare? Certo che il coma comporta un’attività, anche minima, del cervello e si traduce in un percepire a livello subliminare ossia sotto la soglia della coscienza.